VOCAZIONE

VOCAZIONE

Severino De Pieri

 

1. La vocazione: realtà complessa e problematica

1.1. li quadro teologico di riferimento

1.1.1. Evoluzione del concetto di vocazione negli ultimi secoli

1.1.2. La vocazione: chiamata a realizzare nella vita il piano di Dio

1.1.3. Vocazione e «vocazioni»: tutti hanno una vocazione

1.2. L’orizzonte antropologico delia vocazione: responsabilità e servizio

1.2.1. Vocazione come autotrascendenza e «responsabilità»

1.2.2. Vocazione come servizio a Dio e ai fratelli

1.2.3. Recenti apporti delle scienze umane sul tema della vocazione

2. Dinamismi costitutivi della vocazione

2.1. Vocazione come percezione e risposta ad un impulso-appello interiore

2.2. Vocazione come progetto di vita propulsivo e creatore

2.3. Vocazione come dinamismo affettivo-oblativo, di amore e servizio

3. Il discernimento della vocazione nell’attuale contesto ecclesiale e sociale

3.1. Alcuni obiettivi previ alla scoperta della propria identità vocazionale

3.2 Criteri di idoneità e discernimento vocazionale

3.2.1. Il discernimento vacazionale da parte del soggetto, primo e principale protagonista

3.2.2. Il discernimento da parte della comunità e della Chiesa per le vocazioni specifiche

4. Il processo di maturazione

4.1. L ’adesione libera e responsabile alla chiamata divina

4.2. La progressiva purificazione dei moventi vocazionali

4.3. La decisione vocazionale vera e propria

4.4. Per una pedagogia di accompagnamento

5. Conclusione

 

La vocazione è un tema attuale, complesso, coinvolgente. È una categoria centrale e terminale, di «orientamento», nella pastorale giovanile (e non solo in essa). Ci pare che la problematica della vocazione deve anzitutto essere collocata entro un adeguato quadro di riferimento (orizzonte teologico e antropologico); in secondo luogo essa ha bisogno di essere interpretata e definita secondo un approccio pluridisciplinare; infine richiede di essere tradotta in indicazioni operative, relazionate sia con i contesti socio-culturali in cui si pone, sia con le istanze di cambiamento che oggi sono in atto nella pedagogia e nella pastorale al riguardo.

 

1. La vocazione: realtà complessa e problematica

Il problema della vocazione si pone indubbiamente come complesso. Per essere completamente inteso, deve essere considerato da un duplice punto di vista: in origine da parte di Dio che si dona e donandosi «chiama», e nel soggetto, uomo e donna, che sono donati e «interpellati». La vocazione è perciò un dono che avviene in un dialogo: presuppone l’iniziativa di Dio e sollecita una risposta dall’uomo.

Si comprende subito che, così posto, il concetto di vocazione si presenta come:

—​​ dialogico relazionale,​​ in quanto viene giocato — per così dire — sulla duplice sponda di Dio e dell’uomo;

—​​ dinamico-evolutivo,​​ connesso cioè col divenire esistenziale e culturale dell’uomo sulla terra, in particolare dei giovani che si pongono di fronte al senso-progetto di vita;

—​​ storico-culturale,​​ in quanto rapportato ai contesti di sviluppo umano lungo il corso della storia e in sintonia con i quadri di riferimento che ogni epoca assume come orizzonte di vita e di azione.

1.1. Il quadro teologico di riferimento

Pare necessario, a livello preliminare, cercare di comprendere i presupposti dottrinali, principalmente ecclesiologici, che stanno alla base dei problemi-chiave chiamati in causa nel tema della vocazione, quali, ad es., il senso dell’opzione personale, il concetto di chiamata, il rapporto tra autorealizzazione e dono di sé, la pedagogia del risveglio e della formazione vocazionale, ecc. Soprattutto c’è da chiedersi: vocazione e vocazioni, perché? per chi? come?

 

1.1.1. Evoluzione del concetto di vocazione negli ultimi secoli

Ecco alcuni aspetti dell’evoluzione che ha subito il concetto teologico di vocazione in rapporto a successivi modi di intendere il rapporto Chiesa-mondo.

1. Il sistema monista

Fino al secolo scorso, lo spazio della Chiesa coincide con quello del mondo; a una società gerarchizzata corrisponde una Chiesa piramidale; il «clero» costituisce una casta con poteri e privilegi; la vocazione, che è «sacra», coincide con quella al sacerdozio e alla vita religiosa; la pedagogia vocazionale consiste nel «reclutamento» di coloro che «hanno vocazione», i quali vengono formati in ambienti chiusi, fortemente strutturati.

2. Il sistema dualista

Si instaura (all’inizio di questo secolo e per l’area occidentale) una netta separazione Chiesa-mondo; il mondo è una minaccia per la fede e per la missione della Chiesa; il ruolo del sacerdote è difensivo; la pastorale delle vocazioni continua a privilegiare quelle sacerdotali e religiose; è l’epoca dei grandi seminari, con l’attenzione rivolta alla prima fascia dell’età evolutiva (dopo i 20-25 anni si parla di «vocazioni tardive»); la vocazione è ancora un «germe» da conservare, sviluppare e proteggere (Grieger, 1981).

3. Il sistema pluralista

La Chiesa, un tempo «coestensiva» con l’umanità, poi opposta e conflittuale nei suoi confronti, diviene ora «sacramento universale di salvezza» in mezzo agli uomini​​ (LG​​ 48), perciò missionaria; in tale contesto cambia l’ottica vocazionale: non più un «avere» la vocazione, ma «cercare» la volontà di Dio, in un «dialogo» con lui e con l’umanità; il mondo da minaccia diviene luogo della proposta, terreno di radicamento, verifica, realizzazione; l’ansia evangelizzatrice e missionaria sposta 1 ’ asse dalle «vocazioni sacre» a tutte le vocazioni; a partire dal Vaticano II l’ottica vocazionale si è allargata: oggi si parla di «vocazione» e di «vocazioni»; la riflessione teologica è orientata a individuare il disegno di Dio sull’uomo, e il ruolo che ciascuna persona, sia come individuo che come membro della collettività umana ed ecclesiale, è chiamata a svolgere nel quadro della storia della salvezza; i documenti postconciliari sviluppano ulteriormente la dottrina sulla «vocazione» (umana e cristiana) e sulle diverse «vocazioni» della Chiesa; la stessa riflessione teologica tende a presentare la vita cristiana come «vocazione divina» e a vedere nella stessa il fondamento delle vocazioni specifiche (Conti, 1979).

 

1.1.2. La vocazione: chiamata a realizzare nella vita il piano di Dio

In questa prospettiva, vocazione divina e progetto umano rappresentano due aspetti di una identica realtà, che consiste in un’immagine di avvenire proposto da Dio e nello stesso tempo sognato e perseguito dall’uomo. Secondo la visione portata da Cristo, il progetto dell’uomo è chiamato a inserirsi nella «vocazione cristiana»: è l’invito rivolto all’uomo di rispondere alla volontà di Dio che lo chiama a realizzare sé stesso nell’incontro con i fratelli, in atteggiamento di apertura, solidarietà e servizio. Vocazione è dunque una relazione dialogica a più dimensioni.

Dal punto di vista teologico, il discorso sulla vocazione viene dunque articolato in maniera variamente diversificata: vocazione alla vita; vocazione cristiana, cioè a realizzare la vita in Cristo e nella Chiesa a livello personale e comunitario; e le «vocazioni specifiche». La teologia aiuta a comprendere l’azione di Dio nella vocazione personale di ciascuno. In particolare essa facilita la riscoperta dei modi di agire di Dio che rispetta il cammino personale di maturazione di ciascuno, inserito nel contesto dell’umanità che si evolve nella storia.

Dio interviene raramente in maniera diretta ed esplicita nell’elaborazione dei progetti di vita. Per farci comprendere il suo disegno su di noi si serve ordinariamente di alcune «mediazioni», i «doni» interiori (capacità, inclinazioni, progetti) e le «provocazioni» che pervengono dalla realtà, che tutta intera interpella e «chiama».

