UFFICIO CATECHISTICO DIOCESANO

 

UFFICIO CATECHISTICO DIOCESANO

I.​​ Origine e funzione dell’UCD

1.​​ Istituzione dell’UCD.​​ L’atto di nascita ufficiale dell’UCD può essere fatto risalire per le diocesi italiane alla circolare della S. Congr. del Concilio (12-12-1929), e per tutte le diocesi del mondo al decreto​​ Provido sane​​ della stessa Congr. (12-1-1935). In realtà l’esigenza di un impegno cat. più adeguato e attento alle nuove situazioni aveva già sollecitato, in diverse Chiese locali, la creazione di centri di coordinamento e di promozione dell’attività cat., anche se variamente configurati. Non a caso la circolare della S. Congr. del Concilio invitava gli ordinari “a istituire, in quella forma e in quelle modalità che riterranno più opportune, un UCD là dove non esiste ancora; e, ove già esiste, a dare allo stesso un maggiore sviluppo, corrispondente alle nuove esigenze dell’insegnamento religioso nelle scuole dello stato”.

Tra le finalità proprie dell’UCD vengono sottolineate quelle di “promuovere e disciplinare sempre meglio in ogni diocesi l’istruzione religiosa del popolo cristiano”, la necessità di rispondere “alle nuove esigenze dell’IR nelle scuole dello stato” (cf circolare del 12-12-1929), l’esigenza di organizzare corsi di preparazione per i catechisti e gli insegnanti di religione (cf​​ Provido sane,​​ n. 3). Uno schema di statuto, allegato alla circolare della Congregazione, precisava i settori ai quali si doveva estendere l’attività dell'Ufficio, e cioè: “L’istruzione cat. parrocchiale dei fanciulli e degli adulti; l’IR nelle pubbliche scuole dello stato tanto primarie quanto medie di ogni ordine e grado; la dottrina cristiana impartita nei collegi e nelle istituzioni cattoliche” (cf art. 3). In questo schema di statuto, l’UCD viene considerato come “organo con cui l’Ordinario promuove, ordina e dirige in tutta la diocesi l’istruzione religiosa del popolo» (cf art. 1).

2.​​ Indicazioni ecclesiali più recenti sull’UCD.​​ Oggi l’UCD, in un contesto culturale e pastorale fortemente mutato, deve farsi carico in modo nuovo dei compiti precedenti e, insieme, rispondere a nuove esigenze. La stessa varietà di termini con cui si tenta di definirlo (Ufficio cat., Centro cat., Centro di pastorale cat., Ufficio o Centro per l’evangelizzazione e la C., ecc.) può essere indicativa della ricerca e dei tentativi di rinnovamento in atto. Il DCG (1971) al fine di presentare “i fondamentali principi teologico-pastorali, desunti dal magistero della Chiesa e in modo particolare dal Concilio Vaticano II, con i quali si possa più idoneamente orientare e coordinare l’azione pastorale del ministero della parola” (cf DCG, proemio), ribadisce la necessità che ogni diocesi abbia un Ufficio Cat. e offre elementi utili per ridefinirne i compiti:

“Con il decreto “Provido sane” è stato istituito l’UCD con il compito di presiedere a tutta l’organizzazione cat. Questo ufficio deve essere costituito da un gruppo di persone veramente esperte in materia. L’ampiezza e la diversità delle questioni di cui l’ufficio cat. deve interessarsi esigono che le responsabilità siano ripartite tra più persone competenti. L’UCD deve anche promuovere e guidare il lavoro di quelle organizzazioni, come il centro cat. parrocchiale, la confraternita della dottrina cristiana, ecc., che costituiscono le cellule di base dell’azione cat. Occorre anche che le comunità locali istituiscano centri permanenti di formazione dei catechisti... L’UCD, che fa parte della curia, è quindi l’organo con cui il vescovo, capo della comunità e maestro della dottrina, dirige e modera tutte le attività cat. Nessuna diocesi può essere priva dell’ufficio cat.” (DCG 126).

L’attività dell’UCD è vista all’interno di una più ampia collaborazione pastorale e di un coordinamento regionale e nazionale (cf DCG 125-128; RdC 147). Il nuovo codice di diritto canonico non parla espressamente dell’UCD (nel can. 775,3 parla solo dell’Ufficio cat. nazionale): sottolinea, tuttavia, la dimensione pastorale della curia diocesana (can. 469) e i compiti a cui ogni Chiesa è chiamata in riferimento al ministero della Parola e della catechesi (can. 756-792); le sue indicazioni preziose, ma limitate alla natura propria di uno strumento canonistico, vanno lette e integrate con le altre diverse indicazioni pastorali.

II.​​ Per un rinnovamento dell’UCD

1.​​ In quale contesto ridefinire la natura e il ruolo dell’UCD.​​ L’identità​​ e​​ il ruolo dell’UCD vanno ripensati all’interno del cammino di rinnovamento pastorale e cat. intrapreso dalle nostre Chiese nel dopo-Concilio. In particolare l’UCD sembra oggi interpellato da alcune urgenze: a)​​ l’attenzione primaria alle persone degli operatori,​​ con l’esigenza di promuovere la corresponsabilità dei diversi soggetti ecclesiali che hanno un ruolo specifico in ordine alla C. (presbiteri, famiglie, catechisti, animatori di catechisti e di gruppi ecclesiali...), dentro un preciso impegno-progetto di formazione permanente; b)​​ la messa in opera di una C. evangelizzante e missionaria,​​ con l’esigenza di una C. di popolo, di una C. nelle varie situazioni, età e ambienti; soprattutto di una C. degli adulti e dei giovani, di una C. per edificare una Chiesa più missionaria; c)​​ la promozione di una C. collegata con tutta la vita e l'azione della Chiesa,​​ con l’esigenza di promuovere la complementarità tra pastorale cat.-liturgica-caritativa e tra i diversi soggetti ecclesiali (famiglia, parrocchia, gruppi e movimenti...).

2.​​ Identità e compiti dell’UCD.​​ In modo descrittivo l’UCD può essere considerato come l’organo della curia diocesana con cui il vescovo guida, promuove e coordina tutta la pastorale cat. nella Chiesa locale. In particolare, come suoi compiti, da precisare e da sviluppare gradualmente in riferimento alle situazioni concrete, sembrano emergere: — la conoscenza dello stato della pastorale cat. in diocesi;

— la promozione della pastorale cat. nella parrocchia in riferimento alle diverse età, ambienti e situazioni, contenuti e strumenti...;

— la sensibilizzazione e l’educazione a una rinnovata mentalità e comune responsabilità ecclesiale in ordine alla evangelizzazione e alla C.;

— lo studio dei problemi e l’avvio di concrete iniziative in riferimento all’educazione religiosa e all’IR nella scuola (materna, elementare, secondaria...), in particolare con la qualificazione e la formazione dei diversi operatori e degli insegnanti di religione;

— la preparazione, qualificazione e formazione dei diversi operatori e operatrici della pastorale cat.;

— il coordinamento dei diversi ministeri e carismi in ordine alla evangelizzazione e alla G;

— la ricerca di nuove vie e modi di servizio alla parola di Dio nel proprio contesto culturale;

— la guida e l’aiuto nell’accoglienza del progetto cat. rinnovato e nella utilizzazione dei catechismi corrispondenti;

— la progettazione di un piano di pastorale cat. in riferimento alle situazioni concrete.

