RELIGIONE

RELIGIONE

Vito Orlando

 

1. Contesto ermeneutico e quadro concettuale

1.1. Il contesto ermeneutico

1.2. Quadro concettuale

1.2.1. Religione

1.2.2. Religiosità

1.2.3. Sacro

2. Concezioni religiose dei giovani

2.1. Alcune concezioni religiose

3. Il vissuto religioso dei giovani

3.1. La religione come «punto di riferimento»

3.2. Il religioso come «orizzonte di senso»

3.3. Esperienza religiosa e protagonismo giovanile

4. Esperienze e disponibilità religiose dei giovani

4.1. Disponibilità religiose e realizzazione personale

4.2. Esperienza religiosa e integrazione sociale

4.3. Disponibilità religiosa e integrazione culturale

5. L’indifferenza e le sue conseguenze a livello religioso

5.1. L’indifferenza come fenomeno generalizzato e le sue implicazioni a livello religioso

5.2. L’indifferenza religiosa dei giovani

6. Socializzazione ed educazione religiosa oggi

6.1. Socializzazione e socializzazione religiosa

6.2. La socializzazione religiosa a livello familiare

6.3. Le offerte ecclesiali

6.4. L’insufficiente educazione religiosa

7. Prospettive operative

 

L’interesse e l’attualità della tematica «giovani-religione» sono legati a due motivi di fondo: il primo è senza dubbio il «chiacchierato» ritorno dei giovani alla religione, il secondo la notevole attenzione che ad essa è rivolta nelle ricerche di questi ultimi dieci anni. Sul primo aspetto i pareri sono piuttosto discordi e si fanno molti «distinguo»: i risultati delle indagini evidenziano non poche ambivalenze che devono indurre a evitare ingenue semplificazioni.

La situazione religiosa dei giovani è in realtà notevolmente complessa: ai segni di apertura e di attenzione si accompagnano altri che accentuano distanza e diminuzione di interesse; alle disponibilità esistenziali non sempre segue l’apertura alla trascendenza; ecc. Minoranze significative di giovani evidenziano apertura e accoglienza dell’orizzonte religioso nei «sistemi di significati» che la vita persegue, vissuti religiosi piuttosto consistenti e anche relativa disponibilità allo specifico religioso. Altri, piuttosto polarizzati sulla ricerca di identità, vivono un riferimento al religioso come fonte di valori e di significati che restano come una «costellazione» nell’insieme della pluralità dei riferimenti.

La crisi dei valori tradizionali accentua un riferimento esperienziale al sacro piuttosto lontano dal modello istituzionale; tuttavia i giovani restano alquanto ancorati all’istituzione ecclesiale attraverso la mediazione aggregativa che intorno ad essa fiorisce e suscita in loro attrazione e interesse.

Questi differenti aspetti che la realtà esprime richiedono un approfondimento sulla permanenza ed emergenza del religioso, sulle sue funzioni attuali a livello sociale e personale, sulle sue potenzialità e anche le possibilità di una sua evoluzione, ecc.

Accanto a questo, deve essere attentamente valutata una estraneità al religioso che spesso esprime la carenza totale della ricerca di un significato del quotidiano e la non rilevanza nella vita di tutto ciò che non ricade nella sfera del concreto e del materiale: è la vita che non incontra provocazioni e appelli che la portino a superare l’immediato, il contingente, il materiale.

La problematica complessiva di questa nostra riflessione su «giovani e religione» riguarda quindi sia un serio discernimento delle concezioni, delle esperienze e delle disponibilità religiose dei giovani, sia l’approfondimento e la verifica della distanza e indifferenza a questa dimensione dell’esistere; con l’intento di evidenziare ugualmente potenzialità e disponibilità, insieme ad appelli e sfide dei giovani e della situazione stessa.

 

1.​​ Contesto ermeneutico e quadro concettuale

Per aiutare a seguire con più facilità ed efficacia la riflessione sul rapporto «giovani-religione», occorre anzitutto ricostruire l’attuale contesto socio-culturale e precisare il nostro quadro concettuale.

Questi due aspetti previ li tratteremo sommariamente, rinviando ad altre voci del dizionario per un loro adeguato approfondimento.

 

1.1. Il contesto ermeneutico

La significatività di un fenomeno si può cogliere solo a partire dalle condizioni della sua realizzazione e dalla specificità dei suoi protagonisti. Non si può parlare di giovani in astratto, né della religione in una prospettiva puramente teorica; non è neanche pensabile esplicitare il rapporto senza rendersi conto delle situazioni concrete all’interno delle quali esso si realizza.

Il nostro contesto di riferimento è quello della società italiana attuale, che per le sue specificità acquista caratteristiche particolari all’interno del modello paradigmatico della società complessa.

La particolare rapidità e violenza con cui si è prodotto in Italia il processo di industrializzazione ha «devastato» le culture tradizionali e intaccato e disorientato profondamente le identità collettive presenti. Questo processo ha trovato nel suo attuarsi un moltiplicatore formidabile, soprattutto per la trasmissione di modelli culturali, nei mezzi di comunicazione di massa. Concretamente si può affermare che, a livello italiano, non si è attuato un processo di trasformazione, ma una sorta di rapida sostituzione, una rottura che ha provocato un «vuoto etico» e una perdita di memoria fondatrice (P. Scoppola, 1985).

Bisogna però sottolineare che la rapidità del processo di industrializzazione e la sua localizzazione hanno conservato «sacche» di forte ancoramento alla tradizione, che si è manifestato nel suo vigore soprattutto quando la società consumistica ha espresso la sua incapacità di produrre nuovi e significativi valori. Le resistenze culturali-ambientali hanno mantenuto vivi alcuni riferimenti e valori, ma non i loro significati, per cui questi non sono risultati capaci di orientare e guidare comportamenti e atteggiamenti concreti, proprio perché attinti alla «riserva» e non rinnovati come simboli della coscienza collettiva nella nuova realtà storica.

Quindi è come se i valori avessero perduto di plausibilità e fossero divenuti incapaci di guidare coerentemente riferimento etico e riferimento pragmatico-operativo.

A livello istituzionale, questo ha prodotto una complessificazione di logica interna spostando i conflitti nel privato e fin nelle «biografie individuali», ove vengono a mancare modelli e criteri normativi, oltre alle capacità di individuazione di priorità tra gli stessi valori. Per questi motivi sono più esposti alla crisi di «disorientamento etico» quanti si trovano in una posizione transizionale e privi di appartenenze significative.

Le conseguenze della complessità a livello religioso si riferiscono soprattutto alla estensione della secolarizzazione, che ha relegato il discorso religioso ai margini (quando non lo ha reso del tutto estraneo) delle componenti essenziali della nuova società, creando spesso la convinzione che l’opzione religiosa fosse in antagonismo con la modernità. L’orizzonte religioso quindi non è più il punto di riferimento dei valori, anche perché questi risultano piuttosto relativizzati. Si è come prodotta una rottura dell’orizzonte simbolico complessivo a livello sociale che relega il religioso nell’ambito del privato e gli fa perdere rilevanza per le scelte di vita che contano, soprattutto a livello sociale.

