TERRITORIO
Juan Vecchi
1. Approccio descrittivo
2. Prospettive pastorali
2.1. La salvezza avviene nella storia
2.2. La Chiesa cammina con l’umanità
2.3. Evangelizzare è convertire la coscienza
3. Indicazioni operative
3.1. Solidarietà
3.2. Missionarietà
4. Territorio e pastorale giovanile
5. Conclusione
1. Approccio descrittivo
Nel processo di socializzazione caratteristico della nostra epoca ci sono due tendenze: quella di partecipare al destino dell’intera umanità superando le chiusure nazionali; e quella di riportare le decisioni dentro raggruppamenti umani più ridotti, ben definiti e concreti. Si costituiscono così circoscrizioni amministrative, ma soprattutto si formano ambiti sociali dove le persone sono chiamate a prendere responsabilità diretta nella soluzione dei problemi Il termine territorio assume il significato ampio e generale di contesto sociale, con una sua particolare struttura e organizzazione della vita e dei rapporti, dove sorgono ed è possibile affrontare problemi comuni attraverso la corresponsabilità e la partecipazione. Non indica dunque soltanto il quartiere, ma secondo i casi, anche la zona, la città, la regione e l’intera nazione.
Il territorio è simultaneamente spazio fisicogeografico, comunità umana, area culturale e ambiente di vita.
Lo spazio fisico influisce sul gruppo umano che vi abita e ne riflette gli atteggiamenti e le capacità. Con esso le persone stabiliscono un certo rapporto (radicamento, permanenza precaria, passaggio...) e su di esso compiono azioni che incidono sulla totalità della vita: abbandoni, concentrazioni, abbellimenti, creazione di aree significative. Sullo spazio fisico si sviluppa la vita del gruppo umano. Questo può trovarsi nella fase di assembramento naturale (aree di emigrazione, campi profughi, inurbazione selvaggia...). Ma regolarmente è una comunità socialmente e politicamente organizzata. Il territorio viene ad essere così non soltanto spazio fisico ma anche realtà umana costituita dai rapporti che si stabiliscono, dalle istituzioni che vi sorgono e dalle leggi che regolano la vita sociale e la gestione del potere. In esso diventano importanti la partecipazione, le aggregazioni, le istituzioni educative e culturali, le strutture sociali e politiche.
Il territorio così concepito, come ambito in cui le persone si incontrano e si integrano, diventa un luogo di elaborazione e circolazione di cultura popolare. Per «cultura» intendiamo la configurazione che prende la vita e le corrispettive forme di coscienza caratteristiche di un gruppo umano in un dato momento storico. Cultura popolare è quella che esprime il popolo nella sua vita, al di là e pri- - ma di ogni sistematizzazione riflessa, cioè l’insieme di costumi e usi popolari, le celebrazioni e tradizioni familiari e sociali, le norme operanti anche se non espresse, la presenza o memoria di persone significative, le iniziative varie tendenti a rafforzare la coscienza, ad allargare la conoscenza, a svegliare la creatività dei singoli, dei gruppi, dell’intera comunità.
La sintesi dei tre elementi precedenti dà origine a quella realtà complessa che chiamiamo ambiente, cioè l’insieme di condizioni fisiche e umane in cui si svolge la vita individuale e sociale. Esso condiziona lo sviluppo e i comportamenti dei singoli e delle comunità; ma viene continuamente modificato, in maniera consapevole o inconscia, dai medesimi comportamenti.
La considerazione del territorio, come l’abbiamo descritto — spazio fisico, comunità umana, cultura, ambiente — modifica le prospettive dell’agire umano richiamando alcune esigenze.
La prima è l’attenzione alla dimensione collettiva dei fenomeni, siano positivi o negativi. Essi incidono sulle persone singole, ma con la medesima forza influiscono sull’insieme, sulla collettività. Questa ha una sua consistenza reale con cui bisogna fare i conti nella programmazione e nell’azione. In essa, come soggetto primo, hanno luogo processi di modifica, miglioramento o degrado, che si riflettono sui singoli. Fatti ecologici recenti (nubi tossiche) e fenomeni sociali (insicurezza pubblica, violenza diffusa, diffidenza generalizzata) sembrano confermarlo.
