PROFESSIONE DI FEDE
Più la conoscenza della storia della Chiesa e delle religioni ci rende consapevoli che la formula sacra appartiene a ogni comunità religiosa (come testo del patto, della verifica, della continuità, dell’ortodossia), più dobbiamo preoccuparci del fatto che le vecchie PdF cristiana (anche il Credo apostolico) non possono più essere “realizzate” dai giovani. Questa “non-realizzazione” indica che il testo sacro non suscita più un coinvolgimento personale, poiché non interpreta più la vita dei giovani con i suoi alti e bassi. Questa deficienza è in parte connessa con il linguaggio antiquato delle vecchie PdF (per es. carne, santa Chiesa); e in parte con l’immagine mitologica del mondo (cf cielo, inferno) e con gli schemi di valori che in modo implicito sono contenuti nelle PdF cristiane. La distanza tra giovani e Chiesa è inoltre causata dal fatto che la fede cristiana, quale emerge dalle formule di fede, non è in grado di interpretare la vita. Questa situazione viene caratterizzata bene dalla parola di un teologo, il quale afferma: “I nostri padri hanno professato la loro fede; noi invece ci sforziamo di credere la loro professione”. L’emergere di questa situazione ha sfidato la Chiesa nei suoi teologi e nei suoi catecheti. Domandiamoci perciò che cosa è capitato a partire dalla metà degli anni ’60.
1. Reazioni sulla situazione di fede. Le reazioni che a partire dalla metà degli anni ’60 hanno tentato di rimediare alle deficienze nell’utilizzazione della PdF, oltre che presentare un interesse storico, possono anche servire per tracciarne un quadro teorico.
Un tentativo per ricuperare la pienezza della fede nei confronti di molte formule riduttive fu il “Credo del popolo cristiano”, pubblicato il 10-8-1968 da papa Paolo VI. La buona finalità del testo, vale a dire il mantenimento di tutta l’ampiezza delle formulazioni (anche storicamente determinate) della fede, non deve certamente essere sottovalutata. Tuttavia non si deve ignorare il fatto che il “Credo del popolo cristiano” non ha raggiunto i destinatari, i giovani cristiani, e non solo loro.
Dal lato opposto si è cercato una soluzione del problema nella formula di fede orientata sull’attività politica, quale risulta per es. nel “Credo aus dem politischen Nachtgebet” (Credo della preghiera politica notturna) di D. Solle (1969). Questo testo della fede coinvolge il destinatario; esprime pure la comunità attraverso la chiara formulazione dell’indirizzo sociale-cristiano; e raggiunge i giovani. Ma è gravemente carente: la teologia sottostante lascia il fedele nell’incertezza se, per es., vi sia ancora la trascendenza e se Gesù Cristo sia realmente risuscitato dai morti. Di conseguenza, il fondamento di un simile testo della fede è inconsistente.
Le considerazioni che K. Rahner, a partire dal 1965, ha proposto sotto il termine “formula breve della fede”, miravano precisamente a realizzare un vero testo della fede (precisamente una formula breve). In forza della sua teologia trascendentale, K. Rahner prese lo spunto dalle esperienze fondamentali dell’uomo, cercò di approfondirle facendo emergere le loro condizioni di possibilità, e finì con il riconoscere in Gesù Cristo la vicinanza vitale-corporea e storica di Dio, il quale dona all’uomo amore e libertà. La “formula breve della fede” era uno studio programmatico per la concreta situazione della fede. La difficoltà di accogliere questa proposta fu probabilmente in primo luogo l’impostazione teologica e il linguaggio molto ermetico di K. Rahner. Nell’insieme però egli ha dato un contributo rilevante per la pedagogia religiosa
2. Le formule di PdF dei giovani. Quasi contemporaneamente ai suddetti progetti nascevano in comunità studentesche e in gruppi ecclesiali giovanili altre formule di PdF, che venivano recitate nelle messe per giovani o conservate come risultato di giornate di approfondimento della fede o di formazione religiosa. Le caratteristiche di queste formule di PdF dei giovani sono: il testo inizia spesso con una professione in favore dell’uomo (L’uomo non è solo. Dio è vicino a noi. La mia vita ha senso. Dio è in grado di salvare una vita sbagliata); si parla soprattutto di Dio Padre, e anche del mistero della creazione, a spese però delle formulazioni trinitarie; il punto gravitazionale del testo è situato in una cristologia ascendente, quindi in un Cristo fraterno, che tornando al Padre libera l’umanità (“captivam duxit captivitatem”); l’affermazione sullo Spirito Santo è piuttosto imprecisa, anche se è attesa una “nuova Pentecoste”; enunciati escatologici e soprattutto ecclesiologici — in primo luogo una comunità fraterna — si incontrano.
Accanto a questi punti essenziali bisogna anche sottolineare che molti enunciati della fede sono formulati in riferimento al loro significato per la vita quotidiana (quindi in vista dell’azione).
