FESTA
1. Significato e contenuti del termine in C. La F. ha un significato fondamentale nell’esistenza umana, in particolare per quanto riguarda la sua dimensione religiosa. Essa è espressione del desiderio, proprio di ogni uomo, di vivere in maniera felice, nella libertà e nel rapporto autentico con gli altri; è il modo normale di esprimere il bisogno di comunione e di libertà. Tutti i valori autenticamente umani della festa vengono ripresi, potenziati e aperti al “di più” che viene dalla Pasqua del Signore risorto, nella festa cristiana. Questa esprime concretamente la reazione fondamentale della persona che incontra il Risorto, come colui che modifica tutto il senso della vita, esaudisce ogni attesa più vera e ogni anelito più profondo, al di là di ogni speranza.
In parte la F. cristiana coincide con la celebrazione-festa liturgica, ma per un altro verso la supera, per aprirsi ad altre componenti esistenziali, ludiche e fantasiose. Nell’ambito cat. la F. viene considerata in tutta la sua portata antropologico-cristiana, come una dimensione insita nella C. stessa: in qualche modo, infatti, ne è contenuto, obiettivo, fonte, contesto e clima.
2. La festa, dimensione della C.
1) La C. educa al senso della F. Compito della C. è far riscoprire la grande novità, la profondità, l’originalità assoluta della F. cristiana. Si tratta di andare oltre il semplice fenomeno sociologico o antropologico della F., oltre la sua stessa celebrazione rituale, per coglierne il “di più”. Nella misura in cui la C. aiuta a comprendere cosa sia la Pasqua per noi, aiuta anche a comprendere cosa sia la F. per noi. In effetti la vita cristiana — di cui la C. è al servizio — risente in pieno e in modo permanente dell’impronta pasquale ricevuta al battesimo: “Se vivi il tuo battesimo — afferma san Giovanni Crisostomo — ogni giorno è Pasqua, ogni giorno è festa per te”. Atteggiamenti particolari a cui la C. dovrà educare, in riferimento alla F., sembrano essere: la scoperta del gratuito, la capacità di contemplazione, la capacità di solidarietà-condivisione-impegno, la partecipazione interiore e il coinvolgimento della corporeità, la partecipazione personale e comunitaria.
2) La C. approfondisce i contenuti della festa. Dalla Pasqua deriva e nella Pasqua si compendia il significato e il contenuto della F. cristiana. La Pasqua cristiana è la F. della liberazione piena, della vittoria di Cristo risorto sulla morte. Conseguentemente anche la F. settimanale, la domenica, che fa memoria attualizzante della risurrezione di Cristo, non è solo attualizzazione dell’esodo e della creazione e anticipo dell’esodo finale, ma è partecipazione alla vita piena del Signore risorto e pregustazione della Pasqua definitiva del suo Regno. Per questo la domenica deve essere presentata dalla C. come “festa primordiale, e pasqua settimanale” (RdC 116). Nel corso dei secoli la Chiesa istituirà diverse F. per celebrare i vari momenti dell’unico evento salvifico realizzato in Cristo, ma tutte queste F. non saranno che uno sviluppo dell’evento pasquale. Anche le F. di Maria e dei santi non sono che la celebrazione della Pasqua di Cristo in coloro che lo hanno accolto pienamente. La radice di tutte le F. è la Pasqua, celebrata come esodo definitivo e come alleanza piena.
3) La C. educa alla festa, intesa come apertura alla speranza, all’impegno, a una liberazione piena, anche nelle situazioni più difficili. La F. cristiana, o per mancanza di realismo o per difetto di fede matura, potrebbe diventare una fuga dalla realtà, una compensazione o la ricerca di evasione dalla faticosa realtà quotidiana: in definitiva, un disimpegno. Una C. che sia autenticamente “pasquale” aiuterà a superare questo rischio: il Signore risorto che ci associa alla sua danza festosa di vittoria sul male e sulla morte stessa, è lo stesso Signore della Croce. Il venerdì santo è un passaggio obbligato per arrivare alla Pasqua liberatrice del Signore. Se al centro della nostra catechesi sulla festa c’è il Figlio di Dio, il Crocifisso risorto, il Cristo della solidarietà e della condivisione — e la nostra imitazione di lui —, allora anche i lati più oscuri e non festivi della vita — anche i nostri fallimenti e la stessa morte — possono essere letti alla luce della F. liberatrice e diventare chiamata all’impegno e alla solidarietà.
4) Per una C. di festa. In una società come la nostra — che per molti aspetti appare come disincantata, vuota di mistero, tutta inclusa nella materia e nel dato di fatto — emerge il bisogno fondamentale della F. È un invito alla C. a farsi più creativa e a valorizzare maggiormente la categoria della F., soprattutto a livello giovanile; a mettere in luce i contenuti e gli atteggiamenti fondamentali perché la F. sia realizzata e vissuta autenticamente nelle diverse situazioni; a valorizzare meglio il riferimento alle principali F. liturgiche e alla festa nel giorno di domenica; a contribuire per una purificazione-valorizzazione delle F. popolari e di altre F. legate alla celebrazione di alcuni sacramenti; a denunciare i limiti di molti modi di fare F., interpretandone i limiti sociali ed ecclesiali. Soprattutto, la C. è chiamata a far emergere le diverse virtualità della F. sempre in riferimento alle situazioni concrete dell’esistenza.
Bibliografia
A. Caprioli, La festa, in “Rivista liturgica” 67 (1980) 449-464; F. Debuyst, LI ne théorie de la fête, in «Communautés et Liturgies» 63 (1981) 203-212; La liturgia è festa, Torino, Marietti, 1980; J. Mateos, Cristiani in festa, Bologna, EDB, 1981; J. Moltmann, La festa liberatrice, in “Concilium” 10 (1974) 2, 96-108; L. Soravito et al., Quando la vita è festa, in “Evangelizzare” 7 (1982) 10, 1834; P. Visentin, Il senso teologico della festa, in «Liturgia» 14 (1980) 327-328, 18-34.
