RIVELAZIONE

Non mette difficoltà neppure oggi cogliere l’importanza, per il seguace di Cristo, dell’evento e del mistero della Rivelazione (= R). Infatti questa, anzitutto, introduce nel mondo della fede. Getta così la base, per il cristiano, della sua opzione fondamentale nella vicenda umana, decidendo, all’interno di un multiforme pluralismo, del discorso sull’uomo. È, in secondo luogo, all’origine della Chiesa. Ne illumina gli aspetti essenziali. Ne orienta la missione evangelizzatrice. Ne sostiene l’attualità salvifica. Entra infine, in modo prioritario e determinante, nella riflessione sullo statuto critico della teologia: si impone come presenza decisiva laddove si parla di epistemologia e si discute di metodologia. Ciò appare particolarmente in questo periodo “postcritico” del pensiero filosofico, in questa epoca “postcristiana” e in quest’era postindustriale.

1.​​ Difficoltà e problemi circa la R.​​ Sono note le difficoltà, talora ricorrenti, intorno alla R trascendentale, generale e categoriale, particolare, ebraico-cristiana. Ad esempio, secondo le varie forme dell’agnosticismo, la nostra mente non è in grado di oltrepassare il fenomeno. Conoscitivamente, restiamo prigionieri di esso. Pertanto, come non è possibile, criticamente, fondare il Trascendente, così a maggior ragione non lo si può pensare Rivelatore. Nella lettura del Deismo, Dio, una volta creato l’uomo, si disinteressa di lui. Non esiste perciò alcun appello alla fede, in senso cristiano. Nel discorso che K. Jaspers ha affidato a​​ Der philosophische Glaube angesichts der Offenbarung​​ (Piper, München, 1962),​​ non solo, ci sembra, viene rifiutata una certa interpretazione della R ebraico-cristiana — ciò che l’Autore fa in opere successive —, ma la stessa possibilità del concetto cristiano di tale R. Lo richiederebbero la giusta autonomia della ragione e la corretta concezione della libertà umana. Riserve circa la R presenta la psicologia empirica. Quelle che sono interpretate come rivelazioni dall’Alto possono essere “voci” e/o allucinazioni dell’uomo. Non si è in grado di fissare una sicura linea di demarcazione fra le prime e le seconde. Obiezioni si hanno pure da studiosi dell’analisi linguistica. Secondo tali ermeneuti, la riflessione sulle categorie di linguaggio attribuite a Dio deve concludere al paradosso e al simbolo. Un paradosso e un simbolo vuoti di significati affidabili. Dunque, non si può introdurre un Dio che parla, che parla addirittura da amico. A sua volta, la sociologia scopre che il linguaggio religioso può venire attraversato dall’ideologia. Di fatto talora lo è. Così i contenuti della R ebraico-cristiana vengono spogliati del loro specifico messaggio. Questo non avrebbe più come Autore Dio rivelante. La R sarebbe pilotata da interessi particolaristici. Sarebbe l’esito di una grande mistificazione. Ricordiamo, infine, che anche la storia comparata delle religioni non si trova a suo agio con la categoria cristiana di R. Vi oppone il fatto che ciò che una religione dice rivelato, un’altra ritiene frutto di riflessione puramente umana.

La lista di posizioni di rifiuto radicale o di qualche aspetto della R non sarebbe finita. Quello che abbiamo detto, però, è sufficiente per mostrare la necessità di un discorso teologico che si lasci realmente interpellare sia dalla Parola sia dagli interrogativi dell’uomo. La posta è anche pratica. Infatti, senza una fede illuminata non si dà una fede impegnata nella storia. Né vale rinviare allo Spirito. Questi non può essere di per sé invocato a sostituire un cammino richiesto alla ragione. Senza la fatica di questa, neppure la prassi, intesa come luogo di promozione della fede, può risultare significativa.