Come è facile constatare, le accentuazioni in queste formule di PdF si riferiscono specificamente alla situazione giovanile e a gruppi particolari. Nel linguaggio e nei quadri dei valori si cerca di venir incontro ai giovani. Il risultato positivo è che questi testi furono prodotti come PdF. In essi si pone il problema fondamentale di un annuncio specifico per una determinata età e conseguentemente anche il problema di una concentrazione della fede.
3. Problemi di natura catechetica. L’annuncio della fede si rivolge sempre a un “uditore della parola”. Prima di annunciare occorre assumersi tutto l’impegno per studiare, con l’aiuto di metodi propri alle scienze umane, la situazione interiore ed esteriore dell’ascoltatore, per essere poi in grado di dare risposte a domande che realmente si pongono, di parlare un linguaggio che viene compreso, e di ricollegarsi con quadri di valori che (in questo caso) sorreggono la vita dei giovani. Accettata la legittimità di tale analisi (è ovvio che essa è anche sempre inquadrata nei principi di una antropologia cristiana), la trasmissione della fede può mettere consapevolmente quegli accenti che rispondono alla situazione di vita dei giovani (cosa che d’altronde ha sempre fatto inconsapevolmente). L’adattamento dell’annuncio cristiano all’età assicura da un lato l’accoglienza della fede, da un altro introduce nell’esistenza cristiana una progressiva dinamica: il giovane potrà sempre di nuovo scoprire la forza vitale della verità cristiana.
Di fronte a queste accentuazioni dell’annuncio, in corrispondenza con l’età, si pone un interrogativo: Dove mettere gli accenti, se non si tratta soltanto di annunciare ai giovani, ma anche di annunciare la verità cristiana come tale? È proprio legittima una simile concentrazione? Per chiarire subito: non si tratta affatto di ridurre la fede ad alcuni punti cardinali, scelti arbitrariamente (o magari con un fondamento metodico), ma di una “ristrutturazione della fede” (Y. Congar), in cui l’essenziale diventa visibile come centro della fede e in cui le altre verità della fede si organizzano attorno a questo centro (e quindi non vengono scartate come “non-essenziali”).
Una simile concentrazione della fede corrisponde in pieno alle affermazioni del Concilio Vaticano II, il quale afferma nel decreto sull’ecumenismo (n. 11): “Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino [i teologi catt.] che esiste un ordine o “gerarchia” nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana; così si preparerà la via nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più profonda cognizione e più chiara manifestazione delle insondabili ricchezze di Cristo”.
Questa gerarchia delle verità non introduce soltanto un ordine oggettivo delle verità rivelate secondo la maggiore o minore vicinanza all’agire salvifico di Dio in Gesù Cristo; essa permette anche di annunciare con priorità le verità che costituiscono il centro della fede e che nello stesso tempo interessano maggiormente la situazione di vita del giovane. La paura che il giovane si fermi a questa “fede concentrata” può essere vinta pensando al fatto che, sia la fede che la verità, sono realtà dinamiche. Vale a dire: il concetto statico di fede, finora presente, viene sostituito con un concetto dinamico, che interpreta tutte le fasi di sviluppo della vita alla luce del messaggio di Cristo; la verità è dinamica nel senso che ogni volta introduce nella nuova profondità della verità.
Da queste considerazioni risulta la legittimità di una concentrazione della fede e di una formula di PdF per giovani. Con ciò non vengono in nessun modo abolite o sottovalutate le vecchie PdF. Al contrario: esse rimangono sempre come valida norma della fede per i giovani, come istanza critica e come esigenza di verità della fede.
4. Concretizzazione catechetica. Nell’ambito della C. non si devono proporre false alternative tra formule moderne della PdF e la “vecchia” PdF. La formula della PdF deriva dal Credo, e viene sempre riportata ad esso. Tuttavia, proprio sotto l’aspetto cat. si devono accogliere le possibilità positive di queste formule di PdF: possibilità a) di mettere in rapporto con la fede la situazione di vita del giovane e di interpretarla con aspetti concreti del messaggio cristiano. (Lo si può anche fare tenendo conto delle fasi dell’età, della professione, dei rapporti interpersonali, dei problemi sociali, della pace, ecc.); b) di esprimere l’aspetto missionario della fede, anche come provocazione dei giovani indecisi o vacillanti; c) di focalizzare in un testo l’esperienza vitale della fede, o eventualmente l’esperienza di un tempo religioso passato insieme; d) di promuovere la coesione di un gruppo, con una formula di PdF in cui si riflettono anche il livello di sviluppo, la provenienza, i problemi, i compiti di un gruppo; e) di manifestare in una liturgia la ricerca interiore di un gruppo, verificata antecedentemente sul suo valore fattivo, per es. in un’azione sociale (o anche politica).
Queste diverse possibilità manifestano chiaramente che una moderna formula di PdF indica soltanto una via della fede, e quindi può sempre essere superata, ma questa non è una ragione per considerarla insignificante. Infatti la fede esteriorizzata nella formula di professione si consolida e si ricollega con altri. Essa permette di fare l’esperienza che anche la fede è un processo, ovviamente un processo in cui l’attività dell’uomo e la grazia di Dio costituiscono una inseparabile unità.
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Roman Bleistein