Sergio Pintor
FESTA
Silvano Maggiani
1. Quale festa?
1.1. Festa tradizionale
1.2. Festa nella modernità
2. Gli elementi costitutivi della festa
2.1. L’organizzazione del tempo
2.1.1. I calendari
2.1.2. Aspetti ludici
2.2. Il soggetto della festa
2.3. L’oggetto della festa
3. La festa cristiana
3.1. L. ’evento Gesù Cristo, oggetto della festa cristiana
3.2. La Chiesa soggetto della festa cristiana
4. La celebrazione della festa cristiana
4.1. Celebrazione-festa: la preparazione
4.2. Il giorno della festa
Il desiderio di far festa, di organizzare tempi festivi è probabilmente una delle grandi tensioni dinamiche che si instaurano, si alimentano, si tramandano nelle culture e nelle società, quale risposta ad istanze proprie dell’uomo-donna in relazione. Nella realtà contemporanea, sia negli ambiti laici che religiosi, il desiderio festivo si presenta complesso e polivalente, soprattutto nelle sue realizzazioni. La preoccupazione di «far festa» denota un desiderio che può scaturire da insoddisfazioni e frustrazioni di varia natura, sintomo di una «crisi» nella stessa festa e quindi di difficoltà ad attuare tempi festivi. Il mondo dei giovani, per sua natura, attualmente riconosciuto almeno nelle culture occidentali, è particolarmente coinvolto e interessato ai fenomeni e alle scadenze festivi e quindi uno dei più soggetti ad entusiasmi, delusioni, reazioni. Un’attenta pastorale giovanile non può prescindere da una consapevole lettura del perché possiamo parlare di:
1) una crisi nella festa, anche in quella religiosa e in particolare, nel nostro caso, cristiana;
2) considerare quindi lo specifico della festa e
3) l’identità di quella cristiana con il tentativo di intravedere.
4) piste di azione orientative valide per far fronte alla congiuntura contemporanea.
1. Quale festa?
Parlare di festa è riferirsi ad un fenomeno polisemico, comprendente aspetti molto vari di carattere rituale, gastronomico, sociale, periodico, festivo.
Se non si considerano le cosiddette «feste tristi» (per esempio l’evento di un funerale, una commemorazione annuale di un avvenimento doloroso), nelle società odierne, le feste hanno quale denominatore comune, considerato essenziale, una «effervescenza» di natura gioiosa comunitaria, o meglio, sociale, in alternativa al ritmo del giorno feriale e lavorativo. Spesso, tuttavia, quando si pensa alla festa, si è tentati di tramandare il tipo studiato dall’etnologia e chiamato festa «tradizionale».
1.1. Festa tradizionale
Quale differenza tra la festa odierna e quella tradizionale?
Quest’ultima, prescindendo dall’oggetto, è laboriosamente programmata. In un tempo determinato, in uno spazio delimitato, coloro che fanno festa, assumono ruoli da sempre previsti e tramandati ed eseguono mansioni che si ripetono in uno schema predeterminato, in un contesto di aura o atmosfera ugualmente prevedibile. Tutto, però, viene vissuto, diremo, «spontaneamente».
Si possono cogliere tre aspetti fondamentali.
a) La festa tradizionale è organizzata in un contesto rituale o sistema rituale: essa è uno degli elementi tra i tanti programmati.
b) Una o più azioni rituali sono considerate il fulcro della festa, attorno alle quali viene organizzato tutto il resto.
c) La festa è vissuta in quanto tale e non come puntuale «effervescenza» di godimento
0 insignificante e trita cerimonia.
Inoltre il contrasto è piuttosto di ordine rituale: in alternativa ad altri momenti del sistema rituale generale e non nei confronti con il ritmo quotidiano dei giorni lavorativi. In realtà quest’ultima condizione può essere creata anche da giorni non festivi.
In questa ottica è comprensibile anche la natura etimologica del termine «festa». Esso deriva dal latino festa, neutro plurale, corrispondente all’espressione classica festus (dies) «di festa solenne», e in relazione a fesiee (Jeriee) «feste». Dello stesso gruppo fanno parte
1 termini alla cui base vi è il tema «dhasdhes-». È probabile che questo tema «designi qualche oggetto o rito religioso di cui non è più possibile determinare il senso; in ogni caso appartiene alla sfera del sacro» (E. Benveniste).
In altre parole potremo definire la festa tradizionale come un rito pubblico, che, frutto di una elaborata organizzazione, mette in atto un rituale culturalmente determinato il quale valorizza dinamicamente valori espliciti o impliciti all’interno di una società. Direttamente o indirettamente nella struttura festiva si ha una riferenza alla sfera del religioso o del sacro.
Inoltre, se da una parte è manifestato un processo collettivo mentre si sviluppa, dall’altra, l’oggetto storico della festa resta immutabile. Si può essere di fronte, in questo modo, ad una reale pratica culturale che rivela o esprime una determinata società.
1.2. La festa nella modernità
Il passaggio dalle feste tradizionali a quelle contemporanee storicamente appare lento ma progressivo. E soltanto una attenta lettura del dato storico può permetterci di rilevare le differenze e tentare di renderci conto del perché di una situazione. In un primo tempo rileviamo le differenze, in un secondo tempo porremmo attenzione alla storia.
Il termine festa, innanzi tutto, si riferisce ormai ad un campo assai vasto e variegato di esperienze: dai cocktails più o meno elitari alle sagre paesane, dai ricevimenti alle feste calendariali.
Può essere utile avere presente le seguenti categorie con cui si possono designare le varie feste:
«1. festa religiosa, con le sue specificazioni “patronale”, “non patronale”, accompagnata o meno da pellegrinaggio, riferita a specifici santuari o dipendente da datazione calendariale universale (per esempio Natale, Pasqua, Assunzione di Maria, ecc.);
2. festa non religiosa o laica nella valenza tradizionale del termine;
3. festa qualificabile secondo la coppia oppositoria gramsciana egemone-subalterno, accettata qui come referente senza approfondire la loro revisionabilità critica;
4. festa che, indagata in quanto alle origini, presenta uno spessore diacronico arcaico o recente;
5. festa che per i tratti culturali emergenti è rurale, pastorale, marinara, urbana, mista;
6. festa familiare o di gruppo di parentela e festa collettiva;
7. festa assoggettata a ricorrenza periodica e a modello comportamentale precostituito e tradizionale, in prevalenza di carattere commemorativo e memoriale;
8. festa spontanea, occasionale, indipendente dal referente modulare periodico, esprimentesi in comportamenti inventati (per esempio indiani metropolitani, Parco Lambro);
9. festa in cui il momento di socializzazione si realizza e interiorizza in una interazione psicosociale fra soggetti reciprocamente riconoscibili e festa nella quale lo stesso momento si connette a un’interazione di soggetti normalmente estranei (differenza, per esempio, fra festa strettamente locale o di gruppo o familiare, e festa determinante pellegrinaggi e spostamenti di gruppi di diversa origine e ubicazione territoriale);
10. festa assoggettata a varianti e mutamenti, dipendenti da mutate situazioni strutturali, e festa cristallizzata in forme stabili (per esempio festa dei serpenti di Cocullo, attraversata da mutamenti di significato in relazione al disfacimento economico, di carattere pastorale rurale, che è alle sue origini; e festa della Madonna di Pompei, legata a un tema generico di affidamento alla potenza)». (A. Di Nola, Varianti semiotiche della festa e interpretabilità mariana, in C. Bianco, M. Del Ninno, 1981, p. 88).