 

1.1.3. Vocazione e «vocazioni»: tutti hanno una vocazione

Il concetto di «stato vocazionale» è più ampio della nozione di vocazione per lungo tempo riservata solo alle vocazioni religiose e sacerdotali. Esso è definito da una certa qualità e da una certa intensità nell’esperienza umana e religiosa di un progetto di vita che si sta attuando.

Non è dunque appannaggio esclusivo dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; esso interessa tutti: adolescenti, giovani, adulti. Ciò suppone una convinzione, una volontà, un desiderio di raggiungere i valori che superano il tempo, pur conferendo ad esso il suo significato; e acquista l’autorità di una «chiamata» all’interno di una relazione di fede con Dio (Grieger, 1979).

Ecco come si articola questa «pluriformità vocazionale».

1.​​ La chiamata alla vita​​ 

È la prima vocazione che procede da Dio Creatore. «Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione. Fin dalla nascita, è dato a tutti in germe un insieme di attitudini e di qualità da far fruttificare: il loro pieno svolgimento, frutto a un tempo dell’educazione ricevuta dall’ambiente e dello sforzo personale, permetterà a ciascuno di orientarsi verso il destino propostogli dal suo Creatore»​​ (PP​​ 15). In un tempo di angoscia e di morte come l’attuale è urgente riaffermare questo appello alla vita, rivolto a ogni essere umano, che porta in sé un dono particolare, pieno di responsabilità per un compito da svolgere. Sono le vocazioni alla vita, all’amore, al lavoro, all’impegno. In ciò si coglie anche il senso delle vocazioni «fallite»: al limite umano, al dolore, alla mancata realizzazione (condizionamenti socio-culturali, situazioni di dolore, handicap, devianza, violenza, ecc.). L’orizzonte vocazionale è chiamato a dare senso e significato anche a queste situazioni-limite.

2.​​ La vocazione cristiana

L’appello di Dio Creatore, rivolto a ogni uomo, si concretizza storicamente nella chiamata alla salvezza universale in Cristo verso cui tutta la storia converge come termine e modello. L’elezione-vocazione dell’uomo in Cristo è personale e da sempre inscritta in un progetto che il Padre ha per lui. Questa chiamata a realizzare la propria vita in comunione con il Padre per mezzo di Cristo nello Spirito è la suprema realizzazione individuale e comunitaria dell’uomo. Di essa costituisce mediazione ordinaria il battesimo che inserisce nel Popolo di Dio attraverso la messa in comune o lo scambio della varietà dei carismi e dei servizi. Tale appello dinamico avviene in un contesto di dialogo continuo con Dio, attraverso Cristo e la Chiesa, mediante i dinamismi costitutivi della fede-speranza-carità. Questa universale vocazione richiede per sé stessa condizioni di crescita, ritmi di maturazione, discernimento personale e comunitario, orientamento pastorale e purificazione attraverso la continua conversione.

3.​​ Le «vocazioni specifiche» nella Chiesa​​ 

La vocazione fondamentale si specifica in una multiforme varietà di chiamate particolari più o meno segnate dalla «radicalità» della risposta al dono di Dio e in rapporto alla «finalità» o destinazione cui il dono-appello conferisce concretezza.

Tra tutte le vocazioni si evidenziano, in relazione alla loro specificità e finalità tipicamente ecclesiale, quelle «sacre», in particolare al sacerdozio e alla vita religiosa. La distinzione, più che a caratteri di eccellenza, risponde a esigenze di servizio ecclesiale qualificato:

— il sacerdozio, come «ministero consacrato» a servizio del Popolo di Dio in alcuni compiti specifici;

— la vocazione religiosa, come «sequela Christi» attuata nella pratica dei consigli evangelici, secondo un’indole propria e una specifica funzione di ogni istituto religioso;

— la vocazione alla «secolarità» consacrata, attuata da laici e vissuta negli Istituti Secolari riconosciuti dalla Chiesa;

— la vocazione «missionaria», in tutte le modalità secondo cui può essere realizzata.

Accanto a queste vocazioni, si inizia a dare rilievo ai «ministeri» (istituiti e «di fatto») che allargano ai laici l’orizzonte vocazionale (catechisti, animatori, volontariato, ecc.).

1.2. L’orizzonte antropologico​​ della vocazione: responsabilità e servizio

Sotto il profilo antropologico la vocazione è un modo e uno stile con cui condurre la propria vita alla luce di motivazioni di valore. Non basta trasformare il mestiere in professione; la vita stessa deve divenire vocazione perché, abbia un senso. La vocazione costituisce infatti il valore e la felicità di ogni uomo e di ogni donna. Non si tratta soltanto, in altri termini, di riscontrare l’attitudine tecnica a certi mestieri o l’idoneità a una professione, ma essenzialmente di orientarsi secondo il senso e la direzione segnati dalla propria vocazione; si tratta di proiettare l’essere intero verso una ricerca di valori che superano l’angusto orizzonte del materiale, del provvisorio, del finito. Nulla è più misterioso di questa chiamata personale. Essa si pone come una risposta alTintenzione profonda dell’essere: risposta che può essere di scelta o di rifiuto. Si tratta di condurre una vita che, pur essendo legata all’esperienza terrena, ha altrove la sua sorgente e la sua destinazione.

 

1.2.1. Vocazione come autotrascendenza e «responsabilità»

Vocazione dice molto di più che progetto: è chiamata a uscire dagli schemi di un’esistenza chiusa nel cerchio delle certezze umane, è prospettiva aperta verso un’esistenza impegnata, è proposta a collaborare con Dio nella storia della salvezza.

La vocazione, più che autorealizzazione, è autotrascendenza: non solo pura e semplice attuazione delle doti e delle inclinazioni personali, ma essenzialmente realizzazione di un ideale che trascende gli orizzonti terreni. «Essere uomo vuol dire fondamentalmente essere orientato verso qualcosa che ci trascende, verso qualcosa che sta al di là o al di sopra di noi stessi, qualcosa o qualcuno, un significato da realizzare, o un altro essere umano da incontrare e da amare. Di conseguenza, l’uomo è sé stesso nella misura in cui si supera e si dimentica» (Frankl, 1974).

 

1.2.2. Vocazione come servizio a Dio e ai fratelli

In una prospettiva antropologica integrale, autotrascendenza per il credente vuol dire risposta personale e libera a una chiamata. L’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, è stato da lui eternamente scelto, chiamato, destinato alla vita nuova di Cristo (« ogni» uomo, «questo» uomo). La chiamata da parte di Dio lo pone al di là dei rapporti puramente sociali in cui la nostra civiltà tecnico-scientifica intende confinarlo. L’uomo deve emigrare dalla sfera del soggettivismo e inserirsi consapevolmente nell’ufficio regale di Cristo. Questo orientamento è fondamentale per tutta resistenza, specie nei rapporti con il prossimo, perché è ricordo continuo di Cristo, che non è venuto per essere servito ma per servire​​ (Mt​​ 20,28). Occorre dunque interpretare la propria vocazione come «disponibilità a servire», sull’esempio di Cristo, e a guardare ai valori umani connessi con tale «ufficio regale». È un cammino non facile, perché «regnare» si raggiunge soltanto «servendo». Ciò spinge l’uomo a conseguire una notevole maturità umana e spirituale, perché per poter efficacemente servire gli altri bisogna saper dominare sé stessi. Questa vocazione di ogni uomo a porre la propria vita a servizio di Dio e dei fratelli si concretizza in determinati orientamenti di vita, come il matrimonio, la professione, il sacerdozio, la vita consacrata, ecc. Il «servizio regale» non è una «professione», ma un atteggiamento interiore che può animare ogni professione e ogni stato di vita​​ (RH​​ 21).

 

1.2.3. Recenti appórti delle scienze umane sul tema della vocazione

Sono anzitutto da recensire le antropologie senza «appello» o «vocazione», centrate sul primato dell’autonomia dell’io (egocentrismo, narcisismo), e della sua libertà illimitata, oppure volte unicamente a far conseguire l’autorealizzazione, misconoscendo l’apertura dell’uomo alla trascendenza (Gevaert, 1981).

Queste concezioni, largamente diffuse nella cultura occidentale, condizionano sul nascere ogni progetto di vita fondato sui valori, aperto all’«invocazione» e segnato dalla responsabilità.

