TESTIMONIANZA

Testimoniare è attestare di persona un fatto, una volontà, un valore, è impegnarsi per una causa; è garantire mediante le scelte di vita una verità creduta e annunciata. Nel processo di comunicazione della fede la T. è condizione indispensabile, anche se non sufficiente, di credibilità del messaggio. Essa rende plausibile la verità religiosa perché ne mostra il valore che di fatto assume nella vita del testimone. Il criterio della T. o dell’ortoprassi è fondamentale, anche se non esclusivo, per verificare il senso del → linguaggio religioso, perché la verità religiosa non è enunciabile per deduzione logica o per induzione scientifica, ma è verità esistenziale, che impegna nella prassi ed esige di farsi soggettiva (S. Kierkegaard).

1.​​ Il messaggio cristiano si è presentato fin dall’origine come una T.: che Cristo risorto è vivente oltre la morte e che il suo Spirito è operante nella storia come forza di liberazione per ogni uomo che lo accoglie nella fede. Questo annuncio non avrebbe mostrato la sua efficacia se a portarlo non fossero stati uomini nuovi, che manifestavano nell’atteggiamento e nelle opere i segni della potenza salvifica di Dio. Ma tutta la storia della rivelazione si svolge in una dinamica di T.: i Profeti testimoniano l’alleanza di Iahvè che hanno conosciuto nell’immediatezza della propria esperienza o nelle vicende del popolo; in Gesù di Nazaret è il figlio stesso di Dio che attesta da “fedele testimone” (Ap​​ 1,5) quanto ha visto e udito nel seno del Padre (Gv​​ 3,11); gli Apostoli diventano i testimoni autorevoli della risurrezione, sia perché hanno conoscenza diretta e intima dei fatti che proclamano, sia perché hanno ricevuto espresso mandato di attestarli (“Voi sarete miei testimoni»,​​ At​​ 1,8); infine, la comunità cristiana nel suo insieme, con la novità della sua vita, testimonia gli effetti che il Vangelo produce in quanti Faccettano. Di fatto i Vangeli prima, la storia del movimento cristiano poi, raccontano quale significato Gesù ha assunto per la vita di alcuni gruppi di uomini (E. Schillebeeckx). Nell’economia della trasmissione della fede è la comunità ecclesiale​​ testimoniante,​​ vista nel suo sviluppo storico e nel suo vivere attuale, che costituisce l’insostituibile e principale struttura di plausibilità del messaggio.

2.​​ Essendo sostanzialmente un linguaggio di T., cioè performativo, quello della C. è un linguaggio che adotta un triplice codice espressivo: il codice​​ narrativo,​​ in quanto rievoca gli eventi storici che stanno all’origine e l’esperienza che il credente ne ha fatto; il codice​​ ostensivo,​​ in quanto rivela o “dimostra” nel presente una situazione vitale conseguente all’evento storico narrato; il codice​​ esplicativo,​​ perché ogni T. può suscitare domande nell’interlocutore e quindi venir richiesta di una giustificazione. Da queste modalità distintive del linguaggio testimoniale scaturiscono le sue specifiche funzioni in ordine all’educazione della fede: la funzione​​ profetica,​​ in quanto testimoniare è perpetuare nell’oggi i segni dell’azione di Dio, è rendere leggibili e appellanti gli eventi di salvezza “mediante fatti e parole intimamente connessi” (DV 2); la funzione​​ dialogica,​​ in quanto sulla base della T. offerta e ricevuta la ricerca della verità si attua in un contesto in cui il vissuto degli interlocutori si pone dialetticamente come domanda e risposta capaci di “dire” la verità prima di enunciarla; la funzione​​ dinamica,​​ in quanto la testimonianza traduce in termini esistenziali fatto e significato, verità e valore, ideale e impegno, convinzione e operatività.

3.​​ Le ragioni culturali che urgono una accresciuta valorizzazione della T. nell’agire pastorale della Chiesa stanno oggi nel fatto: — che il progetto cristiano appare troppo spesso insignificante rispetto ai progetti che si trovano in concorrenza con esso (K. Rahner); — che la mentalità contemporanea registra una crisi di fiducia nella tradizione, nell’autorità, nella ragione e nelle ideologie (J. B. Metz) e si affida, pragmatisticamente, alla prova dei fatti; — che esiste una diffusa domanda di senso, che si va acuendo anche nella coscienza di molti credenti, ma solo l’esperienza umana è considerata luogo ermeneutico della riscoperta di un senso per resistenza (P. Ricoeur); — che anche le moderne scienze umane e sociali interessate al fenomeno religioso, ai suoi linguaggi e alle relative strategie educative, asseriscono la non separabilità tra messaggio e messaggero, tra significato e significante, tra forma e contenuto (H. G. Gadamer, H. Halbfas).