Anche di fronte a questa tipologia non è improprio affermare che le coordinate che abbiamo rilevato per la festa tradizionale sembrano venute a mancare. La base sociale che si esprime nella festa è ormai diversa quasi radicalmente ovunque. Il messaggio alla base della struttura festiva si è trasformato e nell’emittenza e nel codice. Infatti la differenza fondamentale possiamo coglierla nel fatto che la festa odierna ha perduto la sua caratteristica di costituire un complesso culturale istituzionalizzato in un determinato contesto sociale; appare piuttosto uno dei molteplici aspetti di una cultura di massa che tenta di cercare attività espressive di sé stessa. Molte delle feste odierne, culturalmente parlando, tentano di mettersi in alternativa alle proposte caratterizzanti la società e determinate dai mezzi di comunicazione, anche se quest’ultimi non possono essere esclusi. Di fatto sono o cercano di essere, queste feste, un momento culturale rilevante ma non più l’unico e insostituibile, anzi spesso sono caratterizzate da una tensione sperimentale e opzionale (modelli differenziati).
È tramontata anche la capacità di aggregazione, se si eccettua rarissimi casi (come per esempio la festa del Palio a Siena).
La festa tradizionale, espressione di una unità sociale, quasi momento epifanico di una realtà latente nel quotidiano, ha ceduto il passo ad una parziale ricerca condotta con sforzo verso la stessa unità, che non risulterà mai totale. «Un altro degli elementi con cui la festa moderna deve fare perentoriamente i conti, e che pure la diversifica in modo radicale rispetto al passato, sono i mezzi di comunicazione di massa. Questi da un lato aprono un enorme campo di interessi per gli aspetti ludico-spettacolari della cultura e rivestono un’importanza fondamentale nel sollecitare nelle masse (specie in quelle giovanili) esigenze di espressione e partecipazione culturale sul piano del gesto, della parola, del canto. D’altro lato, proprio l’unidirezionalità del loro messaggio, per non parlare poi di tutte le questioni connesse alla gestione capitalistica della loro emittenza, apre enormi problemi alle istanze stesse partecipative, per cui la risposta al messaggio dei mass media risulta, di nuovo, qualitativamente assai diversa da quella dei mezzi tradizionali di comunicazione orale» (C. Gallini, Le Nuove feste, in C. Bianco, M. Del Ninno, 1981, p. 108). Infine, nelle feste odierne è scomparso quasi del tutto l’aspetto comunitario della organizzazione, indubbiamente facilitato nelle feste tradizionali dalla periodicità e da una certa ripetitività. L’organizzazione di una festa oggi, e per l’enorme massa umana che spesso si vuole coinvolgere e per i problemi reali che è necessario affrontare a causa del rapporto che si viene a creare tra il pubblico di massa e i mezzi di comunicazione, è diventata responsabilità a volte manageriale. Ne deriva soprattutto un notevole iato tra emittenza e recezione del messaggio; situazione questa che crea una frustrante reazione, possibile noia e disagi di varia natura nei reali partecipanti.
La fine delle feste. Per rendersi conto dei «perché» e dei motivi culturali che possono aver portato a questo dato di fatto è utile considerare, pur sommariamente, quali mentalità e quali influenze di realtà concrete abbiano condizionato e influito sul cambiamento.
Nel fare questo tipo di lettura diacronica è importante avere presenti le due concezioni principali con cui si è letta la festa nella riflessione moderna sotto l’angolatura socio-antropologica: a) lettura funzionalistica; b) lettura ontologica.
a) Lettura funzionalistica. Questo approccio, seguito e dalla scuola sociologica e dall’antropologia funzionale e storicistica (per esempio i contributi di E. Durkheim; H. Hubert e M. Mauss; R. Caillois; J. Duvignaud; L. Lanternari; A. Rossi; C. Galiini; L. M. Lombardi Sartriani) s’industria a mettere in rilievo i rapporti che si instaurano tra le strutture economico-sociali e i dati spirituali e materiali che strutturano una determinata cultura. La festa è stata utilizzata come mezzo per indagare e conoscere i cosiddetti «primitivi» ed esperienze tradizionali.
b) Lettura ontologica. Questa via, seguita dalle correnti irrazionaliste e fenomenologiche (per esempio le interpretazioni di G. Van der Leeuw; M. Eliade; L. Frobenius; A. Jensen; K. Kerényi e J. Huizinga), considera la festa «in sé», nella sua essenzialità metastorica. Nelle analisi è tralasciato ogni riferimento alla qualificazione sociale del fenomeno mentre si sottolinea l’esperienza personale («Erlebnis») vissuta nell’ottica del mito e ritualmente.
Le due letture possono correre il rischio, e di fatto l’hanno corso, di considerare la festa come un mito originario ormai perduto, proiettando nel passato: come noi oggi vorremmo far festa. La carenza festiva odierna faciliterebbe la costruzione gnoseologica di quei modelli genuini ed espressivi nella loro fondamentalità che sarebbero esistiti tra i «primitivi» o nelle feste tradizionali. Pur con questa attenzione non si può non rilevare storicamente una specie di entropia sul senso della festa e della sua celebrazione. Si suole situare nella seconda metà del XVII secolo la preminenza irreversibile del lavoro sul tempo libero. Dopo i periodi delle «feste continuate» individuabili sia nell’età rinascimentale con le sue feste mitologiche, in cui ci si dissimulava dietro il proprio passato con maschere simboliche per aprirsi meglio al presente e al futuro; sia nel periodo barocco, con la sua preoccupazione di trasformare tutta la realtà visibile, compresa quella economico-produttiva, in festa; si giunge al ridimensionamento implacabile della componente festiva, operazione portata avanti dall’assolutismo monarchico, dal clero, dagli «illuminati» razionalisti che vedevano nel lavoro e nella produzione il vero utile. Il processo storico non è stato chiaramente lineare. Già prima del secolo XV risulta, dagli stessi concili o sinodi diocesani, la preoccupazione di diminuire le feste perché troppo numerose e non atte ad essere santificate propriamente. Successivo, ma determinante, l’intervento di Urbano Vili, con la Costituzione Universa (1627), in cui viene riservato al papa il diritto di stabilire le feste e di fatto le riduce limitandone il numero. Tuttavia ancora all’inizio del XVIII secolo, nella Roma pontificia vi erano ufficialmente centocinquanta feste, comprese le domeniche e, nonostante la corrente giansenista che cooperò alla loro diminuzione, nel 1770 se ne potevano contare centoventi di precetto, con astensione dal lavoro, senza contare le feste stagionali di una parrocchia o di un quartiere. Ma la transizione sarà inesorabile e la lotta tra un’attività di scambio e di dono e l’economia di mercato e la logica capitalistica del profitto segnerà la vittoria di quest'ultima. E si individua nella Rivoluzione francese l’acme della transizione e della esplosione della lotta del passaggio dalla festa tradizionale alla festa moderna. J. J. Rousseau aveva teorizzato, alcuni decenni prima della Rivoluzione, l’importanza del mantenimento e della propagazione della festa in quanto evento da auspicare dal punto di vista anche politico, coinvolgente la collettività e quindi fondazione della sua identità. Tra il 1789 e il 1799 la festa rousseauiana viene manipolata, scade in festa ideologizzata in cui l’unanimità della collettività non è più espressione «spontanea» bensì unanimità ideologica (per esempio la festa dell’Essere Supremo, 8 giugno 1794). «Lo smembramento dell’idea di festa in dottrine multiple riduce la festa stessa alla relatività.