Alcune antropologie non materialistiche e non riduttive fanno spazio all’uomo come essere spirituale, chiamato da Dio, per cui nella dimensione religiosa, riconosciuta come fondante 1’esistenza umana, si radica la vocazione come realtà che dà senso al divenire integrale della persona aperta all’«invocazione» e capace di risposta all’«appello» che proviene dal Trascendente. All’interno di queste antropologie che fanno spazio alla vocazione ricordiamo, in particolare, il contributo di una parte della psicologia contemporanea.

In forza delle più recenti acquisizioni di alcune correnti della psicologia, si sta verificando nell’ultimo ventennio un passaggio da una fase psicodiagnostica, volta a cogliere indicazioni positive e controindicazioni relative alla personalità (attitudini, interessi, equilibrio psichico, ecc.), a una fase psicodinamica e sociale, in cui gli psicologi si interrogano in maniera più approfondita sulle motivazioni e sulle condizioni che permettono di affrontare meglio le dimensioni di una vocazione in seno a una Chiesa e a una società in movimento (Godin, 1975).

Appaiono perciò in stretta correlazione sia le posizioni che la teologia postconciliare sta assumendo nei confronti della vocazione intesa in senso più ampio e articolato, sia le acquisizioni di una certa parte, almeno, delle correnti psicologiche e sociologiche attuali circa la vocazione. I maggiori contributi recati dalle scienze antropologiche attuali alla riflessione sulla vocazione riguardano tre aree di ricerca: l’analisi delle motivazioni vocazionali, lo studio delle cause delle «crisi» vocazionali del recente periodo postconciliare e le ricerche psicosociologiche sui valori vocazionali delle giovani generazioni.

Appare sempre più chiara la natura dialogica e relazionale della vocazione, non solo dell’uomo con Dio, ma dell’uomo con sé stesso, con gli altri, con la Chiesa, la società, il mondo e la cultura in cui è inserito. In questa prospettiva, la vocazione non è più concepita come realtà statica, un «dato» da conservare, ma come un evento dinamico, un dialogo tra Dio e l’uomo, un dono da portare a compimento, in un contesto storico-culturale che richiede continua crescita e adattamento, sotto la guida dello Spirito di Cristo che rinnova incessantemente l’esperienza e la storia umana.

 

2.​​ Dinamismi costitutivi della vocazione

Dopo aver illustrato il carattere essenzialmente dialogico, relazionale e dinamico della vocazione, occorre approfondire l’analisi dei dinamismi che costituiscono e qualificano la vocazione considerata in sé stessa, quale «destinazione singolare verso la partecipazione di un valore di elezione» (Grieger,​​ 1981).

Oltre che sul versante dell’iniziativa di Dio, ci soffermiamo anche sulla risonanza che l’evento «vocazione» produce nella persona del soggetto, uomo o donna, che vengono coinvolti e interpellati per offrire più o meno pienamente la propria personale adesione e corrispondenza.

 

2.1. Vocazione come percezione e risposta a un impulso-appello interiore

Nella persona del chiamato la vocazione — sia pure variamente articolata e diversificata — viene sentita il più delle volte come «un impulso interiore» (un richiamo misterioso) a orientare e spendere la propria vita secondo il disegno di Dio. Secondo la fede questo appello interiore proviene da Dio, ed è quindi soprannaturale nella sua essenza, avendo egli dotato di doni speciali la persona da lui chiamata. Nel «vissuto» psicologico umano, tale «appello» viene di solito percepito come una intuizione di natura fondamentalmente emotiva e affettiva, che coinvolge e orienta la persona a donarsi secondo i contenuti, le modalità e lo stile di un’opzione radicale in vista di Dio e dei fratelli. Un’«emozione privilegiata» segnerebbe dunque l’origine di ogni vocazione (Marchand, 1967). Tale impulso-appello costituisce una motivazione esistenziale profonda, dinamica e creatrice, suscettibile di sviluppo e maturazione. È un’esperienza tipicamente personale, non tuttavia intimistica, ma oggettiva e rapportata alla realtà dell’uomo che è chiamato a porsi in un rapporto significativo (orientamento di senso «esistenziale») verso Dio, gli altri, la realtà e il mondo.

«Il dono di Dio chiede prima di tutto di essere accolto nella fede. Credere significa affidarsi all’autocomunicazione di Dio con una​​ resa incondizionata​​ di tutto il proprio essere, intelligenza, volontà, cuore, in un​​ ri-conoscimento​​ che si fa​​ ri-conoscenza​​ e confessione di lode. Credere significa stare davanti a Dio nell’atteggiamento di Samuele, disponibile all’ascolto: “Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta”​​ (1 Sam​​ 3,10), o in quello pieno di dignitosa ubbidienza di Maria: “Si faccia in me secondo la tua parola”​​ (Lc​​ 1,38)» (Gatti, 1981).

La fede, come dimensione teologale della vocazione, diviene la prima motivazione fondante l’adesione dell’uomo all’iniziativa di Dio, dinamismo interiore capace di trasformare tutta la vita.

 

2.2. Vocazione come progetto di vita propulsivo e creatore

La vocazione oggi viene sempre più letta secondo la categoria psicologica del «progetto di vita», che trova il suo corrispettivo teologale nella virtù della speranza. È un dinamismo interiore che ha il potere di anticipare, dirigere e sostenere, per dono e per conquista, lo sviluppo della persona in vocazione, proiettata verso il suo futuro, chiamata a confrontarsi con le provocazioni della realtà, a fare sintesi fra sé e il nuovo, a cercare un adattamento dinamico e creativo nella via che conduce l’uomo e la storia verso una superiore realizzazione.

Il progetto di sé, l’aspetto cioè del dono di Dio che rende l’uomo più consapevole del suo protagonismo vocazionale, si pone come nucleo propulsore e centro integratore per la crescita di tutta la personalità. Esso rappresenta la direzione di sviluppo per il «chiamato», indica la misura delle aspirazioni, costituisce un principio di autonomia e libertà interiore e insieme imprime la forza sufficiente per realizzare un impegno percepito come vincolante per tutta 1’esistenza. Il «progetto di vita» si radica nelle motivazioni profonde del comportamento, a livello psico-esistenziale, e pur presente in maniera primordiale nella prima età, si rivela pienamente durante il periodo adolescenziale, quando le strutture dell’autonomia dell’io e della relazione interpersonale hanno raggiunto una discreta maturazione. In quanto motivazione, è per molti aspetti permeato di inconscio, ma non raggiunge la sua maturità senza interessare le zone superiori della coscienza, investendo il potere critico e decisionale.

È pertanto un dinamismo completo e pluriarticolato e, in quanto essenzialmente rivolto al futuro, coesteso a tutto l’arco dell’esistenza (De Pieri, 1976, 1980).

Il dinamismo teologale della virtù della speranza si fonde pertanto con il potere umano dell’«autoprogettazione»: sul piano pratico, storico-culturale ed esistenziale ciò avviene — in felice sintesi — per il concorso dei doni dello Spirito, in primo luogo la profezia, e il discernimento umano dei «segni dei tempi e dei luoghi».

Per ogni educatore cristiano sono le nuove frontiere dove si può aprire, nonostante tutto, un cammino di speranza per i giovani d’oggi, chiamati ad essere un fermento di rinnovamento per la Chiesa di domani e i protagonisti di una nuova fondazione di valori per l’umanità del futuro. Sull’onda della speranza, il progettare umano appartiene alla natura creata dell’uomo che Dio non rinnega ma assume in un più vasto disegno di salvezza.

Il progetto di Dio si rivela alla progettualità umana attraverso la totalità della realtà di cui essa deve tener conto. E tener conto della realtà e di tutta la realtà costituisce il carattere più propriamente razionale (e quindi positivamente laico) della progettazione storica, anche se, in questo caso, è insieme il suo dischiudersi a quel progetto trascendente cui è sostanzialmente orientata.

Se la realtà impone spesso al singolo così come all’umanità di morire ai propri progetti parziali e fallibili, è solo perché possa vivere a un progetto di amore che, se può apparire incomprensibile alla corta razionalità umana e incommensurabile con i suoi calcoli miopi, non toglie all’uomo la responsabilità del progettare ma, assoggettandolo alla legge della croce, lo apre agli esiti positivi prefigurati nella risurrezione di Cristo (Gatti, 1981).