 

1.2. Quadro concettuale

L’uso indifferenziato e non sempre appropriato dei termini nella lettura del rapporto «giovani-religione» non aiuta a comprenderne con chiarezza il contenuto e il significato. Da un certo punto di vista, tuttavia, questo è un fatto quasi insuperabile, perché le prospettive di approccio sono diverse e ciò che si fa rientrare nei contenuti concettuali può risultare notevolmente diversificato. Crediamo comunque che sia utile, senza pretendere di arrivare a definizioni o a elaborare teorie esplicative, chiarire almeno l’uso operativo di alcuni concetti per intenderci meglio sui contenuti della riflessione che faremo.

 

1.2.1. Religione

Non reca nessun vantaggio alla comprensione della religione e può anzi causare incertezze e confusioni, l’idea che «tutto è religione»; conviene precisare il senso da dare a «religione invisibile», «religione diffusa», che appaiono anche frequentemente utilizzati.

L’identificazione operativa di un concetto, d’altra parte, non può prescindere dalla tradizione culturale all’interno della quale si attua la riflessione. In questa prospettiva, riteniamo di poter condividere la seguente definizione: «La religione è l’insieme del linguaggio, dei sentimenti, dei comportamenti e dei segni che si riferiscono a un essere (o ad esseri) soprannaturale» (A. Vergote 1983, p. 10). La religione è un fenomeno complesso che richiama prioritariamente la relazione con l’essere superiore; questa relazione si esprime attraverso azioni e riti; implica una dimensione cognitiva e aspetti che si riferiscono all’emotivo-affettivo; orienta e ispira il modo di agire. L’insieme di questi aspetti costituisce un «sistema simbolico» (per lo più razionalmente elaborato e mediato istituzionalmente) all’interno del quale i singoli elementi acquistano il loro specifico significato. Il riferimento a questo sistema simbolico attua un confronto che può portare ad assumerlo o a emarginarlo dalla propria vita.

 

1.2.2. Religiosità

Nell’uso corrente, insieme e-o invece di «religione» si utilizza spesso e quasi indifferentemente il termine «religiosità». In verità esso costituisce una prospettiva diversa di lettura del fenomeno, in quanto fa riferimento al modo secondo cui la religione viene mediata a livello biografico individuale: la religione diventa vitale attraverso questa mediazione biografica individuale, bisogna però tenere presente che ciò è possibile in quanto la religione viene mediata a livello socioculturale.

 

1.2.3. Sacro

Un altro concetto che richiede una sintetica precisazione è quello di «sacro». Oggi si parla di «ripresa del sacro», di «nuovo senso del sacro». Conviene quindi chiarirne il significato alla luce di queste nuove comprensioni.

I significati nuovi di «sacro» fanno riferimento al valore, al senso della vita, attingono quindi a ciò che vi è di più profondo e più personale, al bisogno di superare qualsiasi rischio di perdita di sé: «Al fondo di sé, si prende coscienza che esiste un sacro che non è interamente immanente all’esistenza, un sacro che fa “rivelare” l’uomo a sé stesso e che gli “concede” di accedere alla propria vera umanità. Questo sacro di natura dinamica può fungere da legame tra 1’esistenza e Dio» (A. Vergote 1983, p. 179-180).

Partendo da alcuni risultati di analisi, A. Vergote afferma un’ampia somiglianza tra il sacro e Dio, anche se l’uno non è riducibile o identificabile con l’altro. «Il sacro appartiene al mondo e all’esistenza umana, ma vi denota ciò che non è più semplicemente contingente, superficiale, inessenziale o non autentico. Esiste un campo di transizione tra il mondo puramente profano e il Dio della religione. Così il rapporto con Dio include una parte di esperienza e una parte che va oltre l’esperienza» (A. Vergote 1983, p. 180). Questo ci fa capire che forse oggi molti giovani si trovano proprio in quest’ambito transizionale e puntano a superare la superficialità a cui sono indotti dalla società dei consumi, per attingere la profondità del proprio esistere e la realtà più autentica del mondo. In questa fase esplorano anche il sistema simbolico religioso. Occorre però tenere distinta l’esperienza del sacro dall’esperienza religiosa e verificare se il vissuto religioso (la mediazione biografica individuale) raggiunga il suo specifico o resti piuttosto circoscritto nell’ambito del sacro.

Alla luce di queste precisazioni, si potrebbe ipotizzare il cammino vissuto dai giovani nella riscoperta del sacro nel modo seguente: dal rischio della perdita di sé in un «politico» che non aveva mantenuto le sue promesse, al «privato» e all’esigenza di autorealizzazione e di qualità della vita, fino al sacro come riscoperta del valore di sé. L’itinerario può arrestarsi a questa soglia della trascendenza o giungere a cogliere Dio come riferimento ultimo per la propria salvezza totale.

 

2.​​ Concezioni religiose dei giovani

Che idea hanno i giovani di religione? Quale senso danno al termine? Che cosa evoca in loro, quali effetti produce sulla loro vita concreta?

Venuto meno il contesto all’interno del quale si esprimeva e si realizzava l’esperienza religiosa personale e collettiva, è cambiata profondamente la stessa percezione di «religione».

Cominciamo subito col dire che, oltre ad essere incerto, il significato che essi attribuiscono a «religione» non è affatto univoco. Bisognerebbe intanto opportunamente distinguere tra «ciò che è religione» e ciò che essi «pensano della religione». Tra quello cioè che è stato loro insegnato, quello che hanno ricevuto a livello educativo e ciò che essi hanno sperimentato, compreso, maturato nello scambio religioso o nell’insieme delle esperienze. D’altra parte non si deve pensare che tra le due non ci sia rapporto, anche perché la seconda (quando matura) non può non provenire dalla prima, anche se può contrapporsi ad essa, trasformarla o anche giungere ad abbandonarla come insignificante.

È difficile trovare un denominatore comune nelle concezioni che i giovani hanno di religione. Essa è «credenza», ideale, sistema di valori, etica, istituzione, riti, ecc., tutte queste dimensioni possono anche essere tra loro mescolate o acquistare significati diversi in base alle singole visioni della vita.

Per i giovani, quindi, religione può essere un contenitore in cui si può trovare di tutto. Per questo essa appare a non pochi adolescenti e giovani come «entità indefinita», inconsistente, estranea quasi alla loro psicologia; per molti è difficile quindi entrare in relazione significata con essa, sia in prospettiva «teologico-morale» che «pragmatico-cultuale».

 

2.1. Alcune concezioni religiose

Possiamo precisare meglio la percezione religiosa dei giovani richiamando alcune concezioni.

La ricerca condotta da Giancarlo Milanesi

(1981) distingueva tra i giovani, una concezione non religiosa della fede (all’interno della quale precisava una prospettiva di tipo «laico» e una piuttosto «critico-negativa») e un’area di concezioni religiose (che si estendeva da visioni piuttosto generiche [prevalenti] a quelle specificamente cristiane). Tra i giovani inseriti in associazioni appariva maggioritaria una concezione come vissuto «razionale capace di dare un significato alla vita in una prospettiva euristica e creativa». Nella stessa ricerca, anche le concezioni di Dio sono apparse alquanto differenziate: da quelle esplicitamente negative (che in realtà più che una reazione esprimono un atteggiamento di ripulsa), a quelle teistiche non confessionali e ad altre che rientrano nell’area religioso-confessionale (e sono le più comuni).