3.​​ Struttura dell’UCD.​​ La struttura dell’UCD si dovrà configurare concretamente in rapporto alla situazione e all’impostazione globale della vita e della pastorale di ogni Chiesa locale. In ogni caso, sembra si possano considerare le seguenti necessità: di un gruppo stabile di persone per un lavoro in équipe; di avvalersi di altre persone o gruppi di consulta e di lavoro (esperti, commissione o consulta cat., gruppi di lavoro); di avere punti di riferimento (responsabili o animatori) nelle singole zone pastorali; di preparare animatori e responsabili diocesani o zonali per la pastorale cat.

In concreto, le persone che collaborano più direttamente per l’attuazione dei compiti dell’UCD possono essere: la direzione (direttore, vicedirettore), la segreteria, la commissione cat. (in genere con il compito di programmare l’attività cat. e di cooperare con la direzione per l’attuazione del programma stesso).

Una cosa è certa: una riflessione e una rinnovata attenzione all’UCD si situa in una Chiesa che è “invitata a consacrare alla C. le sue migliori risorse di uomini e di energie, senza risparmiare sforzi, fatiche e mezzi materiali, per meglio organizzarla e per formare un personale qualificato. Non si tratta di un semplice calcolo umano, ma di un atteggiamento di fede” (CT 15).

Bibliografia

S. Congr. del Clero,​​ Direttorio Catechistico Generale,​​ Roma, 1971; S. Congr. del Concilio,​​ Circolare del 12-12-1929​​ (con allegato lo schema di statuto dell’UCD), in Balocco – Caporello – Capelli,​​ La religione nelle scuole italiane,​​ Roma, CENAC, 1962,​​ 166168;​​ Id.,​​ Decreto “Provido sane”,​​ in AAS 27 (1935) 145-154; U. Gianetto,​​ 40 anni fa V istituzione degli Uffici Catechistici per le diocesi italiane,​​ in «Catechesi» 38 (1969) fase. 486, 1-7; S. Pintor,​​ Identità e ruolo dell’Ufficio Catechistico Diocesano nella Chiesa locale,​​ in «Notiziario UCN» 12 (1983) 4, 265-275;​​ L’Ufficio catechistico diocesano.​​ Atti del Convegno Direttori UCD, Vallombrosa, 30 agosto – 4 settembre 1965, Roma, Ufficio Catechistico Nazionale, 1966.

Sergio Pintor

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UFFICIO CATECHISTICO DIOCESANO

UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE

 

UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE

1.​​ Costituito nel 1961, l’UCN è l’organismo della CEI per il coordinamento e la promozione della C. in Italia. I suoi compiti, stabiliti per Statuto, sono i seguenti: studiare i problemi relativi all’evangelizzazione e alla C. in rapporto all’evolversi dell’ambiente socio-culturale ed ecclesiale del paese; elaborare programmi pastorali rispondenti alle istanze ed esigenze della comunità ecclesiale; promuovere l’attuazione di tali piani pastorali, offrendo servizi e strumenti di sostegno e orientamento; coordinare l’attività degli uffici cat. regionali e diocesani e dei vari organismi e istituzioni (Facoltà universitarie e centri cat.) che operano nel campo della C. a livello nazionale; promuovere l’animazione nelle diocesi e regioni di scuole per la formazione dei catechisti; curare la redazione e pubblicazione di catechismi e di altri documenti secondo il mandato della CEI e seguirne la diffusione e la sperimentazione pastorale; studiare e approfondire in modo permanente i problemi relativi all’IR cattolico nella scuola in stretto rapporto con i competenti organismi ministeriali ed ecclesiastici; promuovere iniziative di sostegno per l’aggiornamento degli insegnanti di religione, in collaborazione con Istituti specializzati e le Chiese locali.

2.​​ Per raggiungere i suoi fini l’UCN mantiene uno stretto collegamento con la Commissione Episcopale per la dottrina della fede, la C. e la cultura designata dalla CEI per guidare il settore specifico della C. L’UCN sviluppa un permanente collegamento con i corrispondenti uffici e organismi internazionali che operano nel campo della C.

3.​​ La struttura dell’UCN è composta: dal direttore e vicedirettore, nominati dalla CEI, secondo le norme statutarie che regolano le nomine dei responsabili degli Uffici della Segreteria Generale della Conferenza; dal personale (sia religioso che laico) addetto alla segreteria. L’UCN si avvale di un Consiglio Nazionale costituito dai direttori degli uffici cat. regionali, nominati dalle Conferenze Episcopali Regionali, su proposta dei direttori degli UCD; da rappresentanti dei Centri cat., degli istituti di cat., delle riviste cat. a livello nazionale; da un gruppo di esperti, religiosi e laici segnalati alla direzione dell’UCN dalle regioni e diocesi o designati da associazioni, movimenti e gruppi ecclesiali. Il Consiglio dell’UCN si riunisce tre volte l’anno circa, per discutere i problemi di competenza dell’UCN, secondo un ordine del giorno preparato di volta in volta dalla Direzione e Segreteria. L’UCN organizza annualmente anche un convegno nazionale per i direttori degli Uffici cat. diocesani e loro più diretti collaboratori. L’incontro affronta tematiche connesse al servizio degli uffici della pastorale cat. diocesana.

Per i settori particolari del suo lavoro l’UCN si avvale di équipes o gruppi permanenti di esperti che studiano i problemi, promuovono iniziative di studio, elaborano strumenti e sussidi, animano incontri sia a livello nazionale che regionale e diocesano particolarmente nei due campi della C.-catechisti e dell’IR.

Bibliografia

Degli Uffici Catechistici di altre nazioni si parla nelle voci relative a ciascuna di esse. Diamo qui una breve bibliografia sulla attività dell’UCN per l’Italia, ricordando che essa trova espressione nella pubblicazione periodica ciclostilata “Notiziario UCN”.

V. Gambino,​​ Ufficio Catechistico Nazionale e programmazione catechistica in Italia,​​ in “Catechesi” 34 (1965) fase. 256, 26-28; U. Gianetto,​​ Il primo decennio di attività dell'Ufficio Catechistico Nazionale per l'Italia,​​ ibid. 41 (1972) fase. 116, 1-11;​​ Promulgato lo Statuto dell’Ufficio Catechistico Nazionale,​​ ibid. 30 (1961) fase. 118, 9-12.