 

2.3. Vocazione come dinamismo affettivo-oblativo, di amore e servizio

La vocazione, in quanto essenzialmente connessa con le dimensioni più profonde della personalità, ossia quelle che fanno riferimento soprattutto alla sfera emotivo-affettiva e tendenziali del nostro essere, pone in attitudine di amore e servizio, anzitutto verso Dio, sentito come Persona vivente da amare in modo attivo e prioritario, e conseguentemente verso l’umanità, ugualmente da amare e servire. La vocazione diviene in tal modo una «via che conduce all’amore», in quanto permette a ogni uomo e a ogni donna di sviluppare nel concreto della propria esistenza la capacità di amare, come vertice e coronamento della chiamata fondamentale all’essere. L’impulso interiore, percepito nella fede, che sta all’origine di ogni vocazione come dono della bontà di Dio e che diviene in ogni essere umano forza propulsiva nel progetto personale di vita, raggiunge — sotto la spinta affettiva e tendenziale del dinamismo teologale della carità — un’attitudine aperta all’oblatività e al servizio.

In quanto tale la vocazione — quando evolve e matura — si caratterizza come un insieme di atteggiamenti «allocentrici», attivatori di relazioni interpersonali basate sull’accoglienza, sulla fiducia, sulla stima reciproca, sull’ottimismo e la gioia e trova la sua attuazione concreta nell’attitudine alla disponibilità e al servizio, attraverso la collaborazione, la corresponsabilità e la partecipazione. La vocazione diviene in tal modo fondamento, movente e veicolo per una esistenza interamente spesa in pienezza per Dio, per sé e per i fratelli. In questa prospettiva c’è un rischio da evitare: il pericolo cioè di ridurre la vocazione — anche sotto la spinta della carità — a una funzione di servizio in risposta a certi bisogni. La carità conduce anche a questo, ma supera tale obiettivo e si pone come gratuità e dono di amore, all’interno dell’amore di Dio e dentro la Chiesa, tutta intera «sacramento di salvezza», dove anzitutto questa dimensione spirituale viene evidenziata, sia pure attraverso la ricchezza e la complementarità dei doni e dei ministeri. In questo contesto anche la vocazione sacerdotale e religiosa cessano di essere speciali per divenire specifiche, diversificate ma complementari nell’unico grande dono di grazia che caratterizza il disegno salvifico universale di Dio (De Pieri, 1982).

 

3.​​ Il discernimento​​ della vocazione nell’attuale​​ contesto ecclesiale e sociale

La vocazione come dono, appello e progetto, ha bisogno — nel suo faticoso emergere e divenire sia individuale che comunitario — di essere non solo scoperta, ma soprattutto correttamente interpretata e aiutata a evolvere e crescere in pienezza e autenticità. Oggi soprattutto, nel clima di pluralismo culturale in cui siamo inseriti e di fronte al pesante condizionamento di alcune antropologie, nelle quali si esclude in forma più o meno evidente il rapporto dell’uomo con Dio, diventa arduo parlare non solo di discernimento e sviluppo vocazionale ma anche, in molti casi, della stessa dimensione religiosa della vita. Infatti, in ampie fasce dei giovani d’oggi lo stesso bisogno religioso, oltre che alienato, risulta sovente rimosso da molteplici ostacoli, pregiudizi e condizionamenti che impediscono, assieme alla dimensione religiosa della vita, anche la stessa progettualità umana. Il discorso teologico e antropologico sulla vocazione deve pertanto saldarsi con la dimensione storico-culturale che segna nel nostro tempo non solo la crisi ma anche lo stesso risveglio delle vocazioni. Già la Costituzione Conciliare «Gaudium et spes» aveva più volte messo in rapporto di interdipendenza vocazione e cultura. È in questa prospettiva che occorre procedere nella rifondazione dell’identità vocazionale di ogni persona, stabilendo — soprattutto nei confronti dei giovani d’oggi — gli obiettivi prioritari da conseguire antecedentemente alla scoperta della propria vocazione e dei compiti di maturazione che essa richiede.

 

3.1. Alcuni obiettivi previ alia scoperta della propria identità vocazionale

Nell’attuale contesto storico-culturale sembra necessario operare sul «pre-vocazionale», conseguendo i seguenti importanti obiettivi:

— Aiutare adolescenti, giovani e adulti​​ a prendere coscienza del progetto​​ quale fattore dinamico del loro sviluppo umano globale.

— Far​​ maturare la dimensione religiosa​​ insita in ogni progetto umano. Occorre esplicitare questa istanza partendo dalle esigenze dello sviluppo umano e aiutare ognuno a saper leggere il proprio progetto di esistenza sullo sfondo della volontà di Dio. Solo così il progetto diventa «vocazione».

— Garantire ai giovani un supporto culturale e razionale del progetto: questa​​ fondazione scientifica​​ è essenziale per l’autonomia critica e per la costruzione dei valori: è compito delle istituzioni formative fornire queste motivazioni.

— Condurre gli adolescenti e i giovani alla​​ maturità di scelta e decisione.​​ Senza di ciò resterebbero in balia di progetti altrui o nell’indecisione cronica. Il progetto di vita si realizza infatti nelle scelte concrete.

— Aiutare adolescenti e giovani ad​​ accettare e superare le frustrazioni​​ come normali elementi di maturazione. Oggi soprattutto, nel contesto della società permissiva, essi sono esposti alla fragilità emotiva, alla consumazione di esperienze emotive, all’indecisione. Nessun progetto giunge a compimento senza questo duro esercizio di fronte alla realtà.

— Maturarli​​ all’impegno socio-politico​​ mediante la partecipazione. Ogni progetto individuale ha una componente sociale. Bisogna talora far emergere la necessità di lottare contro molteplici condizionamenti per rendere possibile un ideale di vita. In altri termini, la realizzazione del progetto di sé si salda con il​​ processo di liberazione individuale e collettiva.​​ Per il credente poi l’impegno sociale oggi è il nome nuovo della carità: egli deve saper fare una sintesi vitale tra autoprogettazione, sviluppo e presenza nella realtà sociale e culturale in cui è inserito.

 

3.2. Criteri di idoneità e discernimento vocazionale

Ponendosi ora dal punto di vista della vocazione nel soggetto giovane o adulto, che si interroga e desidera conoscere ciò che Dio si attende da lui, cerchiamo di individuare anzitutto i criteri di discernimento e poi le linee di maturazione per far emergere e condurre fino alla maturità la chiamata del Signore.

Ciò presuppone e richiede, accanto alla grazia, anche apporti delle scienze umane, in primo luogo la psicologia e la pedagogia che devono favorire il risveglio, il riconoscimento e lo sviluppo del «germe» vocazionale. Si parla a questo proposito di un duplice discernimento: da parte del soggetto a livello della sua coscienza, e da parte della Chiesa che, per certi ministeri e vocazioni specifiche, suppone l’esame delle motivazioni, delle attitudini e, più profondamente, il riconoscimento della mozione interiore dello Spirito all’interno di ogni anima.

 

3.2.1. Il discernimento vocazionale da parte del soggetto, primo e principale protagonista

Per scoprire la volontà di Dio e rispondere pienamente con libertà alla sua chiamata è necessario percorrere un itinerario di discernimento che comprende diverse tappe.

— La prima risposta, e la più fondamentale, che si deve dare è questa: la volontà di Dio è la vita. Il primo «sì» che noi possiamo dire a Dio è​​ dire sì alla vita.​​ Dire che Dio ci vuole a sua immagine è dire che ci vuole creatori e liberi, capaci di invenzione nell’amore. Ciò che Dio attende da ciascuno di noi è anzitutto che si sia pienamente, il più originalmente possibile, uomo o donna, creatore di vita e di amore a sua immagine. Affermare questo è dire equivalentemente che il primo luogo di discernimento della volontà di Dio è il nostro essere profondo, col suo desiderio e le sue virtualità. La psicologia conferma questo punto di vista: c’è il rischio di costruire una vocazione su un «super-io» sociale o religioso che in certi contesti può rivelarsi solido, ma che non è l’« Io» profondo.