Bibliografia

J. P. Jossua,​​ La condition du témoin,​​ Paris, Cerf, 1984;​​ I linguaggi della fede,​​ in “Credere oggi” 4 (1984) n. 1; J. M.​​ Martínez​​ Beltràn,​​ Creatividad​​ y​​ pedagogia de la fé,​​ Salamanca, S. Pio X, 1976; C. Molari,​​ La fede e il suo linguaggio,​​ Assisi, Cittadella, 1972; In.,​​ Linguaggio,​​ in​​ Nuovo Dizionario di teologia,​​ Roma, Ed. Paoline, 1977, 778-814; F. Pajer,​​ La catechesi come testimonianza,​​ Leumann-Torino, LDC, 1969; P. Ricoeur – E.​​ Jüngel,​​ Dire Dio. Per un’ermeneutica del linguaggio religioso,​​ Brescia, Queriniana, 1978.

Flavio Pajer

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TESTIMONIANZA

È l’atto (parola, discorso, attestazione, comportamento pratico) con cui una persona (testimone, lat.​​ testis,​​ gr.​​ martys) propone ad un’altra persona di accettare come vera e credibile un’affermazione di per sé priva di evidenza intrinseca e non suscettibile di verifica sperimentale.

1. L’elemento specifico della t. consiste nella presentazione di una idea / valore, accreditata unicamente sulla base di un rapporto fiduciale tra persone. In tale rapporto, la persona del testimone – con la sua veracità e coerenza di vita, e quindi con la sua autorità morale – si pone come garanzia prossima di​​ ​​ verità. Garanzia prossima, non ultima, in quanto ogni persona è per natura fallibile e ogni t. personale è inevitabilmente connotata di soggettività. Ne consegue che la comunicazione del testimone, se può riuscire moralmente plausibile e convincente, non assume – né pretende di assumere – i caratteri della prova oggettivamente evidente e vincolante. Tuttavia, se dal punto di vista puramente intellettuale la verità testimoniata risulta più fragile rispetto alla verità argomentativamente dimostrata, dal punto di vista etico e culturale la prima sorpassa la seconda proprio per il più profondo coinvolgimento del potenziale personale cui fa appello. Mentre infatti l’argomentazione impegna solo le facoltà intellettive e critiche, la t. fa appello anche e anzitutto alla fiducia tra persone, alla capacità di discernimento etico, all’apertura verso i valori, in definitiva alla comunione interpersonale e alla decisione esistenziale. La nozione di t. è di primaria importanza in pedagogia, in quanto l’educazione è sempre intervento​​ attestativo​​ piuttosto che soltanto​​ enunciativo.

2. Nell’ambito della tipologia dei processi conoscitivi, si designa la conoscenza per t. come una delle modalità tipiche della trasmissione culturale, accanto alla conoscenza per​​ ​​ insegnamento, alla conoscenza per​​ ​​ esperienza, alla conoscenza per​​ ​​ iniziazione. In particolare, il linguaggio performativo della t. qualifica il processo educativo, sia perché questo non può che basarsi sulla reciproca fiducia tra educando ed educatore, sia perché l’intenzionalità educativa è già di per sé carica di​​ ​​ valori, di cui l’educatore si rende immancabilmente testimone e a volte, forse inconsciamente, controtestimone, prima ancora di esserne il docente. La t. si rivela presupposto educativo indispensabile nella​​ ​​ educazione morale, per l’intrinseca necessità di garantire nel​​ ​​ processo educativo – specie in età evolutiva – una congrua continuità / coerenza tra insegnamento dei valori etici (piano del discorso oggettivo sui valori), professione personale di tali valori (piano della adesione soggettiva) e​​ ​​ esemplarità comportamentale (piano della visibilità sociale). Tuttavia l’enfasi odierna sulla visibilità sociale, cui non sono esenti chiese e movimenti religiosi, appare spesso il sintomo di una impertinente rivendicazione identitaria, che confligge con gli ideali di convivenza democratica proposti dalle società multireligiose.

3. Nell’ambito specifico della​​ ​​ educazione religiosa, la t. non è da intendersi come una tattica pedagogica o un coadiuvante morale (il cosiddetto «buon esempio» edificante, che l’educatore si crede moralisticamente obbligato a dare attorno a sé), ma è anzitutto dimensione simbolica costitutiva della comunicazione religiosa, in quanto è nella natura della fede di diffondersi per t. Un credente o una comunità di credenti educa la fede in quanto, nel trasmettere una «memoria», traduce e manifesta il significato salvifico e liberante di quella memoria nell’oggi.

Bibliografia

Pajer F.,​​ La catechesi come t., Leumann (TO), Elle Di Ci, 1969; Ciardella P. - M. Gronchi M. (Edd.),​​ T. e verità, Roma, Città Nuova, 2000; Seminario Arciv. di Milano,​​ Testimoni di Gesù Risorto,​​ speranza del mondo, speciale de «La Scuola Cattolica» 134 (2006) 189-389.

F. Pajer

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