RELIGIOSITÀ POPOLARE

1.​​ L’attenzione alla RP nella Chiesa non data da molto tempo, ma ha acquistato notevole attualità e importanza, e potrebbe essere letta come un “segno dei tempi” che provoca la Chiesa del postconcilio. Questa attenzione è stata originata da riflessioni teologiche pastorali (America Latina​​ e​​ Spagna), da difficoltà pastorali (Francia), da resistenze al rinnovamento liturgico (Italia).

2.​​ La RP si presenta in modi, forme e intensità diverse, e viene letta anche da prospettive differenti. Tutto ciò rende difficile la convergenza delle interpretazioni e delle stesse denominazioni. È studiata da storici, antropologi, sociologi, teologi, ecc., che, a seconda del proprio specifico approccio, parlano di “religione”, “religiosità”, “pietà”, “fede”, “cattolicesimo” popolare; e anche “religione di popolo”, “religione delle classi subalterne”, “religione del popolo”, ecc. Nell’ambito ecclesiale si fa distinzione tra “religione ufficiale” e “religione popolare”, tra “liturgia” e “forme di culto popolare”. Spesso questa contrapposizione nasconde una visione piuttosto manichea che porta a svalutare il vissuto religioso popolare.

3.​​ Nella comprensione e nella scelta della denominazione bisogna evitare sia un atteggiamento riduttivo, identificandola con i residuati folclorici o ritenendola propria soltanto dei ceti sociali subalterni, sia una valutazione puramente esteriore, limitata alle sue manifestazioni, o che ricorra a criteri razionalistici di autenticità e di ortodossia. L’ermeneutica teologica della RP non può ridursi a un confronto con canoni più o meno definiti di ortodossia, ma deve essere un vero discernimento fatto dal “di dentro”, cioè dai suoi contenuti, significati e valori, dalle sue manifestazioni e funzioni e soprattutto dalle motivazioni dei suoi protagonisti. Queste esigenze ermeneutiche ci fanno preferire la denominazione “religione del popolo”, spostando così l’attenzione direttamente sui soggetti e sulla loro vita, nelle loro esigenze e limiti umani e nelle loro aspirazioni e attese trascendenti. Bisogna tuttavia sottolineare che qualunque denominazione si usi non può essere ritenuta onnicomprensiva e deve essere usata sempre in modo critico, data l’ambivalenza e problematicità del fenomeno religioso popolare.

4.​​ La religione “del popolo” è senza dubbio un modo di vivere e di dire la fede in relazione diretta con le condizioni di vita. La religione, per il popolo, è​​ orizzonte di significati​​ e​​ sistema culturale,​​ con i suoi simboli, i suoi linguaggi, le sue categorie, le sue manifestazioni. La visione religioso-culturale, inoltre, costituiva un patrimonio comune in cui si combinavano esigenze religiose e di costume sociale; formava quindi un​​ sistema socio-religioso​​ che dava vita a manifestazioni che assumevano valore identificante per i singoli e per la collettività. L’insieme di questi elementi sottolinea la portata e la funzione della religione per l’orizzonte terreno, ma appare alquanto carente una vera dimensione trascendente e di portata salvifica. La fede popolare sembra piuttosto povera di significati e di valori trascendenti e poggia soprattutto sull’appartenenza ambientale; può risultare quindi anche fragile.

5.​​ L’impegno di comprensione e di interpretazione della religione del popolo non deve pertanto far sorvolare sui suoi limiti e la sua attuale situazione problematica. I fattori disaggreganti a livello socio-culturale (emigrazione, mass-media, scolarizzazione di massa, turismo...) e le profonde trasformazioni ambientali hanno reso incerto l’orizzonte religioso di riferimento e fatto perdere rilevanza al patrimonio ambientale, disgregando così il sistema socio-religioso identificante.

6.​​ Ciò che abbiamo detto finora consente un’adeguata apertura al fenomeno religioso popolare e può introdurre la riflessione sul suo rapporto con la C. Questo rapporto deve essere compreso nei due sensi: la religione del popolo come fonte della C., da valorizzare quindi per quello che può offrire; la C. come azione indispensabile per illuminare, arricchire, animare la religione del popolo.

a)​​ La religione del popolo esprime una sua concezione di Dio e dell’uomo e del loro rapporto, una sua spiritualità. Con ragione può essere vista come autentico​​ luogo teologico;​​ i suoi contenuti e valori possono essere considerati come una “teologia complementare contestuale”. Tra i suoi contenuti e valori più significativi vanno ricordati certamente la particolare integrazione fede-vita, l’esperienza della vicinanza di Dio nella vita e la realistica comprensione della Incarnazione e della morte di Cristo, degli attributi di Dio, dello specifico ruolo di Maria, i molteplici atteggiamenti interiori che modellano la vita spirituale, ecc. Né deve essere dimenticata la spontaneità e creatività cultuale-rituale.