— È opportuno in secondo luogo assumere informazioni e chiedere anche consiglio a persone competenti e di fiducia: occorre infatti grande​​ capacità di ascolto e di riflessione​​ per non commettere errori nelle decisioni che riguardano la direzione fondamentale dell’esistenza. L’analisi della propria esperienza presente e passata, compresi gli errori e gli insuccessi, fatta alla luce di criteri obiettivi di valutazione, consente di rettificare l’indirizzo intrapreso, traendo motivazione ed energie per sforzi ulteriori di ripresa e di progresso.

— Bisogna infine essere in ascolto, oltre che del proprio io, anche delle invocazioni e delle​​ provocazioni che ci provengono dalla realtà​​ circostante che ci interpella, specialmente attraverso le situazioni di sofferenza e di bisogno. Gli appelli lanciati da chi è oppresso, emarginato, sofferente, disperato, rappresentano sovente una sorgente da cui scaturiscono vocazioni che hanno il timbro del sublime e dell’eroico. In questa prospettiva, da una attenta lettura dei «segni dei tempi», provengono segnali e stimoli per scoprire la volontà di Dio su di sé. Ecco al riguardo varie situazioni.

Certe volte progetto personale e piano di Dio sembrano coincidere: in questo caso basta la rettitudine di intenzione, ispirando la propria vita su quella che appare abbastanza linearmente come volontà di Dio.

In certi casi sorge un vero e proprio conflitto tra le aspirazioni e gli impulsi personali e ciò che viene con chiarezza percepito come disegno di Dio su di sé.

In altri casi Dio stesso si permette di «attraversare» in maniera brusca e inattesa il corso dell’esistenza, imprimendovi una direzione del tutto diversa. Ciò accade sovente in caso di malattie, disgrazie, calamità naturali, crisi sociali, situazioni di bisogno, e in tutti i casi in cui Dio richiede, attraverso una «conversione», un cambio di vita.

 

3.2.2. Il discernimento da parte della comunità e della Chiesa per le vocazioni specifiche

Accanto al discernimento da parte del soggetto, l’esperienza della Chiesa richiede, per le​​ vocazioni specifiche,​​ un discernimento «oggettivo» a cura di coloro che ne hanno di volta in volta la responsabilità. Il discernimento oggettivo verte sostanzialmente su tre aspetti:

— il riconoscimento del movimento interiore dello Spirito nell’intimo di una chiamata personale (in tal caso legittimando il discernimento già compiuto dal soggetto chiamato per questa o quella vocazione);

— la valutazione della «retta intenzione» attraverso l’esame delle motivazioni, onde evitare illusioni o distorsioni pericolose;

— l’accertamento delle attitudini richieste per svolgere un determinato ministero o affrontare un particolare stato di vita (sacerdotale, religiosa, laicità consacrata, ecc.)

 

3.2.2.1. Il discernimento delle motivazioni

In riferimento alla specificità e destinazione di alcune particolari vocazioni, quelle cioè al sacerdozio e alla vita religiosa, si impongono alcuni criteri di idoneità e di maturazione, che vanno inquadrati in una più ampia prospettiva di «discernimento». Nell’intento di cogliere gli indizi positivi per un tale tipo di chiamata particolare e anche nello sforzo di individuare elementi negativi (o «controindicazioni») si è da sempre attuato nella Chiesa uno sforzo di chiarificazione e orientamento, che ha fatto sintesi, da un lato, delle indicazioni provenienti da criteri di idoneità ecclesiale e, dall’altro, degli apporti recati anche dalla saggezza e dalla scienza umana per gli aspetti di reciproco dominio e competenza.

Si può anzi dire che il dialogo tra teologia e scienze umane ha trovato un fecondo campo di applicazione e confronto soprattutto nei riguardi del «discernimento dei criteri di idoneità» delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. In particolare l’apporto più consistente recato dalle scienze umane si è rivelato utile nell’analisi delle motivazioni vocazionali e nell’indicazione di accurate metodologie di sviluppo, maturazione e adattamento vocazionale.

Retta intenzione e motivazione autentica sono requisiti essenziali: essi richiedono che il soggetto chiamato disponga di un sufficiente grado di libertà e di equilibrio psicologico. Per tale ragione, oltre all’animatore vocazionale, all’educatore e al responsabile religioso, anche lo psicologo viene talora chiamato a dare il proprio contributo per descrivere i dinamismi della personalità, pronosticare una linea di sviluppo in caso si tratti di immaturità o dubbio equilibrio e indicare eventualmente opportuni interventi psicoterapeutici. In pratica, riferendosi ai criteri di accettazione dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa, i responsabili devono attenersi alle norme del Magistero ecclesiale che suggeriscono di non accogliere i soggetti che presentano determinati disturbi psichici o che sono animati da motivazioni chiaramente inautentiche.

La prima e più importante garanzia di motivazione autentica proviene dalla valutazione di una personalità profondamente sana, dotata di un certo grado di equilibrio psichico, esente perciò da gravi incongruenze o conflittualità nei dinamismi costitutivi dello psichismo, imperniata essenzialmente su tratti positivi di autonomia e autofiducia, con orientamento chiaramente «allocentrico», cioè oblativo e religioso.

In altri termini, non deve risultare dissonanza insuperabile tra aspetti inconsci e aspetti coscienti dei moventi vocazionali, che vanno perciò colti più nel vissuto e nel comportamento del soggetto che nelle sue affermazioni verbali. L’esame condotto sulla motivazione perviene alla constatazione o meno della «consistenza» vocazionale, che si ha quando la persona è motivata da bisogni che si trovano in armonia con i valori oggettivi e con gli atteggiamenti vocazionali (Rulla, 1978).

La persona chiamata che ha raggiunto un buon livello di consistenza vocazionale dispone abitualmente di serenità interiore (esclusione cioè di ansia «nevrotica», mentre è normale l’ansia «esistenziale»), sicurezza psicologica sufficiente (esclusione di stati cronici di indecisione e di incertezza) e capacità di instaurare rapporti interpersonali soddisfacenti per sé e fruttuosi per gli altri (esclusione di «difese» strutturate o di «proiezioni» aggressive sempre in agguato).

 

3.2.2.2. Il discernimento delle disposizioni e delle «attitudini»

Una vocazione ecclesiale specifica richiede un supporto attitudinale che deve essere valutato in base a determinati criteri. La riflessione dottrinale, le conclusioni delle scienze umane e l’esperienza secolare della Chiesa hanno in proposito individuato, oltre al discernimento delle motivazioni, una duplice serie di criteri così ripartiti:

—​​ criteri negativi o «controindicazioni»​​ di indole giuridica o prudenziale;

—​​ criteri positivi,​​ nel senso che la loro presenza è esplicitamente richiesta per l’affidabilità del discernimento vocazionale.

In genere, le​​ controindicazioni​​ più comuni e più gravi si riferiscono:

— alla base familiare delle disposizioni e delle attitudini (tare familiari o gravi turbe del clima affettivo di base);

— alla carenza di equilibrio psichico (gravi disturbi nella struttura e nella dinamica della personalità);

— alla carenza di attitudine alla «vita comunitaria», intesa come incapacità costituzionale dell’individuo a vivere come membro di una comunità e a integrarsi con gli altri in quanto diversi da sé;

— all’incapacità seriamente dimostrata di integrarsi attivamente in situazioni nuove e di affrontare una realtà in continua evoluzione e divenire.

Per quanto concerne invece i criteri di​​ idoneità positiva,​​ con i rispettivi indici per il discernimento, occorre riferirsi, oltre alle indicazioni del Magistero ecclesiale, anche alle esigenze di ogni vocazione specifica.

A titolo di opportuna precisazione è da ricordare che le «disposizioni» che si devono riscontrare e coltivare sin dall’inizio non sono ancora le «attitudini» sviluppate, da richiedere alla vocazione dell’adulto formato. Inoltre i casi o​​ le situazioni di immaturità,​​ specialmente se in età ancora giovane, non sono da ritenere alla stregua delle controindicazioni: costituiscono infatti segnali prudenziali per aumentare l’opera di discernimento e di formazione. Per l’idoneità vocazionale tali casi devono però evolvere in senso chiaramente positivo e consolidato.

