EVANGELIZZAZIONE

Joseph Gevaert

 

1. Intenzione generale

1.1. Un termine complesso

1.2. Giovani non cristiani

1.3. Giovani in situazione di prima evangelizzazione

1.4. «Cristiani» non evangelizzati

2. La prima evangelizzazione in una crisi

2.1. Il sistema tradizionale di prima evangelizzazione

2.2. L’inadeguatezza della formula tradizionale

3. Fattori e contenuti dell’evangelizzazione

3.1. Rapporti personali con i cristiani convinti

3.2. Esperienza sanatrice e liberante

3.3. Le domande profonde dell’uomo

3.4. Demitizzare e abbandonare gli idoli

3.5. Convertirsi al Dio vivente

3.6. Valorizzare le motivazioni della fede

3.7. L’annuncio esplicito di Cristo

3.7.1. La domanda orientativa

3.7.2. Il messaggio cristiano o l’annuncio evangelico

3.8. Fede e conversione

 

1. Intenzione generale

 

1.1. Un termine complesso

A partire dal Sinodo dei vescovi del 1974, seguito dal documento di Paolo VI​​ Evangelii nuntiandi​​ (1975), il termine evangelizzazione è legato a significati molto ampi e non facilmente combaciami tra loro.

In un senso amplissimo l’evangelizzazione si riferisce al compito globale della Chiesa e del cristianesimo; far conoscere Cristo a tutti gli esseri umani; far scoprire Cristo come luce del mondo. I problemi centrali sono; come presentare Cristo al mondo d’oggi? Quale dialogo fare tra il Vangelo e le grandi religioni non cristiane? Quale rapporto esiste tra l’annuncio di Cristo e le grandi imprese di liberazione sociale e politica? Le tradizionali attività delle missioni (dei cattolici e delle altre confessioni cristiane) sono vie adeguate per portare Cristo al mondo? ecc.

In un senso ancora molto generale si parla di evangelizzazione delle culture; bisogna portare i valori evangelici nelle diverse culture con l’intento di trasformare queste culture e dare loro una maggiore conformità con i principi evangelici. Frequentemente evangelizzazione e inculturazione diventano parole abbinate.

Ha riscosso successo l’espressione dell’evangelii nuntiandi​​ secondo cui solo una Chiesa evangelizzata può evangelizzare. L’evangelizzazione in questa accezione si riferisce a un alto livello di assimilazione del Vangelo nella vita delle comunità cristiane e dei singoli cristiani che la compongono. L’evangelizzazione non si riferisce all’annuncio della fede, ma alla piena realizzazione, alla maturità della fede cristiana, alla piena trasformazione della vita per opera del Vangelo.

In un senso ancora molto ampio, ma comunque già specifico, il termine evangelizzazione è spesso usato come sinonimo di catechesi e formazione cristiana. L’evangelizzazione dei giovani comprende l’intero processo di formazione cristiana dei giovani credenti. Vengono in primo piano i problemi di contenuti e di metodologia catechetica che caratterizzano il periodo giovanile. Le indicazioni essenziali su questa problematica figurano solitamente sotto voci quali «catechesi dei giovani», «pastorale dei giovani», «scuola cattolica ed evangelizzazione», ecc.

Tutti questi significati, molto rispettabili in sé e indispensabili per la missione della Chiesa, non rendono superfluo e obsoleto il significato originario e specifico di evangelizzazione, vale a dire l’annuncio del messaggio evangelico a singole persone in vista della fede in Gesù Cristo e della conversione al Vangelo. In questa accezione, che ha radici nel NT, evangelizzare significa lavorare, preparando e realizzando rincontro esplicito con il messaggio evangelico in modo tale che sia reso possibile l’atto di fede e l’adesione al Vangelo. Il presente articolo si occupa di questa accezione specifica del termine evangelizzazione.

L’introduzione del termine evangelizzazione nei paesi occidentali e specificamente nell’incontro con i giovani di oggi — dopo un lungo periodo in cui tale termine sembrava riservato all’opera dei missionari in continenti o culture non cristiane — indica in genere la preoccupazione che l’azione della Chiesa non può limitarsi ai soli giovani cristiani, ai quali vengono resi diversi servizi di formazione e di catechesi, ma deve rendere possibile l’incontro con il Vangelo a giovani che di fatto non hanno la fede cristiana.

Indica pure che con i soliti contenuti e metodi della catechesi non si riesce a risolvere questo specifico compito dell’evangelizzazione. Più in là si insiste sull’idea che i nuclei centrali dell’evangelizzazione dovrebbero ricevere maggiore attenzione anche all’interno della catechesi dei giovani.

Per distinguere questa specifica forma di evangelizzazione in vista dell’adesione di fede e della conversione, si parla preferibilmente di prima evangelizzazione. Si usa anche parlare di evangelizzazione iniziale o di preparazione al Vangelo, e non già di «preevangelizzazione», per caratterizzare l’insieme dei preparativi che solitamente precedono l’annuncio esplicito di Cristo.

 

1.2. Giovani non cristiani

Il termine evangelizzazione si riferisce anzitutto al fatto che si incontrano oggi giovani che non hanno la fede cristiana. Anche nelle attività organizzate e patrocinate dalla Chiesa, per es. nell’insegnamento religioso scolastico, si incontrano giovani che di fatto non hanno la fede cristiana.

Non si tratta soltanto di cristiani di periferia o di cristiani marginali (certamente numerosi) che praticamente non partecipano alla messa domenicale o alla vita sacramentale, oppure che prendono le distanze nei confronti di alcuni punti dell’etica cristiana. Si tratta specificamente di persone che non hanno la fede in Gesù Cristo, di persone quindi che non credono nel cuore e non professano con la bocca che Gesù di Nazaret è il Cristo e non aderiscono al Vangelo come speranza fondamentale dell’uomo e norma orientativa della vita.

È probabile che molti di questi giovani vivano qualche forma di fede in Dio o di fiducia in qualche istanza di bontà che presiede all’universo e in particolare al destino dell’uomo. Molti consumano anche diverse forme di religiosità non cristiana (di diversissima provenienza), che in qualche modo appagano la ricerca egocentrica e narcisistica (religione come fattore di protezione, di felicità, di sicurezza, di fiducia...). Non mancano però persone che sono scarsamente interessate a tutta la problematica religiosa e vivono senza preoccuparsi in modo rilevante del rapporto con Dio.

Il problema che si pone alla Chiesa di fronte a questi giovani non è primariamente quello legato all’immagine tradizionale di pastorale giovanile: iniziazione cristiana, catechesi, catecumenato, sacramentalizzazione, scuole di spiritualità, palestre di impegno cristiano (diaconale, sociale, apostolico). Il problema è di creare i presupposti e le condizioni concrete perché questi giovani possano incontrare effettivamente il messaggio cristiano e impostare la propria vita sulla fede in Gesù Cristo e secondo gli orientamenti del Vangelo.

