SIMBOLI DI FEDE

 

SIMBOLI DI FEDE

Il termine “Simbolo di Fede” (SdF) equivale a “Formula di Fede” ed è l’espressione verbale della “Professione di Fede” (= PdF), cioè di un atto con cui si riconosce pubblicamente l’azione salvifica di Dio in Cristo mediante l’impegno della fede (Rm​​ 10,9s). Vien detto anche “Confessione di Fede” soprattutto nella sfera linguistica tedesca (Glaubensbekenntnis), oppure “Credo”, dalla prima parola con cui generalmente cominciano i SdF. Il termine “Simbolo” — se si tien conto del suo significato originario — accentua nella PdF l’elemento comunitario, facendone come una tessera di riconoscimento, il segno evidente dell’appartenenza a un determinato gruppo, il gruppo dei cristiani appunto. Quindi sono due le funzioni fondamentali della PdF: anzitutto quella di esprimere l’impegno del credente, frutto di conversione, che lo unisce alla comunità di tutti gli altri credenti in Cristo; in secondo luogo quella di esprimere i contenuti fondamentali della fede in Cristo ed essere così come il segno di riconoscimento tra i cristiani.

Luoghi principali della PdF e quindi della nascita e dell’evoluzione dei SdF sono sempre stati la liturgia (principalmente il rito del battesimo e la celebrazione dell’eucaristia), la​​ C.​​ in preparazione al battesimo, nella quale i SdF venivano commentati e spiegati, e le situazioni gravi (per es. una persecuzione) o solenni della vita cristiana.

Il cristianesimo si è presentato al mondo antico come la predicazione o annuncio (kerygma) di un evento straordinario: la risurrezione di Gesù, e come un appello alla conversione e al battesimo (At​​ 2,14-39). La PdF, unita al battesimo, è un elemento costitutivo dell’essere cristiano, perché esprime la risposta dell’uomo all’appello di Dio ed è il punto di partenza della conversione; la vita cristiana non è altro che la traduzione nella prassi della propria PdF. Tutti gli scritti del NT abbondano di formule che contengono PdF. Sono appunto queste formule i germi dai quali si sono originati nei secoli seguenti, attraverso una lunga evoluzione, i due “simboli” ancora oggi in uso nella Chiesa: il cosiddetto “simbolo degli Apostoli” (o forma occidentale) e il “simbolo niceno-costantinopolitano” (o forma orientale più sviluppata), che vengono professati, il primo nella celebrazione del battesimo, il secondo in quella dell’eucaristia.

Nel NT si trovano quattro modelli principali di PdF. Anzitutto due modelli cristologie!: il nome di Gesù è unito al titolo di “Signore” (Rm​​ 10,9;​​ FU​​ 2,11;​​ 1 Cor​​ 12,3), di “Cristo” (At​​ 18,5.28;​​ 1 Gv​​ 2,22), di “Figlio di Dio” (At 8,Yì​​ nel testo occid.); oppure si racconta l’evento-Gesù insistendo sulla sua morte e risurrezione nei grandi “kerygmi” degli Atti (per es. quelli di Pietro:​​ At​​ 2,14-39; 3,12-26; ecc.; o di Paolo: 13,16-41) e in Paolo (1 Cor​​ 15,3-5;​​ FU​​ 2,6-11, ecc.). In secondo luogo troviamo nel NT un modello 39; 3,12-26, ecc.; o di Paolo: 13,16-41) e in Gesù Cristo (1 Cor​​ 8,6;​​ 1 Tm​​ 2,5-6; 6,13). E infine un modello ternario, nel quale sono uniti insieme i nomi del Padre, del Figlio e dello Spirito in rapporto con la storia della salvezza (1 Cor​​ 12,4-6;​​ Ef​​ 4,4-6) o col battesimo (Mt​​ 28,19-20). Quest’ultimo modello avrà un ruolo decisivo nella formazione dei SdF dell’epoca patristica. Sembra che questi modelli siano coesistiti contemporaneamente nell’epoca neotestamentaria e durante tutto il II sec. Tuttavia già con san Giustino, ma molto più con sant’Ireneo alla fine del II sec., i due modelli cristologici e quelli binario e ternario si fondono insieme, dando origine a un modello trinitario, composto da tre articoli, nei quali si esprime la fede nell’azione creatrice di Dio Padre, in quella salvifica di Gesù Cristo e in quella santificatrice dello Spirito Santo. La PdF si avvia ad assumere la forma dei nostri “Simboli”.

