YOGA

 

YOGA

Y. è uno dei sei principali sistemi filosofici ortodossi sorti nel periodo delle Upanishad, l’ultima tappa dei Veda (800-300 a.C.) dell’​​ ​​ induismo. Tutte le scuole ortodosse affermano che l’uomo è essenzialmente un essere spirituale e la sua anima è eterna; credono nella teoria di karma; insegnano che l’ignoranza (avidyā) della Realtà (il sé, il​​ Brahman) è la causa fondamentale della schiavitù dell’anima e la necessità della reincarnazione (karma-samsāra) e la via dalla schiavitù, dall’ignoranza che è la causa di tutti i problemi dell’uomo, consiste nella conoscenza liberatrice, una profonda «realizzazione» interna esperienziale della verità suprema; e quindi propongono la filosofia come la scienza della salvezza, della liberazione dell’anima dalle catene dell’reincarnazione.

1. Il termine y. deriva dalla radice sanscrita​​ yug​​ che significa «unire» o «congiungere». Lo y. propone una mèta trascendentale e spirituale alla vita umana e consiste nell’unione dell’anima (atman​​ o​​ purusha) con lo Spirito Supremo (Brahman). L’autore del y. classico-filosofico (rāja-y.​​ = y. regale), Patanjali (II sec. a.C.) offre metodi pratici e sistematici per realizzare questa unione:​​ yama​​ (discipline etiche negative:​​ ahimsa​​ o nonviolenza,​​ satya​​ o veracità,​​ asteya​​ o non-furto,​​ brahmacarya​​ o celibato,​​ aparigraha​​ o non-avarizia),​​ niyama​​ (discipline etiche positive:​​ śauca​​ o pulizia,​​ santosha​​ o contentezza,​​ tapas​​ o penitenza,​​ svādhyāya​​ o studio delle sacre scritture),​​ āsana​​ (disciplina fisica: posizione del corpo),​​ prānāyāma​​ (controllo del respiro),​​ pratyāhāra​​ (controllo dei sensi),​​ dhārana​​ (concentrazione),​​ dhyāna​​ (meditazione) e poi arrivare al​​ samādhi​​ (assorbimento mentale = unione dell’atman​​ con​​ Brahman; in questo stato si realizza l’autorealizzazione o illuminazione). Y. significa anche mezzi o vie (mārga) per «realizzare» l’unione dell’anima con lo Spirito Supremo. Il Bhagavad-gītā, considerato il Nuovo Testamento dell’induismo (V-II sec. a.C.), propone quattro vie:​​ karma-y.​​ (via dell’azione morale eseguita con uno spirito di perfetto distacco –​​ nishkama-karma),​​ raja-y.​​ (via della meditazione con lo scopo di raggiungere Dio),​​ jnāna-y.​​ (via della conoscenza come mezzo della salvezza che consiste nell’intima e costante intuizione dello Spirito Supremo in tutti gli esseri) e​​ bhakti-y.​​ (via della devozione amorosa verso Dio). L’hatha-y., che fa parte dell’āsana​​ del y. classico, offre un sistema di determinati esercizi fisici, varie posizioni del corpo, controllo del respiro, ecc. che giovano al ben essere e perfezionamento del corpo.​​ ​​ Aurobindo propone il​​ purna-y.​​ o y. integrale come mezzo per arrivare alla​​ supermente​​ con una​​ supercoscienza.

2. Lo y. fu il primo sistema al mondo a riconoscere lo stretto rapporto ed interazione tra mente e corpo. I mezzi psicosomatici che propone nei suoi vari processi psico-fisiologici, per trattare il complesso corpo-mente, armonizzano ed integrano la personalità umana a tutti i livelli e stadi della vita. Scopo di tutte le tecniche​​ yogiche​​ è di fornire un sistema di vita e di insegnare a vivere in modo migliore ed integrato. In effetti, lo y. è innanzitutto un’educazione non solo della mente cosciente, ma anche dell’inconscio. Il suo approccio​​ olistico​​ può offrire un’educazione globale dell’uomo nella sua interezza: fisica, mentale, morale, intellettuale, emozionale e spirituale. Adottando la pratica del y., i sistemi educativi moderni possono essere assai rafforzati: possono diventare capaci di formare una giusta attitudine e prospettiva, e quindi innalzare gli standard sociali e politici. Lo y. rappresenta gli sforzi, il cammino, il progresso e la fine dell’evoluzione umana.