In altre ricerche appare anche molto variegata la concezione di Chiesa, verso la quale si esprimono soprattutto atteggiamenti legati alla dimensione istituzionale.

Senza continuare la disamina delle concezioni e la verifica dell’accoglienza di contenuti e conoscenze, possiamo sottolineare che l’insieme di queste concezioni evidenzia chiaramente l’avvenuta destrutturazione di un campo percettivo unitario, che era storicamente rappresentato dalla Chiesa cattolica. La percezione è piuttosto legata alle visioni e situazioni individuali. Si pongono pertanto alcuni problemi: come i giovani oggi attingono la dimensione cognitiva del religioso? In riferimento a che cosa si formano le loro percezioni?

Non si tratta ovviamente di «vocabolario», di parole che non si capiscono. Sono chiamati in causa il linguaggio e tutti i canali di trasmissione del religioso. Occorre cioè verificare se tali mediazioni sono adeguate alle visioni attuali del reale e capaci di organizzare presso i giovani un quadro cognitivo corretto.

 

3.​​ Il vissuto religioso dei giovani

La diversità delle concezioni e percezioni di «religione» e degli elementi fondamentali che la costituiscono fa pensare immediatamente ad una pluralità di esperienze vissute dai giovani. Questa frammentazione del vissuto religioso va vista come una conseguenza diretta della disgregazione del «quadro del passato», ma vanno anche tenute presenti le caratteristiche e le condizioni specifiche dei singoli soggetti.

Venuto meno il paradigma ecclesiale tradizionale, il religioso si coinvolge con la personale ricerca di senso e l’esigenza di trascendenza richiamata dalle inadeguatezze del quotidiano e tende a precisare e a realizzare aspirazioni profonde della vita.

La precarietà dei riferimenti e la difficoltà della ricerca rendono piuttosto fluidi i confini con il non religioso, che può quindi presentare aspetti alquanto problematici.

La diversità di concezioni, di atteggiamenti, di disponibilità, di motivazioni, di comportamenti concreti rendono oltremodo difficile operare una sintesi atta a far comprendere e a spiegare il vissuto religioso dei giovani. È possibile tuttavia individuare alcuni orientamenti di fondo all’interno dei quali possono essere comprese le diverse modalità di esperienza e il significato che assume nella vita la dimensione religiosa. Essendo molte le sfaccettature della realtà, non pretendiamo, ovviamente, di fare opera esaustiva e completa. Gli elementi di fondo che indichiamo possono orientare la verifica e la comprensione delle concrete situazioni locali.

 

3.1. La religione come «punto di riferimento»

I risultati delle ricerche e, a volte, la semplice osservazione di alcuni fatti rilevanti mettono di fronte ad autentiche sorprese. Oggi, per esempio, le adesioni religiose, il coinvolgimento in gruppi ed associazioni, il tasso di pratica e gli stessi atteggiamenti nei confronti dell’istituzione, appaiono piuttosto cambiati rispetto a dieci anni fa. Soprattutto è possibile notare una articolazione variegata delle convinzioni, delle motivazioni, delle attese. Un primo livello appare caratterizzato da accettazione acritica tanto del patrimonio tradizionale, quanto delle offerte e occasioni nuove. Si tratta quindi di un’apertura indifferenziata che spesso risulta anche piuttosto superficiale; di adesione guidata da atteggiamenti emozionali che può portare ad una rivalorizzazione folkloristica delle manifestazioni religiose e giungere perfino ad esperienze di notevole portata intimistica.

II religioso viene vissuto come punto di riferimento e come occasione, ma non entra come elemento costitutivo di valori, ideali, modelli, ecc. che costituiscono l’orizzonte di significato della vita.

Questo vissuto religioso, che non penetra la vita e che non è risposta ad una domanda specifica, si riduce ad una forma di «consumismo religioso», anche se non è senza significato e senza conseguenze a vari livelli.

La continuità formale di manifestazioni in fondo indica anche riproduzione di rappresentazioni simboliche, soluzioni (anche se fittizie) di tipo tradizionale a problemi esistenziali diversi e anche una sorta di continuità culturale con le generazioni passate, anche se questo non deve far illudere circa i cambiamenti di contenuti e di significato avvenuti.

I soggetti che vivono questo tipo di religiosità esprimono una modesta capacità culturale nel dominare la complessità delle trasformazioni sociali e culturali e una fragilità complessiva che li porta a cercare nel religioso, anche generico e non profondamente compreso, una dimensione di consistenza e di securizzazione che la loro vita non riesce a ricavare o a costruire altrove.

 

3.2. Il religioso come «orizzonte di senso»

Tra i giovani che ruotano nell’orbita dell’istituzione religiosa, anche attraverso la partecipazione a forme diverse di associazione e di gruppi, possiamo distinguere un altro livello di esperienza religiosa, molto più ricco di attese, anche se queste non sono pienamente identificabili come domanda specificamente religiosa.

II bisogno anche travagliato di comprensione di sé e di ricostruzione della propria identità apre questi giovani a verificare la consistenza degli orizzonti di significati disponibili, a cercare nella religione un «orizzonte di senso».

Alla luce di questo bisogno, l’accettazione della Chiesa, della fede e dei vari aspetti e contenuti religiosi è piuttosto orientata alla condivisione di valori particolarmente significativi per la vita, attinenti alla profondità dell’uomo.

Poco sintonizzati su obiettivi comportamentali e scarsamente interessati alla «pubblicizzazione culturale», questi giovani vivono l’esperienza del sacro nella prospettiva di una realizzazione di mentalità e comportamenti che oltre a riconoscere i valori profondi e le prospettive umanizzanti della persona siano anche capaci di valorizzarla nelle reali possibilità che la vita sociale offre.

In questo percorso di umanizzazione e di valorizzazione sociale, non sono evidenziate le funzioni specificamente salvifiche e l’esperienza (sia associativa che ecclesiale in genere) viene vissuta come possibilità di cammino formativo, molto selettivo anche nei confronti dei modelli culturali proposti e dei paradigmi comportamentali die la Chiesa offre.

Si tratta di un’appartenenza ecclesiale «debole» e di un riferimento selettivo, con molta libertà di «cernita» nell’orizzonte di significati e di «accettazione» dei codici etici. Rispetto al livello di vissuto religioso precedente, si esprime il desiderio di qualcosa di diverso dal paradigma culturale tradizionale; si fa il tentativo di ancorare ad un orizzonte di alterità e di trascendenza la propria fondazione personale ed anche lo sforzo di integrazione sociale.

I soggetti protagonisti di questa ricerca di realizzazione personale e di novità culturali per dominare gli eventi della realtà sociale dispongono di una buona preparazione culturale, ed è proprio in forza di questa che assume particolari caratteri la loro esperienza religiosa.

 

3.3. Esperienza religiosa e protagonismo giovanile

Nel vissuto religioso giovanile emergono «spie» di autenticità, sia a livello di convinzioni che di coerenza. È qualcosa di rilevante a livello qualitativo più che quantitativo, anche se si tratta di una minoranza non del tutto trascurabile.

