PSICOLOGIA DELLA RELIGIONE

1.​​ Storia.​​ Dal 1960 in poi le pubblicazioni di Ps. nell’ambito della religione hanno avuto un rapido aumento. Fra quelle elencate nell’anno 1958 in​​ Psychological Abstract!​​ (USA, Gran Bretagna, Canada anglofono) si contavano 46 studi di Ps. sulla religione, cioè lo 0,796. Nel 1970 ve ne erano 327, cioè 1’1,5196. Nel 1979: 541, ossia il 2,0396. Uno sviluppo altrettanto rapido si è prodotto nella maggior parte dei paesi sulle due rive dell’Atlantico del nord (comprese la Svezia e la Germania) e lungo il bacino del Mediterraneo (nord e ovest, ivi compresa la Svizzera). Questi paesi sono culturalmente caratterizzati da esigenze scientifiche e da tradizioni giudeo-cristiane. Le altre religioni non hanno, o non hanno ancora questo incontro.

Anche se l’approccio della Ps. ai fenomeni religiosi risale all’inizio del secolo (1902: Th. Flournoy, W. James), esso dovette liberarsi da due limitazioni che ostacolarono i suoi inizi: la ricerca dell’eccezionale (conversioni, stati mistici: Starbiick, Pacheu, Maréchal, Leuba) e la predilezione per il metodo introspettivo (osservazione sistematica di stati provocati della coscienza: Girgensohn, Gruehn, Gemelli, Canesi). A parte le ricerche di alcuni pionieri (A. Welford, G. Allport, L. Thurstone, G. Castiglioni, G. Nosengo), si dovettero aspettare gli anni ’60 per vedere l’affermarsi della fecondità di due convinzioni: a) l’ipotesi della specificità di un “bisogno religioso” non illumina i risultati dell’osservazione; b) i metodi convalidati nel campo della Ps. umana (empirica, sociale, clinica) possono utilmente diventare operazionali nell’ambito religioso.

Parallelamente l’incontro della Ps., in quanto scienza umana, con la C. e la pastorale dovette vincere la diffidenza (la psicanalisi rischiò di essere condannata dalla Chiesa nel 1950), superare le delusioni dovute ad applicazioni ingannevoli (tests psicometrici, valutazione delle vocazioni) prima di giungere alla situazione attuale. Certi risultati di ricerche ben fatte precisano e illuminano il confine tra Ps. e teologia (cf → esperienza religiosa). Esse svelano anche le relazioni complesse, assai più conflittuali di quanto certi discorsi a tendenza idealizzante vorrebbero far credere, tra il simbolismo cristiano e i desideri umani durante il periodo della crescita psichica (cf → sviluppo religioso). La discussione di questi risultati diventa perciò sempre più importante per formare a una pastorale illuminata e per una C. desiderosa di comprendere le ragioni delle sue riuscite e dei suoi fallimenti.

2.​​ Ps. scientifica.​​ Come scienza dei comportamenti la Ps. osserva i comportamenti e cerca di comprenderne il significato. Il motivo di un comportamento (per es. arrossire) può essere indicato dal linguaggio del soggetto (“Mi sento indisposto”). Questo linguaggio però può nascondere volutamente un significato che si preferisce non manifestare (“Mi senso irritato dalla vostra domanda”), oppure un significato inconscio (il soggetto arrossisce solitamente in presenza di una persona in posizione dominante). Il chiarimento di questi significati, senza cedere all’interpretazione arbitraria, è il compito più difficile della Ps.

Una motivazione, sinceramente indicata come causa nel linguaggio (parlato o scritto), non esaurisce i significati e le molteplici determinazioni di un comportamento o di un testo. Anzi, il linguaggio esplicativo ed espressivo di un soggetto dipende fortemente dal discorso che domina nei gruppi di cui fa parte, nel suo ambiente sociale, nella sua cultura. Tutto il lavoro psicologico è​​ relazionale.​​ Esso deve essere accompagnato da una costante autocritica delle ipotesi formulate (mai totalmente neutre) e delle interpretazioni del ricercatore, sia per quanto riguarda la costruzione di un dispositivo di ricerca, sia per la recezione personale del linguaggio dei soggetti, dei documenti o dei gruppi esaminati.