Cesare Nosiglia

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UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE

UMANESIMO CRISTIANO

 

UMANESIMO CRISTIANO

1.​​ Se per U. intendiamo il progetto e l’inveramento dell’uomo, che ne soddisfi le esigenze e ne realizzi le potenzialità dandogli il senso e il gusto della vita, la prima intuizione è che la fede cristiana, in quanto “lettura profetica” della realtà (fatta cioè con gli occhi del più competente, il Dio creatore-redentore), sia la proposta più autentica e più completa: “La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell’uomo e perciò guida l’intelligenza verso soluzioni pienamente umane” (GS 11). E nel “Verbo fatto carne” abbiamo la più affascinante esemplarità: “Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo” (GS 41). Vocazione incarnata di un Dio-Amore, l’uomo prende coscienza della positività e bontà di tutto il suo essere, quale realtà unitaria in una triplice dimensione​​ fisica​​ (corpo-spazio-tempo),​​ spirituale​​ (sentimenti-intelligenza-volontà), “soprannaturale” (vita divina-”grazia”); coglie nel rapporto dialogico col suo Creatore la decisiva responsabilità delle proprie scelte e l’altissima dignità della propria avventura umana destinata a non esaurirsi nel tempo; scopre la sua missione di farsi dono del Padre ai fratelli per costruire una convivenza terrena fondata sulla verità, giustizia, amore e libertà (cf GS 26); in quanto essere essenzialmente sociale si sente sempre chiamato nel suo crescere e nel suo agire all’inscindibile duplice impegno personale e comunitario.

2.​​ L’U. cristiano non è antropocentrico: pur ritenendo la persona un assoluto (quale convergenza e finalità della creazione, che subordina a sé tutto il resto), non afferma che è l’Assoluto come se “l’uomo (fosse) per l’uomo l’essere supremo” (Marx) in radicale autonomia anche da Dio. Proprio in quanto​​ creatura,​​ l’uomo fonda nel suo singolare rapporto con Dio sia il proprio inalienabile valore di persona escludente ogni sua strumentalizzazione a “mezzo per”, sia l’operosa umiltà di una libertà che si​​ autodetermina​​ verso fini percepiti come valori offerti ma non autocreati. In quanto creatura​​ redenta,​​ l’uomo si sente arricchito per la reintegrazione nel progetto del Padre, con una comprensione più penetrante e sicura del significato di sé, del cosmo, della storia, e con un potenziamento della sua volontà nel conseguire le mete intraviste. Però nel definire questa azione della “grazia” — secondo che la si configuri o come “aiuto” che si aggiunge alla natura o come orientamento/capacità che trasforma e divinizza la natura — si decide la possibilità di sostenere o meno l’esistenza e i contenuti di uno specifico U. cristiano (problema analogo a quello dell’esistenza e specificità di una “filosofia cristiana”).

3.​​ Comunque, non si potrà desumere direttamente ed esclusivamente dalla fede il comportamento concreto del cristiano, sempre situato nella storia e condizionato dalle culture (paradigmatica la GS 45: “La Chiesa dà aiuto al mondo e da esso molto riceve”). Perciò nell’affermare o negare un U. cristiano occorrerà grande equilibrio, perché le varie posizioni, talvolta apparentemente contraddittorie, infine non fanno che accentuare reali esigenze del “mistero cristiano”, presentandolo così in modo unilaterale più per urgenze educativo-pastorali e per l’obiettiva difficoltà di esprimere adeguatamente la trasformatrice irruzione del divino nell’umano che non per disistima o rifiuto esplicito dell’ortodossia richiesta dalla teologia, debitrice sempre ad una mediazione filosofica (pluralistica) e sovente preoccupata di far tacere l’avversario di turno piuttosto che far parlare la rivelazione.

Si comprenderà allora l’istanza teocentrica dell’umanesimo integrale​​ di Maritain (preoccupato di superare la presunta opposizione tra creatura e creatore); quella scombussolante dell’evoluzionismo integrale​​ di​​ Teilhard​​ de Chardin (preoccupato di superare le concezioni del mondo medievali, in maggiore aderenza alla mentalità contemporanea); quella disarmante di J. M.a​​ González-Ruiz,​​ per il quale​​ il cristianesimo non è un umanesimo​​ (preoccupato di non coartare e sclerotizzare la perenne novità evangelica in una determinata cultura). Finché si rivolgono a tutto l’uomo e ad ogni uomo, rimarranno “proposte cristiane”.

Bibliografia

Y. Labbé,​​ Humanisme et théologie.​​ Pour un​​ preambule​​ de la foi, Paris, Cerf, 1975; H. de Lubac,​​ Athéisme​​ et sens de l’homme,​​ ivi, 1968; J. Maritain,​​ Umanesimo integrale,​​ Torino,​​ Borla,​​ 19694; B. Mondin,​​ Umanesimo cristiano.​​ Saggio sulle implicanze culturali della fede, Brescia, Paideia, 1980; S. Nicolosi,​​ Umanesimo,​​ in​​ Dizionario di spiritualità dei laici,​​ vol. II, Milano, Ed. O.R., 1981, 349-354;​​ L'umanesimo cristiano oggi,​​ in «Aquinas» 21 (1978) n. 1;​​ L'umanesimo messo in questione,​​ in “Concilium” 9 (1973) n. 6.

Mario Montani

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UMANESIMO CRISTIANO

UMANESIMO RINASCIMENTALE

 

UMANESIMO RINASCIMENTALE

I termini U. e Rinascimento indicano due aspetti del complesso e ricco movimento culturale, iniziato nella seconda metà del sec. XIV e sviluppatosi, prima in Italia e poi in tutta l’Europa, nei due secoli seguenti. In esso sono presenti e reciprocamente si influenzano aspetti letterari, artistici, filosofici, religiosi, sociali e politici, che ne denotano la ricchezza e la complessità. È stata oggetto di studio e di diverse valutazioni la relazione tra i due termini del binomio U.-Rinascimento, come pure il collegamento del Rinascimento con la precedente epoca medievale. Ci atteniamo alla più condivisa considerazione unitaria dei due aspetti e alla visione più di continuità che di contrapposizione, pur nella diversificazione, tra​​ ​​ Medioevo e Rinascimento.

1.​​ U. e classicità. Il termine U. indica in modo particolare l’accresciuta​​ considerazione dell’uomo​​ che si ha in questo periodo, favorita dal poliedrico sviluppo culturale e sociale del Rinascimento e caratterizzata da una ricerca della sua realizzazione terrena, staccandosi da quell’orientamento teologico-escatologico che aveva significato la cultura medievale. Ciò, tuttavia, se spiega l’affermarsi di un certo naturalismo, si attua, senza negare, ma piuttosto inverando diversamente (particolarmente in alcuni suoi esponenti) la dimensione religiosa portata dal cristianesimo. U. indica pure la​​ componente letteraria​​ della cultura rinascimentale, caratterizzata soprattutto da un ritorno alla ricerca e allo studio dei classici, perfezionato e reso più critico dall’affermarsi della filologia (di cui tipico rappresentante è Lorenzo Valla). Anche in questo aspetto si nota una differenza dalla cultura medievale, non tanto per lo studio dei Classici, quanto per lo spirito con cui si attua questo studio, prodotto dalla mentalità rinascimentale, e cioè dalla ricerca di un ideale umano, che aveva avuto nella classicità la sua più splendida celebrazione.