Ma si tratta di una relatività sempre contestata e mai ammessa. Il che vuol dire che ormai si assisterà a delle feste in briciole (en miettes). La dispersione è tanto più notevole in quanto concerne tutti i paesi europei: la festa cessa di voler realizzare l’impossibile utopia, o piuttosto lo cerca a volte, ma con derisoria sciatteria.
Frammenti spesso sordidi di un’utopia che credette di restituire all’uomo la comunicazione perduta» (J. Duvignaud, Fétes et civilisations, Weber, Paris 1973, p. 129). L’aspetto celebrativo-propagandistico di queste feste ideologiche influirà anche nelle grandi feste ufficiali dei regimi totalitari e nella impossibilità di avere, soprattutto oggi, vere feste rivoluzionarie. Sembra che la rivoluzione stessa diventi o esploda brevemente come tempo festivo (per es. il Maggio ’68 e il 1977 con le rivolte studentesche, per non ricordare la Comune del 1871 o il 1917 in Russia), attuando il passaggio immediato — senza mediazioni — dell’immaginario e della dimensione simbolica verso il reale.
Ritroviamo alcuni aspetti della festa ideologica anche nelle varie feste a carattere politico o di partito o di movimenti e una certa influenza in quelle stagionali di connotazione religiosa e cristiana: si coglie l’occasione della partecipazione comunitaria per instillare idee, principi etici, spesso moralistici.
Nel variegato evolversi del senso di far festa e della sua attuazione si è perduta progressivamente la «visione». L’oggetto della «visione» non c’è più, e i partecipanti non vedono ma si vedono vedere, nella impossibilità di avere la visione (F. Jesi). Si potrà ricorrere ad «autosuggestioni» di varia natura, a meccanismi organizzativi sofisticati, ma avendo perduta la visione, il ripiegamento sui partecipanti diventa un mero consumare, un tendere allo spettacolo, un favorire l’individualismo che isola.
2. Gli elementi costitutivi della festa
Siamo di fronte ad una esperienza festiva certamente ambigua.
Le società moderne e all’interno di queste anche le chiese cristiane, vivono sporadicamente e raramente in profondità la festa. L’analisi comparativa e storica, pur nella sua essenzialità, ha permesso di osservare come le difficoltà siano fondamentalmente nel cuore degli elementi strutturali e strutturanti la festa: il contesto, il soggetto e l’oggetto. Consideriamo questi tre aspetti nell’ottica di poterli successivamente riconsiderare dal punto di vista operativo, e con un ordine di convenienza.
2.1. L’organizzazione del tempo
Il carattere rituale di ogni festa manifesta la sua temporalità sia in riferimento al tempo festivo vero e proprio, sia riguardo alla ciclicità dell’evento. Il tempo è certamente uno degli aspetti fondamentali dell’ecologia della festa. In esso s’innestano altre caratteristiche determinanti, come per esempio la dimensione piacevole frutto della buona distribuzione dello stesso tempo e di una sua efficace organizzazione; l’organizzazione dello spazio, oscillante, anche storicamente, tra lo spazio chiuso o quello aperto, o ambedue. La festa è un modo di usare e utilizzare il tempo non solo in termini alternativi al lavoro ma anche a tutte quelle espressioni della vita, come le attività sociali e familiari che servono a vivere nelle pur diverse condizioni storiche, ivi compresi quei periodi che servono per ritemprare le forze in vista di nuove capacità lavorative. Più propriamente possiamo parlare in questi casi, di tempo libero che può avere una qualche riferenza connotativa alla festa, senza tuttavia far perdere a quest'ultima la propria identità o esaurirsi come tempo libero generalizzato. La festa è parte integrante dell’organizzazione sociale del tempo, essa si alterna a un tempo non festivo. Si potrebbe significare e qualificare come tempo «sacro» che comporta una sua indivisibilità e ripetitività e presuppone un tempo «profano» divisibile. La forma temporale festiva si trova a coesistere con una forma temporale altra. L’attesa del tempo della festa rende più acuto il desiderio di «far festa» e qualifica di tensione gioiosa il tempo festivo. Quest’ultimo nell’attualità del presente rinverdisce il ricordo del tempo festivo passato e apre al desiderio delle feste future: le feste si richiamano a vicenda. E questi sono alcuni aspetti che ritornano anche oggi nella esperienza, pur ambigua, del far festa. Il tempo festivo, potremo qualificarlo come un tempo liminole che presuppone una certa rottura con la forma temporale che lo precede, anche se essa contiene già istanze di festa, e che chiamiamo pre-liminare e conchiudendosi si apre ad una forma temporale, post-liminare. Nella liminarità l’esperienza del singolo e della società è aperta ad ogni potenzialità e ad ogni sviluppo, compreso anche l’istaurarsi di nuovi legami sociali spontanei o relativamente previsti. In questo senso il tempo festivo è creativo e produttivo, rigeneratore di forze e istanze latenti nella persona e nella comunità, anche se queste potenzialità si trovano ad essere minacciate dalla trasformazione in atto del tempo sociale, il quale tende ad essere vissuto fiscalmente, misuratamente, matematicamente, sempre più «tempo del mercante». Ne consegue che, tra questa concezione diffusa del tempo e la relativa percezione del singolo soggetto, la mediazione del tempo festivo vero e proprio è assai ridotta.
2.1.1. I calendari
Nondimeno esiste ancora un concatenamento ciclico del tempo delle feste, riproposto dai calendari sia civili che religiosi.
L’origine del calendario è probabilmente di natura religiosa anche se essi presentano aspetti e particolarità assai complessi e di varia estrazione. In quanto oggetti esprimono la funzione di cosmicizzare il tempo nel senso di organizzare un cosmo, un mondo possibile da raffigurare, tramite numeri ritmi e rapporti. Il tempo viene così ad essere ritmato più che misurato.