I segni di questa autenticità sono nella più stretta relazione tra atteggiamenti e comportamenti, che si traduce in legame più cosciente tra convinzioni, motivazioni e pratica religiosa; nel recupero di una capacità di confronto e di dialogo con l’istituzione che rende operativo il coinvolgimento in essa e più condivisa l’esperienza religiosa nel suo complesso; nello sforzo di operare una nuova sintesi tra «valori del patrimonio culturale cattolico» e orientamenti della società moderna, soprattutto all’interno delle esperienze associative; nella scoperta della fede come «impegno storico», secondo lo spirito del Concilio Vaticano II e i recenti documenti ecclesiali. Questa esperienza religiosa appare come un vero cammino di «liberazione» che nella scoperta di autentici valori sa accogliere anche le modalità di mediazione sia nell’ambito ecclesiale che civile. Di qui il sorprendente fenomeno dell’appropriazione da parte dei giovani dei processi educativi intraecclesiali e di socializzazione ambientale e la stessa efficace presenza in iniziative di solidarietà e di promozione ispirate ai valori fondanti della fede cristiana. L’esperienza di protagonismo esprime presenza di novità e creatività; non è assente un’attenzione selettiva sia circa la proposta associativa che ecclesiale in genere, ma viene elaborata a partire dalle prospettive istituzionali. Ovviamente l’esperienza di protagonismo diventa ed è realmente possibile in realtà comunitarie dinamiche e vitali, nelle quali i giovani riescono a maturare disponibilità di coinvolgimento e scelte di vita che traducono il significato profondo della fede.

Né bisogna dimenticare che alcune forme di questo protagonismo esprimono propensioni all’integrismo, soprattutto quando non maturano capacità di dialogo e di confronto, e che si possono esaurire in un bisogno di affiliazione e di securizzazione che si traduce in un circuito esperienziale esaustivo, che vive spesso la contrapposizione e il contrasto sia a livello dell’ortodossia che dell’ortoprassi.

 

4.​​ Esperienze e disponibilità religiose dei giovani

Percezioni ed esperienze religiose esprimono chiaramente una diversità di riferimento e di esiti che possono farci parlare, con sufficiente fondamento, di «frammentarietà» e di «soggettività» prevalenti nel vissuto religioso dei giovani: il riferimento religioso non si attua in modo totalizzante ed esclusivo, né si esprime come accettazione dell’offerta istituzionale, nei cui confronti prevale un atteggiamento fortemente selettivo.

Se è impossibile costruire un quadro esaustivo della realtà religiosa giovanile, possiamo però evidenziare, valorizzando le indicazioni delle analisi precedenti, le motivazioni più significative dell’apertura alla trascendenza e cogliere le funzioni che la religione svolge nell’attuale realtà giovanile.

 

4.1. Disponibilità religiose e realizzazione personale

La pluralità e contraddittorietà di messaggi e di offerte di ogni genere accresce la difficoltà dei giovani a identificare le esigenze di fondo della vita e a rapportarle significativamente a una traiettoria di realizzazione personale. L’apertura al sacro esprime quindi il significato di ricerca di una consistenza e profondità dell’essere, trascendenza come svelamento del valore dell’esistere. Di qui una religiosità vista come radicata nella coscienza individuale e come modalità di affermazione del vissuto personale. In questo modo bisogni più di tipo esistenziale cercano risposte religiose ed evidenziano dinamismi psicologici e culturali che accrescono la disponibilità religiosa.

Ovviamente, per coloro per i quali si attua questa ricerca di fondamento e di sicurezza, non si tratta di un percorso del tutto lineare, perché le incentivazioni possono essere anche divergenti e portare a esiti diversi.

 

4.2. Esperienza religiosa e integrazione sociale

Se è fondamentale e prioritario «star bene nella propria pelle», è anche irrinunciabile un soddisfacente rapporto con gli altri. L’esperienza religiosa innesca necessariamente dinamismi sociali che aiutano a cogliere le funzioni della religione nella convivenza umana. Bisogna d’altra parte tenere presente che al di là del ruolo che la società riconosce al religioso, essa stessa ricorre all’aspetto religioso per garantire la propria sussistenza e risolvere i suoi conflitti interni. Per i giovani, la religione può apparire come luogo privilegiato per coniugare attese personali e possibilità offerte dal sistema sociale.

Quindi essa può risultare elemento significativo nel processo di integrazione sociale.

 

4.3. Disponibilità religiosa e integrazione culturale

Ogni sistema sociale si riconosce in una serie di rappresentazioni simboliche collettive e visibilizza le proprie attese, speranze e problemi in alcune proiezioni culturali che costituiscono il suo dinamismo di fondo e le sue ipotesi sul futuro.

Il sistema delle rappresentazioni e i dinamismi culturali possono incentivare un’apertura al religioso e fare in modo che si formino disponibilità religiose anche se non necessariamente radicate in vissuti sacrali.

Per questo la disponibilità alla dimensione religiosa si presenta più estesa della adesione alla fede cristiana. Bisogna pertanto considerare che il senso religioso è il risultato dell’itinerario educativo nella sua globalità nella misura in cui sa valorizzare disponibilità di fondo insite nella personalità umana. È chiaro però che se l’esperienza educativa corrente non apre affatto a questo orizzonte, il suo recupero da parte dei giovani può risultare difficile e contraddittorio.

Nelle esperienze e disponibilità religiose dei giovani, occorre saper ancora considerare prospettive ed esigenze «sommerse, che non trovano immediata attuazione ma che invocano particolari funzioni del religioso nella realtà quotidiana. Tali funzioni e motivazioni sono legate certamente alla contingenza storica e contestuale, almeno nelle loro più concrete espressioni; quindi vanno sempre ricollegate al contesto ermeneutico complessivo, all’interno del quale solamente il fattore religioso può acquistare la giusta collocazione e comprensione.

 

5.​​ L’indifferenza​​ e le sue conseguenze a livello​​ religioso

La posizione dei giovani nei confronti della religione, le loro concezioni e il vissuto concreto non si esauriscono in quanto abbiamo precedentemente evidenziato. Vi è una fascia piuttosto estesa (per alcuni si tratta della maggioranza) che si colloca in una posizione di indifferenza o di rifiuto. L’interpretazione e la giusta comprensione di questo atteggiamento ed esperienza non sono facili, perché appaiono quasi del tutto inedite rispetto alla situazione degli anni passati. Non si può quindi pensare che si tratti solo di una sorta di evoluzione personale, essa costituisce piuttosto un tratto socio-culturale che diversifica le generazioni attuali rispetto alle precedenti. La problematicità della comprensione viene anche dal fatto che i protagonisti di questi nuovi atteggiamenti sono identificabili in strati sociali differenti. Per motivi diversi il fenomeno dell’indifferenza è presente tra i più «garantiti» socialmente ma anche tra coloro che sono maggiormente penalizzati dalla situazione produttiva, culturale e sociale di transizione.

Tutto questo porta a interrogarsi sul fenomeno della indifferenza al di là delle singole esperienze di vita e a proiettarlo nell’orizzonte complessivo dei valori e delle rappresentazioni collettive della vita umana.