Col III sec. in Occidente la​​ Tradizione Apostolica​​ di → Ippolito, descrivendo il rito del battesimo, ci offre la forma più antica e primitiva di quello che verrà detto in seguito il “Simbolo degli Apostoli”; la ritroveremo alla fine del IV sec. e agli inizi del V presso Ambrogio e Agostino; si arricchirà ancora di altri elementi nel sec. VIII fino a raggiungere la forma attuale.

In Oriente ogni grande Chiesa aveva la sua formula di fede o Simbolo. La struttura fondamentale era evidentemente comune; esistevano tuttavia molte varianti. Uno dei più celebri è quello che → Cirillo di Gerusalemme commentò ai catecumeni verso la metà del IV sec. Coi concili di Nicea (325) e di Costantinopoli (381) comincia una nuova era dei Simboli: da formule di fede da professarsi e apprendersi dai catecumeni diventano principalmente formule “dogmatiche” per la tutela dell’ortodossia. La formula di fede nota col nome di “Simbolo niceno-costantinopolitano”, promulgata dal I Concilio di Costantinopoli e adottata da quasi tutto l’Oriente come simbolo battesimale a partire dal VI sec., entrerà nella liturgia della messa prima in Oriente e poi anche in Occidente, e il suo uso si generalizzerà a partire dai secc. IX-X (cf B.​​ Sesboüé).

La funzione dottrinale dei “simboli di fede” ha fatto sì che essi, soprattutto nella Chiesa antica e medievale, diventassero uno strumento indispensabile della C., in quanto nel loro contenuto si esprime sinteticamente l’essenziale della fede. Essi pertanto avevano per i fedeli quella stessa funzione che avrebbero avuto nell’epoca moderna i catechismi. Imparati a memoria dai catecumeni (la disciplina dell’arcano vietava di scriverli) assieme alla grande preghiera del “Padre nostro”, dopo che il “doctor​​ audientium” li aveva spiegati ampiamente durante molti giorni nelle C., costituivano la loro “regola di fede”, allo stesso modo che il Padre nostro era interpretato come la loro “regola di vita”. Se nella Chiesa antica i simboli di fede ebbero un ruolo essenziale nell’iniziazione cristiana, purtroppo questo si ridusse di molto nella Chiesa medievale e in quella moderna: abbassati al rango di “formule di preghiera” da dirsi al mattino e alla sera, entrarono nei catechismi moderni solo come schema generale della I parte (“le verità da credersi”), schema entro il quale collocare la lunga serie delle domande e risposte.

Concludendo possiamo dire che la C. è stata l’ambiente nel quale i simboli di fede formularono e svilupparono i loro contenuti come espressioni vive della PdF dei cristiani; la liturgia battesimale e quella eucaristica invece furono il luogo normale dove questi contenuti della fede venivano professati religiosamente come veri atti di fede.

Bibliografia

P.-T. Camelot,​​ Simboli [professioni di fede),​​ in​​ Sacramentum Mundi,​​ vol. 7, Brescia, 1977, 637-644; O. Cullmann,​​ Les premieres​​ confessions de foi chrétienne,​​ Paris, P.U.F., 1943; Io.,​​ La foi et le​​ cuite​​ de l’Église primitive,​​ Neuchàtel, Delachaux et Niestlé, 1963; A. Donghi,​​ Professione di fede,​​ in​​ Nuovo Dizionario di Liturgia,​​ Roma, Ed. Paoline, 1984, 1119-1129; J. N. D. Kelly,​​ Early Christian Creeds,​​ London, Longmans, I9601; B.​​ Sesboüé,​​ Fonctions, genèse et bistoire​​ des​​ symboles de foi,​​ in “Catéchèse” 17 (1977) 67, 135-157.

Giuseppe Groppo

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