PREDICAZIONE APOSTOLICA
1. Con il termine predicazione (= P.) apostolica si indica generalmente la prima predicazione cristiana (= PC), che vien detta anche kerygma o C. apostolica. Collocandone gli inizi nella Pentecoste dell’anno 30 (?) d.C. con il kerygma di Pietro (At 2,14-36), si intende dare a questo evento un significato più che altro simbolico: si vuole affermare cioè che la prima presentazione del cristianesimo al mondo antico avvenne sotto forma di P. o annuncio. Parlando poi di prima PC, vogliamo significare che l’annuncio missionario delle origini e tutte le altre forme primitive di P. dell’evento e del messaggio cristiano superano ampiamente la cerchia dei Dodici.
La PC primitiva nelle sue varie forme si potrebbe considerare già idealmente conclusa con la caduta di Gerusalemme (70 d.C.) e la diaspora di Israele, nel senso che questo evento costituisce in qualche modo il momento di stacco definitivo del cristianesimo dal giudaismo e dalle pressioni che quest’ultimo esercitava sulle sue istituzioni originali. Inoltre è da questo momento che le comunità giudaico-cristiane di Palestina (la cosiddetta “Chiesa della circoncisione”) iniziano un progressivo e rapido processo di involuzione, mentre quelle ellenistico-cristiane, sparse ormai per tutto l’Impero, crescono e si sviluppano in modo sempre più consistente, inaugurando tra l’altro nuovi tipi di PC. Tuttavia la maggior parte degli autori colloca il terminus ante quem della prima PC alla fine del I secolo.
2. Sono stati fatti molti tentativi per ricostruire le forme principali e le linee fondamentali di questa prima PC. Oggi gli studiosi si mostrano piuttosto cauti di fronte alle differenti ipotesi formulate in passato, a causa dei molteplici problemi rimasti insoluti e riguardanti principalmente le fonti, sia quelle neotestamentarie (soprattutto gli Atti degli apostoli) sia gli scritti apocrifi vetero e neotestamentari coevi o di poco posteriori, e altri scritti quali la → Didaché, l’Epistola dello Pseudo-Barnaba, ecc. Una cosa tuttavia è generalmente ammessa senza contestazioni, ed è che la P. primitiva comprendeva sempre due momenti, distinti ma nello stesso tempo collegati tra loro: il momento dell’annuncio o della P. missionaria e il momento ulteriore delle istruzioni-esortazioni a coloro che, avendo dato ascolto alla Parola dell’annuncio, si erano convertiti ed avevano ricevuto il battesimo.
Il primo momento è quello dell’annuncio della risurrezione di Cristo, della sua approvazione da parte di Dio, della salvezza del popolo ebraico e di tutti gli uomini per mezzo di Gesù e del conseguente invito alla conversione (At 2,38-40). È una testimonianza fatta pubblicamente e solennemente (At 2,14-41; 3,12-26; 4,9-12; 5,29-32) al popolo o al Sinedrio, ma anche privatamente di casa in casa (At 5,42), del grande evento cristiano. Questo primo annuncio è rivolto anzitutto ai giudei, ma poi gradualmente anche ai pagani. È soprattutto con l’inizio delle sistematiche missioni in Asia Minore e in Grecia per opera dell’apostolo Paolo che la predicazione del Vangelo si rivolge in modo massiccio ai pagani. Qui il tema del monoteismo e della conoscenza dell’unico Dio — tema comune alla propaganda giudaica — entra a far parte di questo primo momento della predicazione cristiana assieme all’annuncio del Cristo e della sua risurrezione (At 14,1517; 17,16-34).
La P. apostolica conosce però anche un secondo momento, nel quale colui che ha creduto e si è convertito riceve un supplemento di istruzioni ed esortazioni in funzione della nuova vita che dovrà condurre come cristiano. Quest’ulteriore P. assume nomi diversi, anche perché utilizza forme letterarie diverse: insegnamento, discorso esortativo, racconto (dei fatti e dei detti di Gesù o della “storia sacra” dell’AT), ecc. Mediante gli Atti degli apostoli, con le cautele dovute, è forse possibile ricostruire qualche schema di kerygma arcaico; non sembra invece possibile farlo, col solo ausilio degli Atti, per quanto riguarda la P. ulteriore ai neoconvertiti; bisogna ricorrere ad altre fonti (Vangeli, Lettere, ecc.) come hanno tentato di fare diversi studiosi, a partire da A. Seeberg (1903) fino a C. H. Dodd (19724). Senza voler analizzare i singoli tentativi, diremo soltanto che, allo stato attuale degli studi, i contenuti della PC in questo suo secondo momento dovevano riguardare prevalentemente la prassi, non però esclusivamente; erano cioè in gran parte insegnamenti morali, strettamente connessi però con contenuti dottrinali, il cui tema fondamentale era la storia della salvezza, quale si poteva ricavare dall’AT, letto alla luce dell’evento-Cristo e del suo insegnamento.