 

5.1. L’indifferenza come fenomeno generalizzato e le sue implicazioni a livello religioso

Ormai diffuso in vasti strati della popolazione come un modo nuovo di essere, l’atteggiamento di indifferenza non appare più legato solo a particolari matrici culturali e filosofiche; emerge piuttosto come il frutto del «processo di secolarizzazione» che, avendo minato alla radice i modelli di comportamento tradizionali, non ha prodotto fondazioni alternative e quadri complessivi in grado di giustificare scelte e prassi a livello sociale e personale. Siamo quindi in una realtà mutevole in cui molte dimensioni della vita risultano indefinite e non è più possibile individuare egemonie culturali capaci di orientare il comportamento personale.

L’indifferenza appare pertanto come atteggiamento esteso che tocca tanto la sfera dei valori, quanto quella delle relazioni e degli impegni nella comunità umana. Pertanto, se è particolarmente emergente in rapporto alla religione, non è però riducibile solo a questa dimensione della vita. Si possono così individuare vari aspetti nell’atteggiamento di indifferenza che possono derivare dalla mancanza di sollecitazioni del soggetto di fronte al dato religioso, dalla insufficienza di fondamento per giustificare e valorizzare la fede e la sua esperienza, dal rifiuto a ritenere il sacro come qualcosa di autentico e significante per la vita personale e sociale. L’indifferenza religiosa è dunque la logica conseguenza dell’indifferenza generalizzata che caratterizza la cultura attuale.

L’indifferenza religiosa oggi risulta radicalmente possibile perché il vivere quotidiano non cerca spiegazioni e significati che vanno al di là del suo realizzarsi. La mentalità attuale non avverte l’esigenza di risalire a totalità significanti e si accontenta dell’immediato. In questa prospettiva la religione non è vista come fonte di significati in grado di rendere ragione del quotidiano, quindi non vale la pena interessarsi di ciò che non serve a vivere meglio.

Non vi è però solo questa forma «neutra» di indifferenza. Essa può risultare anche da una presa di posizione, una forma di denuncia, anche silenziosa, della insignificanza delle attuali offerte e tracciati religiosi in riferimento alle esigenze concrete della vita.

 

5.2. L’indifferenza religiosa dei giovani

Le caratteristiche fondamentali della società secolarizzata e le varie prospettive dell’indifferenza religiosa si riflettono ovviamente sui giovani.

Le analisi sulla religiosità giovanile evidenziano sempre più chiaramente una rarefazione dell’area del rifiuto esplicito della trascendenza a motivo di una scelta o posizione ideologica; si dilatano invece sempre più atteggiamenti di indifferenza e posizioni di estraneità sia nei confronti della religione che della sua accettazione come dimensione integrante della vita concreta. Ovviamente si tratta di una frammentarietà di posizioni con diversità significative: si può andare dall’emarginazione, all’estraneazione pragmatica, all’insignificanza totale e al rifiuto. L’indifferenza religiosa giovanile può quindi assumere i caratteri tipici dell’incomprensione, allontanamento, non accettazione, estraneazione, insignificanza. Incomprensione e allontanamento possono essere causati soprattutto dallo sradicamento dei valori del mondo adulto che porta i giovani a non condividere le credenze diffuse nella società, anche perché non arrivano a comprenderne il significato e il valore. La non accettazione è piuttosto in riferimento al modello religioso istituzionale che appare limitante per le aspirazioni di autorealizzazione personale e di integrazione sociale.

Non va dimenticato, inoltre, che una larga fascia di giovani sta attualmente sperimentando una pratica di vita che è gratificante pur prescindendo da qualunque orizzonte religioso e facendo attenzione solo a valori intramondani. L’atteggiamento di indifferenza verso la religione si radica in questo caso in una situazione nella quale prevale un modello di realizzazione di vita dal quale è assente qualunque ricerca di «senso» che spinga ad andare al di là del finito, fuoriuscendo dalla occasionalità del consumo. Collegato a questo atteggiamento pragmatico, ha una sua consistenza anche un individualismo libertario che accentua la relativizzazione dei valori in nome di una assoluta equivalenza delle scelte al di là del loro contenuto: non c’è nulla che possa pretendere di trascendere la datità, ogni pretesa del sacro appare illegittima.

 

6.​​ Socializzazione ed educazione religiosa oggi

Le analisi presentate evidenziano la problematicità oltre che la notevole diversità della attuale situazione religiosa dei giovani, dovuta, in buona parte, ai processi di cambiamento e alla complessità della realtà sociale. L’attenzione al contesto non esaurisce però l’interpretazione dei fenomeni; molto dipende anche dalle offerte, da ciò che i giovani ricevono per aprire la loro vita al religioso: come avviene oggi la trasmissione di conoscenze, di atteggiamenti, di comportamenti religiosi? Quali esperienze, quali ambienti influiscono sulla storia religiosa dei giovani? Che cosa hanno a disposizione per sviluppare e strutturare l’apertura e l’accoglienza del religioso?

Riteniamo utile portare l’attenzione alla socializzazione religiosa per approfondire e interpretare le modalità secondo cui i bisogni individuali e sociali si ricollegano alla dimensione del sacro e come gli esiti, gli atteggiamenti, le attenzioni varino a seconda delle occasioni educative di cui si dispone per attuare tutto questo.

La ricerca Milanesi (1981) evidenziava la tenuta e la maggiore efficacia delle esperienze legate all’istituzione; gli ambienti tradizionali (parrocchia e famiglia) apparivano i più favorevoli alla socializzazione religiosa; ma essi presentavano notevoli punti critici e difficoltà a stimolare un’interiorizzazione critica e approfondita dei valori religiosi. La prima socializzazione risultava piuttosto segnata da carenza di efficacia e di incidenza; la revisione adolescenziale e giovanile del messaggio religioso era priva di punti di riferimento significativi nel confronto con i modelli culturali a-o antireligiosi. L’insieme del processo di socializzazione appariva perciò segnato da grande incertezza per la carenza di agenzie fuori dell’ambito ecclesiale ma anche per il pluralismo dei tracciati registrabile all’interno dello stesso ambito ecclesiale.

Queste indicazioni sono precisate e confermate in ricerche fatte in contesti diversi. Per verificare in modo più globale la portata, i ruoli e le funzioni della socializzazione religiosa attuale, possiamo precisarla a tre livelli diversi.

 

6.1. Socializzazione e socializzazione religiosa

Il primo livello è quello socio-culturale. Su questo non ci soffermiamo perché abbiamo già lungamente sottolineato il rapporto cultura-società-religione. Da quanto abbiamo detto appare chiaro che manca qualunque integrazione tra socializzazione e socializzazione religiosa, perché il religioso diviene valore marginale e opzionale, periferico alla cultura trasmessa a livello di sistema sociale. Sia l’istituzione che i valori religiosi hanno subito una crisi di credibilità e di legittimazione per la difficile integrazione del religioso all’interno della società complessa. I valori religiosi risultano quindi poco plausibili e la formazione culturale-sociale dei giovani è prevalentemente extrareligiosa.

 

6.2. La socializzazione religiosa a livello familiare

Possiamo affermare con una certa sicurezza che i giovani nella socializzazione primaria e nell’affacciarsi alla secondaria non incontrano una proposta religiosa esplicita e adeguata, anche perché le stesse famiglie non definiscono la propria identità a partire da un riferimento religioso. In famiglia, per lo più, si riceve «stimolazione ad una esperienza religiosa minimale», in cui si innestano referenti culturali ambientali e pratiche sacramentali, senza giungere alla maturazione religiosa personale e ad un impegno di fede. Inoltre, anche quando la famiglia offre un certo bagaglio religioso, questo non è corroborato a livello testimoniale ed esperienziale, in modo da evidenziare il riferimento concreto e coerente del religioso alla vita quotidiana e ai suoi problemi. Quindi quello che il giovane riceve non è sufficiente a interpretare il quotidiano nell’orizzonte autentico dei significati religiosi, anche se i contenuti dell’esperienza religiosa familiare restano significativi nella strutturazione dei suoi atteggiamenti nei confronti del sacro.