Bibliografia

Haridas Chaudhuri,​​ Integral y. The concept of harmonious and creative living, London, Allen & Unwin Ltd., 1975; Bangali Baba,​​ Y. sutra of Patanjali with the commentary of Vyasa, New Delhi, Motilal Banarsidass, 1982; Sri Ananda,​​ The complete book of y. Harmony of body and mind, New Delhi, Vision Books, 1982; Moti Lal Pandit,​​ A historico-analytical study of y. as a method of liberation, New Delhi, Intercultural Publications, 1991.

G. Kuruvachira - S. Thuruthiyil

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YOGA

ZEN

 

ZEN

Nato in Cina come scuola filosofico-religiosa del​​ ​​ Buddhismo mahâyânico, lo Z. conta oggi quasi 9 milioni di aderenti, la cui maggioranza si trova in Giappone. Il termine (dal cinese​​ ch’an, trascrizione del termine sanscrito​​ dyâna) significa «immersione nella meditazione».

1. Il leggendario fondatore dello Z. fu Bodhidharma, originario dell’India del sesto secolo. La leggenda tuttavia attribuisce la fondazione allo stesso Buddha Sakyamuni, iniziatore del Buddhismo, che avrebbe indicato al suo discepolo Mahâkasyapa lo Z. come via che porta all’illuminazione. Infatti il nome scientifico dello Z. è Buddhahridaya («Dottrina del-Cuore-di-Buddha»).

2. L’insegnamento centrale dello Z. è lo stesso del Buddhismo mahâyânico: la possibilità di arrivare all’illuminazione personale, al risveglio improvviso,​​ satori​​ (wu​​ in cinese) o a diventare​​ buddha​​ attraverso una «contemplazione» di tipo​​ taoista​​ (tao​​ letteralmente significa «via» o «metodo» che consiste nell’«agire senza sforzo»), dove l’enfasi è posta sulla spontaneità dell’illuminazione che crea un rapporto armonioso tra l’individuo e la natura, uno stato in cui non esiste più la distinzione tra soggetto e oggetto o tra essere e agire.

3. L’educazione consiste principalmente nella formazione allo spirito dello Z. o di​​ Boddhisattva, cioè amore e compassione verso tutti gli esseri, che è il risultato dell’illuminazione Z. La scuola​​ Soto​​ sottolinea la possibilità dell’illuminazione attraverso una meditazione di tipo​​ yoghico​​ (za-zen) senza fare uno sforzo consapevole. La pratica dello​​ za-zen​​ è centrale e indispensabile allo Z.​​ Za-zen​​ significa concentrazione, silenzio dinamico e contemplazione; è il mezzo per la realizzazione della natura originale di colui che medita ed allo stesso tempo è la sua vera realizzazione. Il​​ Rinzai, invece, adopera anche la tecnica di​​ koan​​ (problemi o compiti tipo puzzle, indovinelli, aforismi, azioni bizzarre, ecc.), dove, appunto, lo studente focalizza la sua meditazione sul​​ koan, che il maestro (roshi) gli propone per consentirgli di arrivare da solo a soluzioni intuitive, eliminando qualsiasi altra soluzione concettuale o logica. Il​​ Rinzai​​ utilizza anche vari tipi di arte (la scherma, il tiro con l’arco, la cerimonia del tè, ecc.), come mezzi per il training dello spirito e per arrivare all’illuminazione. In ogni monastero-tempio della scuola Z. c’è una sala della meditazione, che è il vero centro dell’educazione e della formazione. Durante il periodo dell’iniziazione allo Z. la meditazione dura 5 o 7 giorni, nei quali l’iniziato (un monaco o laico) comincia la giornata verso le 3 del mattino e la conclude alla sera verso le 21. Tutto il giorno è dedicato alla disciplina della meditazione anche durante i lavori di casa o di giardino o qualsiasi altra cosa; si vive in semplicità e si possiede il minimo necessario per nutrirsi e vestirsi. In questo periodo iniziale la presenza del maestro e uno stretto rapporto tra maestro e discepolo sono indispensabili. Il maestro introduce, guida e propone il​​ koan​​ per la meditazione. Una volta iniziata la meditazione, il discepolo «impara facendo», che è il motto dello Z.; egli cerca di vivere in uno stato di meditazione, in armonia con tutto il cosmo, valorizzando ogni momento e ogni attività svolta nella vita. Ogni tanto poi ci sono dei periodi di intenso addestramento (sesshin) nella disciplina della concentrazione e meditazione con l’aiuto del maestro per raggiungere lo spirito Z. L’educazione allo Z. naturalmente varia da persona a persona: può durare anche per anni e persino una vita intera.

