STORIA DELLA CHIESA

1.​​ Problematica.​​ È un fatto che la SdC è insufficientemente presente oppure del tutto assente dalla C. (cf G. Bitter – G. Miller [ed.],​​ Konturen heutiger Theologie,​​ München, 1976: traccia il quadro teologico per la preparazione di un nuovo catechismo in Germania; anche un contributo sulla SdC). Sarebbe semplicistico attribuire questo dato di fatto alla povertà culturale della scuola, oppure a un certo rigetto — anche concretamente documentabile — della storia, o a una crisi della coscienza storica. Un approccio così generalizzante non serve per chiarire le cause del fenomeno e non permette di trovare prospettive di soluzione.

Le cause della insufficiente presenza della SdC nella C., a quanto pare, vanno cercate primariamente in parte nella stessa pedagogia religiosa e in parte nella SdC in quanto disciplina scientifica. Nella pedagogia religiosa manca una didattica della SdC, ricollegata con la didattica generale della C. (cf E. Paul – F. P. Sonntag 1971). La SdC in quanto disciplina scientifica non ha ancora risolto il problema del proprio statuto. I due fattori sono strettamente connessi. Inoltre la C. della SdC è fortemente dipendente dalla storiografia scientifica della Chiesa (cf H. Halbfas,​​ Jugend und Kirche,​​ Diisseldorf, 1964). In questa ottica non ci sorprende quindi l’attuale miseria della SdC nella C. Per chiarire i problemi didattici e metodologici che l’insegnamento della SdC pone alla C. occorre focalizzare — in dialogo con la storia scientifica della Chiesa — che cosa è e deve essere la SdC.

2.​​ Osservazioni sulla natura della SdC come scienza.​​ Giustamente la disciplina scientifica corrispondente è considerata parametro per le decisioni riguardanti il curricolo. Una analisi della ermeneutica e dello statuto epistemologico di tale disciplina è quindi un elemento indispensabile della didattica. Ora le analisi critiche che si occupano dello statuto epistemologico della SdC rivelano chiaramente che l’attuale comprensione della SdC è piuttosto un ostacolo per un fecondo insegnamento della medesima nella C. (cf E. Paul 1982, 19). Il problema epistemologico fondamentale della SdC è costituito dal fatto che essa è nello stesso tempo teologia e storia (per un panorama cf H. Grotz 1970; A. Weiler 1970; J. Cobb 1970; W. Kasper 1964). Modelli aprioristici di interpretazione della Chiesa sotto forma di schemi di teologia della storia, di teologia fondamentale, di dogmatica o di ecclesiologia hanno spesso causato approcci in contrasto con la storia (cf N. Bronx 1979; P. Eicher 1981; H. Seeliger 1981). Falsa armonizzazione e attenuazione dei conflitti evocano talvolta l’impressione che la SdC sia una storia lineare di successi. Se la SdC vuole essere “l’occhio storico della teologia” (Ignaz von Dbllinger), è indispensabile, secondo E. Paul, che “sia realizzata come storia della fede e dei credenti, che tentano di spiegare il Vangelo, e pertanto sono anche da giudicare alla luce del Vangelo; quindi una storia che cerca di raccontare di nuovo la vasta gamma di tentativi per esprimere la fede nell’ambito e a confronto con altre espressioni della vita; una storia che in questo modo incoraggia (anche se a questo non si limita!) a tentare nuove forme espressive della fede” (E. Paul 1971, 6).