 

4.​​ Il processo di maturazione

Perché l’adesione umana all’iniziativa divina avvenga in libertà e autenticità occorre che il cammino vocazionale percorra una serie di tappe che caratterizzano il cosiddetto processo di maturazione vocazionale. Intendiamo riferirci soprattutto all’adesione libera e responsabile, alla purificazione progressiva dei moventi vocazionali e alla dinamica della decisione.

Nel divenire vocazionale la decisione rappresenta infatti il punto di arrivo di un faticoso processo di maturazione che può essere scandito attraverso le quattro tappe seguenti:

— l’origine della vocazione, segnata dall’emozione privilegiata di cui abbiamo parlato;

— il sostegno durante il periodo di orientamento, mediante il confronto con un modello;

— l’avvio verso la disponibilità attraverso un sincero atteggiamento di ricerca, che traduce concretamente l’adesione alla chiamata;

—​​ la decisione vera e propria, mediante una opzione e un coinvolgimento nel ruolo vocazionale liberamente scelto (Marchand, 1967).

 

4.1. L’adesione libera e responsabile alla chiamata divina

Analizzando il modo con cui l’uomo accoglie l’invito divino e vi risponde, emergono due aspetti: uno caratterizzato dal dinamismo presente nel dialogo tra Dio e l’uomo; l’altro evidenziato dalla graduale trasformazione che avviene nell’uomo che si lascia conquistare da Dio (Giordani,​​ 1979).

Il primo dinamismo comporta l’intuizione del proprio progetto di vita, che si va gradualmente elaborando con la propria identità. Il secondo consiste nell’atteggiamento di conversione e di trasformazione che il dono di Dio richiede da parte della persona così chiamata. L’uomo, aderendo a Dio, non perde la propria identità, rimane anzi sé stesso, si realizza pienamente e allo stesso tempo acquista un nuovo principio interiore di identificazione proposto da Dio in Cristo e nello Spirito, capace di trasformare il suo sistema di valori, le sue tendenze affettive e relazionali e anche la sua sfera pulsionale. L’adesione vocazionale comporta cioè una innovazione e un arricchimento trasformante l’intera personalità.

Ecco perché la chiamata di Dio, essendo ricevuta in un essere umano, richiede il rispetto di questi dinamismi che conferiscono dignità alla risposta dell’uomo, in quanto avviene secondo una personale e libera accoglienza e disponibilità.

Come è noto, il periodo della «ricerca» nel cammino vocazionale si è oggi notevolmente dilatato. L’impegno dei singoli deve essere perciò coadiuvato da supporti ambientali e comunitari adeguati, con una intensificazione dell’aiuto personalizzato, offerto da guide spirituali, educative e psicologiche preparate.

 

4.2. La progressiva purificazione dei moventi vocazionali

La particolare connotazione emotivo-affettiva della vocazione richiede frequentemente la polarizzazione su un modello che viene amato, imitato e seguito (processo di identificazione).

Questo aspetto, nella storia di molte vocazioni, appare evidente e significativo: chi è attratto da una vocazione generalmente esperimenta in maniera viva questa identificazione col modello.

Il più delle volte esso è rappresentato da persone reali e concrete, che incarnano le istanze dell’ideale perseguito nella vocazione, ma in non pochi casi esso è costituito anche dalle stesse istituzioni religiose e soprattutto dallo «spirito» e dal «carisma» dei Fondatori.

Tuttavia non è chi non veda l’ambivalenza, sotto l’aspetto psicologico, di questa tappa nel processo vocazionale: se infatti essa dall’«identificazione» sul modello non evolve verso l’«identità» autonoma e adulta attraverso l’interiorizzazione dei valori vocazionali, rischia di cristallizzare la persona in uno stadio precario di eteronomia e dipendenza infantile.

Nella pedagogia vocazionale questo rischio è conosciuto, ma non sempre nel processo di maturazione l’individuo o l’istituzione riescono a cautelarsi in maniera soddisfacente. Ciò conduce ad arresti e fissazioni di sviluppo ed è causa non infrequente delle crisi di abbandono o della infelicità vocazionale in tutti gli stati di vita.

Oltre alla interiorizzazione del modello è necessario procedere nella purificazione dei moventi vocazionali.

Come è noto, la compresenza di motivazioni soprannaturali e naturali (consce e inconsce) rende inevitabilmente complesso e ambivalente l’intero cammino vocazionale. Una volta accertato, infatti, che i dinamismi motivazionali su cui si fonda la vocazione sono autentici, rimane aperto il compito di una progressiva «purificazione» dei motivi, la cui autenticità si intravede attraverso il comportamento e gli atteggiamenti costanti della persona ed emerge soprattutto nelle situazioni difficili (come l’incomprensione, la solitudine, il dubbio, la delusione, la malattia, la fedeltà nel quotidiano, ecc.).

 

4.3. La decisione vocazionale vera e propria

La decisione vocazionale non costituisce un atto isolato o per così dire volontaristico. Essa si inquadra invece in un processo dinamico di maturazione della personalità che a un certo punto è in grado di compiere una opzione libera, fondata su motivi di valore. Ordinariamente la decisione avviene in forza della percezione che il proprio progetto di vita si inquadra nel disegno che Dio ha su di noi. Si instaura così una «catena motivazionale» che attraverso inclinazioni, interessi, motivazioni e atteggiamenti, impulsi e dinamismi spirituali, conduce alla scelta definitiva. Potremmo chiederci quali condizioni sono oggi maggiormente atte a radicare i valori nella personalità e farli divenire motivazioni capaci di sostenere l’opzione vocazionale dei giovani nel contesto attuale. Per questo ci sembra necessario:

—​​ un incontro esperienziale​​ della persona​​ con i valori​​ (alleanza con Dio sommamente amato, carità, solidarietà, risposta alle situazioni di bisogno che provocano e interpellano, ecc.);

—​​ la testimonianza di educatori significativi,​​ in grado di incarnare in concreto il modello vocazionale (entusiasti, autenticamente motivati, sintesi viventi della proposta vocazionale);

—​​ l’esperienza di vita in gruppi formativi,​​ aperti alla preghiera, all’ascolto e alla testimonianza;

—​​ la presenza di comunità credibili​​ direttamente impegnate nella missione (dinamicamente orientate e protese a realizzare un progetto apostolico vocazionale sintonizzato con i «segni dei luoghi e dei tempi»). Nel concreto, ogni autentica opzione vocazionale avviene in un clima impegnato di vita, dove la persona viene abituata ad affrontare la realtà, aiutata a superare le necessarie frustrazioni, e a porsi a servizio dei bisogni-valori autentici con atteggiamento di fiducia, bontà e apertura d’animo (Gianola, 1981). Per questo è importante che il processo di decisione venga favorito da momenti forti di preghiera, orientamento e discernimento, sempre congiunti però e armonizzati con una esperienza autentica e riflessa del tipo di vita che si intende abbracciare. L’animatore e il formatore vocazionale devono essere oggi sempre più qualificati a comprendere e sostenere il cammino vocazionale dei giovani del nostro tempo, così diversi e mutevoli e, sia pure a loro modo, così capaci di donazione e di profezia nei confronti dell’appello vocazionale.

 

4.4. Per una pedagogia di accompagnamento

Per questo oggi nella pedagogia dell’accompagnamento vocazionale si impongono alcune istanze.

1. Anzitutto l’attenzione ad​​ articolare gli interventi secondo un ’ottica di sviluppo vocazionale.​​ Esso prevede le seguenti fasi:

—​​ l’orientamento​​ di tutti e ciascuno a scoprire il progetto di Dio su di sé (questa fase è connessa con​​ l’annuncio​​ vocazionale attraverso la comunità, i suoi «segni» e le sue mediazioni);

— la​​ proposta,​​ che può essere esplicita o implicita e diversificata secondo le varie età (ad esempio, nella preadolescenza pare opportuno maturare alcuni importanti pre-requisiti vocazionali; nell’adolescenza far vivere intensamente l’intuizione del progetto di vita e far risuonare la bellezza dell’appello vocazionale; nella giovinezza e nella vita adulta impegnare attorno a valori vocazionali concretamente vissuti nell’integrazione fede-vita);

—​​ l’accompagnamento,​​ sia personale che comunitario una volta che si sia chiarita o si stia chiarendo l’ipotesi vocazionale (a questo riguardo sono oggi necessarie sia persone che strutture a ciò adeguatamente preparate e destinate).