3.​​ Ps. della religione.​​ Che cos’è un comportamento religioso? Con ogni rigore uno psicologo dovrebbe rispondere: qualsiasi comportamento riconosciuto come “religioso” dal soggetto o dal gruppo di cui si occupa. sia che essi lo accolgano in quanto credenti (o almeno come desiderabile), sia che lo rigettino come non credenti. In pratica numerose ricerche sono state confezionate sulla base di parametri molto diversi, senza adeguata critica (A. Godin,​​ Le problème des​​ paramètres,​​ in “Archiv fùr​​ Religionspsychologie” 8 [1964] 52-63), però con risultati spesso interessanti o imprevisti, sia che questi lavori partano da una certa idea (filosofica) di ciò che è “la” religione (per es. come relazione a “Dio”: ma quale Dio?), sia da concetti provenienti dal discorso recepito in una determinata religione (concetti teologici) che oppongono tra loro per es. “magia e sacramento”, evocazione “paterna” o “materna” della divinità, “altruismo” o “carità” nei comportamenti esistenziali. Scegliendo di essere caratterizzati come psicologi “della religione” o meglio “delle religioni” (J. P. Deconchy,​​ Psychologie des faits religieux.​​ Introduction aux Sciences​​ humaines​​ des religions, Paris, Cujas, 1970,​​ 145174),​​ alcuni ricercatori hanno voluto distanziarsi dal linguaggio religioso istituzionale, accettando però, senza pronunciarsi sul suo carattere di oggettività, il termine di “riferimento” (per es. Dio) a cui l’intenzionalità del linguaggio dei soggetti esaminati si riferisce. In questo caso l’oggetto delle ricerche diventa “lo studio di ciò che è psichico nella religione”, oppure “l’uomo che, attraverso processi psichici, diventa religioso o meno rispondendo a sollecitazioni che provengono dai simboli religiosi” (A. Vergote,​​ Religion, incroyance, foi,​​ Bruxelles, Mardaga, 1983, 15 e 29).

In altre parole, questi psicologi studiano i comportamenti religiosi sollevando la questione sul come la religione parla al desiderio e a quali desideri essa parla. Cercando di comprendere la genesi, il funzionamento e le interazioni dei comportamenti religiosi, la Ps. della religione rinuncia a una spiegazione riduttiva della genesi della religione (causalmente prodotta dall’uomo). Identificandola come entità culturale, di cui i desideri umani assimilano frammenti per un loro profitto, la Ps. della religione non afferma che ogni religione è funzionale. Misurando in che modo le coesioni sociali assicurano o rinforzano il suo sistema di autorità, in quanto ideologia, la Ps. della religione non fa da arbitro nel conflitto con i meccanismi della contestazione profetica che conducono periodicamente alla sua esplosione o assicurano il suo rinnovamento. D’altra parte, voler spiegare modificazioni psichiche con il ricorso a precisi interventi causali di Dio sarebbe un procedimento non scientifico. Inoltre questo genere di spiegazione causale, esattamente come il ricorso al “bisogno religioso”, non serve alla comprensione psicologica.

4.​​ Diversità delle ricerche.​​ Per ordinare il campo relativo agli studi dei fenomeni religiosi secondo il loro aspetto relazionale, due sociologi (C. Y. Glock e R. Stark,​​ Religion and Society in Tension,​​ Chicago, Rand​​ McNally,​​ 1965) hanno proposto di considerarli secondo cinque dimensioni: ideologica, rituale, intellettuale, esperienziale, consequenziale (effetti su altri ambiti della vita). Ulteriori analisi fattoriali hanno confermato l’interesse di questa classificazione. Questionari costruiti secondo queste analisi hanno rivelato una forte correlazione tra la dimensione rituale e quella intellettuale (contenuto delle credenze), cosa che non deve sorprendere, ed una correlazione più debole tra la dimensione esperienziale e quella consequenziale, che può illuminare la polarizzazione tra due tipi di credenti-praticanti: coloro che ricercano l’esperienza religiosa (Erlebnis) nella linea mistica di una devozione interiorizzata, e coloro che privilegiano le forme etiche dell’impegno religioso. Non è forse la medesima polarizzazione che si ritrova globalmente nei due modelli attuali di “rinnovamento” del cristianesimo. Di queste due famiglie spirituali, gruppi carismatici e comunità di base, rimane problematica l’unione, dato il loro antagonismo psicologico (A. Godin,​​ Psicologia delle esperienze religiose,​​ Brescia, Queriniana, 1983, cap. IV e V).