b)​​ La religione del popolo, tuttavia, ha bisogno di molta C. e offre significative occasioni di C. al popolo. È necessario e urgente rapportare tutto il mondo del vissuto religioso popolare (credenze, manifestazioni, devozioni e atteggiamenti) al mistero centrale della salvezza, Cristo morto e risorto, perché sia veramente compreso come Salvatore e Redentore. Bisogna annunciare il Vangelo della speranza, della risurrezione, e aiutare a capire le modalità storiche e sacramentali della realizzazione della salvezza. Questa C. non si potrà fare se non partecipando e coinvolgendosi nel vissuto religioso popolare, animando, purificando e arricchendo dall’interno le sue diverse manifestazioni, per guidare il popolo a sentirsi Chiesa e la Chiesa vero “popolo di Dio”.

Bibliografia

Equipo​​ Seladoc,​​ Religiosità popolare,​​ Roma, ASAL, 1977;​​ Reste, Devozioni e Religiosità,​​ Galatina (LE), Congedo, 1981;​​ Liturgia e religiosità popolare,​​ Bologna, EDB, 1979; V. Orlando,​​ La religione “del popolo”,​​ Bari, Ecumenica, 1980; R. Pannet,​​ Le​​ catholicisme​​ populaire,​​ Paris, Centurion, 1974; D. Pizzuti – P. Giannoni,​​ Fede popolare,​​ Torino, Marietti, 1979; B. Plongeron,​​ La religion populaire dans l’Occident Chrétien,​​ Paris, Beauchesne, 1976; C. Prandi,​​ Religione e classi subalterne,​​ Roma, Coines, 1977;​​ Religione e morale popolare,​​ Bologna, EDB, 1980; L. Sartori (ed.),​​ Religiosità popolare e cammino di liberazione,​​ ivi, 1978.

Vito Orlando

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RELIGIOSITÀ POPOLARE

Circa l’espressione r.p. si sono fatte lunghe disquisizioni e si sono proposte denominazioni diverse (religione popolare, pietà popolare, religione del popolo, ecc.) per evitare equivoci e superare pregiudizi e ambivalenze. Resta comunque un alone di indeterminatezza nell’uso dell’espressione sia in riferimento ai soggetti che al significato e agli aspetti fondamentali che la caratterizzano. Poiché qualunque tentativo di definizione risulterebbe parziale ai fini della sua comprensione, è più utile elaborare un quadro concettuale che aiuti a comprenderne la natura e le caratteristiche.

1.​​ R.p.: un modo di vivere e credere.​​ Prima di ogni contrapposizione e accentuazione di «alterità», si deve anzitutto riconoscere la r.p. come una modalità concreta di​​ ​​ religione radicata in una cultura e vissuta in contesti sociali particolari. Si tratta quindi di un fenomeno religioso inscindibile da un’esperienza culturale, legato alla storia di comunità locali. Questo significa che, in quanto «vissuto di un popolo», se ne comprende il valore e il significato non a partire dalle concezioni o dai contenuti che esprime, ma dalle funzioni che svolge, da cui, ovviamente, si possono dedurre concezioni e contenuti. La sua è anzitutto una funzione rassicurante perché realizza una sorta di «umanizzazione del divino», avvicinandolo alla vita. La r.p. costituisce inoltre l’orizzonte di comprensione dei significati della vita e il fondamento comune dei comportamenti concreti. Assume quindi valore centrale per l’identificazione individuale e collettiva. Le manifestazioni religiose servono ad esprimere e a rinsaldare l’identità della comunità ambientale, a rafforzare le appartenenze, a far riconoscere i segreti dell’arte di vivere alle nuove generazioni e a segnare i momenti di progressivo inserimento nel mondo degli adulti. L’obiettivo e il modello ideale di riferimento è una realizzazione sapienziale della vita incarnata, per lo più, in un anziano. Il coinvolgimento nelle manifestazioni religiose, peraltro, è tradizionalmente il modo più efficace per realizzare la​​ ​​ socializzazione sia religiosa che ambientale; insieme​​ costituiscono e vengono percepite come aspetti complementari di un itinerario unificante che integra i contenuti sacrali con quelli socioculturali. Alla luce di questi elementi di comprensione si può senz’altro affermare che una caratteristica fondamentale della r.p. è quella di essere una «fede condivisa», espressa insieme e in gran numero da coloro che si riconoscono portatori di valori e che non possono sottrarsi alla sua presenza. Ci sono senz’altro livelli e intensità diversi di coinvolgimento, ma la r.p. riguarda tutti coloro che vivono in uno stesso contesto e si riconoscono negli stessi valori di fondo. «La religione fatta di costumi è una casa simbolica ove ci si sente a proprio agio, e ove si diventa se stessi, e a cui si è legati profondamente perché ivi si può essere durevolmente se stessi ed esprimervi le proprie convinzioni spontaneamente e i propri sentimenti più profondi» (Vergote, 1981, 298).