2.​​ Criteri e programmi. Abbiamo così toccato il quadro nel quale si colloca anche il problema educativo, che riveste particolare importanza in una cultura centrata sull’uomo. Gli umanisti rinascimentali vi hanno dedicato speciale attenzione, sia nel suo aspetto teorico, che nelle realizzazioni pratiche. Le trattazioni teoriche sono in gran parte dedicate all’educazione del principe. Ciò denota, oltre al collegamento degli umanisti con i principi mecenati, il tipo elitario dell’ideale educativo perseguito. Ricordiamo in particolare il​​ De ingenuis moribus et liberalibus studiis adulescentiae​​ di Pier Paolo Vergerio (1370-1444) dedicato a Ubertino da Carrara; il​​ De studiis et litteris​​ di Leonardo Bruni (1370 / 74-1444) dedicato a Battista (Isabella) Malatesta di Montefeltro; il​​ De liberorum educatione​​ di Enea Silvio Piccolomini (poi Pio II, 1405-1464) dedicato a Ladislao di Ungheria e di Boemia. Meno elitaria e più sensibile alla funzione educativa della famiglia è l’opera di Maffeo Vegio (1406-1458)​​ De educatione liberorum clarisque eorum moribus.​​ Sostanzialmente comuni sono i principi ispiratori. Essi si richiamano all’idealità classica, che è determinante nel qualificare «umanistica» questa educazione, come una ripresa di quella​​ humanitas​​ che caratterizzò la cultura romana dopo l’incontro e la fusione con quella dell’antica​​ ​​ Grecia. Sui classici si basano sia i programmi di studio sia i criteri formativi. Particolare importanza avrà in ciò la scoperta (1414 ca.) di un manoscritto completo della​​ Institutio oratoria​​ di​​ ​​ Quintiliano. Il programma comprende principalmente lo studio delle lingue classiche e in genere lo studio e l’imitazione dei classici. Poeti, oratori, filosofi, storici romani, e in secondo tempo anche greci, sono i maestri dello stile e le fonti preferite del pensiero degli umanisti; il loro studio è presentato come la via per il raggiungimento dell’ideale umano. Su questa fondamentale base classica si tende ad una formazione enciclopedica, che riporta all’ideale retorico di​​ ​​ Isocrate e a quello dell’Orator​​ romano presentato da​​ ​​ Cicerone e da Quintiliano. Tra i criteri classici, rivissuti in spirito rinascimentale, vanno ricordati la formazione completa ed armonica, la cura e valorizzazione del corpo (educazione fisica), il rispetto del fanciullo, il senso dell’onore e della lealtà, il desiderio della gloria, lo spirito di emulazione.

3.​​ U. e Cristianesimo. Il richiamo e l’ispirazione al modello classico suscita delle riserve e opposizioni da parte di spiriti preoccupati della fedeltà alla tradizione etico-religiosa della formazione cristiana. Esempio tipico ne è il domenicano Giovanni Dominici (1356 / 57-1419) nella sua​​ Lucula noctis​​ e nella​​ Regola del governo di cura familiare. Ma, contro tali preoccupazioni, va rilevato che è comune negli Umanisti scrittori di pedagogia l’attenzione alla sintesi cristiana e al primato della formazione morale. Ciò è particolarmente curato nel​​ De liberis recte instituendis​​ di Jacopo Sadoleto (1477-1547) e nel citato​​ De educatione liberorum​​ di Maffeo Vegio. Leonardo Bruni richiama la visione dei Padri presentando una traduzione latina del discorso di​​ ​​ Basilio Magno ai giovani sulla lettura dei classici. Lo stesso s. Bernardino da Siena (1380-1444), nelle sue​​ prediche volgari, valorizza lo studio dei classici nella sintesi di una seria formazione cristiana.

4.​​ Oltre l’U. letterario. Abbiamo messo in risalto quanto nella pedagogia umanistica deriva dal collegamento con la classicità ed è predominante in molti umanisti, pur con quelle nuove accentuazioni che sono prodotte dallo spirito rinascimentale. Ci sono all’interno dell’U. delle linee in cui lo spirito del Rinascimento e la pluralità dei suoi interessi culturali portano a un certo distacco dalle​​ lettere​​ e dai​​ classici, pur senza rinunciarvi, e a una più grande sensibilità e apertura per la concretezza della vita e dei problemi sociali. Lo troviamo per es. in Matteo Palmieri (1406-1475) e nel suo​​ Della vita civile. Lo troviamo in forma più suggestiva in Leon Battista Alberti (1404-1472), una delle figure più ricche e poliedriche del Rinascimento, che soprattutto nelle sue opere​​ Della Familia​​ e​​ De​​ Iciarchia​​ tratteggia e propone all’opera educativa del padre l’ideale dell’«uomo artefice», costruttore della propria vita e della propria fortuna, indipendentemente da privilegiate situazioni economiche e sociali. Nella sua formazione valorizza particolarmente l’«esercizio» esteso a tutti i settori della vitaogni esercizio che sia senza infamia»), sostenuto da illuminata intelligenza e da fermo volere, e in un’impostazione spartana dell’educazione In questa stessa linea è da rilevare la valorizzazione, da parte di alcuni umanisti, delle​​ lingue​​ volgari o vernacole: ricordiamo in particolare gli stessi Palmieri e Alberti e lo spagnolo Luis​​ ​​ Vives (1492-1540).

5.​​ U. ed educazione femminile. Una nota a parte merita il tema dell’educazione della donna nell’U. Esso è poco trattato dagli scrittori di pedagogia, anche se la figura femminile è molto curata, soprattutto nell’ambito delle corti italiane. Trattazioni particolari si hanno nel già citato​​ De studiis et litteris​​ di Leonardo Bruni, dedicato a una donna (Battista Malatesta); in​​ Il Cortegiano​​ di Baldassar Castiglione (1478-1529), nel quadro della vita di corte. La trattazione più ampia è offerta da Vives nel suo​​ De institutione foeminae christianae. Alla formazione morale e religiosa si aggiunge quella letteraria, con criteri di maggiore riguardo che nell’educazione maschile, in attenzione alla specifica delicatezza, dignità e missione della donna. Si ha così un programma di educazione femminile aperta alla cultura, che supera quello della vita familiare domestica, predominante in altri autori, come s. Bernardino da Siena e lo stesso Alberti.

6.​​ Le scuole. Centri propulsori dell’educazione umanistica sono le scuole curate dagli umanisti. Il loro rifiorire è legato al valore dei maestri, che sanno creare un ambiente di fervore per lo studio dei classici, di applicazione e di ricerca. Le migliori realizzazioni si sono avute nella scuola di​​ ​​ Guarino Guarini, presso la corte degli Estensi di Ferrara, e nella scuola di​​ ​​ Vittorino da Feltre, la «Ca’ giocosa», presso la corte dei Gonzaga a Mantova. Particolarmente in quest’ultima si è potuto cogliere l’efficacia dell’educazione umanistica, come formazione culturale, come integrale formazione umana e cristiana, e come preparazione ai molteplici impegni della vita pubblica, sia civile che ecclesiastica. Anche la validità delle scuole segue, però, il rifiorire della cultura umanistica e la sua decadenza nel formalismo letterario. Contro questa decadenza e per una ripresa della scuola nei suoi aspetti didattici e pedagogici scrive Vives nel suo​​ De tradendis disciplinis. Particolare impulso all’organizzazione anche della scuola umanistica è data dai​​ ​​ Gesuiti con la​​ ​​ Ratio studiorum, che avrà un influsso determinante sugli​​ studia humanitatis​​ dei secoli seguenti.