«Anche il calendario ebraico-cristiano rappresenta una sintesi di stratificazioni, leggendo le quali è possibile cogliere la compresenza di elementi diversi, astronomici e religiosi, secondo una mentalità che non distingue questi elementi... L’asse del tempo è carico, quindi, di connotazioni diverse e la misura del tempo in realtà è ritmo ciclico dell’alternarsi delle stagioni, ritmo liturgico della ripetizione degli avvenimenti sacri, è ritmo dell’esistenza con la complessità delle sue attività e con l’indicazione dei tempi di riposo perché sacri» (A. Ales Bello, Analisi fenomenologica del tempo calendariale. Gli almanacchi, in Religioni e Società, 4 [1987] 110). La festa ha una singolare incidenza riguardo alla scansione ritmica: riconduce la tensione insita nel ciclo calendariale verso un vissuto qualitativo che può anche restare tale sul piano della proposta, ma permane come potenzialità indiziale e orientativa.
2.1.2. Aspetti ludici
Con il termine «ludico» si intende designare quelle dimensioni legate al tempo della festa che comportano una certa fruizione di piacere. Il piacere è presente anche nelle feste tristi, per esempio nel fatto di ritrovarsi assieme. Esso deve essere considerato una componente caratterizzante e qualitativa del tempo festivo: «senza senso di festività non vi è festa» (K. Kerényi).
È opinione assai diffusa mettere in relazione il piacere festivo con la trasgressione delle regole che sono alla base della socialità umana e quindi del comportamento interpersonale e comunitario. Non si può aprioristicamente escludere che nella festa vi possano essere aspetti trasgressivi, ma non è possibile neppure ridurre tutto alla trasgressione. Si creerebbe uno stato angoscioso, invivibile, senza parametri referenziali. La trasgressione delle leggi sarà sempre una trasgressione regolata; la presenza degli elementi di disordine non è fine a sé stessa ma in vista di un ordine diverso. L’intensità festiva, l’effervescenza gioiosa, l’atmosfera che comunica piacere nasce dalla percezione che aspetti della vita quotidiana mal vissuti, come rapporti interpersonali, convivialità, tempo dedicato allo spirito..., trovano un loro sbocco e sono armonizzati. Tra il tempo del quotidiano e quello della festa vi è reale differenza, ma tutto non è lasciato all’emotività e alla parcellizzazione arbitraria così da creare opposizione. Si parla volentieri del tempo festivo come possibilità di «totalità». «L’aspetto trasgressivo della festa va dunque visto come un riflesso della sua caratteristica fondamentale, che è la creazione di una totalità trasparente di rapporti. Se nella festa le separazioni cadono e il caos sembra talvolta infiltrarsi nel cosmo, non è perché la festa è la negazione dell’ordine, ma perché rappresenta l’ordine come totalità: bisogna dunque che ne faccia parte anche ciò che nella vita quotidiana è messo da parte come pericoloso e rifiutato come disordine. Se l’essenza della festa consiste nell’esperienza immediata e senza ostacoli di rapporti che non è lecito o non è facile percepire nella realtà quotidiana, si deve supporre che il piacere, che le è sempre associato, sia prodotto da quest’esperienza» (V. Valeri, Festa, in Enciclopedia VI, Einaudi, Torino 1979, 96).
Le varie attività festive rientrano nella dinamica ora descritta. Esse le potremo chiamare ludiche nel senso di attività gratuite.
Nel tempo della festa ciò che viene compiuto è, spesso, senza finalità immediate e senza utilità funzionale. Sono in-utili se non soggiacciono ad un mero consumo, ma sono capaci di creare quel clima di piacevolezza che in definitiva permette la maturazione personale e sociale. Come il gioco di un bambino che in sé e per sé non ha alcun scopo, ma è la via fondamentale per condurlo ad uno sviluppo di maturazione. Già R. Guardini, parlava in questo senso della liturgia nel ben noto Cap. V de Lo Spirito della Liturgia. Certamente il momento celebrativo liturgico è un tempo singolare in cui la in-utilità, anche ai fini del clima festivo generale comunemente inteso, è evidente o almeno lo dovrebbe essere. Oppure la sua gratuità è un apporto essenziale alla festività, pur apparendo un tempo singolare nel tempo festivo generale. Ma le espressioni tipiche di ogni singola festa, come possono essere i giochi, il tempo trascorso assieme e lungamente nella convivialità, le manifestazioni proprie alla circostanza come (sfilate carri allegorici, cortei musicali, rappresentazioni, mettersi il vestito festivo...), a loro modo concorrono con la loro gratuità alla creazione di una realtà «benefica». Probabilmente le attività ludiche odierne non sono un dato immediato dell’organizzazione del tempo festivo. La loro preparazione richiede forse più attenzione che nel passato, perché sia salvaguardata la caratteristica di in-utilità o gratuità.
2.2. Il soggetto della festa
Il singolo può certamente mettersi in festa da solo. Far festa a sé stesso. Ma una festa fatta e vissuta da uno solo risulta estremamente riduttiva. Assente il concorso degli altri, dei segnali convenuti, del tempo festivo generale, delle attività ludiche singolari, il singolo è obbligato a ripiegare su sé stesso. In definitiva può vivere unicamente del suo immaginario e quindi non aprirsi al reale. Per far festa è fondamentale il concorso di molti; la collettività è il soggetto della festa. Attraverso di essa il festivo si propaga e si diffonde e acquista senso la festa stessa. Il singolo è sollecitato a mettersi in festa e a «far corpo» con gli altri. Non si esclude che un piccolo gruppo o piccoli gruppi o singole persone abbiano un ruolo determinante, ma la loro azione è finalizzata alla collettività. Parlare di collettività non s’intende la presenza massiccia di una società. Si può distinguere feste proprie a gruppi particolari (per esempio: festa patronale di un villaggio o di una città, feste di un gruppo religioso, di una famiglia...) o feste di aree geografiche più vaste (territorio nazionale; più nazioni...). L’insieme delle persone convergono verso un’unica realtà, pur con espressioni molteplici e diversificate, pur con ritmi, regole e scansioni del tempo loro propri che però facilitano la convergenza. Il convenire insieme facilita il partecipare, il partecipare esplicita il ruolo del soggetto festivo. Esso si manifesta e conferma la funzione di agente essenziale.