Una seconda esigenza legata alla prospettiva del territorio è il bisogno di una conoscenza obiettiva della realtà come condizione necessaria per intervenirvi con garanzia di risultati. Il procedere soltanto in base a spinte soggettive di generosità rivela nella prassi i suoi limiti: soddisfa la persona che opera ma non trasforma le situazioni.
Una terza esigenza riguarda l’importanza delle strutture e istituzioni. Esse costituiscono un sistema organizzato di procedure e di ruoli sociali che si sviluppano attorno a un valore o a una serie di valori. Sono un insieme di meccanismi messi in atto per mantenerli, regolarli e trasmetterli. Flanno una funzione e un peso: interagiscono con le persone e i gruppi selezionando, incanalando e stimolando iniziative e richieste. Ma possono anche frenare, escludere, discriminare. Il territorio mette a fuoco l’urgenza di una continua valutazione critica delle strutture esistenti affinché divengano strumenti efficaci di promozione e luoghi di espressione della persona. La quarta esigenza riguarda i processi con cui si cerca di modificare le situazioni o venire incontro ai bisogni delle persone e dell’ambiente. Viene espressa con la parola «animazione». La comunità che è oggetto di un intervento trasformatore, deve essere anche e principalmente il suo soggetto agente. Non si tratta soltanto di risolvere immediatamente un problema ma anche di risvegliare le risorse della comunità e coinvolgerla attivamente. Promuovere un gruppo umano è abilitarlo a prendersi la responsabilità di quello che capita al suo interno.
La persona, dunque, appare come il riferimento centrale su cui convergono le prospettive del territorio. Da essa infatti scaturiscono i dinamismi e le iniziative capaci di dargli un volto e in funzione di essa vengono programmate e realizzate le trasformazioni.
2. Prospettive pastorali
Il territorio è una realtà secolare, anteriore alla Chiesa e a ogni intervento pastorale e, per molti versi, autonoma nei loro confronti. Riguarda la persona e la comunità umana alla ricerca del bene comune.
La pastorale, intesa come educazione della persona alla fede, formazione della comunità cristiana e impegno di lievitazione evangelica della storia, deve chiarirsi se e come assumere questa realtà. Sorgono allora alcuni interrogativi dalla cui soluzione partono linee di intervento notevolmente diverse: deve la pastorale prendere in considerazione il territorio secondo la sua consistenza culturale, sociale e politica o può farne a meno come fosse un dato estraneo all’annuncio evangelico? Il territorio va pensato soltanto come il luogo materiale in cui dire il Vangelo o va considerato esso stesso come realtà da evangelizzare? Quali sono i criteri per un intervento pastorale nel territorio?
Questi e altri interrogativi simili mettono a fuoco tre problemi di fondo. Il primo è il concetto di salvezza a cui si ispira la pastorale. Il secondo è il modo di concepire il rapporto che deve esistere tra la Chiesa e il mondo e, più immediatamente, tra la comunità cristiana e la società civile, tra la pastorale e le realtà secolari. Il terzo riguarda la forma di intendere l’evangelizzazione, i suoi processi, i suoi contenuti, i suoi esiti.
2.1. La salvezza avviene nella storia
Dio si è rivelato all’uomo in modo umano. Il suo ineffabile mistero e la sua volontà salvifica sono diventati comprensibili e sperimentabili, perché espressi in mediazioni umane. Ciò lungo la storia, ma in forma del tutto particolare nell’evento dell’Incarnazione. L’umanità di Gesù è ciò che Dio ha voluto diventare per salvare l’uomo. L’umanità, che nella creazione è stata resa capace di essere «manifestazione di Dio» in quanto sua immagine e somiglianza, nell’Incarnazione è assunta nella vita di Dio. L’umano è così il luogo dove si rivela e la mediazione attraverso cui si compie la salvezza. Ce l’ha insegnato Gesù col suo essere più ancora che con le sue parole.
La storia e il mistero di Gesù autorizzano ad affermare che l’Incarnazione continua e deve essere legge e modello per l’agire della Chiesa. Perciò «l’uomo è la via della Chiesa» e quindi anche della sua pastorale. «Non si tratta dell’uomo astratto, ma dell’uomo concreto, storico [...] nel suo essere personale, insieme comunitario e sociale» (RH 13). Nel territorio si trova l’uomo nella sua totalità esistenziale: vita e cultura, individuo e società, contingenza e progetto storico aperto. Secondo la logica dell’Incarnazione, nel territorio è presente e operante la potenza salvifica di Dio non soltanto attraverso i gesti della Chiesa ma anche attraverso ogni decisione umana che influisce sul destino della persona.