Alcuni psicologi (per es. A. Vergote,​​ op. cit.)​​ accentuano le distinzioni tra motivazioni (le situazioni umane che conducono alla religione), esperienze (di ciò che viene incontro all’uomo come segni del divino), fede (assenso al patto relazionale) e comportamenti espressivi (preghiera, rito, etica derivata dalla prassi del Cristo). Altri invece (come C.​​ D.​​ Batson – W. L. Ventis,​​ The Religious Experience,​​ New York, Oxford U. Press, 1982) studiano l’esperienza in una prospettiva psico-sociale e, su base empirica, vi vedono apparire tre orientamenti: nella linea di una religiosità estrinseca i soggetti si servono della religione per soddisfare i loro desideri (religione chiamata talvolta “funzionale”); nella linea di una religiosità interiorizzata, i soggetti trasformano i loro desideri con l’aiuto della fede incontrando l’insieme oggettivato della religione istituzionalizzata; nella linea di una religiosità dell’interazione i soggetti vivono l’esperienza di una ricerca, in tensione permanente, tra le questioni che essi si pongono riguardo a se stessi o al mondo e i significati potenziali che vengono aperti dalla loro religione. Questa via “interazionale”, combinando insieme la ricerca, la positività del dubbio e la fede, assicura una sintesi che è allo stesso tempo vincolante, a causa del vincolo di appartenenza, e liberante. I soggetti impegnati in questa terza via integrano positivamente la prova della “dissonanza cognitiva” nelle credenze, che è stata ottimamente osservata e concettualizzata da L. Festinger (When Prophecy Fails,​​ Minneapolis, Univ. of Minnesota Press; Id.,​​ A Theory of Cognitive Dissonance,​​ Stanford University Press, 1957).

5.​​ Psicologia-teologia.​​ Autorevoli ricerche recenti invitano il pensiero teologico a tener conto dei loro risultati per mettere in questione o per rivedere la sua concettualizzazione tradizionale. Studiando il funzionamento dell’ortodossia sulla base di sperimentazioni in gruppi sociali naturali, J. P. Deconchy (Orthodoxie religieuse,​​ Paris, Ed. Ouvrières, 1971; Id.,​​ Orthodoxie religieuse et Sciences humaines,​​ La Haye, Mouton, 1980) attribuisce a questo termine un significato molto preciso (controllo del sistema simbolico di una ideologia), e fa vedere fino a che punto la regolazione sociale (effetto dell’appartenenza alle Chiese) operi per proteggere le informazioni acquisite assai più che per arricchire i loro significati.

Studiando in diversi ambiti culturali gli influssi incrociati della figura materna e di quella paterna, A. Vergole, in collaborazione con una dozzina di ricercatori (A. Vergole – A. Tamayo,​​ Paventai Figures and the Representation of God,​​ La Haye, Mouton, 1981), mette seriamente in dubbio la loro funzione simbolica e mediatrice per la rappresentazione di Dio. Se il cristianesimo intende continuare ad annunciarsi nello Spirito, secondo il Figlio e “nel nome del Padre”, la teologia può ignorare che questo vocabolo essenziale per l’annuncio del messaggio trinitario è recepito diversamente nella Ps.? Rappresentazione idealizzata di figure parentali “secondo la carne”, oppure evocazione, sulla base del Vangelo, di un Padre che si rivela molto diverso da ciò che si aspetterebbe il desiderio religioso?

Affinché la pastorale e la C. possano approfittare di queste due ricerche che abbiamo preso come esempi, è richiesta una riflessione teologica appropriata. Lo stesso vale per altri settori produttivi nell’ambito della Ps.: conversioni, manifestazioni della cosiddetta religiosità “popolare”, vocazioni. Le fonti bibliografiche permetteranno di esplorarle.

