MEDITAZIONE

1. Nell’uso linguistico della spiritualità cattolica M. indica “riflessione”: percorrere punti di riflessione secondo una determinata sequenza, soffermarsi anche con la fantasia soprattutto sulla umanità di Gesù. Questo concetto deriva però da un altro significato di “meditari” = esercitare (termine tecnico del linguaggio militare romano) e di “meletàn”, che indica, soprattutto nella traduzione greca dell’AT dei LXX, la recita sottovoce della Scrittura (“meditari” come la colomba:​​ Is​​ 38,14; 59ss: E.​​ von Severus).​​ Dal tempo degli eremiti e dei cenobiti del basso Egitto il termine meditari-meletàn indica appunto la ininterrotta recita di parole scritturistiche, espressa anche come​​ ruminatio,​​ in riferimento a Lv 11,3: la meditatio-ruminatio tende verso l’unione silenziosa con Dio e verso la puritas​​ cordis​​ (Cassiano).

2. L’importanza e la necessità della M. anche per fanciulli e giovani è una scoperta dell’ultima generazione (→ Tilmann). Punto di partenza è la amorevole presentazione di narrazioni bibliche (Chr. von -» Schmid, 1801) e la meditazione della fantasia secondo la scuola ignaziana. Dopo una narrazione biblica o la contemplazione di immagini appropriate, si raccomanda ai fanciulli di chiudere gli occhi e di contemplare ulteriormente la “immagine interiore” (le → celebrazioni cat. tendono in parte nella stessa direzione).

La M. per i fanciulli si muove in una nuova direzione: a) da quando abbiamo preso conoscenza della M. dell’induismo e del buddhismo zen (già dal 1967 il gesuita Hugo Lasalle, personalmente maestro di buddhismo zen, insegna za-zen in Europa; anche R. Guardini,​​ Wtlle und Wahrheit,​​ 1933, rifacendosi a modelli induisti propose già la meditazione della respirazione); b) sulla base della riscoperta del significato del corpo, dei → simboli (segni) e del linguaggio metaforico della Bibbia.

3. La M. della C. dovrebbe dunque essere praticata come pieno raccoglimento nel vedere e nell’ascoltare la parola della Scrittura e i sacri simboli e metafore. La M. sta in stretto collegamento con → liturgia e → preghiera, ed è un elemento della → didattica biblica. Con una narrazione corretta e fedele alla Scrittura, si provoca già nella scuola elementare una riflessione distesa e prolungata. Le immagini possono e devono essere guardate a lungo, anzitutto in silenzio, poi nel colloquio sul significato che si vede in esse. I fanciulli sono capaci di imparare a star seduti e a respirare in silenzio (cf la celebrazione su “Dio chiama Samuele”, di → Lubienska de Lenval).

Recitare ad alta voce, meglio cantare secondo melodie molto semplici, parole bibliche e formule personali prossime alla Bibbia è cosa affascinante che può liberare molta creatività. È necessario l’accompagnamento ritmico-motorio (cf E. Unkel,​​ Musikbuch “Religion”, 1978).​​ Dt​​ 6,6 conosce già l’uso didattico della ininterrotta recita dell’unico, grande comandamento dell’amore di Dio: “Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai”. Soltanto in apparenza questa recita è difficile per i fanciulli! Tutto dipende dalla configurazione vivace, sensibile-corporea. Il Padre nostro, per es., va recitato secondo il ritmo del respiro, e dopo ogni invocazione va sviluppato per un certo tempo con proprie parole di preghiera. Anche diversi versetti dei salmi sono appropriati per la meditazione-recita (per es.​​ Sai​​ 23: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”; “Resterò nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita”).

Un esercizio molto valido per iniziare la C. consiste nel far recitare ogni volta a un fanciullo (o a un giovane) la sua frase biblica preferita, aggiungendo ad essa una parola personale di commento. La frase scelta può poi essere inserita in una preghiera litanica. Per es. un fanciullo, figlio di un operaio straniero in Germania, cita​​ Mt​​ 18,6: “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da un asino, e fosse gettato negli abissi del mare”.