2. In secondo luogo,​​ l’attenzione alla creazione di itinerari vocazionali,​​ diversificati secondo le età e le fasi dello sviluppo vocazionale. Gli itinerari, oltre agli obbiettivi da conseguire e ai mezzi da valorizzare, prevedono anche la mediazione delle persone destinate all’animazione vocazionale e delle strutture necessarie per l’accompagnamento (CEI,​​ Piano pastorale per le vocazioni,​​ 1985).

 

5.​​ Conclusione

Un salutare cambio di prospettiva si è attuato nel nostro tempo circa il modo di concepire la vocazione, riportandola all’interno della persona e della condizione esistenziale di ogni uomo e di ogni donna. In particolare, oggi viene accentuato l’aspetto dialogico-relazionale e perciò dinamico di ogni vocazione.

Il peso attribuito alla vocazione comune nulla toglie alle vocazioni specifiche, anzi dona loro un carattere di maggiore credibilità e rilevanza.

Questo «salto di qualità» nei riguardi della vocazione può imprimere un dinamismo di maggiore consapevolezza e responsabilità ad ogni persona che è misteriosamente «donata-chiamata» da Dio, e nello stesso tempo qualificare in maniera più adeguata tutti gli educatori e i pastori delhanimazione, dell’orientamento e del discernimento vocazionale. Nell’attuale momento storico occorre forse, in forma prioritaria, rivedere i rapporti tra cultura-vocazione e vocazioni-Chiesa, per favorire un risveglio che sia maggiormente in sintonia con i «segni dei tempi», letti anche nei valori-bisogni delle nuove generazioni, e con la volontà dello Spirito che non cessa mai di amare l’umanità rinnovando in essa l’effusione dei suoi «doni».

 

Bibliografia

Conferenza Episcopale Italiana,​​ Vocazioni nella Chiesa in Italia. Piano Pastorale per le vocazioni,​​ Collana Documenti CE1, Roma 1985; De Pieri S.,​​ Progetto di sé e partecipazione, Ed. Paoline, Roma 1976;​​ Orientamento, professione e vocazione, Queriniana, Brescia 1979;​​ Cammino dei giovani in orientamento e la comunità, in «Consacrazione e servizio» (1980) 4, pp. 59-71; Favale A. (a cura di),​​ Vocazione comune e vocazioni specifiche, LAS, Roma 1981; Frankl V.,​​ Alla ricerca di un significato della vita, Mursia, Milano 1974; Gatti G.,​​ La vocazione cristiana, in A. Favale (a cura di),​​ Vocazione comune e vocazioni specifiche, LAS, Roma 1981, pp. 241-242; Gevaert J.,​​ La vocazione umana, in Favale A. (a cura di), o.c., p. 209ss; Gianola P.,​​ I giovani tra valori difficili e vocazioni consacrate, in «Orientamenti Pedagogici», 3, 1981, pp. 375-399; Giordani B.,​​ Risposta dell’uomo alla chiamata di Dio, Ed. Rogate, Roma 1979; Grieger P.,​​ I giovani oggi e il «progetto di vita», Ancora, Milano 1979; Marchand F.,​​ Étapes de la vocation chez l’enfant et l’adolescent, in «La Vie Spirituelle, Supplément», 80 (1976), pp. 60-68; Masseroni E.,​​ Vocazione e vocazioni, Piemme, Casale Monferrato 1985; Pigna A.,​​ La vocazione. Teologia e discernimento, Teresianum, Roma 1976; Rulla L. M.,​​ Psicologia del profondo e vocazione: le persone, Marietti, Torino 1976;​​ Psicologia del profondo e vocazione: le istituzioni, Marietti, Torino 1976;​​ Antropologia della vocazione cristiana,​​ vol. I Basi interdisciplinari,​​ vol. II Conferme esistenziali, Piemme, Casale Monferrato 1985; Rulla L. M. - F. Imoda - J. Ridick,​​ Struttura psicologica e vocazione: motivazioni di entrata e di abbandono, Marietti, Torino 1977; Sovernigo G.,​​ Psicologia della vocazione, Istituto S. Giustina, Padova 1975;​​ Progetto di vita e scelta cristiana, LDC, Leumann 1975;​​ Ecco, manda me, LDC, Leumann 1985.

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VOCAZIONE

Il concetto di v. (vocation) è una nozione fondamentale che è stata sempre presente nella coscienza dell’uomo, in modo particolare nella rivelazione trasmessaci dalla​​ ​​ Bibbia. In questi ultimi anni è stato particolarmente approfondito sia nel campo specifico dell’orientamento, per l’aumentato bisogno di informazioni, consigli ed educazione in merito alla scelta di un lavoro nell’ampia gamma delle offerte, sia in quello religioso, grazie, in particolare, al Concilio Vaticano II e ad una vigorosa presa di coscienza della crisi numerica dei candidati alla vita presbiterale e consacrata. Rimane tuttavia notevole il lavoro di ricerca e di studio richiesto dal fenomeno della v. di «speciale consacrazione». Anche se si nota una maggior attenzione ai valori della​​ ​​ persona, tuttavia, non si è ancora sufficientemente chiarito l’apporto interdisciplinare tra teologia e​​ ​​ scienze dell’educazione e non si è prestata sufficiente attenzione agli aspetti attitudinali, pedagogici e metodologici della scelta e accompagnamento vocazionali.

1.​​ Significato di v. Nell’uso corrente per v. s’intende l’inclinazione che una persona manifesta verso uno stato di vita, una professione o una carriera. Questa accezione, comune e popolare, tuttavia è in qualche modo elementare e vaga; non rispecchia infatti abbastanza quello che è in realtà la v. al livello umano e cristiano. Per v.,​​ a livello umano, s’intende il servizio incondizionato a​​ ​​ valori riconosciuti come tali e sentiti come appellanti per la persona. La v. è la via all’identità propria di una persona che impegna in forma libera e responsabile la propria vita per promuovere la storia dell’uomo. Essa è sempre una risposta originale ad un appello percepito come forte e impellente. Non si tratta unicamente di un’inclinazione o di un’attrattiva naturale ma di un’iniziativa personale, libera e intenzionale della persona che organizza e unifica la propria vita in funzione di un valore. Le inclinazioni naturali non sono la spinta specifica di una v., perché potrebbero addirittura essere un elemento disturbante. La v. è, invece, una realtà profondamente «personale», inserita in una struttura di inclinazioni ed abilità, ma che si trova a funzionare solo nel campo dello spirito, della libertà e della responsabilità. La v., in questo senso, è la misura esistenziale e storica di una persona concreta, perché è solo lo spirito, la dimensione spirituale, che costruisce la storia. Si può, quindi, dire che la v., a livello umano, è il nome dell’identità personale più profondamente ricercata. La v. è pure il fine della persona e, quindi, interessa la​​ ​​ pedagogia. Ciò significa che la persona è strutturata dalla sua v. Essa nasce come un progetto che deve essere realizzato, con l’aiuto dell’​​ ​​ educazione, dalle decisioni centralizzate e unificate della​​ ​​ libertà. Per v.,​​ a livello cristiano, s’intende la chiamata di Dio all’uomo per operare a favore della storia della salvezza. Questa v. non esclude quella a livello umano: la presuppone per arricchirla, ad un piano superiore, di una nuova dimensione. Perciò essa non va considerata solo in modo teocentrico, né solo in modo antropocentrico, ma secondo le due visuali. L’approccio teologico definisce piuttosto il contenuto della v., quello antropologico la modalità della risposta. A questo livello la v. presenta, secondo la Bibbia, le seguenti caratteristiche: è iniziativa d’elezione di Dio, in vista della salvezza del mondo (Ger 1,5; Gal 1,15); è un atto d’amore creativo, personale ed unico, in cui Dio chiama l’uomo «per nome» (Is 43,1) secondo il progetto pensato per lui; implica fondamentalmente un atto di​​ ​​ fede, ossia la capacità nella persona di trascendersi fino al punto di scoprire l’iniziativa di Dio e di ascoltarne la chiamata; richiede un’amicizia religiosa con Dio e fiduciosa in Lui che accetta di collaborare al piano di Dio entro la comunità ecclesiale (aspetto interpersonale-comunitario) con atteggiamento audace, vissuto nell’umiltà, senza altre intenzioni, desideri od aspettative se non quella di consegnare la propria vita a Dio. Nella fede cristiana troviamo questa profonda originalità: la v. è l’impegno interpersonale di Dio e dell’uomo al servizio dell’uomo e della salvezza del mondo.