Bibliografia

1.​​ Generale

M.​​ Argyle –​​ B. Beit-Hallamay,​​ Social​​ Psychology of Religion,​​ London,​​ Routledge-Kegan,​​ 1975;​​ L. B.​​ Brown,​​ Psychology​​ and Religion,​​ Harmondsworth (Inghil.),​​ Penguin Books,​​ 1973; F. D’Arcais (ed.),​​ Religione e cultura,​​ Roma,​​ Edindustria, 1980; H. N. Malony,​​ Current​​ Perspectives​​ in the Psychology of​​ Religion,​​ Grand​​ Rapids (Mich.), Eerdmans, 1977;​​ G.​​ Milanesi – M. Aletti,​​ Psicologia della religione,​​ Leumann-Torino, LDC, 1973;​​ R. F. Paloutzian,​​ Invitation​​ to the Psychology of Religion,​​ Glenview (Ill.), Scott-Foresman, 1983; W. Poll,​​ Religionspsychologie,​​ München,​​ Kõsel,​​ 1965;​​ P.​​ W. Pruyser,​​ A Dynamic Psycology of Religion,​​ New York, Harper and Row, 1968; O. Strunk (Jr. ed.),​​ Psychology of Religion: Historical and Interpretative Readings,​​ New York, Abingdon, 1971;​​ H. Sundén,​​ Die Religion und die Rollen,​​ Berlin, Topelmann, 1973; A.​​ Vergote,​​ Psicologia religiosa,​​ Roma,​​ Borla,​​ 1979.

2.​​ Psicologia e teologia

M. Michel (ed.),​​ La​​ théologie à l'épreuve​​ de la​​ vérité​​ (Deconchy, Geflré,​​ Subion, Vergote,​​ Wackenheim et al.), Paris,​​ Cerf,​​ 1984;​​ J. M.​​ Pohier,​​ Psychologie​​ et​​ théologie,​​ Paris,​​ Cerf,​​ 1967; H. Vande​​ Kemp,​​ Psychology and Theology​​ in Western​​ Thought​​ 1672-1975.​​ A​​ Historical and​​ Annoted​​ Bibliography, Milwood​​ (N.Y.), Kraus, 1984.

3.​​ Conversione

A. Billette,​​ Récits​​ et​​ réalités d’une​​ conversion,​​ Montreal,​​ Presses​​ de​​ l’Univ.,​​ 1975; M. Delespesse,​​ La conversione cristiana: cambiamenti di rapporti,​​ Milano, Jaca​​ Book,​​ 1971;​​ J.​​ C. Saghe,​​ Conflit, changement, conversion,​​ Paris,​​ Cerf,​​ 1974.

4.​​ Ateismo

G.​​ Girardi (ed.),​​ L’ateismo contemporaneo,​​ vol.​​ I​​ (Godin,​​ Milanesi, Robert, Hourdin,​​ Vergote),​​ Torino, SEI, 1967;​​ M. Héraud,​​ Croyances d’incroyants,​​ Paris, Centurion, 1977.

5.​​ Psicologia​​ pastorale

P.​​ Zavalloni,​​ Psicologia​​ pastorale,​​ Torino, Marietti,​​ 1965.

6.​​ Religione popolare

F.​​ Ferrarotti – M. Macioti et al.,​​ Studi sulla produzione sociale del sacro,​​ vol.​​ I, Napoli,​​ Liguori,​​ 1978;​​ Religion​​ populaire​​ et​​ réforme liturgique,​​ in​​ «La Maison-Dieu» 31 (1975) n. 122;​​ Religione​​ e​​ religiosità popolare,​​ in “Ricerche di storia sociale e religiosa» 6 (1977) n. 11.

7.​​ Vocazione

A.​​ Godin,​​ Psychologie​​ de la​​ vocation​​ (Un​​ bilan:​​ 1965-1975), Paris,​​ Centurion,​​ 1975; L. M. Rulla –​​ F.​​ Imoda – J. Ridick,​​ Psicologia e vocazione,​​ Torino, Marietti, 1977.

André​​ Godin

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PSICOLOGIA DELLA RELIGIONE

Settore della p. che prende in considerazione comportamenti e atteggiamenti che la persona o il gruppo qualificano come religiosi, perché collegati con la fede in un Essere soprannaturale oppure con una visione della​​ ​​ vita che non esclude la dimensione del sacro, e cerca di comprenderne i fattori motivazionali.