2.​​ Dati sulla R.​​ È necessario, anzitutto, mettere in evidenza alcuni “dati” essenziali sulla R. Qui, come in seguito, ci limiteremo a brevi notazioni sintetiche. Recita la​​ Lettera agli Ebrei:​​ “Dio che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo» (1,1-2). Questo passo accentua l’iniziativa di Dio nel comunicarsi all’uomo. Suggerisce la dimensione storica della R: attraverso un particolare accorgimento della retorica greca, denota la continuità e discontinuità fra AT e NT. Ravvisa la centralità e pienezza della R nel Cristo. Indica nella parola (dabar)​​ il mezzo privilegiato di una rivelazione divina all’uomo (→ Parola di Dio). In effetti, già nell’AT la parola veicola sempre più una presenza rivelante di Dio. In particolare, esprime l’Alleanza del monte Sinai fra Dio e il popolo d’Israele: la formula nelle “dieci parole” (cf​​ Es​​ 20,1-17) e la precisa nelle prescrizioni del Codice dell’Alleanza (cf​​ Es​​ 20,22-23). Si configura come custode dell’ordine morale nelle tradizioni profetiche prima dell’esilio e fonda una teologia della legge nelle correnti deuteronomiche. Suscita, dirige e interpreta le vicende umane nella letteratura storica, e diventa portatrice di speranza durante l’esilio. Manifesta nel Secondo Isaia la sua efficacia ai livelli cosmico e storico e interpreta la sapienza umana secondo le esigenze iahvistiche, nei libri sapienziali. Dispiega la sua forza rivelatrice nei Salmi e vi offre itinerari di preghiera. Davanti alla Parola di Dio, il profeta si sente piccolo e debole. Si sente interpellato. Esclama: “Parla, o Signore, che il tuo servo ti ascolta” (1 Sam​​ 3,10). Si fa suo interprete presso il popolo. Gli annuncia la giustizia, la misericordia e la provvidenza di Dio. Sostiene la speranza della comunità ebraica. Commentando e operando la storia, Dio parla al cuore dell’uomo. Mediante una divina pedagogia, lo conduce alla soglia del NT.

Quando, incarnandosi, il Verbo diventa, in Gesù di Nazaret, fratello di ogni uomo, la parola umana celebra la sua maggior dignità. Essa ci dona Dio. Ci dice la divina Parola. Apostoli del Signore e loro discepoli evangelizzano tale Parola e la esprimono per iscritto. Così noi possiamo farci contemporanei della Parola anche sulla base di documenti “storici”. Siamo in grado di avvertirne lo straordinario valore salvifico. Di cogliere l’entusiasmo dell’incontro con Gesù da parte di discepoli. Di vedere la loro difficoltà nel rileggere e attualizzare tale incontro per le loro comunità. Ci spieghiamo la pluralità di concettualizzazioni e forme letterarie, la diversità di dettagli e rilievi personali. Così i​​ Sinottici​​ ci portano all’incontro con il Figlio rivelante il Padre (cf​​ Mt​​ 11,25-27), con il Profeta che proclama il Regno e con il Rabbi che istruisce intorno ad esso. Gli​​ Atti degli apostoli​​ presentano con vigore testimoni privilegiati del Risorto (cf 1,8). Dalla testimonianza apostolica sorretta dallo Spirito nascono le Chiese locali. In​​ Giovanni​​ avviene il passaggio dalla Parola lieto e buon Annuncio alla Parola-Logos di Dio. La Parola ha creato; ha parlato attraverso i profeti dell’AT; si è incarnata nel Cristo. In Cristo essa sta come grande testimone del Padre e per il Padre. Essa interpella gli uomini. Li provoca ad una scelta prò o contro la Luce-Vita che è il Cristo. Da essa vengono giudicati. Luogo del giudizio è il mondo. Luogo della loro salvezza, la fede. “Afferrato dal Cristo Gesù” (Fil​​ 3,12),​​ Paolo​​ organizza la categoria R attorno alla categoria mistero (cf​​ Rm​​ 16,25-26). Tematizza questo mistero-piano salvifico di Dio per l’uomo. Ne mostra, fra l’altro, il rapporto con la rivelazione creaturale, cosmica. Ne individua il fine ultimo nella “lode di gloria della grazia di Dio” (Ef​​ 1,6.12.14).