2.3. L’oggetto della festa
Tempo, spazio, soggetto, aurea festiva, costituiscono un campo simbolico che permette di celebrare l’oggetto della festa. Quest’ultimo non è unico. Eventi, avvenimenti, fenomeni cosmici, uomini o Dio... possono essere oggetto della festa. L’oggetto ha la forza di galvanizzare o «condizionare» il soggetto, lo sollecita e lo indirizza. Direttamente o indirettamente l’oggetto stimola una convergenza che è più o meno intensa a seconda dell’interesse che l’oggetto può suscitare. Dall’oggetto della festa scaturisce una tensione che si irradia, come da un nucleo misterioso, tensione che i soggetti gestiscono ma ne sono anche gestiti. Gli eventi parziali che costituiscono la festa sono riconducibili all’oggetto, evento centrale, immagine profonda che lega gli eventi parziali fra di loro; probabilmente vi sarà vera dinamica e osmosi tra evento ed eventi se il primo contiene motivazioni festive profonde, se instaura possibilità di relazioni tra microcosmo e macrocosmo, se vi è stata penetrazione culturale. Un caso singolare a questo riguardo, almeno in occidente, è la festa del Natale, in cui confluiscono le caratteristiche segnalate e il fascino tipico dell’aura festiva che nasce da scontri incontri del nucleo dell’oggetto con le realtà che lo attorniano (per esempio: modernità-arcaicità; luce-tenebre; infanzia-maturità; umanità-divinità...). L’oggetto, però, non è dato una volta per tutte e incondizionatamente. L’oggetto va trovato, svelato, messo in risalto, Esige una vera iniziazione, che a volte può essere spontanea o progressiva, nella sua ripetitività ciclica o annuale (per ogni ritorno della festa). Indubbiamente ci si deve preparare a far festa. Gli spazi lasciati alla improvvisazione sono necessari, ma tanto più efficaci se i soggetti si sono adeguatamente e intensamente preparati a entrare nel nucleo dell’oggetto festivo. Dovrà essere chiaro che la preparazione al celebrare l’oggetto coinvolge tutto l’uomo-donna, interiorità ed esteriorità, spirito e corpo. «L’intensità della preparazione materiale è anche una concentrazione sugli elementi, i segni, i significati, il senso della festa» (G. Scabia, Fare la festa, in Rivista Liturgica 70-1 [1983], 63).
3. La festa cristiana
Ogni festa ha una sua propria identità e caratteristica, anche se queste non sono sempre omogenee. La mescolanza odierna tra festa religiosa e laica o civile può creare reali disorientamenti. Nel tempo festivo in cui si celebra un oggetto ben preciso è sempre possibile mettersi in festa con altre motivazioni, come si è già rilevato. Finché si resta in ambiti ristretti o occasionali le interferenze hanno una influenza probabilmente relativa. Al contrario, sul piano più vasto, l’influenza diventa assai problematica. Si pensi, ad esempio alla coincidenza, in vaste aree geografiche, della celebrazione della Pasqua cristiana con le vacanze di primavera. L’approfondimento e la riproposta delle identità costitutive la festa è estremamente positivo. Per la festa cristiana, lo riteniamo essenziale e salutare, in un periodo tipico di passaggio da una cultura occidentale di cristianità ad una cultura ben più variegata e complessa. Inoltre è fondamentale fugare un sentimento diffuso di rivendicazione malintesa che vorrebbe identificata nella festa cristiana la celebrazione della vita. È chiaro che non si può celebrare senza coinvolgere tutte le possibili espressioni della vita. Ma il cuore della festività è l’evento Gesù Cristo, figlio dell’uomo e figlio di Dio; il nucleo referenziale assoluto è una persona, il Vivente.
3.1. L’evento Gesù Cristo, oggetto della festa cristiana
Nella prima rivelazione, così come ci viene tramandata dalle pagine dell’A.T., Dio stesso o gli interventi del Dio dell’Alleanza sono l’oggetto delle feste costitutive del popolo di Israele. La festa diventa progressivamente «memoriale» (Zikkàròn) della presenza dell’Eterno nella storia, della sua azione liberatrice e salvatrice. Memoriale di un passato reso presente in attesa di un compimento escatologico. Il popolo, la collettività è il soggetto di ogni esperienza festiva: beneficiario della salvezza e celebrante della medesima. Non in astratto: il soggetto è considerato costituito da singole persone che partecipano di ciò che viene ricordato e vi apportano il loro consenso. Nell’ultima e definitiva rivelazione, nel Nuovo Testamento, ciò che era maturato nella coscienza e nella prassi ebraica trova una singolare e assoluta puntualizzazione del tempo festivo. La risurrezione di Gesù Cristo, il Primogenito, è il punto focale tra il «già compiuto» e il «non ancora» portato a compimento. La oikonomia della salvezza trova nella Pasqua di risurrezione l’evento fondante e fontale di tutta l’esperienza cristiana, così come è stato ricevuto dalla Chiesa primitiva e tramandata alle generazioni successive. La Pasqua del Signore Gesù, sintesi dell’evento Cristo, è diventata il prototipo di ogni festa; da essa è nata ed è scaturita la successione delle altre feste cristiane. I cristiani non vivono mai nel tempo festivo la celebrazione di una cosa, o un’idea, o un oggetto tematizzato, o come si diceva, la vita, neppure la vita di qualcuno in sé stessa, come potrebbe essere quella di un santo o di una santa. Anche nelle feste tristi, l’oggetto non è la morte di qualcuno. È solo e sempre l’opera della salvezza del Signore Gesù. Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Liturgia «Sacrosanctum Concilium», sintetizzando la grande tradizione ecclesiale afferma: la Chiesa «Ogni settimana, nel giorno a cui ha dato il nome di “domenica”, fa memoria della Risurrezione del Signore, che ogni anno, unitamente alla sua beata Passione, celebra a Pasqua, la più grande delle solennità. Nel corso dell’anno poi distribuisce tutto il mistero di Cristo, dall’Incarnazione e dalla Natività fino alla Ascensione, al giorno di Pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore (n. 102). Nel dettato con ciliare troviamo anche il perché primo e ultimo dell’unico oggetto a fondamento della festa cristiana: «ricordando (recolens); i misteri della Redenzione, (la Chiesa) apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, in modo tale da renderli come presenti a tutti i tempi, perché i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia della salvezza» (SC, n. 102). Ma il mistero di Cristo, oggetto della festa, non ne è un suo nucleo astratto. Il poema della liturgia e d’Oriente e di Occidente canta, nelle festività particolari, la fede che l’evento celebrato avviene «hodie». Esso è riattualizzato soprattutto nella celebrazione eucaristica, fonte e culmine della vita della Chiesa. La celebrazione del Mistero Pasquale caratterizza inequivocabilmente la festa cristiana ponendo il proprio sigillo qualitativo e di grazia al tempo festivo.