7.​​ U. europeo. Un aspetto rilevato con qualche meraviglia dagli studiosi è il fatto che questo tipo di cultura e di educazione, più congeniale alle popolazioni neolatine, dopo essersi affermato in Italia, si sia ripresentato sostanzialmente con le stesse caratteristiche, pur con diverse accentuazioni, in tutte le nazioni europee, dando una certa unità culturale e pedagogica all’Europa dei secoli XV e XVI. Ricordiamo così i grandi umanisti: in Germania Rodolfo Agricola (1443-1485), J. Reuchlin (1455-1522); nei Paesi Bassi Alessandro Hegius e soprattutto​​ ​​ Erasmo da Rotterdam; in Francia G. Bude (1468-1540); in Spagna Antonio Nebrija (1441-1522) e soprattutto, per la sua incidenza pedagogica, Vives. Un rilievo particolare diamo a Filippo Melantone (1497-1560) per la parte che ha avuto non solo nell’affermazione della cultura umanistica in Germania, ma soprattutto nel collegamento del movimento protestante luterano con la cultura.

Bibliografia

Gerini G. B.,​​ Gli scrittori pedagogici italiani del XVI secolo, Torino, Paravia, 1897; Woodward W. H.,​​ La pedagogia del Rinascimento,​​ 1400-1600, Firenze, Vallecchi, 1923; Garin E. (Ed.),​​ Il pensiero pedagogico dell’U., Firenze, Sansoni-Giuntine, 1958; Battaglia F. (Ed.),​​ Il​​ pensiero pedagogico del Rinascimento, Ibid., 1960; Bertin G. M.,​​ La pedagogia umanistica europea nei secoli XV e XVI, Milano, Marzorati, 1961; Garin E. (Ed.),​​ L’uomo del Rinascimento, Bari, Laterza, 1988; Ganne E.-M.,​​ Tommaso Moro. L’uomo completo del Rinascimento, Milano, S. Paolo, 2004.

M. Simoncelli

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UMANESIMO RINASCIMENTALE

UMORISMO

 

UMORISMO

La voce u. suggerisce più accezioni. Ne connotiamo il significato prima in un raffronto tra voci differenti e poi in una delineazione del termine.

1. L’u. si differenzia dalla satira e dalla comicità. Questa viene caratterizzata più dal bizzarro, dalla parodia, dal burlesco e buffonesco; la satira invece dall’ironia, dal sarcasmo, dalla beffa e dal grottesco. All’u. si attribuisce l’arguzia, il garbo, la sottigliezza, il buonumore. È il gusto arguto, lepido e tollerante di rilevare e raffigurare l’aspetto ameno e risibile di persone e avvenimenti, per una loro bonaria disamina. L’u. non si concede facilmente a classificazioni rigide. Piuttosto si coglie il senso dell’u. (variabili fattoriali di R. B. Cattell) di chi sa osservare la realtà nei suoi aspetti più faceti e sa esprimerla nei motti di spirito, come di chi sa reagire con il sorriso o la risata, dando così espressione alla sua valenza interpersonale e sociale. L’u. suppone compresenti e in reciprocità i differenti protagonisti, che posseggono la disposizione a cogliere contraddizioni e curiosità della vita umana, per saperne sorridere con tolleranza e distacco. Si presuppone in questo perspicacia nell’osservare le situazioni, spirito critico nel leggerne i risvolti, intuito nell’evidenziare collusioni tra reale e ideale. E se ogni sua interpretazione pone l’accento sul pensiero come momento indispensabile, non può esserne misconosciuto il carattere di socialità nella ricerca di comunicazione virtuosa. Fare dell’u. significa coinvolgere nel sorriso, stabilire un legame sociale nel gruppo, gestire un potere sociale: si sorride con qualcuno, ma anche di qualcuno o qualcosa. E pur coscienti dell’influsso che si esercita sul clima d’ambiente, l’u. non è una sorta di ammaestramento morale, bensì consapevolezza che il suo messaggio ha efficacia in un adeguato contesto sociale.

2. Interpretiamo il fenomeno u. sotto il profilo cognitivista e psicanalitico. Nell’ottica cognitivista, il messaggio umoristico presenta sempre dissonanze che sbilanciano logica e linguaggio: sono l’imprevista inversione di senso, la grande distanza tra premesse e conseguenze, la distonia tra il senso delle parole e i termini usati. Da questo emerge con evidenza uno scarto inatteso tra probabile e inverosimile, esaltazione e irrisione, percezione e aspettativa. Si tratta in fondo di un messaggio paradossale, consegnato come usuale e scontato, o di linguaggio eterodosso nell’uso di parole e del loro senso (tecniche verbali) o nei ragionamenti sofistici o assurdi (tecniche concettuali), presentato però come ragionevole e piano, pur prevalendo il gusto divergente e il pensiero laterale. Alla base dell’u. starebbe dunque un processo di organizzazione attiva dell’esperienza, i cui prodotti derivano da variazioni percettive e concettuali. Sue operazioni privilegiate sono la provocazione inattesa, per cui si cerca la valenza di un’idea (apprezzamento) e non il valore della verità (coerenza); e la risoluzione dell’incongruenza come regola cognitiva che permette di spiegare i singolari collegamenti. Nella lettura psicanalitica, l’u. viene interpretato come risparmio di energia emotiva e catarsi del represso. La tensione aggressiva, derivante dal crescente bisogno di controllo, darebbe vita alle battute di spirito, per cui l’u. sarebbe un processo di aggressività che tende alla catarsi (​​ Freud), o un atto di protezione o di difesa dalla realtà che scarica la tensione nell’u.​​ (J. C. Flugel).​​ Una recente interpretazione sostiene che l’u. si fonderebbe in sostanza sui paradossi della​​ ​​ comunicazione, specie non verbale, per cui sarebbe il dinamismo dell’inconscio a dar vita a manifestazioni inedite o singolari, che suscitano u.

3. Nella prospettiva educativa, il fenomeno u. non può essere riletto che assumendolo nella sua qualità pluridimensionale: vale a dire valorizzando insieme gli elementi contenutistici e funzionali, come quelli relazionali e di contesto. Senza dubbio però la valenza pedagogica dell’u. risiede in specie nel tipo di comunicazione e relazione che viene istituito, e in quel senso di​​ ​​ saggezza che riconcilia con se stessi, sintonizza piacevolmente con gli altri e umanizza insuccessi e responsabilità. Così nel suo stile contribuisce a educare al senso della realtà e della buona relazione con sé, con gli altri, con le cose e con Dio stesso, e risponde a una sfida educativa odierna che sollecita a costruire un rapporto vero e sensato, pieno di umanità.

Bibliografia

Grol-yahn M.,​​ Saper ridere, Milano, Longanesi, 1981; Fry W. F.,​​ Una dolce follia. L’u. e i suoi paradossi, Milano, Cortina, 2001; Bernardi M.,​​ Educazione e libertà, Milano, Fabbri, 2002.

G. B. Bosco

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UMORISMO

UNAMUNO Miguel de

 

UNAMUNO Miguel de

n. a Bilbao nel 1864 - m. a Salamanca nel 1936, filosofo e scrittore spagnolo.