È questa la R-Parola offerta da Dio, per tutta l’umanità, alla Chiesa. Questa R-Parola, la Chiesa prega e vive. Medita ed evangelizza. In ciò tutta la comunità cristiana in quanto tale è impegnata. È coinvolto ogni singolo credente. Fra i credenti, in particolare, sulla base di un dono dello Spirito, Padri della Chiesa e teologi realizzano un’opera speciale di intelligenza e di ermeneutica attualizzante il Vangelo. Santi e dottori offrono alla comunità cristiana percorsi di sapienza e modelli di esistenza. Umili seguaci del Cristo, papà e mamme, giovani e vecchi, esprimono storie dello Spirito, loro Maestro interiore. Pastori delle Chiese in comunione con il Papa configurano un loro magistero vivente. Si tratta di pagine di ieri e di racconti d’oggi. Ad esempio, in relazione ad affermazioni del protestantesimo, questi pastori, a Trento, nel​​ Decretum de libris sacris et de traditionibus recipiendis​​ (8-4-1546), hanno rilevato il valore, oltre che dei Libri sacri, anche delle Tradizioni apostoliche (cf DS 1501). A fronte di forme di razionalismo e semirazionalismo, di fideismo e tradizionalismo, i Padri del Concilio Vaticano I, nella cosi, dogmatica​​ Dei Filius​​ circa la Fede cattolica (24-4-1870), hanno presentato la dottrina ecclesiale su Dio, la R, la fede e i rapporti fra fede e ragione (cf DS 3000-3045). Nella enc.​​ Ecclesiam suam​​ (6-8-1964), Paolo VI ha mostrato la dimensione dialogale della R (cf​​ Enchiridion Vaticanum,​​ II, Bologna 1977, n. 193). Infine, nella cost. dogmatica sulla divina R​​ Dei Verbum​​ (18-11-1965), i Padri del Concilio Vaticano II hanno offerto alla comunità ecclesiale la​​ magna charta​​ del pensiero cattolico sulla R cristiana. Secondo l’ultimo Concilio, la R è parola che svela il mistero di Dio e il suo piano di salvezza per l’uomo. Ha la sua preparazione nella testimonianza della provvidenza divina e la sua pienezza nella persona del Cristo. Appella alla fede, postulando l’abbandono totale dell’uomo a Dio. Comporta una tradizione orale e scritta. Sollecita una progressiva intelligenza della divina Parola da parte della comunità cristiana sotto la guida dei Pastori della Chiesa. Questa ne costituisce la vivente memoria storicizzata. Nella storia della Chiesa, nessun intervento del Magistero ecclesiastico ha mai offerto finora una presentazione così compiuta sulla R come la​​ Dei Verbum.

3.​​ Per l’intelligenza di tematiche della R.​​ Quanto abbiamo detto, merita in alcuni punti di essere sviluppato. Il primo “luogo” della nostra riflessione è Gesù Cristo. Non si può non ricordare, a proposito di lui, il n. 4 della DV. Questo testo conciliare lascia trasparire l’ammirazione dei Padri sinodali verso l’evento salvifico che è la persona di Cristo. Gesù di Nazaret è lo stesso Figlio di Dio che viene a dimorare fra noi. Che viene a parlarci del Padre suo. Che compie così l’opera affidatagli. Che la compie in pienezza. Egli rivela non solo con la parola, ma in ogni gesto e comportamento. Rivela durante tutta la vita, in particolare però sulla croce. Compie e perfeziona (compiendo perficit)​​ la R precedente. Sigilla la sua R con segni di credibilità. Gli uomini che l’hanno preceduto, i profeti, i saggi d’Israele, hanno preparato la sua parola. Quelli che verranno dopo dispiegheranno il suo Vangelo fino al suo ritorno. La riflessione sul Cristo scopre in lui la grande e, in certo qual modo, l’unica irrepetibile Parola della storia. Scorgendo in essa altri percorsi religiosi e altre “rivelazioni”, il seguace del Signore conserva a tutto la sua dignità e pone tutto sotto la croce e alla luce del messaggio della Pasqua. Il secondo “luogo” tematico è la Chiesa. Prefigurata nell’AT e preformata nei discepoli del Signore, la Chiesa sulla base della Parola viene giorno per giorno costituita dallo Spirito. Nelle Chiese particolari, la R diventa così stile di pensare e modo di agire. Detta oralmente e formulata per iscritto, configura gli schemi della preghiera e il gesto della liturgia. Penetra sempre più in spazi di vita sociale e ispira espressioni culturali. Ogni giorno evangelizzata, si sforza di evangelizzare. Confortata dalla presenza di un carisma particolare, formula il proprio credo pubblico, si sforza di farsi carico di ogni povero e avanza, nella speranza, verso la seconda venuta del Signore.