La fede dunque è impegnata a discernere l’opera della grazia e del peccato, a scorgere la presenza di Dio che in Cristo-uomo redime incessantemente le sue creature per farle rivivere, creature nuove nel suo Spirito.
La scelta di operare nel e col territorio scaturisce così dal mistero dell’Incarnazione. Cristo, presenza di salvezza e non di condanna, che assume tutto quanto è umano, segna il cammino per una azione pastorale che intende annunziare il vangelo nel cuore delle situazioni in cui si giuoca la vita dell’uomo.
2.2. La Chiesa cammina con l’umanità
La chiesa è segno e strumento della salvezza e del Regno. Queste realtà superano le sue realizzazioni storiche per cui essa è sempre alla scoperta dello Spirito che opera nella storia.
La chiesa significa e continua il mistero dell’incarnazione, «quella particolarissima storia di Dio con l’uomo e quella particolarissima storia dell’uomo con Dio» (Barth) che si intreccia in ogni persona e in ogni tempo fino all’instaurazione di ogni cosa in Cristo. La chiesa dunque cammina con l’umanità. Sa di non essere estranea o giustapposta al mondo e alla storia degli uomini, ma interna ad essi, come lievito nella pasta. Donde la necessità di vivere in «compagnia» con le comunità umane e la capacità di farsi carico della loro vita, di condividere con esse il pane quotidiano (compagnia da cum-pane), di essere presente nelle tensioni, nei problemi, nelle speranze di ogni persona e gruppo. Così
10 esprime la costituzione Gaudium et spes: «La chiesa che è insieme società visibile e comunità spirituale, cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta insieme al mondo la medesima sorte terrena ed è come il fermento e quasi Lamina della società umana destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio» (GS 40).
Ciò diventa ancora più reale quando «getta le sue radici nella varietà dei terreni culturali, sociali, umani» (ivi) come avviene con la chiesa particolare. In questo caso infatti deva rapportarsi «con visioni del mondo, principi etici e sistemi sociopolitici differentissimi» (Sinodo ’77, 15).
I rapporti tra la chiesa e la comunità umana saranno tanto più ricchi di potenzialità salvifiche quanto più si ispireranno ad alcuni criteri e atteggiamenti.
Il primo è certamente quello del servizio. La chiesa sa di non essere finalizzata a sé stessa. È per il servizio dell’uomo e del mondo.
II suo fare comunione è in funzione della sua missione e questa consiste nel trasformare la storia con la forza del vangelo.
Ne consegue la simpatia con lo sforzo che sta facendo la società attuale per diventare più umana, pur tra contraddizioni, ritardi e contromarce. Questa simpatia significa saper apprezzare il bene, chiunque lo faccia, riconoscendo i semi di verità che apportano le diverse forze storiche, e raccogliendo le aspirazioni verso la salvezza latenti o espresse in tutte le realizzazioni temporali.
La chiesa dunque assume il dialogo come la sua forma di essere nel mondo e partecipa dalPinterno, non soltanto come invitata, alla vita del mondo, superando tentazioni di chiusura in sé stessa.
Tutto — servizio, simpatia, dialogo, partecipazione — è ispirato e sostenuto da una certezza e da una speranza: Cristo salvatore è presente nella storia e in essa opera continuamente, anche nella piccola storia di una città, di un quartiere, di un gruppo.
Quanto si dice dei rapporti tra chiesa-comunità umana va trasferito ai rapporti che devono essere instaurati sul territorio tra coloro che hanno maturato una scelta di fede e coloro che non si considerano appartenenti alla chiesa, tra i cristiani e i non cristiani, tra la comunità cristiana e la comunità civile, tra le strutture della comunità cristiana e quelle della comunità politica. «L’opera dello spirito nella comunità degli uomini infatti è più estesa e imprevedibile dell’opera della comunità cristiana» (CEI, La forza della riconciliazione1.2.2.).
2.3. Evangelizzare è convertire la coscienza
La Evangelii nutiandi asserisce che «evangelizzare è trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità ... convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini... Raggiungere e quasi sconvolgere con la forza del vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le forze ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la parola di Dio e con il disegno di salvezza» (EN 18-19).