 

1.3. Giovani in situazione di prima evangelizzazione

Una categoria piuttosto numerosa è costituita da giovani che non sono usciti dalla situazione di prima evangelizzazione oppure sono in qualche modo ricaduti in questa situazione. Generalmente si tratta di giovani che hanno ricevuto elementi di prima evangelizzazione in famiglia e sono stati sacramentalizzati secondo gli abituali schemi della catechesi dei fanciulli. A livello personale non hanno percepito di che cosa si tratta essenzialmente nella fede cristiana e non sono passati al di là della soglia di una scelta personalizzata di fede cristiana. Nell’insegnamento religoso scolastico (sopratutto nelle scuole statali, ma senza escludere in blocco quelle cattoliche) s’incontrano molti giovani appartenenti a questa categoria, come pure nelle attività giovanili oratoriane.

In essi non manca una certa «disponibilità» per il problema religioso, anche se la coltivano poco. Generalmente il primo orientamento verso il cristianesimo, che portano con sé dalla fanciullezza, deve fare i conti con le potenti sollecitazioni del dubbio religioso (il problema di Dio in primo luogo; il problema della teodicea: male e sofferenza; il problema delle scienze e della tecnologia; l’insignificanza del linguaggio religioso...) e con fattori sociali che spingono all’abbandono della fede cristiana o comunque lo favoriscono.

 

1.4. «Cristiani» non evangelizzati

Paradossalmente esiste anche una categoria di giovani che si presenta come «cristiana» o «cattolica», ma che in realtà è fortemente bisognosa di prima evangelizzazione.

Si tratta di quella categoria che eredita dalla famiglia e dall’ambiente una religiosità, chiamata fede cristiana, ma incentrata su elementi che nel cristianesimo sono secondari o marginali, per esempio la religiosità incentrata sui santi, su «grazie» e favori, ecc. Le realtà centrali del cristianesimo (il piano di Dio per l’uomo, Gesù Cristo e il suo Vangelo, il dono dello Spirito di Dio, ecc.) hanno scarsa rilevanza e sono quasi ignorati. La pietà è spesso sincera, ma solo nominalmente cristiana. Non è segnata dalla professione fondamentale del cristianesimo: credere nel cuore e professare con la bocca che Gesù è il Cristo.

 

2. La prima evangelizzazione in una crisi

La situazione di molti giovani che non aderiscono alla fede cristiana è almeno in parte legata a una situazione di crisi in cui la prima evangelizzazione è venuta a trovarsi nelle cristianità occidentali. Ciò ha come conseguenza che diversi giovani non vengono più a contatto con il messaggio evangelico o lo incontrano in un modo troppo difettoso perché possa essere una vera proposta di vita.

 

2.1. Il sistema tradizionale di prima evangelizzazione

Da secoli, nel mondo occidentale, il primo annuncio della fede cristiana in vista della fede e della conversione è affidato alle famiglie cristiane. Per secoli la Chiesa si è limitata a organizzare un sistema integrativo di catechesi, in cui le conoscenze della fede erano focalizzate. Il sistema ha funzionato in modo soddisfacente entro una società cristiana. In che cosa consisteva generalmente la prima evangelizzazione tramite la famiglia cristiana? Schematizzando una realtà viva e complessa, si possono segnalare i seguenti elementi di evangelizzazione. Prima di tutto una educazione religiosa elementare: senso e invocazione di Dio; simboli religiosi fondamentali; attenzione alla serietà e alla brevità della vita che non trova il proprio senso nella storia; Dio ricompensa il bene e il male al di là della morte... In questa cornice l’annuncio centrale del Vangelo: l’amore e la misericordia di Dio che vengono offerti e manifestati in Gesù Cristo; chiamata dell’uomo a essere figlio di Dio, nell’amore di Dio, nella carità verso il prossimo, nella speranza della vita eterna. Elementare professione di fede, soprattutto tramite le preghiere cristiane. Partecipazione graduale alla fede vissuta e praticata nel contesto della vita quotidiana. Apprendimento di atteggiamenti e comportamenti ispirati al Vangelo...

In modo reale si poteva dire che il fanciullo che verso i dieci anni andava al catechismo parrocchiale era già un piccolo cristiano. Generalmente la scelta di essere cristiano, o almeno la prima scelta o il primo orientamento in questa linea, non era determinata dal catechismo, ma presupposto per partecipare con frutto al catechismo.

La radice o la fonte della trasmissione della fede da una generazione all’altra era precisamente questa prima evangelizzazione in famiglia, sostenuta da un ambiente cristiano.

 

2.2. L’inadeguatezza della formula tradizionale

La formula tradizionale della prima evangelizzazione tramite la famiglia cristiana rimane valida e va rinnovata. Ciò non ostante bisogna dire che essa è diventata inadeguata. Le ragioni sono diverse.

Vi è anzitutto il fatto che in molte famiglie la prima evangelizzazione non è più praticata. Gli stessi genitori sono poco cristiani: non praticano e non credono specificamente in Gesù Cristo, pur conservando forme generiche di religiosità e rispetto per l’educazione etica (che magari non seguono personalmente in tutto). Non si prega insieme, genitori e figli. Non vi è più una indicazione concreta di motivazioni di fede cristiana da parte dei genitori verso i figli, per es. in diverse circostanze gioiose o tristi della vita.

Non si può certamente generalizzare, perché vi sono anche famiglie cristiane in cui si realizza una vera prima evangelizzazione. Non si deve però ignorare che vi sono anche famiglie in cui non si realizza nemmeno la elementare educazione religiosa, oppure la si realizza in forma estremamente frammentaria.

In secondo luogo vi è il fato che la (debole) prima evangelizzazione della famiglia cristiana non viene più sostenuta dall’esterno, cioè da un ambiente fortemente cristiano che in qualche modo spinge nella direzione dell’appartenenza cristiana ed ecclesiale.

Al contrario, l’ambiente è dappertutto fortemente pluralista dal punto di vista religioso e ideologico. Chi non vive da cristiano generalmente non subisce censure sociali né riceve ripercussioni negative sul piano economico. Molte alternative non cristiane hanno un forte impatto sull’anima giovanile, o si accompagnano di una forte pressione pubblicitaria e sociale.

Nella stessa famiglia cristiana, tramite la TV, le riviste, le canzoni... molti elementi di pluralismo si trovano in una posizione di concorrenza rispetto all’influsso evangelizzante della madre, del padre o di ambedue i genitori.