Il terzo tema del nostro approccio è quello del binomio R-storia. Collegabile con esso è, almeno indirettamente, la triplice divisione della R. Si dà, infatti, la R naturale, la R soprannaturale ebraico-cristiana e, oltre la storia umana, la R dei beati del cielo. Rivelazione naturale o cosmica​​ e​​ R soprannaturale non vanno pensate come necessariamente esistenti in tempi differenti. Esse possono cronologicamente coesistere in spazi geografici o in orizzonti culturali diversi. Possono coesistere, a livelli diversi, nella stessa persona. Talora lo sono di fatto. È bene notare pure che ognuna delle tre R ha il suo valore, presuppone la R precedente ed è finalizzata alla seguente. Si può dunque dire che si procede di R in R e, pertanto, di fede in fede. R e fede sono categorie e realtà che vanno configurandosi un po’ alla volta. Partendo dalla R donataci dal Cristo, riusciamo a comprendere realmente la R dell’AT, ad avere qualche idea di quella che speriamo di sperimentare​​ in Patria,​​ e a cogliere limiti e valori della R cosmica. Analogo è il discorso sulla fede. La fede cristiana-accoglimento del Signore ci permette di capire la fede-obbedienza e attesa dell’AT e di illuminare la “fede”- fiducia nel Trascendente di religioni diverse dalla cristiana e della fede-amore-fiducia-senso della vita.

Altra pista di riflessione connessa con il binomio R-storia è quella relativa al significato, valore e funzione della storia nella R cristiana. Anzitutto, oggi un po’ tutti i teologi, e non solo loro, mettono in evidenza che la R soprannaturale cala in una storia, incontra la storia, avviene in una storia. In secondo luogo, si afferma che essa è una storia: che, senza escludere l’elemento dottrinale veritativo, è fatta anche di gesti, di avvenimenti aventi tra loro un nesso significativo indicato dalla parola profetica. Si tratta di un “realismo” che va applicato pure alla Tradizione in quanto distinta dalla S. Scrittura e complementare di questa. Si aggiunge, in terzo luogo, che la R fa storia. La Parola di Dio è efficace. Realizza ciò che significa. Elemento noetico e dinamico vanno insieme. La Parola di Dio anticipa non raramente l’avvenimento; lo pone in atto e, una volta avvenuto, lo interpreta. Tutto questo avviene nel rispetto della libertà dell’uomo. Secondo la visione cattolica, l’azione con cui Dio dirige la storia è nello stesso tempo azione che crea la libertà umana e la sostiene. La sostiene sia quando l’uomo agisce nella storia sia allorché l’uomo aderisce interiormente all’intervento di Dio nella sua vicenda. La storia, pertanto, come è orizzonte in cui va pensato il dispiegarsi nel tempo dell’atto rivelativo di Dio, così è “luogo” in cui va compreso l’atto con cui l’uomo crede. Tale atto scopre un itinerario con i suoi tempi. '

4.​​ Modelli di teologia sulla R.​​ Il valore e il limite del nostro discorso emergono facilmente non appena ci si rende conto che si danno vari “tipi” di teologia sulla R. Nella sua opera​​ Models of Revelation​​ (Doubleday and Co., Ine., Garden City, New York, 1983*), A. Dulles ne presenta cinque. Essi sono il, modello “proposizionale” e quello storico, il modello esperienziale e quelli della teologia dialettica e di una nuova decisiva consapevolezza nella propria esistenza. Ognuno datali modelli ha il suo particolare modo di intendere la R. Per il primo modello la R “un insieme di dottrine aventi autorità divida e proposte senza errore come Parola di Dio dalla Bibbia o dall’insegnamento ufficiale della Chiesa» (ivi,​​ p. 115). Seppure in rabido diverso — giacché i primi non accettano l’esistenza di un Magistero ecclesiastico —, evangelici conservatori e cattolici neoscolastici si muovono in tale direzione. Per il modello storico — si pensi ad esempio a O.​​ Cullmann​​ — la R è “la manifestazione della potenza salvifica di Dio tramite i suoi grandi interventi nella storia” (ivi).​​ Per il terzo, essa è “l’automanifestazione di Dio .attraverso la sua intima presenza nelle profondità dello spirito umano” (ivi).​​ Ricordiamo a questo proposito, fra gli altri, A. Sabatfér, G. Tyrrell e, inizialmente in certo qual modo, C. H. Dodd. Per il modello della teologia dialettica — si pensi a K. Barth, E. Brunner e R. Bultmann — la R è “l’appello di Dio a coloro che egli incontra nella Scrittura e nella predicazione (proclamation)​​ cristiana” (ivi).​​ Per l’ultimo modello, la R è “una irruzione (break through)​​ in un più alto livello di consapevolezza in quanto l’umanità è attratta ad una più piena partecipazione alla creatività divina” (ivi).​​ Rappresentanti di tale posizione teologica sono ad esempio, fatte le debite precisazioni, G. Baum, G.​​ Moran;​​ in parte anche P. Tillich e K. Rahner.