Non è possibile dunque una vera evangelizzazione se non si prendono in considerazione le forme collettive di vita e i rapporti strutturali che danno volto alla convivenza umana. Evangelizzare è annunciare la salvezza in Gesù Cristo, creare una situazione «salvifica» e farne prendere coscienza affinché l’uomo risponda con la fede che si manifesta nella carità. Se Gesù è la salvezza, questa può inverarsi soltanto se 0 mistero della sua esistenza «informa» qui e ora un pezzo di storia umana, se penetra e vivifica realmente una situazione concreta.
È fondamentale che la parola evangelica sia annunciata e interpretata fuori dalle genericità e dalle astrattezze che la bloccano. La profezia di ieri, semplicemente ripetuta oggi, resta solo memoria. Nello specifico delle nostre situazioni si carica di valore profetico. In fondo quello che viene messo a fuoco è rincontro tra la parola evangelica e la cultura. Bisogna chiarirsi se evangelizzare nella prassi significa solo dare spiegazioni su realtà invisibili che non «sono di questo mondo», proporre un’interpretazione religiosa del mondo o invece, come il testo citato vuole, «sconvolgere i modelli di vita» perché rispondano al progetto di Dio sull’uomo.
3. Indicazioni operative
Da queste riflessioni scaturiscono già elementi di risposta agli interrogativi sollevati. È necessario svolgere la pastorale alTinterno della vita, delle domande e tensioni, delle preoccupazioni e invocazioni della comunità; non accanto ad esse, quasi fosse un servizio giustapposto.
Ciò comporta prendere parte da credenti alla costruzione della comunità umana e non privatizzare l’esperienza di fede. Bisognerà dunque superare le ricorrenti tentazioni di assenteismo e quella concezione della fede che la riduce all’ambito personale. Similmente bisognerà proiettare l’annuncio sul sociale e non limitersi a servizi individuali. La qualità della vita, la pace e la giustizia, i beni comuni, le strutture della società contemporanea, i rapporti nel quartiere sono oggetto di illuminazione evangelica e sollecitano la coscienza cristiana ad atteggiamenti e comportamenti di impegno.
Tra questi comportamenti se ne possono indicare alcuni di maggior portata, in forma generale. La loro attuazione pratica andrà ulteriormente esplicitata secondo i diversi contesti.
3.1. Solidarietà
Il primo impegno della pastorale riguardo al territorio è far sì che i cristiani siano presenti nella vita e nelle vicende della comunità umana, ne assumano le sorti e partecipino attivamente nelle sue strutture e organizzazioni. La chiesa non è un’istituzione che separa i suoi, portandoli verso un rifugio personale o inserendoli soltanto nelle proprie organizzazioni e attività; li invia invece con tensione profetica tra gli uomini. Questa non è una tattica di conquista, ma il compimento del disegno del Padre sulla umanità. La Chiesa infatti realizza in sé la comunione e ia espande. La presenza attiva e impegnata dei cristiani là dove gli uomini vivono e lottano è sacramento di comunione, che rende visibile e operante l’energia misteriosa di Cristo risorto.
Non appartiene allo spirito del vangelo la delegittimazione permanente di quanto l’uomo tenta nella ricerca razionale della sua crescita, anche se alle volte questo sforzo presenta limiti, carenze e persino errori. La storia dell’uomo non è stata mai totalmente pura. In essa, come si presenta concretamente, i credenti intendono essere solidali.
La solidarietà deve diventare una forma di «costante mobilitazione dei fedeli» (Paolo VI), portatori di un messaggio che non si sovrappone alle soluzioni umane, ma si incarna in esse per illuminarle, potenziarle e collaborare alla loro purificazione. Bisognerà dunque superare nella mentalità e nella prassi i parallellismi e lo spirito concorrenziale che contrappone l’ecclesiale a quello che si fa nel civile; inserirsi nelle correnti sane degli sforzi storici, collaborando con altre forze nelle lotte per la liberazione da ogni forma inumana di rapporto e di vita. L’identità cristiana dunque non va smarrita ma nemmeno assolutizzata secondo accentuazioni individuali. Nel pluralismo attuale ogni persona o gruppo che non riesca a riesprimere continuamente la propria identità non può apportare arricchimento alcuno al dialogo e alla costruzione di un mondo più giusto; e chi la vuole spingere oltre quello che essa consente, la snatura e crea steccati artificiali.