Quindi la SdC pone anche più di una ipoteca. Se non si ha la consapevolezza di queste ipoteche, la prospettiva didattica può risultare notevolmente distorta. Una falsa apologetica, per es., nel passato ha portato la SdC in un isolamento tale che ancora oggi non ci si aspetta da essa praticamente nessun impulso per la teologia e per la convivenza cristiana. Oppure a una SdC “dall’alto”, cioè una storia delle istituzioni ecclesiali​​ e​​ civili che elimina una parte essenziale: ignora infatti l’ampia base dei cosiddetti “cristiani normali”, le loro forme di bene e di vita, come pure l’intero loro ambiente di vita. Un’altra posizione unilaterale, strettamente connessa con la precedente, consiste nel concepire la SdC, nella misura in cui cerca di illustrare la storia della fede, prevalentemente come storia della teologia e dei teologi. C’è scarsa oppure nessuna attenzione a ciò che pensava il “cristiano normale”, ai suoi problemi, alle forme in cui ha cercato di realizzare la sua esistenza umana e cristiana. Generalmente parlando si può affermare che la SdC “dal basso”, quale è praticata oggi, soprattutto da parte di catecheti che si occupano della didattica della SdC, è stata trascurata. Manca un approccio storico, che si potrebbe collocare, come genere letterario, come storia sociale dei cristiani.

Infine, la SdC è afflitta da una specie di atomizzazione specialistica. Essa non riesce, o riesce solo parzialmente, a mettere in rilievo prospettive e connessioni per l’applicazione alla C. (cf E. Paul 1977). Ora questa mancanza di collegamento e di visione sintetica dei singoli settori da parte della scienza SdC pesa negativamente sulle considerazioni didattiche riguardanti il suo uso nella C.

3.​​ Finalità della SdC nella C.​​ Nel primo libro di metodologia dell’epoca moderna, De​​ locis theologicis,​​ il domenicano Melchior​​ Cano​​ (t 1560) scrive: “Nulli​​ satis​​ eruditi videntur, quibus​​ res​​ olim gestae ignotae sunt” (Nessuno può essere considerato dotto, se ignora il passato). Prescindiamo dal fatto che​​ Cano​​ parte da una interpretazione globale della storia (intesa come storia della salvezza) e da una concezione della formazione legata al tempo. Domandiamoci fino a che punto la sua affermazione sia valida in un’epoca in cui la didattica è orientata all’esperienza e al futuro. In parole semplici e dirette: in vista di quale finalità lo studio della SdC nella C. dovrebbe qualificare lo studente? Lo storico della Chiesa Hubert Jedin, appoggiandosi su Droysen, caratterizza la conoscenza storica in generale come “gnoti seauton”, quindi “conoscenza di se stesso e degli uomini”. Analogamente la SdC è caratterizzata come “conoscenza che la Chiesa ha di se stessa e dei cristiani”. Questa conoscenza è indispensabile per teologi e per laici che “vogliono essere membri adulti e responsabili della Chiesa”. Se la SdC viene compresa e intesa come teologia e come storia, sarà più facile, secondo Jedin, “che attraverso il mutamento dei tempi e delle persone si veda il suo fondamento d’oro: Christus beri, hodie et in saecula”.

Ora una didattica che prenda sul serio la situazione, offrirà anche alla storia lo spazio che le spetta. La sua rilevanza sta soprattutto nel fatto che la storia “non è una realtà chiusa, semplicemente passata, bensì passato che si inserisce nel presente ed è aperto al futuro”; quindi un passato che “esercita un influsso sul presente” e che “è un nostro compito” (cf E. Iserloh 1970, 14). Questa ottica storica viene ulteriormente rinforzata dalla coscienza cristiana della storia. La SdC riceve una dimensione interpretativa supplementare dal fatto che la Rivelazione è inserita in un processo storico (ibid.,​​ 16-23). L’attualità e la portata vitale della SdC richiedono che essa non sia intesa come il “museo delle antichità della Chiesa”, ma come “la comprensione che la Chiesa ha di se stessa”. “Colui che alla luce della fede studia il divenire e la crescita della Chiesa, penetra nel suo essere divino-umano, e impara a conoscerla qual è di fatto (non soltanto come dovrebbe essere), impara a conoscere le sue leggi vitali, e ricupera una stabile collocazione nel suo ambito. Il suo “sentire ecclesiam” può diventare in tal modo un “sentire cum ecclesia”“ (cf H. Jedin [ed.],​​ Handbuch der Kirchengeschichte,​​ 7 vol., Freiburg, 1962-1979, vol. 1, 10).