3.2. La Chiesa, soggetto della festa cristiana
Dai testi della celebrazione liturgica che la tradizione ci ha tramandato, e dai testi odierni, espressioni del vissuto ecclesiale, troviamo che il soggetto della festa cristiana ha due accezioni complementari e inclusive. La «ecclesia» hinc et nunc radunata in attesa della venuta del suo Signore e vivente il suo Mistero è innanzitutto l’epifania più evidente di chi fa festa. L’assemblea cristiana, il popolo riunito nella fede è il soggetto primario. L’assemblea locale è tuttavia segno di una koinonia più vasta e reale: il popolo dei battezzati che sigillati dal dono dello Spirito costituiscono la ecclesia universale, la cattolica, che, sotto ogni orizzonte, cammina nelle vie del mondo incontro al suo Signore, in comunione con coloro che hanno preceduto tutti nel segno della fede e dormono il sonno della pace. Ma come per il popolo della Antica Alleanza così per quello della Nuova, la festa non coincide con la massificazione della collettività. Sempre e comunque comporta, o dovrebbe comportare per una esigenza intima e profonda dell’oggetto, la personalizzazione del tempo festivo. Il movimento dinamico che il soggetto dovrebbe instaurare è dalla persona all’assemblea festiva e dalla assemblea alla persona. Se deve esistere una preoccupazione per il soggetto in quanto composto di singole persone, è che giunga nelle persone l’evento di grazia. L’agire del soggetto non si esaurisce nel momento culminante della festa cristiana. Il tempo festivo oltre a comportare moltissime delle espressioni della festa in genere, si può colorare di altri momenti aggregativi di natura orante anche più popolari e soprattutto di momenti in cui lo scambio e il dono diventano continuazione di quella caritas sperimentata nell’assemblea festiva. Il soggetto ritrova quindi nella irradiazione della festa la sintonia più piena con l’oggetto. Il clima festivo di cui si deve fare portatore nonché collaboratore diventa incisiva, gratuita testimonianza dell’anticipazione di quella festa continuata nella pienezza del Regno.
4. La celebrazione della festa cristiana
Il forte desiderio di far festa, una quasi preoccupazione assai diffusa circa questa festa sempre più complessa e complicata, l’eredità culturale in cui il desiderio e la preoccupazione si trovano a convivere, rendono anche la teorizzazione di piste orientative ardua e necessariamente limitata. È opportuno rendersi conto previamente dell’utilità di una certa igiene mentale circa la possibilità del far festa o di organizzare la festa. Innanzitutto evitare la banalizzazione. Non riempirsi la bocca del: «siamo in festa»; di slogans «festivi» triti e consumati; la festa è nella sua essenza una realtà fragile e «seria». Secondariamente l’utopia festiva deve essere, in qualche modo controllata. Si celebra in maniera disincantata nel senso che bisogna essere ben consapevoli di non soggiacere a nostalgie o ad immagini di mitiche feste passate: i contesti sono radicalmente cambiati mentre le istanze e le pulsioni delle sempre nuove generazioni sono normalmente freschi. Coniugare questi due dati è certamente costruttivo.
Infine, sarà necessario riacquistare il senso del feriale in tutta la sua densità ed interezza. Tanto più vivremo il feriale come tale, tanto più la festa potrà essere vissuta nella sua densità.
4.1. Celebrazione-Festa: la preparazione
Lungo tutto l’anno liturgico siamo invitati ad incontrarci, in un clima altro dal feriale, nel giorno del Signore, in alcune solennità del Signore Gesù e della Vergine Maria, nonché, a seconda delle regioni o nazioni, di determinati santi. In questo ambito devono essere considerate le celebrazioni dei sacramenti, soprattutto di alcuni, per la loro caratteristica di coinvolgere nell’evento una collettività variegata in un clima festoso. Ricorda ancora SC, n. 102, la Chiesa «considera suo dovere celebrare l’opera della salvezza del suo sposo divino mediante una commemorazione sacra in giorni determinati nel corso dell’anno». Da come la stessa liturgia è stata, lungo le generazioni cristiane, organizzata dal soggetto della festa stessa, o dai suoi responsabili più diretti, ricaviamo una prima indicazione fondamentale, a cui abbiamo già accennato: preparare la festa. Sembra di assistere ad una strana entropia riguardo la preparazione classica recente. Alcuni tempi tradizionali sono saltati.
Una novena, un ottavario non funzionano più da ritmi di preparazione immediata. Invece sul piano di una preparazione diciamo «laica» o «civile», ciò che riguarda il clima o l’ambiente di alcune feste per esempio la preparazione al Natale; al 15 agosto; alle scadenze del mese di settembre o febbraio, i tempi sembrano essersi allungati. Le due grandi solennità annuali Pasqua (Triduo pasquale) e Natale, hanno ambedue un periodo di preparazione strutturato e ben organizzato dal punto di vista liturgico. Anzi all’interno di questi periodi vi sono tempi che preludono alla immediatezza della festa finale: 17-23 dicembre per il Natale, la settimana santa per la Pasqua. Potremmo definirli tempi naturali in cui entrare per poter entrare nella pienezza della festa. Dovrebbero essere considerati e valorizzati cogliendo il relativo «crescendo».
La messa in opera di segni, simboli, elementi, espressioni di varia natura, potrebbe seguire la strada di una mistagogia sapiente e calibrata: arte difficile, ma necessaria per togliere dal ritmo preparatorio ogni traccia di moralismo e svelare, al contrario, sempre più profondamente, il nucleo misterioso della festa cristiana. Sarà importante riscoprire anche la fatica di costruire assieme la festa, quale risposta responsabile all’oggetto donato. Vi sono feste che comportano un coinvolgimento di molte persone, pensiamo ad esempio ad una sagra paesana o al carnevale: preparazione spessissimo intensa, frutto di lavoro duro ed effettivo su più piani. Le grandi feste religiose devono passare per strade simili. Non possono restare in un ambito di aura unicamente spirituale. Naturalmente è inevitabile la prestazione di una sola parte dei soggetti, ed è a volte necessario per aiutare a fare sentire l’evento come parte della collettività.
Il coinvolgimento, in questa preparazione, dei giovani ha anche una funzione di profonda incidenza nella memoria personale: permetterà di intessere, nel ricordo esperienziale, il legame con le feste precedenti e legame con le feste future, ravvivando così il desiderio completo e profondo della festa per la vita.
4.2. Il giorno della festa
Il giorno festivo, non deve essere impari al ritmo preparatorio. Il momento della celebrazione della salvezza dovrebbe essere un tempo atteso e privilegiato. Il clima generale aiuterà molto o non aiuterà in altri casi, ma la celebrazione deve essere una particolare esperienza e vissuta come tale. Non sul piano emozionale o sentimentale o impulsivo né unicamente cerebrale o un fare fine a sé stesso, soltanto una esperienza di incontro con il mistero di Dio tramite la mediazione del campo simbolico e dell’assemblea. L’esperienza passa così obbligatoriamente attraverso la luce, il colore, il profumo, il canto, il suono, il movimento, il vedere... aspetti armonizzati tra di loro con rispetto di ogni elemento ma anche con l’inventività e la novità del loro uso in riferimento alla tipicità di quella particolare festa che si celebra. Gli aspetti etologici ed ecologici non sono facili ad essere gestiti. Hanno in sé una componente che è rituale: entrano nella celebrazione con una caratterizzazione che si tramanda con forza e serve a rimmemorare dimensioni proprie dell’evento; il pericolo, tuttavia è la sclerosi e il banale ripetersi. Uno spazio concepito con barocchismo o contenitore di vecchiume non aiuterà il soggetto a vivere se non un estraneamento improprio alla celebrazione.