In terzo luogo la tradizionale offerta di catechesi parrocchiale non risulta molto adatta a «supplire» la mancanza di prima evangelizzazione. Essa presuppone la fede in Gesù Cristo. Ma non è particolarmente concepita per un incontro con il messaggio evangelico dal quale può scaturire la fede e la conversione. Spesse volte essa è preoccupata delle verità più che della ricerca di una «via», di una «proposta» che viene incontro, in qualche modo, alla ricerca di salvezza nell’uomo. Essa parla un linguaggio che risulta poco comprensibile per coloro che sono ancora estranei alla fede in Gesù Cristo e non vivono nella partecipazione vitale di una comunità cristiana.

In quarto luogo vi è il fatto, relativamente nuovo, di una enorme distanza e sproporzione tra il mondo culturale (prescientifico) della famiglia, in cui ha avuto luogo una prima evangelizzazione a livello del fanciullo, e il mondo culturale assimilato a livello della scuola e delle nuove appartenenze giovanili (fuori dell’ambiente familiare). In questo contesto culturale così diverso rispetto a quello del mondo del fanciullo, il messaggio evangelico deve essere nuovamente presentato e incontrato, perché sulla base di esso si possa fare una scelta di fede e di conversione.

 

3. Fattori e contenuti dell’evangelizzazione

Che cosa implica l’attività cristiana che viene indicata con il termine «evangelizzazione»? Quali contenuti caratterizzano l’insieme di questa attività e permettono di raggiungere la finalità propria: incontrare il Vangelo di Gesù Cristo in vista dell’atto di fede e della conversione?

Va detto fin dall’inizio che «contenuti» non si riferisce a un programma di insegnamento. Non si tratta dell’indice di tematiche da svolgere in un ciclo di conferenze o in una serie di lezioni. Si tratta invece di momenti nevralgici di un’azione globale, di nodi che generalmente caratterizzano rincontro fecondo con il Vangelo. L’ordine viene presentato con una certa logica. Ma ciò non significa che nella pratica l’ordine sarà inevitabilmente lo stesso. Non significa necessariamente che qualsiasi gruppo di giovani dovrà essere trattato allo stesso modo. Ciò dipende enormemente dalla situazione dei singoli. Ci si limita qui a indicazioni che con maggiore frequenza si verificano nell’attuale contesto culturale e che in genere caratterizzano la trasmissione della fede nel mondo occidentale.

 

3.1. Rapporti personali con cristiani convinti

Nella quasi totalità dei casi rincontro con il Vangelo passa attraverso rapporti personali, o in piccoli gruppi, con cristiani convinti. «Venite e vedete...» (Gv 1,39). In questo modo il Vangelo si è diffuso attraverso la storia della Chiesa: partecipazione alla vita di genitori credenti; rapporti con cristiani laici che vivono il Vangelo e ne parlano; rapporti con un evangelizzatore o missionario, ecc.

In questi rapporti personali il Vangelo è presente in modo reale (vissuto), ma non tematico. La sua presenza è visibile e percepibile attraverso l’orientamento che esso conferisce alla vita personale e ai rapporti con gli altri. In qualche modo suscita l’interrogativo circa il mistero che questa persona porta in sé, per esempio la generosità nel servizio dei malati; la fedeltà nel compiere il proprio dovere di lavoro e di servizio; il coraggio, la serenità e la speranza nell’affrontare le esperienze negative e traumatizzanti della vita... Tutto ciò da sempre si chiama la «testimonianza del Vangelo vissuto».

A livello giovanile questo fattore emerge nella ricerca di un ideale di identificazione: la persona che in qualche modo incarna e realizza un modello di vita che appare «attraente» e «affascinante».

In riferimento alla cultura contemporanea, è utile sottolineare che il momento centrale del rapporto personale o interpersonale non può essere sostituito dai mezzi di comunicazione sociale: diverse forme di «propaganda» o di «diffusione» cristiana attraverso film, radio, TV, giornali e settimanali, ecc. Nemmeno dal libro. Quando si tratta di trasmettere il Vangelo e di aiutare qualcuno all’incontro di fede in Gesù Cristo e nel Vangelo, è meglio impegnarsi corpo e anima nella realizzazione di veri contatti e rapporti con i giovani.

 

3.2. Esperienza sanatrice e liberante

Il rapporto, di cui sopra, deve avere il carattere di un’esperienza sanatrice e liberante, che trova la sua radice o fonte di ispirazione nella fede cristiana di quelle persone con le quali si inizia a vivere un contatto di vita.

In che cosa può consistere l’esperienza sanatrice e liberante? Il Vangelo, ricorrendo a immagini bibliche, indica già una molteplicità di esperienze: i ciechi vedono, i sordi riacquistano l’udito, gli zoppi camminano... (Le 7,22). A livello del giovane l’esperienza sanatrice e liberante — segno della presenza operante del Vangelo — può essere ad es. quella di sentirsi ben voluto, di ricevere fiducia, di essere accettato, personalmente apprezzato, di incontrare qualcuno che si interessa di lui o gli vuol bene. Può essere l’esperienza di inserirsi in un contesto educativo che permette di realizzarsi come persona dignitosa, ecc.

In riferimento all’istanza che esalta la liberazione sociale, economica e politica, come se fosse l’unica prospettiva alla quale il giovane è sensibile, è importante rendersi conto che il più delle volte i fattori personali e relazionali hanno maggior peso per i giovani. Si deve comunque tener presente che l’aspetto sanante e liberante, che è un reale aspetto della presenza del Vangelo, è particolarmente apprezzato oggi, perché viene incontro alla ricerca egocentrica che è presente in molta religiosità. La religione è cercata per il vantaggio o l’utilità che può arrecare alla persona sotto forma di felicità, soddisfazione, tranquillità, pace, maggiore fiducia, ecc. Questo è d’altronde uno dei motivi di successo di molte sette cristiane che abilimente esaltano il momento sanatore e liberante: uscire dall’alcolismo; comportarsi da uomo onesto, ecc.

 

3.3. Le domande profonde dell’uomo

Soprattutto nella società occidentale, in cui i problemi fondamentali dell’uomo sono un po’ emarginati e scarsamente quotati nella «borsa dei valori», rincontro con il Vangelo di Gesù Cristo richiede la dovuta attenzione a questi interrogativi centrali dell’esistenza umana: problemi dell’origine e del destino, del bene e del male, dell’amore e dell’odio, della vita e della morte, e soprattutto la possibilità di dare un senso definitivo all’esistenza a dispetto delle esperienze negative e incomprensibili che la caratterizzano. Confrontarsi con queste domande fondamentali del senso della vita è una condizione indispensabile perché la religione possa diventare motivo d’interesse. Bisogna scoprire che i problemi di cui si occupano le religioni, e in modo particolare il cristianesimo, non sono problemi esotici, ma fanno parte dell’esistenza umana a tal punto che chi non li riconosce rimane alienato da sé stesso e da ciò che è assolutamente caratteristico dell’essere umano. Sono problemi che emergono inevitabilmente dall’esistenza umana, anche se il tentativo di fuggire o di non interessarsi può riuscire per un certo numero di anni.