1. Professore e rettore dell’Università di Salamanca, produsse un’abbondante opera letteraria in più campi: coltivò la poesia, il teatro, la novellistica, la saggistica, il giornalismo. Tra i suoi saggi si distinguono:​​ En torno al casticismo​​ (1895),​​ Vida de don Quijote y Sancho​​ (1905),​​ Del sentimiento trágico de la vida de los hombres y en los pueblos​​ (1913),​​ La agonía del cristianismo​​ (1931) e molte altre brevi novelle e opere teatrali. Dal punto di vista pedagogico è interessante la sua critica alla​​ ​​ pedagogia positivista del sec. XIX. Questa fece credere a molti che fosse sufficiente un’educazione «scientifica» per poter produrre geni e risolvere tutti i gravi problemi sociali fino allora irrisolti. Le coppie dovevano unirsi, non per amore, ma per seguire le leggi della biologia, disprezzando il sentimento personale come qualcosa d’irrazionale. Solo così sarebbe stato possibile migliorare la razza umana. Bastava una pedagogia scientifica per produrre contemporaneamente uomini felici e realizzati in campo sociale e personale. U. criticò queste false speranze nella sua novella​​ Amor y pedagogía, in cui ritiene, al contrario, che l’uomo non è un coniglietto d’India con cui si possono condurre esperimenti, bensì un essere libero nel quale l’amore, l’insoddisfazione e l’aspirazione per un infinito irraggiungibile sono caratteristiche della natura umana.

2. Il pensiero pedagogico di U. coincide con quello di​​ ​​ Giner in molti aspetti. Egli difende con forza l’uomo concreto, libero ed originale di fronte ai regimi autoritari, alla massificazione e alla spersonalizzazione, come del resto facevano le correnti politiche del suo tempo. La missione della pedagogia sarà una specie di «biberon psicologico», un «allattamento artificiale» dello spirito, che ha nell’amore il suo migliore alleato. La pedagogia non sostituisce la natura, ma l’appoggia; la sua missione è rendere gli uomini completi, cittadini liberi e coscienti. Apollodoro, protagonista e vittima della pedagogia scientifica di​​ Amor y pedagogía, è un pupazzo senza volontà, incapace di affrontare il proprio destino. La pedagogia gli ha impedito di essere uomo, la cosa più importante per un essere umano. Salvare l’uomo, liberarlo dalla schiavitù della macchina e della scienza, dell’arte e delle ideologie, dei partiti politici e di tutto quello che possa disumanizzarlo o sminuire la sua pienezza e integrità è la tesi difesa da U. in questa novella e in tutti i suoi scritti. Il fine dell’uomo è realizzarsi, giungere ad essere uomo completo, conoscendo i propri limiti e possibilità, dandosi agli altri fino ad essere unico e insostituibile, originale e irripetibile. «Concentrati per darti meglio agli altri tutto intero e indiviso». «Do quello che ho», dice il generoso. «Do quello che sono», dice l’eroe. «Do me stesso», dice il santo: sono frasi che riassumono abbastanza bene il pensiero del discusso U.

Bibliografia

Turin Y.,​​ M.d.U.​​ universitaire, Paris, SEU-PEN, 1962;​​ Delgado B.,​​ U. educador, Madrid, Magisterio Español,​​ 1973; Foresta G.,​​ U., Milano, Accademia, 1976; Leonardi L.,​​ Attualità di U., Padova, Liviana, 1976;​​ La Rubia Prado F.,​​ Una encrucijada española: ensayos sobre M. de U. y José Ortega y Gasset, Madrid, Biblioteca Nueva, 2005.

B. Delgado

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UNAMUNO Miguel de

UNGHERIA

 

UNGHERIA

1.​​ Fin dall’inizio del secolo si diffonde in Ungheria il metodo di → Monaco, e il movimento cat. è sostenuto dalle riviste “Katolikus”, “Hitoktatàs” (L’insegnamento religioso cattolico: 1885-1896), “Tanitsatok” (Docete: 1896) e “Katolikus Nevelés” (L’educazione cattolica: 1906-1946). La legge del 1921 rendeva l’IR nella scuola e la frequenza ad esso obbligatori, e ciò durò fino al 1949. Nelle scuole medie statali l’IR aveva 2 ore la settimana, e 4 nelle scuole cattoliche. La C. parrocchiale, alla domenica e anche in altri tempi nei gruppi giovanili, completava quella scolastica.

Nel periodo dello stalinismo (soprattutto dopo il 1949) la C. subì grossi danni. A causa di misure restrittive, il numero dei fanciulli iscritti alla C. nella scuola scese sensibilmente. Fino al 1974 non vi furono altre possibilità di C. all’infuori di quella scolastica. A partire da quell’anno fu anche accettata la C. nella chiesa, con gli stessi metodi della scuola (solo a partire dal 1984 la C. è ammessa anche nella casa parrocchiale). Oggi (1984) il 20% dei fanciulli (6-14 anni) partecipa alla C., mentre per i giovani (15-25 anni) si arriva solo all’1%.

2.​​ Nuovi testi di religione.​​ Nel marzo del 1968 la Conferenza Episcopale ungherese decise la redazione di nuovi testi di religione, “in conformità con le nuove esigenze pedagogiche e psicologiche”. Fu indetto un concorso. I manoscritti furono esaminati da una commissione nominata dai vescovi nel luglio 1969 sotto la guida del vescovo J. Udvardy. Presidente della commissione fu Elemér Merksz; come redattore responsabile fu chiamato il prof. B. Csanàd. Uscì per primo il vol. per la prima classe.​​ A mennyei Atya szeret minket​​ (Il padre celeste ci ama). Successivamente uscirono, fino al 1976:​​ Elsóàldozok hittankdnyve​​ (Libro per la prima comunione),​​ Keresztény élet​​ (Vita cristiana),​​ Odvdssegiimktòrténete​​ (La storia della salvezza), e​​ Hitilnk és életunk​​ (La nostra fede e la vita). Fino al 1983 sono usciti 5 titoli, con una tiratura di 1 milione di copie. Come sussidi per i testi di religione furono elaborati 4 piccole guide per i catechisti, 2 serie di diapositive e 2 quaderni di lavoro per i fanciulli. Nel 1979 fu pubblicata una​​ Catechetica​​ (per i seminari maggiori e per i catechisti). Nel 1982 uscirono il DCG e CT in lingua ungherese.

Anche se le esperienze con i testi di religione furono buone, la Conferenza Episcopale, dietro forti critiche da parte dei conservatori, decise che alcuni volumi della serie dovevano essere cambiati. Per tre libri fu nuovamente indetto un concorso. Come risultato si ebbero:​​ Elsóàldozók kdnyve, Keresztény élet​​ e un nuovo testo per i cresimandi. Il lavoro fu fatto sulla base di un programma-quadro, secondo il quale anche gli altri volumi furono migliorati e revisionati. La difficoltà principale della precedente serie era infatti che non c’era un programma per l’intero lavoro. Nel 1980 il manoscritto fu esaminato e criticato. Nel 1983 la nuova serie rinnovata era pronta, e attende ora la pubblicazione.