 

6.3. Le offerte ecclesiali

Le offerte ecclesiali ai fanciulli, con tutta l’ambiguità che accompagna la pastorale sacramentale, difficilmente apportano dei correttivi all’impostazione educativa della famiglia; anzi possono risultare maggiormente disorientanti; oltretutto non si recupera quell’approfondimento di comprensione di significati e quell’ancoraggio al quotidiano che darebbe una prospettiva diversa a tutta l’offerta ecclesiale. Solo le offerte agli adolescenti e giovani, per lo più, si strutturano intorno a prospettive di maturazione e di costruzione di un sistema di significati. Questo però provoca una forte selettività e, per quelli che valorizzano questa opportunità, si tratta di una specie di rifondazione dell’esperienza religiosa, che porta ad una sorta di frattura rispetto al mondo religioso adulto e alla qualità complessiva delle dinamiche religiose presenti nell’ambiente.

A volte queste offerte, mediate da strutture associative, non riescono ad evitare il rischio dell’isolamento e dell’autarchia, soprattutto per un atteggiamento polemico di alcuni verso la società, che li fa sentire in una posizione di «assedio». Questo porta all’autoemarginazione e all’integrismo.

 

6.4. L’insufficiente educazione religiosa

Nel processo di crescita, il religioso può essere assunto e interiorizzato o marginalizzato ed escluso. Il processo di socializzazione gioca un ruolo decisivo in questi possibili esiti. Abbiamo però visto che la socializzazione religiosa, sia a livello familiare che ecclesiale, presenta caratteri piuttosto problematici, soprattutto perché i modelli religiosi che si propongono sono poco adeguati all’oggi e risentono piuttosto di visioni religiose preconciliari. I giovani si allontanano progressivamente dal religioso istituzionale perché esso non suscita alcuna mobilitazione affettiva e perché lo avvertono sempre più perdente rispetto ai modelli culturali della società attuale; oppure lo utilizzano come risorsa piuttosto residuale e a partire dalle proprie attese, senza fare del religioso elemento integrante della propria esperienza di vita. Solo coloro che ricevono stimoli familiari adeguati e incontrano una strutturazione diversa delle offerte ecclesiali vivono un processo formativo complessivo che ricongiunge in un orizzonte unitario fede e vita e riescono a realizzare forme di presenza e di impegno a livello ecclesiale e civile.

 

7.​​ Prospettive operative

Nelle analisi precedenti, in forma più o meno implicita, sono presenti diversi stimoli capaci di far individuare le possibili linee di azione per far evolvere il rapporto «giovani-religione» verso maggiore significatività e personalizzazione.

Raccogliamo ora sinteticamente tre prospettive che sembrano maggiormente utili ed efficaci:

—​​ Far entrare i giovani in relazione significativa con il religioso​​ valorizzando linguaggi e canali di comunicazione che siano in grado di trasmettere il messaggio e di farlo interagire con le visioni attuali del reale. Si tratta cioè di poter trasmettere autenticamente e di far conoscere significativamente i contenuti e le dimensioni del religioso perché i giovani possano rifondare la propria percezione del campo religioso in relazione significativa con le altre esperienze di vita.

—​​ Guidare alla riscoperta esperienziale della «significanza» del religioso​​ per far riconoscere la specificità della religione e aprire alla domanda religiosa esplicita. La via più efficace potrebbe essere la scoperta del valore della vita e dei valori in genere come potenziale apertura alla trascendenza. Potrebbe così attuarsi il passaggio dalla scoperta esistenziale del significato della vita al desiderio di realizzarla in pienezza nella libertà e nella verità, ed infine la riscoperta della religione come appello e come offerta della pienezza e autenticità della vita.

—​​ Qualificare l’offerta rispetto alla cultura e alle esigenze della vita.​​ Bisogna rompere il circuito «isolamento-privatizzazione», sollecitando disponibilità e solidarietà, valorizzando nuovi spazi di socializzazione e di educazione religiosa che aiutino a sperimentare la specificità dell’apporto della religione alla vita individuale e sociale.

Si tratta di prospettive da precisare a livello di strategie operative complessive che siano in grado di integrarle e di perseguirle come obiettivi di maturazione e di coinvolgimento progressivo in una realtà comunitaria.

 

Bibliografia

I giovani tra fede, ragione e prassi,​​ Vita e Pensiero, Milano 1984;​​ L’indifferenza religiosa,​​ Città Nuova, Roma 1978;​​ Indifferenza o Impegno? La società contemporanea e i suoi esiti.​​ Atti del 53.mo corso di Aggiornamento Culturale dell’Università Cattolica, Brindisi 4-9 sett. 1983, Vita e Pensiero, Milano, 1983; Emma M.,​​ I giovani e la fede oggi,​​ Dehoniane, Napoli 1984; Meloni F.,​​ Giovani nella Chiesa. Mappa dei movimenti ecclesiali giovanili,​​ Messaggero, Padova 1986; Milanesi G. (a cura di)​​ Oggi credono così. Indagine multidisciplinare sulla domanda religiosa dei giovani italiani,​​ vol. 1: I risultati, vol. II: Approfondimenti,​​ LDC, Torino 1981; Mion R.,​​ Fine di un’eclissi? Sondaggio sulla religiosità dei giovani,​​ LDC, Torino 1980;​​ Oltre l’indifferenza. La Parrocchia a venti anni dal Concilio.​​ Atti della XXXV Settimana Nazionale di Aggiornamento del COOP, Dehoniane, Napoli 1985; Scoppola P.,​​ La «nuova cristianità» perduta,​​ Studium, Roma 1985; Tomasi L.,​​ La condizione giovanile in Europa tra società e religione, Franco Angeli, Milano 1986; Vergote A.,​​ Religione, fede, incredulità. Studio psicologico,​​ (trad. ital.) Paoline, Roma 1985; VillataG.,​​ Giovani, religione e vita quotidiana,​​ Piemme, Torino 1984.

image_pdfimage_print

 

RELIGIONE

«Il più sicuro sostegno, la suprema dignità, la maggiore ricchezza, la più perfetta serenità di un uomo si fondano sulla r., cioè sul rapporto con la realtà ultima e più profonda» (Heiler, 1985, 9). Quest’affermazione di un grande studioso della r. trova nella​​ ​​ cultura attuale affermazioni di segno contrario: anche sull’onda dell’​​ ​​ ideologia la r. è spesso considerata con sospetto, accusata di alienare e illudere. Resta il fatto che la r. accompagna il cammino dell’uomo e lo sostiene in quel confronto mai risolto con il mistero che l’avvolge con il destino che l’attende. La sua valenza educativa nel bene e nel male resta incomparabile.