4.​​ Obiettivi, contenuti e metodi della SdC nella C.​​ Il decreto del Sinodo delle diocesi della Germania​​ L’insegnamento della religione nella scuola​​ desidera che l’IR scolastico sia saldamente fondato su principi pedagogici come su principi teologici. Una nuova concezione della SdC nella C., inserita nella didattica generale della C., dovrebbe anch’essa situarsi all’”incrocio di principi pedagogici e teologici” (ibid.,​​ 2.3; 2.4). La determinazione degli obiettivi e dei contenuti deve essere basata su queste due prospettive principali. L’elaborazione deve seguire i tre filoni di argomentazione (indicati nel decreto sinodale): culturale-storico, antropologico, sociale. In tal modo lo studio della SdC nell’ambito della C. potrà ricevere una impostazione che corrisponde alla situazione degli allievi e si giustifica di fronte alla storia scientifica della Chiesa. I lavori di B. Jendorff aprono prospettive in questa direzione; va tuttavia osservato che il concetto di Chiesa ( — popolo di Dio) basato sul Concilio Vaticano II può diventare, in questo contesto e con questa accentuazione, aprioristico e unilaterale (cf B. Jendorff 1982, 52).

La discussione epistemologica sullo statuto della SdC nella C. sta ancora cercando una posizione comunemente accettata. Nel frattempo la didattica della SdC nella C. potrebbe orientarsi sulle posizioni di H. R.​​ Seeliger​​ (1981), il quale richiede un procedimento prammatico, che non ha bisogno di una immagine di Chiesa chiaramente delineata. Si può descrivere la SdC partendo dalla sua trasmissione. Essa diventa in questo modo un problema di linguaggio e un problema di destinatari, e procede soprattutto in forma narrativa. Una sistematizzazione che colga la “totalità” non è possibile in questa linea; si possono studiare soltanto sezioni limitate. “SdC non si chiama così per il fatto che la Chiesa è il suo oggetto (materiale) — infatti essa trascende sempre il quadro degli eventi intraecclesiali — ma perché viene studiata nel contesto comunicativo della Chiesa” (H. R. Seeliger 1981, 236).

Lo studio della SdC nella C., impostata su questa base, implica quindi:

a)​​ L’oggetto della SdC nella C. è la storia della fede di coloro che ci hanno preceduto e della nostra fede.

b)​​ Questa storia della fede deve essere vista ogni volta come tentativo di uomini che in una determinata situazione hanno cercato di rispondere alle esigenze del Vangelo.

c)​​ La storia della fede chiama anche in causa la Chiesa, poiché la fede è legata alla comunità della Chiesa.

d)​​ La SdC non si restringe a una particolare immagine di Chiesa; rimane aperta a diverse esperienze di fede nella storia; troverà pure corrispondenza con le esperienze di fede e di vita dei giovani, e potrà anche motivarli per interessarsi alla storia.

e)​​ La SdC nella C. cerca anche di garantire l’elemento storico; cerca di focalizzare che la storia è un processo, e indica il carattere particolare di un fenomeno storico.

f)​​ Per poter vedere “l’irreversibile procedere dei tempi” (cf E. Paul 1971, 57) nel contesto storico, lo studio della SdC nella C. richiede un minimo di sistematicità. Come principio per la scelta didattica dei contenuti si presenta quello della esemplarità e della rappresentatività. Occorre anche tener conto della successione storica e del collegamento con l’insegnamento della storia generale nella scuola.

g)​​ In linea di principio la SdC nella C. non deve essere intesa in funzione subordinata, per es. come fondamento di enunciati dogmatici, o come puro “arsenale di esempi” per illustrare le tematiche della Bibbia, del dogma o dei problemi della vita cristiana. La SdC non è in grado di offrire “ricette” per la soluzione dei problemi contemporanei, anche se è possibile e necessario considerare la problematica storica, quando si tratta di chiarire problemi contemporanei (cf N. Hòrberg 1982, 36).