Secondo la capacità del catechista o dell’insegnante è anche possibile educare a sedersi per terra ed esercitare il puro silenzio, senza riflettere su nulla. La capacità di celebrare la liturgia, di pregare e di fare il colloquio spirituale ne ricaverà grande vantaggio. L’intero stile cat. cambia sotto l’influsso della M. La tendenza intellettualizzante e il discorso superficiale lasciano spazio a un discorso che scaturisce dalla profondità dell’esistenza.

Bibliografia

Art.​​ Meditation,​​ Contemplation, Écriture scinte et vie​​ spirituelle,​​ in​​ Dictionnaire de Spiritualità,​​ Paris, Beauchesne, 1937-1980; H. Bacht,​​ “Meditatio” in​​ den ältesten Mönchsquellen,​​ in​​ Das Vermächtnis des Ursprungs,​​ Würzburg, 1972; A. Biesinger (ed.),​​ Meditation im 'Religionsunterricht,​​ München, Kösel, 1981; E. von Severus,​​ Das Wort “meditari” im Sprachgebrauch der Heiligen Schrift,​​ in “Geist und Leben» 26 (1953) 365-375; G. Stachel,​​ «Spiritualität”: Religionspädagogik/Katechetik des Gebets und der Meditation,​​ in Id.,​​ Erfahrung interpretieren.​​ Zürich und Köln, Benziger, 1982, 185-236.

Günter Stachel

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MEDITAZIONE

Un senso moderno ed ampio di m. è quello che si ispira al​​ New Age:​​ assimilazione di verità, realtà, bellezza per mezzo del corpo e dello spirito, in cui i sentimenti e l’intuizione svolgono un ruolo essenziale. Nel senso classico m. indica un esercizio spirituale: per mezzo di una costante recita / sussurrazione di parole della Scrittura (in particolare Torà e Salmi) la m. rinuncia al pensiero oggettivo e alla volontà propria, si mette nel servizio esclusivo di Dio, e in tal modo viene purificata, eventualmente illuminata (ad es. il rosario).

1. Tale esercizio è già documentato nell’AT, poi nel IV sec. in Egitto (immigrati, monaci della regola di san Pacomio). In forma variata viene pure praticata dai monaci occidentali,​​ ​​ monachesimo, e infine sostituita dalla m. ignaziana. Forme orientali di m. furono pure studiate e praticate nell’Occidente: TM = ripetere interiormente oppure sussurrare per un certo tempo, il che produce un senso di distensione. Il buddismo Theravada, per es. quello della Thailandia, pratica il sentire o vedere «soltanto una cosa»: questo suono, questa costellazione, l’entrata e l’uscita del respiro attraverso il naso. Il​​ ​​ buddismo Zen pratica lo za-zen (seduta-m.): seduto per terra, abbandonare ogni eventuale pensiero e fantasia, restando però sveglio, limitandosi a respirare soltanto. Il medico J. H. Schultz inventò il​​ ​​ training autogeno: fare in modo che le diverse parti del corpo disteso siano alternativamente pesanti e calde, ottenendo in questo modo la distensione somatica e psichica.

2. Per la prassi pedagogica è raccomandabile il limitarsi al solo guardare (la natura, l’arte...) o al solo ascoltare (suono delle campane, musica, una poesia, una parola di Gesù). Con i canti di Taizé la gioventù mondana impara il silenzio ripetendo minuti di seguito le stesse parole: «En todo amar y servir» (s. Ignazio di​​ ​​ Loyola). Nella scuola sarebbe da praticarsi il momento quotidiano di silenzio suggerito dalla​​ ​​ Montessori: seduto dritto, lo sguardo abbassato, attento soltanto al respiro. Un procedimento estetico efficace anche nel culto religioso consiste nell’osservare in modo raccolto la realtà con la quale voglio unirmi, anzitutto l’aspetto bello e impressionante, poi anche il dolore. Simone Weil raccomanda una «attention absolue» nello studio. È una fra le cose più importanti che un giovane possa imparare.

Bibliografia

Stachel G.,​​ Gebet - Meditation - Schweigen,​​ Freiburg, Herder,​​ 21993; Viotto P., «M.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. IV, Brescia, La Scuola, 1989, 7558-7561.

G. Stachel

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