Il più delle volte la scoperta di questi problemi di fondo dell’esistenza umana va di pari passo con la demitizzazione personale dell’atteggiamento narcisistico o egocentrico. Culto e cultura del «piacere» non esprimono certamente la totalità della cultura contemporanea. Sono comunque elementi che hanno una certa consistenza e che a livello di molti giovani sono una «sirena» potente.

Per poter uscire dalla condizione narcisistica è necessario che la persona si renda conto di vivere in chiave egocentrica e di trattare gli altri in funzione del piacere e del vantaggio che possono arrecare al proprio io. Questa consapevolezza del narcisismo è generalmente connessa con una crescente sensibilità per l’appello incondizionato dell’altro (appello etico, esigenze fondamentali dell’amore e della fedeltà) e per strutture di significato in cui la nostra esistenza si trova già inserita.

 

3.4. Demitizzare e abbandonare gli idoli

Un elemento fondamentale che fin dal NT caratterizza la prima evangelizzazione è l’abbandono degli idoli. San Paolo richiama gli ascoltatori a riconoscere gli idoli come idoli e a staccarsi da queste vanità, per convertirsi al Dio vivente (At 14,15).

Ora gli idoli del mondo pagano, come quelli di oggi, non sono mai stati solamente statue di divinità con un contorno di culto religioso. Sono sempre stati espressione di valori riconosciuti come costitutivi e fondanti per la salvezza dell’uomo. Generalmente sono realtà umane buone e positive, ma assolutizzate, come se da sole fossero in grado di garantire il compimento e la salvezza dell’uomo.

Una lettura classica e nello stesso tempo assai moderna raggruppa gli idoli dell’uomo attorno a tre poli: avere, potere, opere storiche dell’uomo. Questi idoli sono già evocati nelle tentazioni messianiche di Gesù e rappresentano la pressione della gente che vorrebbe un messia che appaghi la sete dell’avere, o uno che realizzi il sogno del potere, oppure offra opere grandiose attraverso le quali l’uomo realizza la propria salvezza.

La demitizzazione di questi idoli è un passaggio obbligatorio dell’evangelizzazione. Si possono trovare non pochi elementi di convergenza nella stessa cultura contemporanea.

K. Marx ha messo a nudo a quale inumanità può condurre l’avere, quando è assolutizzato e diventa la categoria suprema dell’uomo. Lo si vede ancora oggi illustrato nella miseria del proletariato del terzo mondo.

Allo stesso modo il potere è causa di innumerevoli sofferenze e guerre quando si pone in assoluto sopra l’uomo e interi popoli, non riconoscendo più un’istanza trascendente alla quale l’uomo in ogni caso dovrà rendere conto del proprio operato.

Il fascino del progresso e della costruzione di un regno umano di libertà nella storia è molto grande, nonostante certe incrinazioni dell’idea di progresso (del mito del progresso). Non mancano ideologie, per es. quella marxista, che prospettano la piena realizzazione dell’uomo all’interno della storia, e si pongono in alternativa alle interpretazioni religiose dell’uomo.

 

3.5. Convertirsi al Dio vivente

Come elemento costitutivo della prima evangelizzazione, generalmente precedente al discorso esplicito su Gesù Cristo, è segnalata fin dal NT la necessità di convertirsi al Dio vivente.

Il concetto «Dio vivo e vero», «Dio vivente» è certamente suscettibile di diversi livelli di profondità. Un noto livello è quello del «Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non il Dio dei filosofi» (B. Pascal). In Gesù Cristo il Dio vivo e vero prende ancora profondità maggiore. Ma vi è anche un livello più elementare che non si riduce affatto al Dio dei filosofi (motore immobile, ens necessarium, principio spiegativo dell’universo...): Dio che si fa conoscere attraverso la creazione e la coscienza morale.

Proprio su questo livello elementare l’evangelizzazione ha un compito fondamentale da svolgere. Essa cerca in qualche modo di restaurare nell’uomo il senso di Dio e la percezione fondamentale della legge etica scritta nel cuore umano. In questo contesto si insiste sulla necessità di credere che Dio esiste e che ricompensa coloro che lo cercano (Eb 11,6) . Tematiche fondamentali di questa fase dell’evangelizzazione sono: consapevolezza concreta e vitale dell’esistenza di Dio e del riferimento della nostra esistenza a lui; brevità dell’esistenza e impossibilità di conferire un senso definitivo a questa vita con le forze disponibili; necessità di fare il bene e di opporsi al male; ricerca di vita eterna (ricompensa del bene e del male).

A livello dei giovani questa consapevolezza del Dio vivo e vero implica spesso (generalmente) un superamento critico di rappresentazioni fanciullesche di Dio, che sono vissute come ostacoli per il riconoscimento adulto di Dio. Contemporaneamente questa consapevolezza si raggiunge attraverso la critica di false idee e rappresentazioni su Dio che sono in circolazione nell’ambiente.

 

3.6. Valorizzare le motivazioni della fede

Nel secolo scorso e nella prima metà del XX secolo era diffusa un’apologetica che suscitava l’impressione che nella fede si può dimostrare quasi tutto con argomenti razionali concludenti. Giustamente questo tipo di apologetica è stato abbandonato. La prima evangelizzazione non può essere sostituita da discorsi filosofico-razionali sulla fondatezza dei temi principali della fede cristiana. Attualmente prevale una tendenza opposta. Molti, sotto l’impatto della cultura contemporanea, hanno l’impressione che la fede in Dio (e analogamente la fede in Gesù Cristo) sia una scelta soggettiva e privata. Uno si trova a essere credente, come un altro si trova a essere non credente. Di fronte a questo fatto non bisognerebbe cercare motivazioni o ragioni che si possono esporre e difendere sul piano dell’intelligenza...

Il luogo più appropriato per prendere in considerazione le motivazioni della fede in Gesù Cristo è la catechesi. Nella prima evangelizzazione si affrontano quelle motivazioni della fede in Dio, e successivamente della fede in Gesù Cristo, che sono richieste per un incontro «disponibile» e «aperto» con il Vangelo. Molte motivazioni della fede in Dio sono collegate con l’attenzione ai problemi profondi dell’esistenza, in cui il rapporto dell’uomo con il Trascendente emerge. Si estendono anche alla dimensione di senso che viene conferita all’uomo che interpreta la propria esistenza alla luce di Dio, alla sensibilità per le esigenze incondizionate dell’etica (l’appello concreto del prossimo che richiede di essere riconosciuto in un mondo degno dell’uomo), ecc. In molti casi è sufficiente scoprire che la fede in Dio non è in nessun modo opposta alle scienze e alla tecnologia, né perde qualcosa della sua centralità a causa dello sviluppo scientifico del mondo.