2.​​ R.p.: aspetti fondamentali.​​ Uno degli aspetti fondamentali della r.p. è anzitutto l’accentuazione della dimensione rituale, la sovrabbondanza dei segni, la preminenza della corporeità. Il primato è dato all’esperienza, al vissuto, al segno come mediazione, alla presenza come contatto diretto con il luogo sacro o con l’immagine sacra. La «fede corporea» facilmente porta a sentire profondamente insieme con gli altri; a sentire il beneficio di un’atmosfera, di un clima, di ciò che suscita ammirazione. In questa fede corporea vi è un cuore che dà anima e nuova energia a ogni manifestazione: la​​ ​​ festa. Essa segna i ritmi della vita collettiva, è l’occasione della rigenerazione, aiuta a vivere la gioia dell’appartenenza alla collettività ambientale, ecc. La r.p. sente anche forte il bisogno del «meraviglioso», del «miracolo», poiché accentua l’esigenza di segni concreti della presenza e della potenza del divino. Potenza che si vuole benevola e disposta a coinvolgersi nelle situazioni personali problematiche attraverso una serie di comportamenti devozionali, appresi e trasmessi secondo le modalità efficaci sperimentate nella tradizione. Le caratteristiche finora accennate non devono indurre a pensare che tutto nella r.p. si esaurisca nell’esteriorità. La ritualità popolare, nella sua varietà e ricchezza, esprime spontaneità di sentimenti e una fede carica di emozionalità, ma queste si radicano nelle motivazioni devozionali e di fede nelle quali non è affatto estraneo un bisogno salvifico insieme a quello materiale.

3.​​ R.p.: aspetti problematici.​​ La r.p., per quanto sia un fenomeno molto diffuso ancora oggi, fa pensare spontaneamente a qualcosa di passato e rischia di essere idealizzata. Nel passato e soprattutto oggi essa non è invece priva di aspetti problematici. Anzitutto bisogna sottolineare che la r.p. ha una fragilità intrinseca dovuta al suo specifico di essere una «religione di costume», radicata in un «modo culturale» e vissuta in contesti sociali e territoriali particolari. Tutti questi aspetti sono stati attraversati da grandi cambiamenti che hanno coinvolto profondamente la r.p., ma poiché non vi è stata continuità nel rinnovamento, oggi si rischia di rimanere sulle tracce dei padri più per fedeltà materiale che per comprensione e valorizzazione di significati. La frattura tra «memoria e mentalità» è carica di conseguenze problematiche e rischia di far scadere nel folkloristico non poche manifestazioni religiose. La fragilità e problematicità è accresciuta anche dalla marginalizzazione del cattolicesimo popolare rispetto alla liturgia e all’azione pastorale della​​ ​​ Chiesa. Il rischio del parallelismo di modalità religiose e di modi di credere è tutt’altro che scongiurato: dopo il grande fervore di riflessioni e di ricerche degli anni Settanta e Ottanta del sec. scorso, attualmente si riscontra solo una maggiore tolleranza senza veri riconoscimenti e capacità di interazioni e di integrazioni. Non bisogna trascurare inoltre di sottolineare elementi di ambiguità presenti nelle stesse concezioni che animano la r.p., legate al ruolo assegnato a Dio e ai Santi, all’ambivalenza di atteggiamenti e di valutazioni, di sentimenti e di credenze: alla fede si ritiene di dover aggiungere sempre qualche supplemento, di dover affiancare qualche perplessità o di chiedere una sorta di verifica. Problematicità, fragilità e ambivalenza della r.p. richiedono un forte impegno educativo-religioso che consenta anche di valorizzarne meglio il significato e la portata nell’attuale percorso storico del «popolo di Dio».

Bibliografia

Pannet R.,​​ Le catholicisme populaire,​​ Paris, Centurion,​​ 1974;​​ Equipo Seladoc,​​ R.p.,​​ Roma, ASAL, 1977; Sartori L. (Ed.),​​ R.p. e cammino di liberazione,​​ Bologna, EDB, 1978; Orlando V.,​​ La religione «del popolo»,​​ Bari, Ecumenica, 1980; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti,​​ Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, Città del Vaticano, LEV, 2002; Sodi M. - G. La Torre (Edd.),​​ Pietà popolare e liturgia. Teologia-spiritualità-catechesi-cultura, Ibid., 2004; Orlando V.,​​ Religione «popolo» e pastorale popolare,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1986; Id.,​​ R. p. nel Sud. Criteri e metodi di analisi, in «Itinerarium» 13 (2005) 211-233.

V. Orlando

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