Ciascuno dei precedenti modelli di R privilegia una determinata categoria analogica. Il primo rileva l’insegnamento autoritativo; il secondo, gli avvenimenti di una comunità; il terzo, l’esperienza interiore; il quarto, la parola; l’ultimo, l’irruzione in una maggior consapevolezza. Ogni modello, ancora, presenta lati problematici e aspetti positivi. Così il modello proposizionale, se non procede in modo cauto, può più facilmente disattendere la pluralità delle forme letterarie della S. Scrittura; indulgere al letteralismo, sottovalutando la molteplicità di sensi della S. Scrittura; maggiorare, nella comunicazione, la proposizione a scapito del gesto, dell’azione; cadere nell’autoritarismo e astrattismo, non prestando sufficiente attenzione ai singoli destinatari (cf​​ ivi,​​ 49-50). Positivamente, tale modello può appellarsi alla tradizione biblica secondo la quale Dio affida la sua parola a parole umane, e rilevare la sua fruttuosità anche pratica ai fini dell’unità della Chiesa (cf​​ ivi,​​ 46). Conseguentemente, è bene chiedersi come fare per evitare gli aspetti negativi di ciascun modello e valorizzare quelli positivi. A. Dulles organizza la risposta attorno alla categoria della mediazione simbolica.

La R — scrive Dulles — “è sempre mediata attraverso il simbolo, cioè attraverso un segno percepito esternamente che opera misteriosamente sulla coscienza umana in modo da suggerire più di quanto essa può chiaramente descrivere o definire” (ivi,​​ 131). Dulles conduce un discorso applicativo. Per es., al modello storico della formula W.​​ Pannenberg,​​ secondo il quale la storia in quanto tale risulterebbe rivelatrice, fa presente che solo se le azioni della storia sono simboli della presenza di Dio, possono mediare valori e significati rivelati (cf​​ ivi,​​ 145).

Questi cenni su diverse teologie della R aiutano a intravedere la complessità del discorso teologico sull’argomento che ci occupa. Contribuiscono a mettere in evidenza la complementarità e, in certo modo, la provvisorietà di ogni brano teologico. Anche i modelli della R sono schemi che rinviano. Sono qualcosa di aperto. Ogni generazione umana trova lo spazio per la sua fatica teologica.

5.​​ Rivelazione e catechesi.​​ Sembrano utili ora, quasi a conclusione, alcuni rilievi fra R e C.​​ 

Prima di tutto, si dà uno stretto legame fra l’una e l’altra. Esso è messo in evidenza, ad esempio, nella esortaz. ap.​​ Catechesi tradendae​​ (16-10-1979) di Giovanni Paolo II. In questo documento, infatti, si legge: “È sulla rivelazione che la catechesi cercherà di regolarsi: la rivelazione quale la trasmette il magistero universale della Chiesa nella sua forma solenne o ordinaria” (CT 52). E altrove: “La catechesi autentica è sempre iniziazione ordinata e sistematica alla rivelazione che Dio ha fatto di se stesso all’uomo in Gesù Cristo, rivelazione custodita nella memoria profonda della Chiesa e nelle sue scritture e costantemente comunicata mediante una trasmissione vivente ed attiva da una generazione all’altra” (CT 22).​​ 

Secondo: l’approccio alla R da parte della C. è rivolto sia alla​​ fides qua​​ sia alla​​ fides quae,​​ cioè all’atto di fede e alle verità della fede. Suo traguardo è un permanente discepolato di Cristo in una comunità ecclesiale e in un segmento determinato della storia umana. Discepolato condotto nel rispetto e nella collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà, ai fini pure di una comunità umana più giusta e fraterna.

Terzo: l’autocomunicazione di Dio all’uomo passa attraverso il simbolo. Il realismo simbolico è costitutivo di ogni discorso analogico su Dio. È presente nell’ermeneutica biblica. Risulta strumento logico, anche a nostro parere, per elaborare una “sintesi” delle varie teologie della R. È via per una lettura adorante della realtà cosmica e della storia umana. Si pone come irrinunciabile sussidio per una efficace catechesi.

Quarto: all’interno del realismo simbolico sembra meno difficile affrontare le obiezioni circa la R indicate sopra. Mostrare ad es. che, criticamente parlando, l’agnosticismo filosofico circoscrive indebitamente la conoscenza all’ambito del fenomeno. Che il criticismo biblico incorre in alcune secche proprio perché non valorizza sufficientemente lo strumento logico del simbolo. Ai fini della C. è senz’altro necessario conoscere e, in quanto è possibile, superare le difficoltà concernenti il concetto cristiano di R.