 

3.7.​​ L’annuncio esplicito di Cristo

Un punto centrale e culminante della prima evangelizzazione consiste nella presentazione concisa e attraente del messaggio evangelico. Tutto ciò che precede, la complessa preparazione, il paziente dialogo... è orientato verso un momento in cui si parla esplicitamente del «lieto messaggio» o «vangelo di Gesù Cristo». Ciò implica un momento in cui si cerca di esprimere con parole in che cosa consiste questo messaggio. Paradossalmente, nell’attuale pratica cristiana questo punto centrale è piuttosto trascurato e sorvolato in favore di pre-catechesi, pre-evangelizzazione, educazione della domanda, ecc. Oppure questo momento è saltato o sostituito da spiegazioni catechistiche su punti particolari di dottrina cristiana. Nell’attuare questo momento importante dell’evangelizzazione, è utile tener presenti alcuni accorgimenti.

 

3.7.1.​​ La domanda orientativa

Per poter ascoltare il messaggio evangelico bisogna andare verso di esso con la corretta domanda o intenzione. Questa domanda o corretta intenzione è un po’ la sintesi di tutto il processo di evangelizzazione iniziale. Generalmente essa fa parte del «colloquio chiarificatore» che viene fatto con le persone che manifestano interesse, sensibilità o apertura verso il cristianesimo.

L’intenzione corretta verso il cristianesimo (nella fase di potenziale apertura) si esprime in una duplice e inseparabile domanda (ovviamente suscettibile di essere formulata con altre parole): Che cosa vuol essere Dio nella vita dell’uomo? Che cosa deve fare l’uomo per entrare nella via di Dio?

Questa domanda è importante, perché esprime una prima forma di congiungimento tra l’uomo e il Vangelo. Si può dire con sufficiente oggettività che la rivelazione biblica risponde effettivamente alla domanda formulata sopra. Bisogna incontrarla e leggerla attraverso il filo conduttore di questa domanda. Da un altro lato la ricerca antropologica di salvezza religiosa e la purificazione critica che essa deve percorrere, termina appunto in una posizione che supera essenzialmente l’accostamento egocentrico alla religione e diventa la domanda: che cosa vuol essere Dio nella vita dell’uomo.

Il «colloquio chiarificatore» circa le motivazioni vere per interessarsi al messaggio cristiano insiste appunto sul fatto che non si devono cercare motivi di vantaggio personale o sociale, ma in primo luogo la verità di Dio sull’esistenza umana.

 

3.7.2.​​ Il messaggio cristiano o l’annuncio evangelico

Non è qui il luogo per ripetere quali sono i punti centrali del messaggio cristiano. Essi sono assolutamente noti. Tenendo presenti i giovani e il contesto della cultura contemporanea si può brevemente insistere sul modo di parlare e di presentare il messaggio cristiano affinché sia realmente «lieto messaggio» o vangelo.

— È importante presentare il messaggio evangelico anzitutto nella sua realtà positiva, globale, nei suoi punti veramente essenziali. Il cristianesimo non è messaggio di peccato e di morte, ma parla della grande e immensa realtà della vita e del mondo di Dio.

— In riferimento alla domanda formulata sopra bisogna parlare della meravigliosa storia di Gesù di Nazaret, che è appunto Colui in cui Dio fa vedere ciò che egli vuol essere nella vita dell’uomo e il cammino che l’uomo deve seguire per entrare nel piano di Dio. Questa duplice manifestazione — del piano di Dio e della risposta dell’uomo — viene realizzata attraverso la vita di Gesù Cristo, attraverso i suoi gesti liberanti e sananti, attraverso la sua parola autorevole e illuminante, attraverso la passione e la morte (per amore dell’uomo). La sua verità riceve conferma nella sua risurrezione dai morti. Gesù Cristo vive e ha vinto in radice il male e la morte.

Per raggiungere questa finalità non è sufficiente presentare Gesù Cristo primariamente e prevalentemente come operatore sociale, come protettore di poveri ed emarginati, come vittima di violenza politica, ecc.

— A ogni essere umano che riconosce Gesù di Nazaret come il Cristo, l’inviato di Dio, il Figlio di Dio, e si decide a impostare la propria vita secondo gli orientamenti del Vangelo, viene anche comunicato lo Spirito di Dio, il quale era tangibilmente e potentemente presente in Gesù Cristo. In questo modo diventa possibile vivere secondo il modello del Vangelo di Gesù Cristo, nell’amore verso Dio e verso il prossimo (= legge fondamentale del cristianesimo), insieme con altri cristiani nella Chiesa, in attesa della realizzazione difinitiva del piano di Dio.

— Contenutisticamente, come fece già san Paolo parlando ai pagani, è importante oggi insistere sul fatto che resistenza umana è inserita in un grande piano o progetto da parte di Dio. Nessun cuore umano ha potuto immaginare ciò che Dio ha pensato e preparato per il destino dell’uomo. L’esistenza umana supera infinitamente la sua funzione nel processo scientifico e lavorativo. Dio vuol essere «Padre» per l’uomo e lo chiama a una vita eterna in cui partecipa alla vita di Dio. L’assoluta serietà di questo amore di Dio viene manifestata dal fatto che Gesù Cristo — uomo innocente per eccellenza — dona la propria vita per uomini peccatori.

Peccato e morte non sono l’alfa e l’omega del messaggio cristiano. Di queste realtà, che certamente caratterizzano — insieme con altre — 1’esistenza umana, bisogna parlare nell’orizzonte di questo grande piano di Dio. Dio offre perdono, riconciliazione, sanazione profonda dell’uomo, possibilità di diventare esseri umani nuovi e «rinati». Nessuno è perduto a tal punto da non poter essere ricuperato dall’amore e dal perdono di Gesù Cristo.

— La vita cristiana è una via in cui si cerca di vivere secondo le esigenze serie e radicali del Vangelo. Bisogna avere il coraggio di presentare la serietà di questa proposta.

 

3.8. Fede e conversione

Al confine tra evangelizzazione e catechesi si presenta l’ampio e complesso problema della «fede» e quello della conversione iniziale. La fede dice primariamente: credere che Gesù di Nazaret è il Cristo, mentre la conversione evoca la decisione di impostare la propria vita secondo la prospettiva e gli orientamenti del Vangelo. Nessuno può essere veramente cristiano, a livello consapevole, senza passare attraverso questa decisione o scelta fondamentale.

Presentando il messaggio cristiano, è importante che questo appello a una decisione fondamentale sia sufficientemente presente. Il messaggio cristiano non è una offerta «opzionale» o «estetica». Per natura propria intende esprimere la verità ultima e definitiva dell’uomo. Nell’ottica di questo messaggio la persona che non l’accoglie viene di fatto a trovarsi fuori della verità dell’uomo.