1. Punto di partenza della p.d.r. è l’individuazione di criteri che consentano una corretta lettura dell’atteggiamento religioso. Essi sono: il significato intenzionale che la persona attribuisce a ciò che fa; l’orizzonte di totalità e di integrità esistenziali in cui essa colloca ciò che fa; il rapporto tra il vissuto religioso e gli stadi del processo evolutivo in prospettiva sia cronologica che logica; le coordinate culturali del contesto storico in cui la persona vive.

2. Per una lettura realistica e globale dell’atteggiamento religioso, all’interno della complessità esistenziale, occorre tenere presenti cinque dimensioni. La prima è quella​​ emotiva​​ che comprende sensazioni, percezioni, uno stato di benessere legato a una ricompensa promessa, un senso di disagio in conseguenza di una punizione prospettata. La seconda dimensione è quella​​ ritualistica​​ che concerne le pratiche religiose riguardanti il culto, l’adorazione della divinità, la preghiera o la partecipazione ai sacramenti. La terza è quella​​ sociale​​ che riguarda il ruolo dell’ambiente in cui la persona vive e matura le sue scelte (famiglia, scuola, istituzioni religiose, associazioni, gruppo di amici). La quarta è quella​​ cognitiva​​ che si riferisce sia alle informazioni circa le credenze basilari della propria fede e dei propri riti, sia alla loro accoglienza e rielaborazione personale in conseguenza dei ritmi di sviluppo e di maturazione. La quinta dimensione è quella​​ motivazionale​​ che prospetta un ampio spettro di possibilità: ricerca di risposte rassicuranti dinanzi alle frustrazioni quotidiane; tentativo di difesa di un sistema di comportamenti e di scelte morali; pura curiosità intellettuale mai sufficientemente appagabile né appagata; rifugio dinanzi all’angoscia che scaturisce dal vivere situazioni di emarginazione, d’isolamento, di rifiuto familiare, di depressione; ricerca umile e costante del senso di tutto ciò che si fa attraverso un atteggiamento di apertura e di accoglienza, prendendo le distanze da una pura ricerca di soddisfazioni e di gratificazioni e assumendo con coraggio la responsabilità di un compito mai portato a termine in maniera perfetta o completa.

3. Un nucleo tematico che negli ultimi anni sta risultando di particolare interesse tra gli psicologi della religione è quello del «potenziale terapeutico» dell’atteggiamento religioso, ossia degli effetti positivi, a livello sia di salute psichica che di guarigione fisica, derivanti dall’incontro coinvolgente con una comunità in cui è visibile la carità nelle relazioni interpersonali, oppure da celebrazioni cariche di emotività al cui centro sono posti gesti impetratori, oppure ancora da interventi di presunti capi carismatici che, facendo leva sulla facile credulità e suggestionabilità, portano le masse ad aderire in forma passiva e acritica a comportamenti pseudoreligiosi dalle forme stravaganti. È appena da rilevare la valenza pedagogica di tali ricerche sia per ciò che riguarda l’​​ ​​ educazione religiosa in particolare, sia per ciò che riguarda l’identità e la ricerca del senso della vita, sia in rapporto all’opera di prevenzione e di ricupero, che spesso hanno nella loro eziologia disturbi, effettivi o possibili, dovuti a distorte forme di socializzazione religiosa e di​​ ​​ catechesi.

Bibliografia

Grom B.,​​ Religionspsychologie,​​ München-Göttingen, Kösel Verlag-Vandenhoeck & Ruprecht, 1992; Dunde S.R. (Ed.),​​ Wörterbuch der Religionspsychologie,​​ Gütersloh, Gütersloher Verlagshaus Gerd Mohn,​​ 1993; Fizzotti E. - M. Salustri,​​ P.d.r. con antologia dei testi fondamentali, Roma, Città Nuova, 2001; Hood R.W. et al.,​​ P.d.r. Prospettive psicosociali ed empiriche, Torino, Centro Scientifico Editore, 2001; Frankl V.E.,​​ Dio nell’inconscio. Psicoterapia e religione,​​ Brescia, Morcelliana,​​ 52002; Fizzotti E.,​​ Psicologia dell’atteggiamento religioso. Percorsi e prospettive,​​ Trento, Erickson, 2006; Frankl V. E. - P. Lapide,​​ Ricerca di Dio e domanda di senso. Dialogo tra un teologo e uno psicologo, Torino, Claudiana, 2006.

E. Fizzotti

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