4. I monasteri Z. diventarono subito centri culturali, di educazione, di formazione intellettuale e spirituale, di intensa vita artistica, e influenzarono il sistema educativo giapponese. Nel Medioevo lo Z. ebbe prestigio e grande successo soprattutto tra i militari, guerrieri e samurai, che erano attirati dalla sua pedagogia adatta alla disciplina, all’autocontrollo, all’azione e al sacrificio. Non solo, i loro mestieri stessi erano considerati mezzi per raggiungere lo stato di Z. Oggi, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la disciplina e la pratica dello​​ za-zen, come quella dello yoga, non è limitata solo ai seguaci dello Z. Buddhismo ma è diffusa pure tra credenti di altre religioni del mondo.

Bibliografia

Watts A. W.,​​ Lo Z., Milano, Bompiani, 1959; Dumoulin H.,​​ A history of Z. Buddhism, London, Faber, 1963; Suzuki D. T.,​​ Introduzione al Buddhismo Z., Roma, Astrolabio, 1970; Hoover T.,​​ Z. Culture, London, Routledge, 1978; Suzuki D. T.,​​ La formazione del monaco buddhista Z., Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1984; Abe M.,​​ Z. and western thought, London, Macmillan, 1985; Dumoulin H., «Z.», in M. Eliade (Ed.),​​ The encyclopedia of religions, vol. 15, New York, Macmillan, 1987, 561-568.

S. Thuruthiyil

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ZEN

ZIELFELDERPLAN

 

ZIELFELDERPLAN

Nelle​​ scuole pubbliche​​ della Rep. Fed. della Germania l’IR​​ è materia scolastica ordinaria, normalmente con due ore settimanali. Lo Stato assume l’organizzazione, mentre la Chiesa è responsabile del contenuto. È ovvio che questa mescolanza è fonte di numerosi conflitti, soprattutto quando si tratta di elaborare programmi per​​ l’IR​​ cattolico (e parallelamente per l’IR evangelico). A causa del federalismo culturale dei 10​​ Länder​​ della Germania, d’altronde molto diversi tra loro, i programmi centrali (per​​ es.​​ i programmi elaborati per incarico della Conf. Episc. Tedesca) non possono essere introdotti semplicemente (vale a dire senza che almeno formalmente vengano adattati alle direttive che valgono nei singoli​​ Länder)​​ nell’IR delle 22 diocesi della Germania occidentale.

1.​​ Il tentativo di realizzare programmi validi per tutte le diocesi è costituito dal cosiddetto​​ Rahmenplan für​​ die​​ Glaubensunterweisung​​ (München​​ 1967: Programma-quadro per l’insegnamento della fede). Si tratta di programmi per le classi 1-10. Possono essere considerati l’ultima espressione ufficiale della C. kerygmatica nella Rep. Fed. della Germania. Questi programmi, basati su principi teologici, furono schiacciati dalla discussione​​ curricolare.​​ Verso la fine degli anni ’60 la pedagogia religiosa tedesca fu sommersa dai cosiddetti “modelli didattici” per l’IR: modelli per lo svolgimento didattico di diverse ore, con dettagliate descrizioni della situazione degli allievi, precisa indicazione degli obiettivi, con materiale per il lavoro degli studenti, adattamento all’età. I testi di religione di matrice tradizionale (Bibbie per la scuola, catechismi) furono messi da parte. L’offerta di modelli didattici era molto determinata da fattori casuali. Inoltre le unità didattiche furono dedicate almeno in parte a nuove problematiche, non più legittimate dalla tradizione teologica, ma incentrate su problemi e situazioni degli allievi.