A livello dei giovani capita frequentemente che la scelta o determinazione richieda tempo. Essa cresce e matura lentamente. Spesso si esita prima di fare il primo e decisivo passo. Non è certamente in contrasto con il rispetto che si deve alla libertà di ciascuno, quando in casi concreti si viene incontro a una libertà paurosa ed esitante dicendo: Tu, a mio parere, puoi essere un buon cristiano. Perché non ti decidi a fare il passo? Qualche evangelizzatore guarda con nostalgia verso certe pratiche di evangelizzazione missionaria che in secoli passati sembravano riscuotere successo, per es. nelle missioni popolari o in corsi di esercizi spirituali, in cui si rivolgeva pateticamente l’appello alla conversione scongiurando e (talvolta) minacciando l’inferno... Non è certo questo il modello offerto dalla predicazione del Regno di Dio da parte di Gesù e degli Apostoli.

 

Bibliografia

Canizares A.,​​ La evangelización hoy,​​ Marova, Madrid 1977;​​ Evangelización y hombre de hoy.​​ Congreso, Edice, Madrid 1986; Hofinger J.,​​ Evangelization and Catechesis,​​ Paulist Press, New York 1976; Laurentin R.,​​ L’évangélisation après le quatrième Synode,​​ Seuil, Paris 1975; Pontificia Università Urbaniana (ed.),​​ L ’annuncio del Vangelo oggi.​​ Commento all’Esortazione Apostolica di Paolo VI «Evangelii Nuntiandi», Pont. Univ. Urban., Roma 1977; Valentini D.,​​ Evangelizzazione,​​ in G. Barbaglio - S. Dianich (edd.),​​ Nuovo Dizionario di teologia,​​ Ed. Paoline, Roma 19825, 470-490.

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EVANGELIZZAZIONE

1.​​ Urgenza dell’E.​​ “Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo” (1​​ Cor​​ 1,17); “Guai a me se non predicassi il vangelo!” (1​​ Cor​​ 9,16); “Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio” (Mt​​ 5,15). ’

L’E. è una dimensione del credere: credere implica​​ confessare​​ la fede, rendere testimonianza. Non si può credere senza evangelizzare; non si può evangelizzare senza credere; già il solo credere evangelizza. Una Chiesa che crede con fede confessante è una Chiesa che evangelizza; e una Chiesa che evangelizza senza tradire il Vangelo nel contenuto o nella forma di annunziarlo può essere soltanto una Chiesa vivamente credente. L’E. è azione di tutta la Chiesa e della Chiesa tutta. È la sua identità più profonda: essa esiste per evangelizzare (EN 14). Soggetti dell’E. sono tutti i membri della Chiesa. L’E. fa crescere la Chiesa in mezzo agli uomini.

2.​​ Cosa s’intende per E. Va​​ evitata ogni definizione riduttrice: “Nessuna definizione parziale e frammentaria può dare ragione della realtà ricca, complessa e dinamica, quale è quella dell’E., senza correre il rischio di impoverirla e perfino di mutilarla” (EN 17). Essendo ciò che definisce la missione totale della Chiesa, l’E. è “il processo totale mediante il quale la Chiesa, Popolo di Dio, mossa dallo Spirito: annuncia al mondo il Vangelo del Regno di Dio; rende testimonianza tra gli uomini del nuovo modo di vivere e di essere da esso inaugurato; educa nella fede coloro che si convertono al Vangelo; celebra nella comunità dei credenti, mediante i sacramenti, la presenza del Signore Gesù e il dono dello Spirito; e impregna e trasforma con la sua forza tutto l’ordine temporale”​​ (Comisión episcopal​​ de​​ enseñanza y catcquesis,​​ La catcquesis de la comunidad​​ [= CC], Madrid, EDICE, 1983, n. 169).

3.​​ Elementi dell'azione evangelizzatrice.​​ La missione o azione evangelizzatrice è una realtà ricca, complessa e dinamica, composta da svariati elementi: “Rinnovamento dell’umanità, testimonianza, annuncio esplicito, adesione del cuore, ingresso nella comunità, accoglimento dei segni, iniziative di apostolato” (EN 24). Nella Chiesa tutti questi elementi dell’E. sono mutuamente interrelati e si mantengono sempre attivi. La Chiesa universale, e ogni Chiesa particolare, evangelizza quando: a) con vivo senso missionario, cerca di​​ rinnovare​​ l’umanità in mezzo alla quale vive, trasformando con la forza del Vangelo i criteri, i valori, le correnti di pensiero, i modelli di vita che sono in contrasto con il Regno di Dio; b) diventa, nel luogo o ambito concreto dove è inviata,​​ testimone​​ dei valori del Regno e della nuova vita che questo comporta; c)​​ annuncia esplicitamente​​ il Vangelo ai non credenti (predicazione missionaria) e sviluppa una adeguata​​ educazione della fede​​ nei credenti (C., omilia, insegnamento della teologia...); d) cerca di suscitare la conversione, cioè l’adesione del cuore​​ al Regno di Dio, al “mondo nuovo”, al nuovo stato di cose, alla nuova forma di essere, di vivere e di vivere insieme inaugurata dal Vangelo; e) crea​​ spazi comunitari​​ dove la fede possa essere alimentata, condivisa, vissuta, strutturandosi così in comunità cristiane vive, come luce del mondo e sale della terra; f) celebra nei​​ segni sacramentali​​ la presenza di Gesù, il Signore, e il dono dello Spirito Santo nella comunità; g) sviluppa, infine, un​​ apostolato attivo​​ nei diversi ambienti e situazioni. “Questi elementi possono apparire contrastanti e persino esclusivi. Ma in realtà sono complementari e si arricchiscono vicendevolmente. Bisogna sempre guardare ciascuno di essi integrandolo con gli altri” (EN 24). In realtà, la Chiesa evangelizza con tutta la sua presenza, con tutto ciò che essa vive, celebra, confessa, proclama ed è. Questa concezione dell’E. come processo dinamico e totale è quella che conferisce vero senso e coerenza interna alla ricca gamma di azioni che configurano la missione tutta della Chiesa.