3.​​ Organizzazione e strutture.​​ Dopo il II Congresso Cat. Internazionale di Roma (1971), fu eretta la Commissione cat. nazionale. Il primo vescovo presidente fu J. Udvardy, fino al 1979. Poi gli subentrò Istvàn J. Marosi. Direttore della Commissione fu Elemér Merksz, fino al 1974; a partire dal 1977, il prof. Béla Csanàd. Nello stesso tempo furono create nelle diocesi le Commissioni cat. diocesane. A partire dal 1971 furono organizzati i cosiddetti “Esercizi cat.” per la formazione spirituale e l’aggiornamento dei catechisti. Nel 1976 fu fondato l’Ufficio cat. consultivo come centro del lavoro cat. Questo Ufficio organizza le cosiddette consultazioni di gruppo, come pure di catechetica e pastorale. Esso aiuta i catechisti fornendo materiale didattico e sussidi. Nell’anno scolastico 1983-1984 fu introdotto un corso per catechisti laici.

Bibliografia

B.​​ Csanàd,​​ A​​ Critoktabàs megùjìtsànak hàttese és célja​​ (La riforma cat.), in “Teologia”, 1976, 2; M. ÉRDUJHELYI,​​ A katholikus hitelemzés torténete Magyarorszagon​​ (Storia della C. in Ungheria), 1906; D. Szentivànyi,​​ A katekizmus torténete M.agyarorszagon​​ (Storia del catechismo in Ungheria), 1944.

Béla Csanàd

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UNGHERIA

UNITÀ DIDATTICA

 

UNITÀ DIDATTICA

La UD è un’ipotesi di esperienza di apprendimento, un’unità di lavoro, all’interno di una → programmazione, ordinata al raggiungimento di un → obiettivo didattico.

Impegnarsi nella programmazione di una disciplina significa impegnarsi nella costruzione di una serie di UD. Per questo occorre aver individuato gli obiettivi didattici generali che la disciplina permette di formulare; distinguere gli argomenti nucleari, i concetti fondamentali della disciplina che possono essere acquisiti attraverso obiettivi didattici specifici, a cui corrispondono le UD; realizzare quindi ogni obiettivo specifico, chiedendosi​​ che cosa​​ l’alunno saprà fare quando lo avrà acquisito e​​ a quali condizioni.

L’UD può dunque essere considerata come un micro-curricolo: essa si presenta come un itinerario didattico organizzato i cui elementi costitutivi sono un obiettivo, con i relativi contenuti, metodi e mezzi, e la verifica dell’esperienza di apprendimento avvenuta. A seconda della sua consistenza, l’UD può richiedere il tempo di una lezione scolastica oppure occupare diverse ore di attività.

1.​​ Struttura.​​ Nel corso della UD l’alunno passa attraverso le principali fasi dell’apprendimento evidenziate da R. M. Gagné:​​ motivazione, comprensione, acquisizione, ritenzione, ricordo, generalizzazione, prestazione, feed-back.​​ In un altro modello, di R. M. Gagné e L. J. Briggs, gli elementi portanti della UD sono costituiti da una sequenza di momenti didattici considerati dal punto di vista dell’insegnante o dell’agente esterno (che potrebbe essere anche un libro di testo): 1) guadagnare l’attenzione degli allievi; 2) comunicare l’obiettivo didattico; 3) stimolare il ricordo delle conoscenze e capacità che si ritengono acquisite e che sono necessarie per sviluppare l’UD; 4) presentare il materiale da apprendere; 5) fare da guida all’apprendimento; 6) sollecitare la manifestazione della conoscenza o capacità acquisita, l’effettuazione della prestazione che era stata posta come obiettivo; 7) fornire il feed-back circa la correttezza della prestazione effettuata; 8) valutare la prestazione; 9) assicurare la ritenzione e il transfer mediante l’esercizio.

In questa sequenza di funzioni, che favorisce un’esperienza di apprendimento, distinguiamo con Pellerey: 1) una fase iniziale di avvio, per la quale risulta utile l’impiego di “pretests”, la presentazione dell’obiettivo didattico, di panoramiche iniziali o sommari, di concetti organizzatori anticipati; 2) una fase centrale in cui si svolgono gli interventi dell’insegnante, che presenta le conoscenze e le capacità oggetto di studio, e ne favorisce l’acquisizione; 3) una fase conclusiva in cui l’insegnante controlla, consolida e favorisce la generalizzazione dell’apprendimento (M. Pellerey 1979, cap. 12).

a)​​ Per quanto riguarda la fase iniziale, il​​ pretest​​ è un insieme di domande riferite alle conoscenze, abilità e atteggiamenti che saranno oggetto dell’apprendimento all’inizio della UD. Le​​ panoramiche iniziali​​ o​​ sommari​​ hanno il compito di introdurre all’argomento da apprendere, evidenziandone i concetti centrali; i​​ concetti organizzatori anticipati​​ richiamano o introducono i perni concettuali che permettono di ancorare il nuovo materiale da apprendere alla struttura conoscitiva dell’alunno. L’obiettivo didattico​​ riguarda le competenze (conoscenze, abilità, atteggiamenti) che l’alunno dovrà dimostrare di avere acquisito al termine del processo di apprendimento. L’obiettivo specifico di una UD si inserisce dentro gli obiettivi generali della disciplina e concorre alla loro acquisizione. Tale obiettivo deve essere dichiarato agli alunni, in modo che partecipino consapevolmente a tutto il lavoro richiesto dalla UD.

b)​​ Nella fase centrale, l’insegnante presenta i contenuti che favoriscono l’acquisizione dell’obiettivo. Il contenuto è il primo e più idoneo dei mezzi per raggiungere i fini (R. Pitone 1975, 374). La scelta e l’organizzazione del contenuto richiede una sicura competenza nella disciplina: conoscenza della sua struttura, dei suoi concetti-chiave, delle abilità fondamentali che permette di acquisire, al fine di decidere ciò che può essere proposto all’alunno: che cosa, quanto, in che ordine, con quali relazioni. Per la presentazione del contenuto, l’insegnante sceglie il → metodo adatto e decide quali mezzi e materiali didattici utilizzare. Il metodo si occupa del​​ come​​ presentare il contenuto, ed è il risultato delle seguenti componenti: una chiara visione del fine da raggiungere, la scelta dei mezzi proporzionati a tale fine, l’aderenza alla psicologia dell’alunno nella sua situazione evolutiva (ibid.).

c)​​ Nella fase conclusiva della UD si valuta l’esperienza di apprendimento avvenuta. La → valutazione è un processo che interviene sia nella progettazione della UD che nella sua realizzazione. Essa può servirsi di strumenti formali (prove oggettive, prove a scelta multipla...) e informali (osservazione del comportamento degli alunni, schede di lavoro individuali...). Così si verifica se l’obiettivo della UD è stato raggiunto. In una corretta valutazione, si tengono presenti anche i possibili effetti laterali dell’apprendimento avvenuto o le cause del non raggiungimento dello stesso, si interpretano le informazioni raccolte e si elabora un giudizio in base a cui decidere se passare alla UD successiva o

impegnarsi nel ricupero, utilizzando altri percorsi didattici; infine si giudica sulla funzionalità complessiva della unità.