1.​​ Il​​ termine e l’uso consueto nella tradizione classica.​​ Già nell’antichità precristiana la r. designa il rapporto con il sacro, con il​​ numen.​​ Anzi la r. dice appunto la profonda riverenza, il turbamento di fronte al divino, alla sua misteriosa azione. Questo è vero per l’antichità classica: Cicerone vede nella r. «l’accurata osservanza di tutto ciò che attiene al culto degli dei» (De natura deorum,​​ 2, 72); questo atteggiamento è vero anche per la tradizione ebraica: a Mosè è ingiunto di togliersi i calzari per avvicinarsi al misterioso roveto ardente (Es 3,5). La tradizione cristiana ha preferito l’interpretazione di Servio che fa derivare la r. da​​ religare​​ come un unire di nuovo ciò che era separato.​​ ​​ Agostino dà ampia risonanza a quest’accezione perché interprete puntuale della sua dottrina della grazia, del peccato e in particolare del peccato originale. Resta comunque il fatto che la r. si porta obbligatoriamente sul doppio versante: del mistero, dell’arcano, della trascendenza; e dell’atteggiamento umano di ricerca, di trepidazione, di sgomento, che ne deriva.

2.​​ La ricerca recente.​​ La ricerca religiosa come analisi specifica e differenziata del fenomeno religioso, è tuttavia piuttosto recente. In termini generali si può dire che accompagna la progressiva contestazione o la presa di distanza della cultura moderna dall’unicità della tradizione cristiana. In ambito filosofico e ideologico la provocazione più sconcertante è data dalla pubblicazione dell’opera di Feuerbach –​​ L’essenza del cristianesimo​​ (1841) – proprio in quanto la r. è ridotta a fenomeno umano. Alla fine del secolo scorso la spinta data dalla concezione evoluzionistica della scienza ha fortemente stimolato la ricerca religiosa; ha indotto a risalire alle origini della r., a misurarne il progressivo evolversi, spesso in un quadro di precomprensioni che cercavano conferma nell’analisi storica, etnologica, filologica. La stessa esigenza di verifica critica ha investito la tradizione biblica e ha spinto a ricerche vaste e accurate circa l’intero orizzonte religioso, specialmente del Medio Oriente. Successivamente il differenziarsi dei metodi di ricerca nell’ambito delle scienze dello spirito con Dilthey, l’esigenza di rigore della scuola fenomenologica hanno spinto a specificare la ricerca e quindi anche a moltiplicare le scienze di analisi del dato religioso. L’accentuazione portata sul fenomeno come dato umano ha naturalmente il suo rischio: denunciato con veemenza da tutta una corrente – la teologia dialettica – che con Barth ha richiamato risolutamente il primato del divino e della Parola, screditando la r. come radicale fraintendimento (Barth, 1989).

3.​​ La progressiva articolazione della ricerca sulla r.​​ Naturalmente non è questa la sede per seguire neppure nelle grandi linee il dibattito, diversificato nelle discipline che di fatto ormai sono impegnate a decifrare il fenomeno religioso.

3.1.​​ Si dilata l’orizzonte di ricerca.​​ Si possono richiamare in sintesi i diversi ambiti di ricerca collegandoli alle istanze educative che li accompagnano. Innanzitutto il progressivo distanziarsi della cultura moderna dalla tradizione cristiana e, nell’ambito stesso dell’occidente, l’irrompere di civiltà diverse con proprie tradizioni anche religiose di remota antichità forzano l’orizzonte della ricerca oltre il dibattito teologico-biblico. La storia delle r. suscita vasto interesse, confronto aperto sui metodi e sugli obiettivi: in particolare si impone il compito di decifrare i fenomeni complessi che accompagnano la r.; la fenomenologia della r. tende a darvi interpretazione unitaria e plausibile avvalendosi anche di metodologie che si affermano in campo storico e filosofico. Donde il dibattito così vivo negli anni sessanta sui reciproci apporti e limiti della storia e della fenomenologia; vivace anche per merito degli studiosi di prestigio internazionale che vi prendono parte (Heiler a Marburgo, Bianchi in Italia, Van der Leeuwe in Olanda).

3.2.​​ Molteplicità e articolazione delle scienze della r.​​ Attualmente si va affermando la consapevolezza che l’interpretazione della r. rende indispensabile l’apporto concertato di molteplici scienze che si portano sul versante ermeneutico: tendono cioè a dare un’interpretazione unitaria e al fenomeno religioso (Eliade, Panikkar, Ries...) e al linguaggio che lo esprime (Marcel, Ricoeur, Ladrière...). L’attenzione portata sul soggetto in ambito educativo – recente svolta antropologica – ha suscitato ricerche vaste e articolate nell’ambito della psicologia religiosa. Così lo scadimento della pratica tradizionale religiosa, la perdita di rilevanza del «sacro» e la conseguente crisi delle istituzioni religiose, costituiscono quel fenomeno diffuso e complesso che va sotto il nome piuttosto generico di​​ ​​ secolarizzazione; una situazione in tanta parte inedita che ha dato incremento notevole alla ricerca socio-religiosa: alcuni studiosi sono notissimi in Italia (Acquaviva, Berger, Luckmann). Specificamente per quanto riguarda l’analisi dei processi interiori e degli itinerari educativi, le connessioni fra esperienza di fede e maturazione personale, studi interessanti sono venuti dalla​​ ​​ psicologia, soprattutto da quella di impronta umanistica, molto conosciuti in Italia (Allport, Erikson, Vergote, Godin). Più recentemente sono in atto ricerche circa le condizioni e i processi di maturazione specifica della fede a partire dall’idea di motivazione, dalla ricerca di significato sia in ambito psicologico che sociologico (Piaget, Keagan, Moran, Fowler, Oser, Nipkow). Per quanto concerne la ricerca filosofica un richiamo particolare meritano studiosi che hanno analizzato con novità e originalità l’esperienza umana nella sua dimensione specificamente religiosa.