4.​​ Dinamica del processo evangelizzatore.​​ Questo processo, unico e identico in ogni luogo e in tutte le circostanze, pur realizzandosi in modo diverso secondo le circostanze (AG 6), si articola in una dinamica particolare, propria della “plantatio” della Chiesa tra i popoli e gruppi che ancora non credono in Cristo. Questa dinamica si sviluppa secondo una serie di tappe che costituiscono il paradigma dell’opera evangelizzatrice della Chiesa: partendo da inizi modesti, avanza gradualmente nella sua opera coraggiosa per realizzare il disegno di Dio (AG 6), l’attuazione cioè del Regno. Rispondendo alle diverse situazioni con azioni proprie e adeguati strumenti (AG 6), la Chiesa evangelizza seguendo un processo dinamico nel quale, con logica propria, si succedono i diversi elementi che ne fanno parte: a)​​ Azione missionaria,​​ nei confronti dei non convertiti o non credenti (testimonianza di vita, dialogo, esercizio della carità, rinnovamento dell’umanità, annuncio esplicito, predicazione missionaria e conversione); b)​​ Azione catecumenale-iniziatica,​​ verso i convertiti (catecumenato e iniziazione cristiana, esplicitazione e approfondimento del Vangelo di Cristo, insegnamento elementare della fede, approfondimento della fede, confessione e testimonianza della fede, inserimento progressivo e dinamico nella vita della comunità, adesione alla nuova forma di essere, vivere e pensare propria del Vangelo); c)​​ Azione pastorale,​​ coi membri della comunità cristiana, già battezzati e partecipanti nel banchetto eucaristico (formazione della comunità cristiana, radunata attorno all’eucaristia, strutturata nei carismi e ministeri, segno e presenza della realtà sacramentale della Chiesa nella parola e nell’annuncio, nella diaconia, nella comunione, nella liturgia, nell’apostolato attivo: cf AG 11-18). “Si potrebbe dire che si tratta, più che di tappe​​ temporali​​ che si succedono l’un l’altra, di momenti​​ dialettici​​ che creano quel rapporto dinamico che le diverse azioni evangelizzatrici conservano tra di loro. Il processo di E., d’altra parte, si chiude e si apre​​ continuamente-,​​ “Chi è stato evangelizzato a sua volta evangelizza” (EN 24)» (CC 27).

5.​​ Azione missionaria.​​ Nella situazione concreta odierna, è importante insistere, nel processo totale dell’E.,​​ sull’azione missionaria,​​ vale a dire su quell’attività in cui i cristiani, mediante la testimonianza di vita e l’annuncio esplicito, rendono presente il Vangelo e lo fanno conoscere ai non credenti. Questa azione missionaria è rivolta a quanti ignorano il significato del Regno di Dio, annunciato e inaugurato da Gesù Cristo; si rivolge inoltre alle “moltitudini di persone che hanno ricevuto il battesimo ma vivono compietamente al di fuori della vita cristiana” (EN 52), agli ambienti lontani dove non è possibile percepire l’efficacia salvatrice del Vangelo. Implica la testimonianza, la presenza e l’annuncio esplicito del Vangelo ai non credenti in vista della conversione, del risveglio della fede e dell’adesione del cuore al Vangelo.

6.​​ Annuncio missionario.​​ Entro l’evento evangelizzatore va tenuto presente l’annuncio missionario: annuncio pubblico e narrativo del Vangelo della salvezza, della gioia e della grazia che è il Cristo pasquale (morte e risurrezione di Gesù; la croce come elemento integrante di ogni E.), presente nella vita e nella storia degli uomini; annuncio fatto nello Spirito, nella debolezza e contraddizione della croce, nella continuità apostolica, in segni e parole, che costituisce una chiamata energica e interpellante alla conversione, tocca le fibre più profonde dell’uomo e interessa le aspirazioni e necessità dei destinatari; annuncio orientato alla fede esplicita nel Signore, alla speranza nel futuro di Dio come futuro dell’uomo, fede e speranza che dovranno tradursi in una vita di amore, in impegni e atteggiamenti evangelici — le beatitudini —, nella preghiera e nei sacramenti, espressione piena della Chiesa-sacramento, fondata nella fede e nel battesimo

7.​​ Alcune caratteristiche fondamentali dell’E.

a)​​ L’E. è annuncio e comunicazione di una​​ salvezza​​ che viene da Dio. Chi evangelizza lo fa nel nome di Dio, di Cristo, non in nome proprio né con autorità umana. Cristo inviò gli Apostoli con la missione ricevuta dal Padre. Rivestiti dallo Spirito, compiono la missione di essere testimoni di Cristo con opere e parole e di annunciare il Vangelo agli uomini, facendoli discepoli di Gesù. Il​​ Vangelo​​ è la parola viva di Dio agli uomini; è la sua presenza escatologica, la sua forza salvatrice nell’oggi degli uomini per chiunque crede; è la venuta di Dio nella storia per apportarvi un evento che le dà senso e ne trasforma il cammino; è un evento gioioso che concerne tutti gli uomini e la storia fin nelle sue radici, trasformando e rinnovando l’umanità intera; è un evento che apre alla speranza. L’E. dovrà perciò essere sempre presentazione di questa salvezza di Dio.

b)​​ L’E. tende alla​​ conversione.​​ Essa porta l’uomo a una decisione: optare per Cristo e seguirlo, aderire alla sua persona e al nuovo stile di vita inaugurato da lui come possibilità di salvezza per tutti. La conversione personale rimane sempre nucleo basilare del cristiano e perciò meta dell’E. Ma questa conversione personale porta con sé il rinnovamento-conversione dell’umanità e del mondo. La creazione dell’”uomo nuovo” e le trasformazioni — anche strutturali — della società costituiscono un doppio compito da svolgere in continuità, senza lacerazioni né confusioni, d’accordo con la natura dell’uomo. E questo duplice rinnovamento-conversione implica la creazione di una comunità fraterna universale, dove diventa visibile il progetto di Dio.

c)​​ La conversione esige lo sforzo affinché le attuali condizioni umane diventino situazioni di riconciliazione, di pace, di giustizia, di fraternità e di amore ispirate al Vangelo. Il segno di autenticità dell’E. è che i poveri sono evangelizzati. Ogni azione evangelizzatrice deve essere in profonda simbiosi con la​​ liberazione​​ degli uomini, specialmente degli ultimi, i preferiti nel Regno di Dio. L’E. è annuncio e realizzazione della liberazione. La liberazione si inserisce nell’E. come suo contenuto integrale. La liberazione, in senso evangelico, è la salvezza integrale dell’uomo e dell’umanità, così come Cristo l’ha realizzata, senza mistificazioni né riduzioni spiritualistiche o temporalistiche. L’E. porta con sé un messaggio, specialmente vigoroso nei nostri giorni, sulla liberazione (EN 29).

d)​​ In questa prospettiva, l’E. appare primordialmente come​​ testimonianza​​ (di comportamento e di parole). La testimonianza è espressione della salvezza, dell’umanità rinnovata, della comunità di fede e di carità; è segno della presenza viva e attiva del mistero e dell’evento di Cristo tra gli uomini. La testimonianza evangelizzatrice consiste nel mostrare con segni e parole quella vita di fede cui sono invitati gli uomini. Si tratta di una testimonianza personale e comunitaria dei valori del Regno, della vita nuova che viene annunciata. I segni personali e comunitari di comprensione, di accoglienza, di solidarietà e di speranza “fanno salire, nel cuore di coloro che li vedono vivere, domande irresistibili: perché sono così? Perché vivono in tal modo? Che cosa o chi li ispira? Perché sono in mezzo a noi? Ebbene, una tale testimonianza è già una proclamazione silenziosa, ma molto forte ed efficace, della Buona Novella» (EN 21). Ma tutto ciò non basta, “perché anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata — ciò che Pietro chiamava “dare le ragioni della propria speranza” —, esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù” (EN 22). Evangelizzare non vuol dire semplicemente dare nomi nuovi a valori umani che la storia umana può da sé raggiungere. È annunciare e offrire una radicale novità — Cristo risorto — che mediante l’azione dello Spirito porta l’uomo alla vita intima del Padre. Non c’è E. in senso pieno senza proclamazione espressa di Gesù come chiave e senso ultimo dell’enigma dell’uomo e della storia.