2.​​ Si era dunque creata una nuova situazione per la programmazione globale dell’IR: come rimediare all’arbitrarietà di temi e contenuti non più coordinati tra loro, e inserirli nuovamente in un processo didattico finalizzato? Come trovare il giusto equilibrio tra l’attenzione ai problemi degli allievi e l’insegnamento sistematico della fede? Nel 1973 il​​ Rahmenplan​​ fu abbandonato e sostituito da un nuovo programma elaborato da una Commissione su incarico della Coni. Episc. Tedesca, il cosiddetto​​ Zielfelderplan für​​ die​​ Sekundarstufe​​ I​​ (Piano di aree di obiettivi per la scuoia secondaria inferiore = classi 5-10;​​ München​​ 1973). Descrivendo determinate aree di tematiche, riferite a finalità orientative che percorrono i singoli anni scolastici, si voleva stimolare processi didattici guidati.

Le aree di tematiche determinano i propri contenuti ricorrendo di volta in volta alla religione e alla fede della Chiesa, oppure alla vita dei singoli e della società. Il collegamento tra i due punti gravitazionali — religione e fede da un lato, situazione e convivenza sociale dall’altro — che sono paragonabili ai due punti focali di una ellisse, è concepito secondo il principio della “correlazione”, vale a dire: questo programma vuol trovare una via di mezzo tra una impostazione puramente teologica (dogmatica, o kerygmatica) e una impostazione puramente antropologica. La legittimazione dell’IR non deve quindi essere soltanto teologica o soltanto antropologica, ma deve mettere in conto questi due aspetti nel loro reciproco rapporto. Questo programma vuol mettere chiaramente in luce che obiettivi e contenuti nella loro reciprocità antropologica e teologica sono interdipendenti. Lo vuole anche rendere possibile nel concreto svolgimento dell’insegnamento. Per ciò che riguarda il programma per la scuola secondaria inferiore del 1973 si tratta più di una opzione che di una realtà. Gran parte del lavoro correlativo è delegato all’insegnante di religione. Per questo motivo il programma è stato presto criticato.

Basato sullo stesso principio didattico, ma più conforme all’ideale correlativo, è il​​ Zielfelderplan​​ für​​ die​​ Grundschule​​ (Piano di aree di obiettivi per la scuola elementare, classi 1-4,​​ München​​ 1977). In questo programma il collegamento tra temi appartenenti al mondo degli allievi e temi “teologici” della tradizione ecclesiale è meglio riuscito. Per ciò che riguarda il programma per la scuola secondaria inferiore, nei casi migliori la prassi giunse solamente a una giustapposizione dell’aspetto umano e di quello teologico. Le unilateralità — sempre a spese della teologia, secondo coloro che lo criticavano dalla prospettiva della Chiesa — condussero alla richiesta di riforma.

3.​​ Dal 1979 al 1984 la Commissione incaricata si impegnò a trovare la vera forma di uno​​ Zielfelderplan​​ revisionato. Il risultato è stato pubblicato sotto il titolo​​ Grundlagenplan für den katholischen Religionsunterricht​​ (programma di base per l’IR cattolico), sottotitolo “Lernfelder des Glaubens”​​ (aree di apprendimento della fede), per le classi 5-10​​ (München​​ 1984). A seconda della posizione e dell’orientamento dei censori questo programma è giudicato positivamente (da coloro che cercano i contenuti sicuri) o criticamente (da coloro che denunciano l’insufficiente presenza della situazione e dell’orizzonte degli allievi).