4.​​ La dimensione religiosa nell’esperienza umana.​​ a)​​ L’istanza ermeneutica.​​ La riflessione attuale si è portata sul versante ermeneutico che analizza l’esistenza soprattutto nel rapporto interpersonale; si è concentrata sull’esperienza concreta, ne ha sondato lo spessore, ne ha perseguite le ramificazioni. Anche la ricerca religiosa si è sempre più consapevolmente orientata verso l’esperienza: ha inteso sondarne il mistero che la caratterizza, il richiamo alla trascendenza che l’attraversa. b)​​ I riferimenti qualificanti dell’analisi recente.​​ Schematicamente si possono delineare le tappe di una progressiva concentrazione sull’esperienza concreta per esplorarla nel presagio e legittimarla nell’opzione per la r. Risale a Kierkegaard la rivendicazione perentoria di una verità esistenzialmente significativa (Kierkegaard, 1962). Il rapporto religioso oltre che nella sua​​ verità​​ va verificato nella sua​​ significatività. A​​ conferire singolare risonanza al richiamo di Kierkegaard ha contribuito la svolta ermeneutica, impressa dalla riflessione heideggeriana. È sulla base di un certo progetto personale previo che si compie l’interpretazione della realtà (Heidegger, 1970). Precisamente la risonanza e il significato del rapporto religioso costituiscono l’orizzonte sollecitante di ricerca. Il contributo più significativo viene in proposito da G. Marcel. Egli argomenta da una considerazione attenta e vigile dell’esperienza umana, così come si lascia decifrare nella consuetudine anche quotidiana; si preoccupa di lasciarne affiorare tutte le ramificazioni e la complessità (Marcel, 1963). È in questa considerazione aperta, puntuale e consapevole che l’esperienza denuncia un margine insanabile di precarietà e appella alla trascendenza: ripiega nell’insignificanza, se non è «sostenuta dall’armatura del sacro». Il gesto e la parola umana sono in definitiva votati all’insignificanza, se non risultano ancorati ad un approdo definitivo: il rapporto con l’assoluto salva da una precarietà altrimenti irrecuperabile. Dunque una legittimazione tipicamente esistenziale, che porta la ricerca religiosa al suo nocciolo qualificante: il rapporto a tu per tu dell’uomo con Dio. E qui il maestro è indubbiamente​​ ​​ Buber. Gli stimoli che egli offre ad una rivisitazione dell’esperienza religiosa sono originali e spesso espliciti. Puntano soprattutto ad esplorare la novità e la ricchezza, l’intensità emotiva e il coinvolgimento esistenziale (Buber, 1993): del resto rimbalzati nella riflessione di altri interpreti contemporanei accreditati, quali Lévinas, Ricoeur, Ladrière. Il quadro dei riferimenti può opportunamente venir completato con l’analisi del processo interiore, che ragionevolmente sospinge la riflessione verso l’approdo religioso. Su questa traccia indicazioni preziose vengono offerte da M. Scheler, soprattutto in un’analisi rigorosamente conseguente dell’atto di fede. Secondo Scheler l’intuizione religiosa si afferma in una considerazione interiore, a verifica dello scarto fra aspirazione e risposta, che attraversa ogni esperienza umana autentica. Comprende tappe successive che vanno dall’insoddisfazione radicale che segna l’esistenza all’incontro con l’ultimo approdo, costituito da un Dio che entra in dialogo con l’uomo (Scheler, 1972). Il tema che a questo punto s’impone è quello del​​ ​​ linguaggio: come articolare ed esprimere un’esperienza che per tanti aspetti risulta al limite dell’interpretazione e della manifestazione; la consapevolezza della fede in particolare è alla ricerca di un proprio linguaggio che dia figura al rapporto interiore con Dio e ne consenta un’elaborazione razionalmente plausibile.

5.​​ La valenza educativa della r.​​ Anche la r. subisce l’urto spesso rude dei cambiamenti che attraversano il tessuto sociale e culturale. Nel giro di alcuni decenni è saltato il «sistema» che inquadrava l’esperienza religiosa. A torto o a ragione la r. ha perduto la sua indiscussa credibilità: lo studioso rileva di fatto un tracollo di plausibilità che, a livello educativo, rappresenta una considerazione decisiva (Milanesi, 1981). La risonanza che la r. assume nell’esperienza personale e collettiva non è esente da ambiguità. È fin troppo facile documentare strumentalizzazioni della r. nei rapporti interpersonali e comunitari. Proprio per la sua costitutiva esigenza di totalità e di radicalità la r. si presta a molti abusi. Bisogna riconoscere un’ambivalenza insita nel fatto religioso e una pluralità di emergenze che possono diversamente venir interpretate nelle molteplici situazioni storiche ed esistenziali. Già la tradizione biblica è portatrice di accentuazioni singolari su cui la ricerca anche filosofica ritorna. È nota la differenza fra tradizioni storiche e tradizioni profetiche nella r. biblica (Von Rad, 1974); il patto che soggiace alle tradizioni storiche vede Dio affiancarsi da alleato potente all’impresa epica di un piccolo popolo alla conquista della patria (Ricoeur, 1969) e colora la r. di un singolare rapporto di alleanza, stabilito quasi alla pari fra Israele e il suo Dio. Le tradizioni profetiche raccolgono più l’istanza interiore; il rapporto di intimità, guardano a Dio come all’amico e al confidente; ne presagiscono la presenza nei grandi segni sponsali e familiari, privilegiano il simbolo della paternità, nella ricerca recente reinterpretato perfino sulla traccia della riflessione psicoanalitica (Vergote, 1967). Altra ambivalenza è data dal riferimento che la stessa tradizione religiosa privilegia. C’è una tendenza a rifarsi alle origini, a garantire stabilità e sicurezza con una fedeltà al passato che può diventare anche spinta alla conservazione e resistenza al processo irrinunciabile della storia. Bergson ha visto bene quando ha voluto distinguere una doppia matrice della r.: quella statica e quella dinamica; ed è precisamente nell’analisi della risorsa innovativa​​ ​​ della matrice dinamica​​ ​​ che Bergson rileva la spinta più alta al processo di maturazione personale e collettiva che anima l’istanza religiosa. L’analisi del misticismo come fonte di rinnovamento per l’umanità gli ha dettato pagine suggestive e vere (Bergson, 1967). Nel contesto attuale è la distinzione fra sacro e profano che spinge la ricerca. L’ambito storico-esistenziale rappresenta un’esperienza indivisibile. La r. non può presumere uno spazio «separato», né appellarsi ad un ricorso «estraneo», pena l’emarginazione dalla percezione attuale che l’uomo ha di sé e della sua storia. Il perno della ricerca si porta allora sulla funzione e sul ruolo che la r. assume per il processo esistenziale e storico oltre che sulla concezione della trascendenza come dato interiore e costitutivo della vita.

Bibliografia

Acquaviva S. S.,​​ L’eclissi del sacro nella società industriale,​​ Milano, Comunità, 1961; Kierkegaard S.,​​ Diario,​​ Brescia, Morcelliana, 1962;​​ Marcel G.,​​ Le mystère de l’être,​​ Paris, Aubier, 1963; Bergson H.,​​ Les deux sources de la morale et de la religion,​​ Paris, PUF, 1967;​​ Vergote A.,​​ Psicologia religiosa,​​ Torino, Borla, 1967;​​ Ricoeur P.,​​ Le conflit des interprétations,​​ Paris, Seuil, 1969; Heidegger M.,​​ Essere e Tempo,​​ Milano, Longanesi, 1970; Feuerbach L.,​​ L’essenza del cristianesimo,​​ Milano, Feltrinelli, 1971; Allport G. W.,​​ L’individuo e la sua r.,​​ Brescia, La Scuola, 1972; Scheler M.,​​ L’eterno nell’uomo,​​ Milano, Fabbri, 1972; Rad G. von,​​ Teologia dell’Antico Testamento,​​ Brescia, Paideia, 1974; Milanesi G.,​​ Oggi credono così,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1981; Heiler F.,​​ Le r. dell’umanità,​​ Milano, Jaca Book, 1985; Barth K.,​​ L’epistola ai Romani,​​ Milano, Feltrinelli, 1989; Buber M.,​​ Il principio dialogico e altri saggi,​​ Torino, San Paolo, 1993; Trenti Z.,​​ Opzione religiosa e dignità umana, Roma, Armando, 2003; Filoramo G. (Ed.),​​ Storia delle r.​​ Mondo classico-Europa precristiana, Milano, Mondadori, 2005; Despland M., «R.», in​​ Dizionario delle r., Ibid., 2007.

Z. Trenti

image_pdfimage_print

Related Voci

image_pdfimage_print