La comunità cristiana dunque intende partecipare in tutti gli sforzi legittimi degli uomini per la qualità della vita come soggetto interessato direttamente in virtù delle proprie scelte. Ciò può trovare applicazioni concrete in ambito internazionale (pace, disarmo, nuovo ordine economico, fame); a livello nazionale (diritti umani, uguaglianza, giustizia, attenzione agli ultimi) e nel territorio immediato (ambiente, funzionamento delle istituzioni e servizi, educazione...).
Alla solidarietà si collega il discorso sulla modalità e obiettivi propri dell’intervento dei cristiani nelle realtà del territorio. E più in particolare quali siano gli spazi, le istituzioni e le attività in cui concentrare ed esprimere la presenza cristiana compatta (confessionale) e quali le situazioni in cui apportare la propria esperienza di credente per mediare una cultura del bene comune. La conoscenza del reticolo di rapporti e strutture consentirà di capire in ciascun contesto e aggregazione umana quali siano le modalità più convenienti.
Alcune indicazioni intanto possono essere considerate condivise. È dovere di tutti interessarsi alla vita sociale, politica e culturale del territorio secondo scelte cristianamente ispirate che, nel concreto delle situazioni, possono essere diverse secondo la condizione dei soggetti e la configurazione dei contesti. È auspicabile che i cristiani, anche se non gestori diretti degli organismi di partecipazione, o in minoranza, diano il loro contributo e svolgano il loro diritto di critica costruttiva per una migliore soluzione dei problemi dell’uomo.
Va affermato il diritto-dovere della comunità ecclesiale a creare e gestire strutture utili per l’espressione dei valori cristiani e, dunque, la validità dell’impegno dei fedeli attraverso di esse.
Il pre-politico (l’educazione, l’impegno culturale, la promozione delle persone) si presenta come uno spazio possibile e significativo per una presenza varia, come singoli e in istituzioni caratterizzate, dei cristiani nel territorio.
Le istituzioni cristiane, create per un servizio all’uomo nell’ambito secolare, si debbono aprire alle forme di gestione proprie della società di oggi (partecipazione, carattere pubblico dell’amministrazione, corresponsabilità, democraticità) ed esprimere una grande capacità di accoglienza e valorizzazione dell’uomo in quanto persona, soprattutto dell’uomo che non ha voce nel sociale, nel culturale, nel politico.
3.2. Missionarietà
Le comunità cristiane, con la ricchezza della loro esperienza di fede, diventano nel territorio liberatrici di energie capaci di fermentare realtà spesso opache e refrattarie. Traducono la fede in impegno per la vita, la carità in riconciliazione e accoglienza, la speranza in capacità di tenuta e di lotta. Di questa ricchezza annunciano anche la fonte e l’origine: Gesù Cristo e il mistero della sua presenza salvatrice.
La chiesa ha una buona notizia da proclamare con parole e opere. Ha un invito da fare agli uomini: consegnare la propria esistenza a Dio come unica possibilità di pienezza. È stata inviata appunto per questo servizio all’uomo.
La chiesa esercita nel territorio la sua capacità missionaria radunando i credenti in autentiche comunità affinché divengano protagonisti di unità e non di fughe e lacerazioni (comunione); unificando attorno al primato dell’evangelizzazione la molteplicità dei carismi con cui lo Spirito la arricchisce (annuncio); favorendo in coloro che hanno accolto la fede la profondità della conoscenza del mistero cristiano (catechesi); celebrando la presenza operante di Dio e attualizzando l’offerta di Cristo per l’umanità (liturgia); aiutando i fedeli e tutti gli uomini a dare sempre più chiaramente il primato allo spirituale (testimonianza); esprimendo un dilatato servizio per rispondere alla società civile che chiede un supplemento di impegno per alcune carenze e piaghe che la affliggono (servizio); diffondendo con «originalità evangelica» e quindi al di là di interessi e schieramenti politici ed ecclesiali, i valori della vita, della dignità umana e del bene comune (impegno); raccogliendo l’invocazione di un senso «ulteriore» per tutti gli sforzi dell’uomo, come una richiesta che essa può interpretare (profezia).
Tutto ciò si compie su tempi lunghi. La comunità cristiana non disarma però di fronte ai propri limiti e alla grandezza dell’impresa; ripone la sua fiducia in Colui che ha vinto il male nella sua forma più radicale.
