NARRAZIONE
1. Le N. articolano problemi, desideri, domande, nostalgie, bisogni; possono sollevare e consolare, rendere trasparenti prospettive profonde di senso, di speranza, di futuro, contribuire all’orientamento nella vita e all’interpretazione del mondo, offrire modelli di comportamento e possibilità di identificazione, promuovere la capacità linguistica, la scoperta dell’identità e processi di maturazione; attraverso la individualizzazione e la personalizzazione possono rendere trasparente ciò che è complesso e generale; possono trasmettere o preparare categorie e “concetti” religiosi ed etici, superare distanze di tempo e di spazio; trasmettere o rendere possibili (mai però imporre) esperienze di natura individuale (testimonianze biografiche) o collettive (attivazione di archetipi, che sono in qualche modo esperienza che si è cristallizzata nell’inconscio). Per tutti questi motivi la N. è considerata una forma privilegiata di “interazione simbolica” (H. Grewel), “comunicazione potenziale” (M. Dahrendorf) e “fenomeno sociale” (G. Rõckel), in cui partecipano sia il narratore o l’autore che l’ascoltatore o lettore.
2. A partire dal tempo della prima Chiesa la N. figura tra i metodi verbali dell’insegnamento cristiano. A motivo della richiesta di teologia “narrativa” o di C. narrativa (H. Weinrich, J. B. Metz et al.) la N. ha ricevuto negli ultimi anni una crescente attenzione nella C. (sussidi per la N., libri per la lettura ad alta voce, raccolte di testi). Il “narrativo” non si riferisce soltanto all’uso di N. provenienti dalla Bibbia, dalla letteratura o dall’esperienza personale. La N. è una forma specifica di linguaggio, che si contrappone alle forme puramente discorsive e argomentative. N. dice qualcosa di più che la semplice concatenazione di informazioni (enumerazione). La sua struttura specifica è caratterizzata dall’alternarsi di tensione e di distensione, che (spesso attraverso ripetizioni e variazioni meditative) si muove verso un climax (soluzione). La forza della N. sta nella “intensiva attualizzazione” (I. Baldermann). Elementi caratteristici sono il prevalere dell’azione, l’intuitività e le modalità espressive concrete, che vengono soprattutto incontro alla caratteristica spirituale dei fanciulli.
3. Le N. possono anche semplificare, livellare, deviare da ciò che è importante, interpretare diversamente, falsificare, “narcotizzare” (O. Betz 1974, 492). Perciò occorre osservare alcuni criteri formali e materiali per la scelta e la esecuzione di N. (cf F. J. Spiegel 1970, 71ss).
4. Testi biblici non sono mai soltanto “storie”. La N. di racconti biblici richiede perciò da parte del narratore il rispetto del genere letterario e la collocazione nella realtà. La trasposizione nel linguaggio dei fanciulli deve garantire la fedeltà al messaggio. Tale fedeltà è compromessa quando si introducono aggiunte non pertinenti all’argomento (inventare nuovi fatti) o si introducono elementi estranei al testo (psicologizzare, moralizzare, inserire elementi leggendari derivati dagli apocrifi), sovraccentuazione del secondario, semplificazioni che oscurano la trasparenza, sovraccentuazione dell’elemento sentimentale o edificante. Occorre evitare che il flusso narrativo sia interrotto da commenti o “applicazioni”. Occorre evitare ugualmente l’ammucchiarsi di frasi giustapposte, l’uso di frasi subordinate, le serie di domande, le parole astratte, il discorso indiretto, i termini tecnici e il “linguaggio infantile”. La N. richiede un legittimo sviluppo: fare paragoni con il mondo esperienziale degli allievi; illustrare quali erano le usanze ebraiche; offrire dettagli storici o geografici, ecc.
5. Si nota un uso progressivo di testi letterari nell’IR, nella C. e nelle messe per fanciulli. Occorre esaminare se il contenuto e la forma di tali testi sono confacenti all’età. Frequentemente è preferibile leggere i testi piuttosto che raccontarli con le proprie parole, rischiando di guastare la bellezza e la densità del linguaggio letterario.