L’impostazione concreta della SdC nella C. dipende in larga misura dalla struttura didattica del rispettivo livello scolastico, dalla motivazione e dalla struttura dominante dell’apprendimento. Le forme didattiche, i metodi e la scelta dei mezzi devono adattarsi alle suddette condizioni (per tutto ciò che riguarda proposte didattiche e metodiche,​​ cf​​ B. Jendorff,​​ Kirchengeschichte – wieder gefragt!,​​ München, 1982).

Bibliografia

N. Bronx,​​ Fragen zur “Denkform” der Kirchengeschichtswissenschaft,​​ in “Zeitschrift für Kirchengeschichte” 90 (1979) 1-21; S.​​ Chisté,​​ La dimensione storica nell’insegnamento​​ della​​ religione,​​ in “Catechesi”​​ 52 (1983 ) 5, 49-61 (bibl.); J. Cobb,​​ Verso​​ una eliminazione​​ dello​​ storicismo e del positivismo,​​ in “Concilium” 6 (1970) 7, 42-52 (1216-1226); P.​​ Eicher,​​ Zur Ideologiekritik der Kirchengeschichte,​​ in “Kairos” 23 (1981) 244-260; U.​​ Gianetto,​​ La​​ dimensione storico-ecclesiale nell’insegnamento​​ della​​ religione,​​ in​​ «Catechesi»​​ 50 (1981) 15, 17-26; H. Grotz,​​ Der wissenschaftstbeoretische Standort der Kirchengeschichte heute,​​ in “Zeitschrift für katholische Theologie» 92 (1970) 146-166; N. Hörberg,​​ Kirchengeschichte erf ahrungsorientiert,​​ in “Religionspädagogische Beiträge” 5 (1982) 10, 20-41; E. Iserloh,​​ Was ist Kirchengeschichte?,​​ nel vol.​​ R. Kottje (ed.),​​ Kirchengeschichte heute,​​ Trier, 1970, 10-32; H. Jedin,​​ La storia​​ della Chiesa​​ è teologia e storia,​​ Milano, 1968; B.​​ Jendorff,​​ Kirchengeschichte – wieder gefragt!,​​ München, 1982; Id.,​​ Von Inter-esse: Kirchengeschichte,​​ in “Religionspädagogische Beiträge” 5 (1982) 10, 43-62; W. Kasper,​​ Grundlinien einer Theologie der Geschichte,​​ in “Theologische Quartalschrift” 144 (1964) 129-169; E. Paul,​​ Kirchengeschichtliche Inhalte religiösen Lernens,​​ nel vol.​​ G. Stachel (ed.),​​ Inhalte religiösen Lernens,​​ Zürich, 1977, 198-204; H. R. Seeliger,​​ Apologetische und fundamentaltheologische Geschichtswissenschaft,​​ in «Wissenschaft und Weisheit» 44 (1981) 59-72; Id.,​​ Kirchengeschichte – Geschichtstheologie – Geschichtswissenschaft,​​ Düsseldorf, 1981; F. P. Sonntag,​​ Kirchengeschichts-Unterricht,​​ Zürich, 1971; Id.,​​ Das Selbstvcrständnis der Kirchengeschichtswissenschaft – ein Hindernis für einen fruchtbaren Kirchengeschichtsunterricht?,​​ in “Religionspädagogische Beiträge» 5 (1982) 10, 3-19; A. Weiler,​​ Storia​​ della Chiesa​​ e riordinamento​​ della​​ scienza storica,​​ in «Concilium» 6 (1970) 7, 21-41 (1195-1215).

Michael Spitz

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