8.​​ La C. nell’azione evangelizzatrice.​​ La C. è parte del processo globale di E. La sua identità va cercata in rapporto alla totalità di elementi dell’E. e ai diversi momenti o tappe del processo. “La C. non può essere dissociata dall’insieme delle iniziative pastorali e missionarie della Chiesa. Essa ha, nondimeno, una sua specificità” (CT 18). La C. rappresenta infatti un momento — e quanto importante — del processo di E. (cf CT 18). La C. segue l’azione missionaria e precede l’azione pastorale. Essa accompagna quanti si sono convertiti al Cristo nel cammino di fede verso la maturità e li porta alla partecipazione matura, attiva e responsabile, nella comunità cristiana, e alla confessione e testimonianza di fede nel Vangelo di Gesù.

Bibliografia

A.​​ Cañizares,​​ La​​ evangelización hoy,​​ Madrid, Marova, 1977; M. Dagras,​​ Théologie​​ de l’Évangélisation,​​ Paris, Desclée, 1976;​​ Evangelizzare nel mondo d’oggi,​​ in “Concilium” 14 (1978) n. 4; R. Fabris,​​ Evangelizzazione,​​ in​​ J. B. Bauer –​​ C. Molari (ed.),​​ Dizionario Teologico,​​ Assisi, Cittadella, 1974, 245-255; C.​​ Floristán,​​ La evangelización,​​ tarea​​ del cristiano,​​ Madrid,​​ Cristiandad,​​ 1978; Gruppo di “Catechesi”,​​ Una Chiesa per gli uomini. Evangelizzazione, sacramenti e promozione umana, oggi,​​ Leumann-Torino, LDC, 1976; A. M. Henry,​​ La forza del Vangelo,​​ Assisi, Cittadella, 1969; J. Hofinger,​​ Evangélisation​​ and Catechesis,​​ New York, Paulist Press, 1976;​​ R.​​ Laurentin,​​ L’évangélisation après​​ le​​ quatrième Synode,​​ Paris,​​ Seuil,​​ 1975; Pont. Univ. Urbaniana (ed.),​​ L’annuncio del Vangelo oggi. Commento all’Esortazione Apostolica di Paolo VI “Evangelii Nuntiandi”, Roma, Pont. Univ. Urbaniana, 1977; D. Valentini,​​ Evangelizzazione,​​ in G. Barbaglio – S. Dianich (ed.),​​ Nuovo dizionario di teologia,​​ Roma, Ed. Paoline, 19823, 470-490; 1978-1985.

Antonio​​ Cañizares

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EVANGELIZZAZIONE

Termine specificamente cristiano, non presente come tale nel Nuovo Testamento, derivato dal verbo «evangelizzare», ampiamente documentato nel NT, tornato nell’attualità soprattutto dopo il 1950. Nel significato biblico originale si riferisce alla predicazione del Vangelo in vista della​​ ​​ conversione a Dio e della scelta di essere discepolo di Gesù Cristo secondo il suo Vangelo.

1. In prospettiva storica il termine si riferisce all’opera dei missionari cristiani in mezzo a popoli non cristiani per annunciare il Vangelo e fondare delle comunità cristiane. A partire dal XVI sec., il​​ ​​ catechismo come istituzione e come libro, è stato spesso, sia per cattolici che per protestanti, luogo e strumento di​​ ​​ alfabetizzazione, specie attraverso le scuole domenicali (Europa, USA, Canada) e nelle missioni cristiane (per esempio in Africa). La catechesi cristiana ha anche sempre assicurato il compito dell’​​ ​​ educazione morale ed ha promosso (XX sec.) la giustizia sociale, l’​​ ​​ insegnamento sociale della Chiesa, i diritti umani, la promozione economica, sociale e culturale dei poveri del terzo mondo. La preoccupazione dell’e. ha influito notevolmente nella creazione di scuole cattoliche per i poveri, sia nelle missioni che nei Paesi occidentali, diventando «segni» di una presenza benefica del cristianesimo. In senso ampio l’e. cristiana ha svolto nella storia una funzione umanizzante sul piano sociale e culturale. I grandi valori europei, anche se ormai in veste secolare, sono incontestabilmente segnati dalla loro estrazione cristiana.

2. Nell’ultimo decennio, di fronte all’inefficacia del tradizionale dispositivo di trasmissione della fede, basato su diversi elementi della società cristiana, che ormai non esiste più come tale, il compito di proporre il Vangelo in vista di una scelta personale e consapevole della conversione e della fede in Gesù Cristo, è diventato urgenza prioritaria in tutti i paesi europei, segnati da scristianizzazione,​​ ​​ secolarizzazione, e forte pluralismo religioso e culturale.

3. Per caratterizzare i processi formativi del​​ ​​ catecumenato e della rinnovata catechesi cristiana, si usano termini che hanno attinenza con il linguaggio pedagogico, ma che nello stesso tempo sono critici nei confronti dei precedenti modelli pedagogici e didattici che prevalevano nella catechesi del XX sec. Il catecumenato è un periodo di apprendistato cristiano; l’accompagnatore personale ha una funzione importante di assistenza e di guida. C’è grande rispetto dei ritmi personali di crescita. La «pedagogia catecumenale» è ormai proposta come riferimento per la catechesi dei battezzati.

4. In nessuno di questi significati il termine è primariamente pedagogico. Vero è che nella realizzazione storica e concreta dell’e. interferiscono diversi problemi educativi. Lo specifico di questi aspetti è però toccato da altre voci di questo dizionario.

Bibliografia

Paolo VI,​​ Evangelii nuntiandi,​​ Città del Vaticano, LEV, 1975; Gevaert J.,​​ Prima e.,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1990; Id.,​​ La proposta del Vangelo a chi non conosce il Cristo, Ibid., 2001.

J. Gevaert

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