6. La N. viva voce (in diretta) è generalmente preferibile all’offerta di N. tramite dischi e nastri registrati.
Bibliografia
O. Betz, Erzählen – eine notwendig gewordene W iederentdeckung, in “Katechetische Blätter” 99 (1974) 8, 486-492; E. J. Bücher, Religiöse Erzählung und religiöse Erkenntnis, Bonn, 1978; Conte et catéchèse, in “Lumen Vitae” 37 (1982) 4, 362-444; L. Della Torke, Per una catechesi narrativa, in “Via Verità e Vita” 27 (1978) 67, 47-55; J. S. Dunne, Time and mythos. A meditation of Storytelling as an exploration of life and death, Zürich, 1979; H. Jaschke, Und nahm sie in seine Arme. Eine Theologie für Kinder in Geschichten. Band I (Advent bis Pfingsten), München, 1984; M. Kassel, Biblische Urbilder, München, 1980; G. Kegel, Vom Sinn und Unsinn biblische Geschichten zu erzählen, Gütersloh, 1971; J. Korczak, Verteidigt die Kinder! Erzählende Pädagogik, Gütersloh, 19832; S. Lanza, La narrazione in catechesi, Roma, Ed. Paoline, 1985; J. B. Metz, Breve apologia del narrare, in “Concilium” 9 (1973) 5, 80-98 (860-878); O. Randak, Das Märchen. Ein Spiegelbild der Grunderfahrungen und der religiösen Dimension der Menschen, Düsseldorf, 1980; Religious Education through Story, in “British Journal of Religious Education” 4 (1982) 3, 114-176; A. Riedl – G. Stachel, Racconto e disegno. Come presentare la Bibbia ai fanciulli, Leumann-Torino, LDC, 1977; K. Schilling, Narrative Theologie und Religionsunterricht, in “Katechetische Blätter» 100 (1975) 257-267; J. Spiegel, Das Kind und die Bibel, Bergen-Eukheim, 1970, 7190; H. Weinrich, Teologia narrativa, in “Concilium” 9 (1973) 5, 66-79 ( 846-859).
Edgar J. Korherr
NARRAZIONE
Nell’educazione il racconto o n. proveniente dalla vita svolge un ruolo importante. I genitori (i nonni) e gli insegnanti raccontano in forme diverse, talora in modo epico, ciò che essi stessi – od altri – hanno vissuto e ciò che fu esperienza di vita propria od altrui.
1. La n. ha una ovvia funzione informativa, ma con il valore aggiunto di coinvolgere le persone, facendo fare loro, nel tempo breve della n., una esperienza molto estesa di partecipazione . Per questo la n. è, nel bene o nel male, un potente fattore di trasmissione di significati vitali e ponte fra le generazioni. I diversi saperi, specialmente umanistici, quali la storia e la religione, ne sono mediazioni privilegiate. Psicologia e pedagogia, oltreché la didattica, si interessano della n. Purtroppo nella società dominata dai mezzi della → comunicazione sociale la pratica della n. è in ribasso. Per cui ancora più di prima si avverte il bisogno di tornare alla forma narrativa, riprendendo progressivamente la pratica e il gusto delle «grandi n.» (J.F. Lyotard). Lo sviluppo della n. conosce un cantiere speciale, quello dei bambini. Per lo sviluppo del loro «atteggiamento», la n. di → fiabe rimane fondamentale, anche dal punto di vista della psicologia del profondo.
2. Per la pedagogia religiosa è rilevante il fatto che nella → Bibbia (in particolare nell’AT) la fede è trasmessa in massima parte per mezzo di n., con delle proprietà singolari. Abbondanti sono i dettagli che riflettono vivacemente la realtà, vi è unità di «forma e contenuto», per cui la forma non si può modificare in modo arbitrario. Si ricordi il colloquio tra Abramo e Isacco in Gn 22,6-8. Se il narratore resta fedele alla forma della n. biblica, allora la trasparenza è garantita: il testo (scarno) e «ciò che rimane tra le righe» lascia trasparire la presenza di Dio ed attesta la fede. La fede intesa come esistenza nello Spirito di Dio permette al narratore di mettersi mediante la n. nella «contemporaneità» (Kierkegaard) con il fatto raccontato, per es. con Abramo, Mosè, Elia, Gesù.
3. Per la n. biblica, ma analogamente di altri contenuti, sono da segnalare i seguenti principi fondamentali: preparazione per mezzo di una semplice esegesi e meditazione; linguaggio immaginifico appropriato all’uditorio; narrare i fatti concreti in modo tale che sulla «scena interiore» degli ascoltatori si concretizzi nuovamente l’evento; non praticare la psicologizzazione (Drewermann), ma lasciare all’ascoltatore la libertà di entrare nel cerchio. Passaggi troppo concentrati vanno esplicitati, però senza falsificare, mentre va adoperato il mezzo della ripetizione per dare maggiore peso a un particolare. Parlare poco di Dio, e se necessario farlo per mezzo di metafore; lasciare dei vuoti che gli ascoltatori potranno colmare nella discussione successiva; non cedere mai al discorso di moda, ma parlare con «dignità», restando vicino alla semplicità e alla dignità del linguaggio biblico.
Bibliografia
Schroer H., «Erzählung», in Theologische Real-Enzyklopädie, vol. 10, 1982, 227-232; Zerfass R. (Ed.), Erzähler Glaube - erzählende Kirche, Freiburg, Basel, 1988; Desideri I., «N.» in M. Laeng (Ed.), Enciclopedia pedagogica, vol. V, Brescia, La Scuola, 1992, 8066-8069; Tonelli R. - L. A. Gallo - M. Pollo, Narrare per aiutare a vivere. N. e pastorale giovanile, Leumann (TO), Elle Di Ci, 1992; Rollo D., N. e sviluppo psicologico. Aspetti cognitivi, affettivi, sociali, Roma, Carocci, 2007.
G. Stachel