Non si pensi, d’altra parte, che l’uso di multimediali o soluzioni tecniche, perché novità, risolvano magicamente il problema. L’uso di apparati tecnici è di una delicatezza estrema ed esige massima accuratezza e sobrietà.
L’esperienza del soggetto non riguarda soltanto l’oggetto ma anche sé stesso. Non dovrebbe essere minore l’intensità che serve a cementare la collettività nei suoi singoli, a favorire lo scambio, a permettere una comunicazione più intensa del normale. Nella festa la ecclesìa può rafforzarsi nella sua identità umana e spirituale. Per sua natura una celebrazione deve concludersi ritualmente. Ottimale è invece un tempo prolungato dopo la celebrazione dove sia possibile l’esperienza del gioco, dell’incontro informale, di consumo assieme di ciò che tutti hanno portato o preparato. Si passerà la soglia del tempo festivo della celebrazione per aprirsi al clima generale della festa. I legami umani che hanno trovato nella fede una loro prima base, hanno la possibilità di essere rafforzati. Anche i legami generazionali in questo periodo di tempo dovrebbero essere favoriti. Accorgersi del «vicinato» immediato è il primo passo verso il «vicinato» più vasto. Rientra nell’organizzazione festiva avere cura dell’impegno caritatevole e del prolungamento della gioia nei confronti di chi si trova nella necessità. Il tempo interstiziale della festa cristiana coinvolge in questo modo anche il limite delle creature umane favorendo un’esperienza più completa.
Bibliografia
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FESTA
1. Una prospettiva pedagogica della f. ha come necessario punto di partenza un duplice approccio disciplinare: antropologico (cioè il modo con cui nella tradizione e nella storia se ne è vissuto ed espresso il senso), e sociologico (che ne esamina le modalità e le funzioni nella società attuale). Approcci che interagiscono poi con la propria concezione filosofica e valoriale di uomo. Iniziamo con l’accostamento antropologico. Il fenomeno f. rimanda, già nella stessa terminologia e nel linguaggio corrente, a una serie di fatti che indicano almeno due grossi ambiti semantici, uno di tipo più religioso (rito, celebrazione, tempo, calendario, solennità, sacro, liturgia... significati richiamati dall’aggettivo «festivo»), l’altro più laico e quotidiano, dei tempi «normali» (allegria, gioia, gioco, tempo libero, vacanza, spettacolo... significati richiamati dall’aggettivo «festoso»). Di comune ad entrambi vi è almeno l’elemento della sospensione dal lavoro e dalla fatica dell’abitudinarietà. Nel primo ambito la f., come rito periodico che coinvolge la comunità, è colta nella storia delle religioni come il riaggancio al tempo primitivo e agli atti fondatori della divinità che rigenera il tempo e il mondo (capodanno, pasqua e sabato ebraici, pasqua cristiana...), e dunque come la re-immersione periodica dell’uomo nella vitalità e nell’offerta di senso che è il sacro, da cui viene rimandato poi alla fatica della vita quotidiana e sociale e alla sua esigenza di progettualità. La f. dunque come tempo del sacro. Nel secondo ambito la f. si ridisegna come tempo del gioco, ambito estraneo al mondo del lavoro (terreno della necessità, dell’organizzazione, della razionalità strumentale), e come territorio del gratuito, delle attività fruitive, delle cose che non hanno uno scopo ma un senso, quasi di sospensione dalla realtà e dai bisogni. La f. dunque come tempo del gioco.
2. L’analisi sociologica, come complementare accostamento al fenomeno f., permette di individuare, nel mondo moderno o postmoderno, da una parte il bisogno e la riscoperta della f. nelle tante manifestazioni e linguaggi in cui si esprime (specie giovanili), soprattutto nel suo senso di opposizione al quotidiano e al lavoro (→ tempo libero); dall’altra il suo svuotamento di senso (soprattutto religioso) e il suo tradursi in angoscia. Da cui il tentativo di surrogarlo col → consumismo e la manipolazione dei → bisogni. Il tempo «libero» rischia così di trovarsi già «occupato» dalle mille proposte o imposizioni della produzione capitalistica. Il «bisogno» di f. e di risignificazione di essa viene colto oggi – al di là del richiamo religioso – anche dal mondo dei laici più sensibili attraverso una nuova analisi della situazione dell’uomo nell’epoca della tecnica e della razionalità strumentale. Appiattito nella sua identità dall’attività lavorativa, divenuta l’unico indicatore della sua riconoscibilità, l’uomo sembra in grado di conoscersi e riconoscersi a partire unicamente dalle sue capacità in termini di funzionalità ed efficienza, in un epocale passaggio dalla marxiana alienazione «nel» lavoro all’alienazione «da» lavoro. La f. allora, qualora se ne ricuperi il senso anche nel silenzio, nella contemplazione e nel riposo, dunque nella presa di distacco dall’appiattimento nella prestazione, può essere quell’àncora di salvataggio che permette all’uomo di ricuperare «il cuore», di ri-accedere alla sua interiorità.
3. In questo quadro di riferimento e di contestualizzazione, si ripropongono alcune mete di ricupero e risignificazione della f., per la riumanizzazione dell’uomo. a) Ritrovare la gratuità del necessario. Se la f., istituendo l’ordine del mondo, immette la circolazione di senso dentro la vita, essa permette di scoprire nella progettualità e fatica del quotidiano, nella necessità e durezza della vita, quell’elemento di ordine e di giustizia che è il «di più» della vita stessa, che diversamente resterebbe chiusa nell’orizzonte della razionalità allo scopo della lotta ai bisogni e per la sopravvivenza. In altre parole tutto ciò significa ritrovare la bellezza delle dimensioni elementari della vita, che l’uomo corre il rischio di scartare trovandole scontate. b) Riscoprire la necessità del gratuito. La possibilità di ricchezza della società di oggi permette di sviluppare ciò che è intrinsecamente gratuito (il festoso), nella fruizione di ciò che è buono e bello, al di là dell’agire per necessità. Queste sono attività che, pur non essendo necessarie per sopravvivere, sono necessarie per «vivere», e dunque non possono essere classificate nel «superfluo». La direzione di queste attività che aprono a tipi diversi di relazione, può essere triplice: un rapporto contemplativo con la natura, un rapporto rammemorativo (che rinnova il passato facendone memoria) con i prodotti dell’uomo nella storia (beni culturali), un rapporto di fruizione reciproca nel convivere umano (convivialità).
Bibliografia
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G. Denicolò