Data l’autonomia dei diversi​​ Länder​​ e la diversità di direttive programmatiche in ciascuno di essi, si danno in Germania le più svariate concretizzazioni, revisioni e nuove concezioni di programmi didattici, che comunque restano in qualche modo paragonabili. Il nuovo​​ Grundlagenplan​​ dovrebbe essere un quadro orientativo per il futuro; almeno, in questa ottica è stato concepito. È chiaro che i programmi non garantiscono un buon insegnamento, come non sono la causa di un cattivo insegnamento. Il fattore determinante è sempre l’insegnante di religione che cerca orientamenti in questi programmi e a seconda del carattere e delle idee del suo capo è più o meno “vincolato”.

Bibliografia

A. Biesinger,​​ Der Zielfelderplan für die Grundschule. Elemente einer religionspädagogischen Würdigung,​​ in «Katechetische Blätter» 104 (1979) 79-82; H. Blessenohl,​​ Das didaktische Strukturgitter des Zielfelderplans für de» Katholischen Religionsunterricht der Schuljahre 5-10,​​ ibid. 99 (1974)​​ 354362;​​ H. Göpfert,​​ Kritische Analyse des Rahmenplans für die Glauhensunterweisung...,​​ ibid. 96 (1971) 485-503; G. Miller,​​ Der Zielfelderplan für die Primarstufe. Versuch einer Didaktik der Korrelation,​​ ibid. 102 (1977) 380-382; Id.,​​ Der deutsche Zielfelderplan. Didaktische Einführung im Schnellverfahren,​​ in «Christlich-pädagogische Blätter» 88 (1975)​​ 1423;​​ G. Rummel,​​ Der Zielfelderplan für den Katholischen Religionsunterricht in der Grundschule,​​ in «Katechetische Blätter» 104 (1979) 71-78; H. Schmidt,​​ Mehr als ein Lehrplan. Bemerkungen zur Punktion, zum Stellenwert und zur möglichen Weiterentwicklung des Zielfelderplans Grundschule,​​ ibid. 106 (1981) 381-385.

Gabriele Miller

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ZIELFELDERPLAN

ZILLER Tuiskon

 

ZILLER Tuiskon

n. a Wasungen nel 1817 - m. a Lipsia nel 1882, pedagogista tedesco della scuola herbartiana.

Nel periodo di studi filosofici a Lipsia, Z. ha i primi contatti con il pensiero di​​ ​​ Herbart attraverso M. W. Drobisch e G. Hartenstein. La morte del padre, pastore evangelico, lo costringe a lasciare l’università. Dal 1843 al 1847 insegna greco e latino nel ginnasio di Meiningen. In questa tappa della sua attività dedica particolare attenzione agli aspetti pratico-didattici della pedagogia. Ritorna all’università, privilegiando lo studio della matematica, dell’anatomia, della psicologia, delle scienze giuridiche ed economiche. Attratto dal solidarismo sociale proposto dall’economista J. K. Rodbertus, l’interesse di Z. si centra sempre più sull’educazione come strumento fondamentale per un progetto di riforma della società basato sui valori etici e cristiani. Nel 1862 fonda a Lipsia un «seminario pedagogico» con finalità teorico-pratica, che dirige fino agli ultimi mesi di vita.

2. Nell’impegno di scrittore e di docente universitario, Z. si propone, come obiettivo principale, quello di portare la pedagogia al livello di scienza. Nella presentazione dell’Einleitung in die Allgemeine Pädagogik​​ (1856), egli accenna al progetto di una esposizione completa della pedagogia, secondo i principi segnalati da Herbart. In questa prospettiva, l’opera​​ Grundlegung zur Lehre vom erziehenden Unterricht​​ esercita un forte influsso nel dibattito pedagogico e nella prassi educativo-didattica della seconda metà dell’Ottocento. Lo scritto viene ritenuto «una pietra miliare» nella storia dell’herbartismo. Due concetti vengono particolarmente sviluppati da Z.: il concetto di​​ concentrazione​​ (secondo cui il maestro deve prendere ogni anno come «centro» dell’insegnamento un’idea, un ordine di materie a cui tutta l’attività scolastica deve convergere) e quello dei​​ gradi formali​​ (validi per ogni materia, alla base della costruzione di uno schema per ogni lezione, indipendentemente dal suo contenuto).