Gli insegnamenti etici, raccolti originariamente attorno allo schema delle due vie, ereditato dal giudaismo palestinese (Didaché, 1-6; Epistola dello Pseudo-Barnaba, 18-20), sono stati integrati in seguito con dottrine morali, mutuate dal giudaismo ellenizzato. Caratteristici sono gli elenchi dei vizi e delle virtù nelle epistole pastorali; oppure le cosiddette “tavole domestiche” di Ef 5,22-6,9; Col 3,18-4,6, ecc. Il tutto, però, era sicuramente arricchito e permeato dai “logia” di Gesù conservati nelle comunità primitive, nei quali si esprimevano gli ideali etici del Vangelo. Gli insegnamenti dottrinali invece gravitavano probabilmente attorno alle primitive formule di fede (i → simboli cristologico-trinitari), strutturate però secondo lo schema della storia della salvezza.
Buona parte dei Vangeli e delle Lettere degli apostoli possono considerarsi una fonte valida per la ricostruzione di questi contenuti dottrinali del secondo momento della PC primitiva. Tuttavia non sembra possibile ricostruire quello che potrebbe chiamarsi il catechismo-tipo della Chiesa primitiva, quasi fosse esistito un unico schema fisso di istruzione-esortazione ai neoconvertiti. È assai più probabile invece l’esistenza di più schemi dell’unica “Tradizione”, reperibili negli scritti neotestamentari, ma anche probabilmente in scritti posteriori, come ad es. nella Dimostrazione della predicazione apostolica di sant’ → Ireneo.
3. Il costituirsi, in questi primi anni di vita della Chiesa, di nuove comunità cristiane al di fuori di quella di Gerusalemme deve certamente aver influito sull’evolversi della PC nel suo duplice momento di annuncio missionario e di istruzione ulteriore ai neoconvertiti. Così quando Paolo si converte (38 d.C.) e arriva a Damasco, trova in questa città una comunità cristiana (At 9), la quale probabilmente ha rapporti con un ambiente sadochita esseno (At 22,12-16); la comunità stessa potrebbe essere costituita in parte di sadochiti convertiti e sviluppare un insegnamento cristiano che utilizza anche temi religiosi e morali del giudaismo qumranico (At 22,12-16).
Ad Antiochia invece, dove per la prima volta i discepoli di Gesù furono detti cristiani (At 11,26), sembra siano coesistite due comunità: una fatta di giudeo-cristiani, l’altra di pagano-cristiani. Dal racconto di Gal 2,11-14 risulta chiaro che le due comunità erano separate e mantenevano osservanze rituali differenti, con tutti i problemi pastorali che tale situazione creava. Tutto fa supporre che la P. alle due comunità seguisse schemi differenti.
La crisi e le divisioni della Chiesa di Corinto (1 Cor l,12s) inducono a pensare che all’epoca in cui Paolo scrive la lettera (57 d.C.) esistano tipi diversi di P. del Vangelo. Quelli che si richiamano a Pietro forse rispecchiano una forma ortodossa di cristianesimo giudaico, che tenta di unire la fedeltà alla Legge con la fedeltà al Vangelo (Gal 1,11-14); mentre coloro che aderiscono a Paolo pensano, in base al suo insegnamento, che ormai per chi ha la fede in Cristo non sia più necessario osservare la Legge mosaica. Apollo invece, giudeo colto di Alessandria divenuto cristiano, probabilmente ha formulato il messaggio evangelico ricorrendo alla speculazione giudaico-ellenistica alessandrina (1 Cor 2,6-11). Le lettere di Paolo (1 Cor 12-14; Ef 2,20; 3,5) testimoniano nella Chiesa primitiva anche la presenza di altre forme di P. Si tratta di istruzioni ed esortazioni fatte da carismatici: glossolali, interpreti, profeti, dottori, ecc., che dovevano avere un peso notevole nella vita della comunità.