Quinto: la C. non deve neppure ignorare i paradossi della R, cioè le sue dimensioni di verità e, insieme, di evento salvifico, i suoi aspetti di immanenza e di trascendenza, il suo riferimento al passato e la sua doverosa significatività per il presente, la sua unità e la sua pluralità.

Sesto: luoghi rivelanti della Parola non sono solo la S. Scrittura, le testimonianze scritte della Tradizione e il vivente Magistero ecclesiastico. Sono pure, a loro modo, le comunità cristiane. Queste, nei loro spazi di vita cristiana, pongono in atto la salvezza e rendono storia la rivelazione. Fanno ciò nella molteplicità delle loro vocazioni e nella sofferta e talora conflittuale ricerca della loro forma comunitaria, nel loro sforzo di evitare espressioni integralistiche o di ghetto e nella loro attenzione a non svilire, riduttivamente. il messaggio specifico del Signore Gesù.

Settimo: anche oggi la C. deve portare alla convinzione che la R non solo fonda la fede e decide dell’orizzonte essenziale ultimo dei significati dell’esistenza umana, non soltanto dirige la proposta cristiana nell’evangelizzazione e promozione dell’uomo, nel generoso ed efficace sostegno dei poveri, ma sollecita anche un impegno propriamente intellettuale. Vogliamo dire che la C. mostrerà pure l’importanza della teologia come scienza della fede, dalla fede e per la fede. Soprattutto in un mondo culturalmente pluralistico, è necessario rendersi realmente conto della speranza cristiana; cercare di penetrare e interpretare la propria esistenza secondo la Parola di Dio; attualizzare questa in rapporto alle stagioni della propria vita e alle situazioni sociali comunitarie, e confrontare la teologia con gli altri saperi scientifici. Il vero discepolo di Cristo ha bisogno anche di questo studio per essere responsabile di fronte alle esigenze dei poveri, agli interrogativi del movimento ecumenico e alla domanda di solidarietà con ogni uomo.

Ottavo: la C. deve pure farsi particolarmente contemporanea con quella attualizzazione di fede e teologia che è stato il Concilio Vaticano II. Non può dire di amare la R del Cristo chi non intende accoglierne l’intelligenza ecclesiale. Ci sono sottolineature, nell’ultimo Concilio, o implicanze innovative da tenere presenti. Tali ci sembrano ad es. il Cristo sacramento universale di salvezza e, perciò, la necessità di rapportare il Cristo-simbolo con i simboli delle religioni non cristiane e con quelli delle “fedi” secolari, ai fini di comprendere meglio sia il Cristo sia le religioni non cristiane sia le “fedi” secolari; la corretta interpretazione della dimensione escatologica della R, per comporre meno inadeguatamente R compiuta​​ in Pairia​​ e “rivelazione” presente in ogni segmento di autentica storia umana; la Chiesa locale e il “territorio umano” di ogni azione pastorale che si ispiri alla legge della carità e alla grazia della speranza.

La R e la sua C. debbono vivere nello spazio e percorrere la strada dell’uomo che interpellano. Specialmente presso i giovani, oggi occorrono schemi di linguaggio significativi. Non si tratta solo di terminologia. Se essi invocano certezze, occorre mostrare loro la certezza di una Parola eterna. Se sono affascinati dal gratuito, spalancare loro le porte della creatività dello Spirito. Se lo Spirito è il vero principale Rivelatore del Cristo, è pure il vero grande Catecheta. In lui giovani e non giovani incontrano la Parola nei giorni festivi e nei giorni feriali. Per mezzo suo sono in grado di testimoniare, nella speranza, la fatica di essere uomo e “un nuovo cielo e una nuova terra” (Ap​​ 21,1; cf 2​​ Pt​​ 3,13).

Bibliografia

A. Dulles,​​ Models of Revelation,​​ Garden City/New York, Doubleday and Co., 1983; Facoltà Teologica Interregionale di Milano,​​ Libri Sacri e Rivelazione,​​ Brescia, La Scuola, 1975; R. Latourelle,​​ Teologia della Rivelazione,​​ Assisi, Cittadella Ed., 1968; G. Moran,​​ Catechesi! of Revelation,​​ New York, Herder and Herder, 1966; K. Rahner – J. Ratzinger,​​ Offenbarung und Vberliejerung,​​ Freiburg, Herder, 1965.

Donato Valentini

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