4. Territorio e pastorale giovanile
Da quanto si è detto provengono indicazioni particolari per l’azione educativa e pastorale tra i giovani.
Il territorio è il luogo dove vengono rilevati i «bisogni», i «disagi» e le «domande giovanili», a cui la pastorale deve esser attenta, sia sul versante della crescita umana sia su quello dell’educazione alla fede.
La conoscenza della situazione giovanile è indispensabile per poter progettare un intervento adeguato. Per raggiungerla ci sono due vie complementari: quella empirico-esperienziale e quella scientifico sistematica.
La prima richiede di convivere con i giovani, entro le loro situazioni e problemi, aiutando i singoli a esprimere domande e aspirazioni, sviluppando un dialogo non soltanto con le persone, ma anche con i gruppi e le categorie; di riflettere poi sull’esperienza alla luce dei criteri educativi e pastorali, affinché l’esperienza non resti un materiale slegato, muto o insignificante.
La conoscenza scientifico-sistematica è oggi facilitata dai sistemi di rilevamento e dalla comunicazione tra le istituzioni. È possibile usufruire delle banche dati elaborate in sedi civili, come anche giovarsi di semplici strumenti propri.
La conoscenza non riguarda soltanto i sintomi, ma cerca soprattutto di individuare le cause a monte dei vari fenomeni giovanili. L’approccio a questi oggi prende in considerazione la loro complessità dando un peso adeguato, oltreché ai fattori economici e sociologici, anche a quelli soggettivi e morali. Ma il territorio non è soltanto luogo di rilevamento e osservazione. Inteso come comunità umana e come contesto culturale, diventa l’ambiente largo in cui ha luogo la crescita dei giovani. Infatti è stata già rilevata la validità relativa degli interventi rivolti verso le persone se, allo stesso tempo, non vengono trasformate le condizioni di vita, particolarmente quelle legate ai comportamenti umani. Rientra qui il concetto di prevenzione come forma più generale di educazione e di educazione alla fede.
Una comunità umana in cui vengono svegliate le energie e mobilitate le competenze e disponibilità per creare un contesto ricco di stimoli e di proposte facilita la trasmissione della cultura e la appropriazione dei valori, prevenendo le forme di emarginazione e devianza. In tal senso il territorio è destinatario e soggetto agente dell’educazione e della pastorale giovanile. Ogni suo aspetto che influisce in forma generale sulla crescita dei giovani va rafforzato. Va risvegliata costantemente la coscienza comunitaria riguardo al compito di educazione e di trasmissione della fede.
Come oggetto-soggetto di educazione il territorio richiama a un collegamento degli interventi educativi e pastorali e a un raccordo tra le forze che portano avanti questi interventi. Oggi sembra abbastanza accettato che non è possibile staccare l’ambito educativo-pastorale da quello culturale e dalle decisioni politiche che riguardano il bene comune.
Il territorio è infine il luogo sociale ed ecclesiale dove i giovani sono chiamati a fare esperienza di comunione, partecipazione e impegno. In esso prende corpo e visibilità immediata la comunità cristiana in forma di chiesa particolare. «La Chiesa universale si incarna di fatto nelle chiese particolari, costituite a loro volta dall’una o dall’altra porzione di umanità che parlano una data lingua, che sono tributarie di un loro retaggio culturale, di un determinato sostrato umano... che assume in ogni parte del mondo fisionomie ed espressioni diverse» (EN 62). Poiché è questa chiesa territorialmente connotata che deve rapportarsi con «visioni del mondo, principi etici e sistemi sociopolitici differentissimi» (Sinodo ’77,15), il territorio diventa per i giovani lo spazio della maturazione nella fede e della sua confessione nella storia. È anche il luogo dove si esprime l’amore concreto al prossimo che sgorga dalla fede.
5. Conclusione
Da quanto abbiamo detto risulta che il territorio è più che un «luogo materiale» o geografico dove annunciare il vangelo. Può diventare una mediazione storica attraverso cui si fa presente l’intervento salvifico di Dio. L’attenzione al territorio dunque comporta un tipo di pastorale, e in particolare un tipo di pastorale giovanile che colloca gli operatori di fronte a sfide inedite e ad atteggiamenti nuovi particolarmente se si vuole che il Vangelo raggiunga la convivenza umana e la cultura.