Infine, oltre alla forma orale, propria delle varie forme di P., l’annuncio cristiano si diffondeva e si consolidava tra i credenti anche mediante gli scritti (cf Prologo al Vangelo di Luca). Gli scritti neotestamentari pertanto si possono considerare come l’eco cristallizzata della primitiva PC. Visti sotto questa luce ci fanno intravedere un aspetto caratteristico dei contenuti di questa P. primitiva, l’uso cioè dell’AT, letto e compreso in chiave cristiana come conferma della fede in Gesù. Già in questi scritti, come pure in un altro di poco posteriore, l’Epistola dello Pseudo-Barnaba (capp. 1-18), appaiono infatti degli elenchi o raccolte di citazioni bibliche veterotestamentarie (i cosiddetti “Testimonia”) in funzione di commento o di conferma di determinati temi cristiani.
4. Con la caduta di Gerusalemme il cristianesimo si stacca sociologicamente dalla matrice giudaica. La Chiesa tuttavia era troppo inserita nel contesto giudaico perché questo distacco potesse avvenire repentinamente; inoltre le comunità cristiane non erano ancora in grado di trovare un nuovo equilibrio nell’ambito della cultura ellenistica. Si ha quindi un periodo di transizione (che va dal 70 d.C. alla prima metà del II sec.) nel quale coesistono istituzioni e forme di pensiero di tipo giudaico-cristiano con i primi tentativi di assunzione della cultura ellenistica quale strumento espressivo e comunicativo dei contenuti della fede cristiana. È questo anche il periodo durante il quale si originano i primi gruppi eterodossi (gnostici, ebioniti, ecc.) nelle comunità cristiane, e il potere romano entra in conflitto con il cristianesimo, oggetto del resto di grandi incomprensioni e di accuse infamanti da parte della società pagana, popolo e classe colta. Forse è proprio in questo periodo che compare una forma nuova di kerygma ai pagani: è un kerygma scritto, che troverà nelle “Apologie” del II sec. la sua espressione più dotta ed evoluta. Così pure sembra si sia sviluppata molto presto, sia nell’ambiente giudaico-cristiano che in quello ellenista-cristiano, tutta una letteratura di tipo edificante, fatta di racconti romanzati (si pensi a tutta la letteratura apocrifa sia vetero che neotestamentaria di questo periodo) oppure di raccolte di massime morali (analoghe a quella posteriore che va sotto il titolo di Sentenze di Sesto), di cui si nutrirà abbondantemente il popolo cristiano. L’importanza di questa letteratura per la formazione di una certa mentalità e religiosità popolare è notevolissima, per cui essa può considerarsi un complemento, anche se non sempre ortodosso, della P. ufficiale.
5. Una cosa sicuramente attestata fin dalle origini è la riunione liturgica domenicale, nella quale è presente sempre l’omelia, cioè un commento a sfondo morale dei testi biblici, letti nell’assemblea. La II lett. di Clemente ne è la testimonianza più antica; però anche At 20,7-12 e 1 Cor 16,2 sono significativi a questo proposito, testimoniando l’antichità di questa istituzione liturgica.
Durante questo primo periodo di storia della PC non si può ancora parlare della presenza dell’istituzione catecumenale e di C. propriamente dette in preparazione al battesimo. Tuttavia lo studio del contesto giudaico, in cui fu istituito e compreso dai cristiani il battesimo, ha orientato parecchi studiosi a formulare l’ipotesi della presenza nella prassi delle comunità cristiane primitive di istruzioni preparatorie al battesimo, sull’esempio di quelle che accompagnavano il “battesimo dei proseliti” nel giudaismo. Forse qualche testo del NT (per es. Ef 5,25s), letto in questa prospettiva, assume un significato più ampio di quello che solitamente gli si attribuisce.
Bibliografia
C. H. Dodd, La predicazione apostolica e il suo sviluppo, Brescia, Paideia, 1973 (Ia ed. inglese 1936; ultima 1972); J. J. H. McDonald, Kerygma and Didache. The articulation and structure of the earliest Christian Message, Cambridge, “Monograph Series. Society for New Testament Studies”, n. 37, 1979; B. Maggioni, La vita delle prime comunità cristiane, Roma, Boria, 1983; J. Schmitt, Prédication Apostolique, in Dici, de la Bible. Suppl., 8, 1972, coll. 246-273 (ampia bibl.); A. Seeberg, Der Katechismus der Urchristenkeit, Leipzig, 1903 (ristampa anast., München, Kaiser, 1966); A. Turck, Evangélisation et Catéchèse aux deux premiers siècles, Paris, Cerf, 1962.
Giuseppe Groppo