2.​​ Dimensione pedagogica e teologica della v. cristiana.​​ Nella persona umana, la capacità di scoprire l’iniziativa di Dio e di seguire la sua chiamata è un’attività spirituale mossa dalla fede. La fede è un atteggiamento personale che percepisce e accetta nella storia l’attività salvifica di Dio: è dono di Dio e accettazione dell’uomo; è invito di Dio e decisione libera e docile dell’uomo; è responsabilità e iniziativa di Dio e corresponsabilità o co-iniziativa dell’uomo che si trascende, fino al punto di aprirsi a Dio, intenderne i segni, conoscerlo ed amarlo. La v. è inoltre strettamente collegata con le attività della coscienza e della libertà e in armonia con le doti naturali e le inclinazioni dell’uomo, sebbene si collochi ad un livello superiore. Essa implica sempre una decisione personale libera, promossa dalla fede. La tradizione biblica mette in risalto in Abramo specialmente la sua fede (Rm 4,14-22). La v. nasce come progetto preciso che richiede per essere realizzato un cammino di accompagnamento e di discernimento attraverso cui progressivamente sono unificate le decisioni della libertà per una disponibilità incondizionata e illimitata a Dio e a quelli che nella fede sono chiamati «fratelli» e «sorelle». Questa disponibilità alla «chiamata» di Dio è la condizione della vera fecondità di grazia della v., in qualsiasi «stato» ecclesiale si presenti e in qualsiasi forma si manifesti. In ogni caso si tratta sempre del dono di sé a Dio per i fratelli e per il mondo, sia che la v. si verifichi nella contemplazione di un convento oppure nell’azione apostolica di un prete o di un religioso, o come fermento nel mondo in un istituto secolare o nella vita laicale. Qualunque possa essere il modo della chiamata, è necessario che il soggetto armonizzi tutte le doti della natura e le qualità personali in una co-iniziativa, che s’impegna liberamente in modo totale. In questo senso la libertà nella v. congloba, in sintesi organica, tutta la personalità. Così la v. non è una buona volontà disincarnata, o una decisione isolata, che tocca semplicemente un settore della vita, quella religiosa, ma l’espressione «personale» di tutta l’identità vocazionale concreta del soggetto. Un compito notevole è la decisione vocazionale. Essa impone un delicato lavoro pedagogico di​​ ​​ discernimento vocazionale perché la decisione sia espressione d’un coinvolgimento totale di tutta la persona. È maturazione intelligente delle doti e inclinazioni naturali, in particolare dell’area affettivo-sessuale, delle competenze e delle abilità acquisite e della loro integrazione nel progetto vocazionale. È anche comprensione delle inevitabili contrapposizioni e tensioni giovanili nel cammino vocazionale. Per questo la decisione personale è sempre un atto di audacia che implica un impegno realizzato in un iter di accompagnamento spirituale. Nella v., soprattutto cristiana, tutto si basa sulla docilità alla chiamata, piuttosto che sulle qualità personali dell’uomo. Anzi, la scoperta della propria povertà, come nel caso dell’anzianità di Abramo o della sterilità di Sara, irrobustisce l’impegno del sentirsi chiamati a collaborare con Dio. La v. infatti implica sempre la fiducia nella fedeltà e nel potere di Dio che chiama.

3.​​ L’iniziativa di Dio e la persona.​​ La v. cristiana, appunto perché interpersonale, ha due aspetti chiaramente differenziati: l’iniziativa di Dio e l’accettazione dell’uomo. Si tratta di due aspetti di un’unica realtà vincolati con le attività della coscienza e della libertà. L’iniziativa di Dio si colloca anzitutto nel campo delle caratteristiche e delle doti naturali. Non è la manifestazione illogica di una volontà arcana che s’impone come un imperativo bizzarro, nonostante la personalità e i desideri concreti dell’uomo chiamato. La v. di Abramo, ad es., nonostante la sua anzianità e la sterilità di Sara, è nella linea delle proprie inclinazioni naturali: avere dei figli, possedere terre e dar inizio a una discendenza poderosa. Questi desideri saranno realizzati dalla v. in una maniera inaspettata e portati ben oltre le possibilità naturali. Nella chiamata alla v., Dio si rivolge all’uomo, all’interno di uno scambio dialogico, per invitarlo a partecipare al suo piano d’amore. L’accettazione dell’uomo implica sempre una decisione personale libera, suscitata e sospinta dalla fede. La v., perché personale, segue le linee fondamentali dello sviluppo della personalità umana e cristiana. Essa è in continuo sviluppo verso la progressiva scoperta e comprensione del proprio mistero. I vari educatori dovranno far attenzione alle esigenze di questa continua tensione. È sempre difficile equilibrare la considerazione della v. tra visione della grazia e visione pedagogica. Se si sottolinea eccessivamente la dimensione della grazia si annulla la responsabilità dell’uomo. Se si considera unicamente la dimensione antropologica, si corre il rischio di minimizzare l’apporto della grazia. Per questo a tutt’oggi si sono date tre impostazioni di pensiero e di metodologia attorno al discorso v.: la scuola spiritualista che privilegia l’azione unica di Dio a scapito della realtà della persona; la scuola psicologista, che concentra l’attenzione vocazionale solo sui dinamismi naturali della persona; la scuola antropologico-cristiana che vede il discorso vocazionale in uno splendido equilibrio di natura e grazia nella chiamata e nella risposta.

4.​​ La v. e le v.​​ L’originalità della v. non consiste solo nel fatto che Dio prende l’iniziativa nella storia dell’uomo, ma anche nel fatto che Dio interviene definitivamente, non in un individuo, ma in una comunità di persone, ossia nella Chiesa. La v. cristiana, nel suo senso fondamentale e comune, è comunitaria ed ha quindi una valenza globale. Dio chiama l’uomo attraverso la Chiesa, e l’uomo risponde a Cristo attraverso la Chiesa. Così la Chiesa è la v. cristiana del mondo, il nucleo e la logica dinamica di ogni v. Nella Chiesa ci sono parecchie v. Come dice s. Paolo, ad ognuno è stato dato un «carisma» (dono) particolare, secondo la libertà di Dio e la capacità di ognuno: non per sé, ma per l’utilità comune, per realizzare la Chiesa «corpo mistico», «edificio spirituale», «popolo sacerdotale, profetico e regale» e per operare nella verità e giustizia, per la salvezza del mondo e la piena comunione con Dio. Educare alla v. significa promuovere alla vita comunitaria aperta al mondo e a Dio.

5. In questi ultimi anni si è iniziato a riflettere sulle linee portanti per una storia della pastorale e pedagogia vocazionale nella Chiesa. Si considera punto iniziale della Pastorale Vocazionale l’enciclica di Pio XI:​​ Ad cattolici sacerdotii​​ del 1935, che, si può dire, ha dato l’apporto fondamentale a tutta la pastorale e pedagogia vocazionale successiva con l’impulso straordinario del Vaticano II.

Bibliografia

Masseroni E.,​​ V. e vocazioni, Casale Monferrato (AL), Piemme, 1985; Cencini A.,​​ Vocazioni. Dalla nostalgia alla profezia. L’animazione vocazionale alla prova del rinnovamento, Bologna, Dehoniane, 1989; Magni V.,​​ Pastorale delle v. Storia,​​ dottrina,​​ esperienze,​​ prospettive, Roma, Rogate, 1993; Cencini A.,​​ Vita consacrata. Itinerario formativo lungo la via di Emmaus, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1994; Citrini T., «V.», in​​ Dizionario di pastorale vocazionale, Roma, Rogate, 2002; Llanos M. O.,​​ Servire le v. nella Chiesa, Roma, LAS, 2005.

V. Gambino

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