3. Nonostante l’artificiosità del linguaggio, la rigidità delle articolazioni proposte e lo schematismo che caratterizzano i suoi scritti, Z. ha contribuito in modo decisivo a diffondere il sistema pedagogico herbartiano, facilitandone le applicazioni nella prassi scolastica.

Bibliografia

Dunkel H.D.,​​ Herbart and Herbartianism: an educational ghost story, Chicago / London, The University of Chicago, 1970;​​ Metz P.,​​ Herbartismus als Paradigma für Professionalisierung und Schulreform..., Bern, Lang, 1992; Volpicelli I., «Z.T.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol.​​ VI, Brescia, La Scuola, 1994, 12633-12636.

J. M. Prellezo

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ZILLER Tuiskon

ZUBIRI Xavier

 

ZUBIRI Xavier

n. a San Sebastián nel 1898 - m. a Madrid nel 1983, filosofo spagnolo.

1. Z. offre una propria spiegazione metafisica, cercando di superare la metafisica classica e le proposte di Heidegger; disegna una nuova concezione dell’intelligenza (inteligencia sentiente) e della realtà. Tra le opere fondamentali di Z.:​​ Naturaleza,​​ Historia,​​ Dios​​ (1944),​​ Inteligencia sentiente​​ (1980-1983),​​ El hombre y Dios​​ (1984),​​ Sobre el hombre​​ (1986); queste due ultime pubblicate postume a cura degli allievi. La spiegazione metafisica della realtà umana suggerisce, secondo Z., dati significativi per una teoria dell’educazione. La persona umana non è solo soggetto di alcune proprietà né espressione di un concetto ideale di uomo e neppure è il semplice risultato di processi psicobiologici o sociostorici. Per la sua specifica «forma di realtà», ogni persona deve determinare concretamente la sua personalità nell’unità del suo processo vitale. Si tratta di un compito di continua autoconfigurazione, fondata sulla stessa realtà e portata a termine nella dinamica dell’appropriazione di possibilità (apropiación de posibilidades).

2. L’intervento educativo non si definisce mettendo in atto delle capacità (potencias) o dotando operativamente l’individuo, ma disponendo ogni persona a intraprendere nuove e più feconde vie di realizzazione, rendendola capace di disegnare nuovi progetti e possibilità. Inoltre, l’appropriazione di possibilità da parte della persona si attua nella situazione sociale e storica in cui essa inizia il suo processo, divenendo, a sua volta, possibilità per altri. La relazione educativa in ogni situazione sociostorica esige la presenza dell’​​ ​​ educatore e dell’​​ ​​ educando. L’educatore non pretende di imporre forme di comportamento; si fa presente con «causalità personale» di implicazione nel processo di realizzazione dell’educando, offrendo a questi delle possibilità. Con la spiegazione zubiriana della realtà personale si eviterebbe la riduzione dell’educabilità a maturazione psicobiologica, a adattamento del sistema personale alla situazione sociale e storica, o a porre in atto le facoltà naturali dell’uomo.

Bibliografia

Onrubia M.L.,​​ La «apropiación de posibilidades» en la realización de la persona según Z. Aportaciones al tema de la educabilidad, Roma, UPS, 1996; Niño F.,​​ Antropología pedagógica. Intelección,​​ voluntad y afectividad, Bogotá, Magisterio, 2000; Ugalde F.,​​ Educar a «hacerse cargo de la realidad». Reflexiones sobre una dimensión educativa del pensamiento de X.Z., in «Escritos del Vedat» XXXII (2002) 281-315; Niño F., «Educación en valores. Una aproximación desde X.Z.», in J. A. Nicolás - O. Barroso (Edd.),​​ Balance y perspectivas de la filosofía de X.Z., Granada, Comares, 2004, 630-650.

L. Onrubia

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ZUBIRI Xavier
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