2.​​ Coerenza.​​ L’UD deve avere una propria coerenza interna ed esterna. All’interno della UD occorre un’adeguata proporzione tra l’obiettivo specifico e i contenuti, il metodo e i mezzi che vengono scelti per favorirne l’acquisizione: contenuti adeguati all’obiettivo, metodo e mezzi adeguati ai contenuti, criteri di valutazione adeguati all’obiettivo, ai contenuti, al metodo e ai mezzi didattici impiegati.

È poi necessario che ogni UD sia in continuità con l’unità che la precede e con quella che la segue, e che si rapporti in maniera significativa agli obiettivi generali della disciplina e, attraverso questi, agli obiettivi educativi del progetto entro cui è inserita. È evidente perciò che la costruzione di UD costituisce il momento centrale di una programmazione curricolare e che impegna gli insegnanti nello specifico delle loro competenze professionali, sia nei confronti della disciplina che nei confronti degli alunni ai quali intendono insegnarla.

Bibliografia

R. M. Gagné,​​ Essentials of Learning for Instruction,​​ Hinsdale, Dryden, 1974; Ìd.,​​ Le condizioni dell'apprendimento,​​ Roma, Armando, 1973; Id. – L. J. Briggs,​​ Principlea of Instructions Design,​​ New York, Holt Rinehart & Wiston, 1974; J. Haktley – I. K. Davis,​​ Preinstructional Strategies: The Rote of Pretesi!, Behavioral Objectives, Overvietvs and​​ Advance​​ Organizers,​​ in “Review of Educational Research” 46 (1976) 239-265; R. F. Mager,​​ Gli obiettivi didattici,​​ Teramo, Lisciarli e Zampetti, 1978; A. e H. Nicholls,​​ Guida pratica all’elaborazione di un curricolo,​​ Milano, Feltrinelli, 1975; M. Pellerey,​​ La progettazione didattica,​​ Torino, SEI, 1979; D. Tawney,​​ Curriculum evaluation today: Trends and ìmplications,​​ London, MacMillan, 1976; R. Titone,​​ Metodologia didattica,​​ Roma, LAS, 1975!.

Rina Gioberti

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UNITÀ DIDATTICA

Intervento didattico strutturato nei suoi obiettivi, contenuti, metodi e forme di​​ ​​ valutazione che si svolge in un periodo di tempo limitato. Si tratta in genere di un’ipotesi di esperienza di apprendimento, che può considerarsi sufficientemente articolata e completa nella sua strutturazione interna da poter essere facilmente tradotta nell’azione educativa scolastica.

1.​​ Origini del concetto. Il concetto di u.d. ha avuto la sua fortuna a partire dal cosiddetto Piano Winnetka, sviluppato negli Stati Uniti nel 1919. Elementi caratterizzanti l’organizzazione didattica del piano erano: a) la definizione degli obiettivi da raggiungere nell’apprendimento in termini di padronanza di conoscenze; b) l’articolazione del percorso in u. per ciascuna delle quali erano individuati non solo le conoscenze da acquisire ma anche i livelli di padronanza ritenuti indispensabili; c) la verifica, prima di passare all’u. successiva, che la gran maggioranza degli allievi, se non tutti, avevano raggiunto i livelli di padronanza individuati; d) interventi correttivi o integrativi, qualora fossero emerse incertezze, lacune o debolezze consistenti.

2.​​ Sviluppi successivi. B. Bloom nel 1968 rielaborò le idee del Piano Winnetka e dei pedagogisti degli anni venti e trenta, tenendo conto dei suggerimenti di Carroll circa la necessità di una differenziazione dei percorsi di apprendimento assegnando a ciascuno il tempo necessario per acquisire le nuove conoscenze. Cuore di questa impostazione era l’individuazione di obiettivi specifici determinabili da livelli di padronanza predeterminati e la predisposizione di una successione di u.d. al termine delle quali si verificava la padronanza raggiunta. Se non si era raggiunto un livello sufficiente di competenza occorreva, prima di passare alla fase seguente, intervenire al fine di colmare le lacune o le debolezze riscontrate. È l’impianto metodologico caratterizzante il cosiddetto​​ ​​ mastery learning o metodo d’apprendimento per la padronanza.

3.​​ Articolazioni di una u.d. Le fasi fondamentali nelle quali si struttura un’u.d. possono essere così specificate: a)​​ Fase iniziale o di innesco. Deve essere messo in moto il processo di apprendimento, cioè si devono attivare le energie personali, dirigerle verso un compito sufficientemente chiaro e definito e operare un valido collegamento tra gli elementi fondamentali dell’u.d. e la struttura conoscitiva e operativa già posseduta dall’allievo. b)​​ Fase centrale o dialogica. Si deve provocare un’incorporazione attiva del materiale didattico: fornendo con progressività ed efficacia gli elementi del contenuto di apprendimento; controllando tale incorporazione quanto alla sua validità, completezza e applicabilità; sostenendo l’attenzione e lo stato di motivazione all’apprendimento. c)​​ Fase conclusiva. Ha un triplice scopo: informare circa il raggiungimento o meno della incorporazione significativa del materiale di apprendimento (evidenziando eventuali lacune o errori); aiutare a consolidare tale incorporazione sia dal punto di vista della ritenzione sia da quello della completezza e correttezza; favorire l’utilizzazione del materiale appreso in contesti diversi da quelli già incontrati (​​ transfer dell’apprendimento).

Bibliografia

Washburne C. W.,​​ Le scuole di Winnetka, Firenze, La Nuova Italia, 1952; Id.,​​ Winnetka: storia e significato di un esperimento pedagogico, Ibid., 1960; Block J. H. (Ed.),​​ Mastery learning: procedimenti scientifici di educazione individualizzata, Torino, Loescher, 1972; Block J. H. - L. W. Anderson,​​ Mastery learning in classe, Ibid., 1978; Bloom B. S.,​​ Caratteristiche umane e apprendimento scolastico, Roma, Armando, 1979; Pellerey M.,​​ Progettazione didattica, Torino, SEI,​​ 21994; Tenuta U.,​​ Individualizzazione. Autonomia e flessibilità dell’azione educativa e didattica, Brescia, La Scuola, 1998.

M. Pellerey

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UNITÀ DIDATTICA

UNIVERSITÀ

 

UNIVERSITÀ

La sua origine risale al XII sec. nella forma della corporazione,​​ universitas, degli studenti a Bologna o dei docenti a Parigi (​​ Medioevo,​​ ​​ Scolastica). Le attuali u. si caratterizzano per una serie di tratti comuni: status formale di u.; diritto di conferire titoli; livello di ricerca in generale superiore alle altre istituzioni di​​ ​​ istruzione superiore; corsi di 1°, 2° e 3° ciclo; organizzazione pluridisciplinare e pluridipartimentale; subordinazione dell’accesso al conseguimento almeno del diploma della secondaria superiore.

1.​​ L’u. nei Paesi sviluppati. Benché già negli anni ’70 del sec. scorso si sia raggiunto il traguardo dell’u. di massa, tuttavia l’ammissione​​ continua ad essere un problema anche se meno acuto che per il passato. In proposito nei vari Paesi esistono tre tipi di politiche: alcuni adottano il «numerus clausus» che prevede certi tetti nell’accesso, altri seguono un modello aperto per cui tutti i diplomati della secondaria superiore possono iscriversi, altri ancora utilizzano forme miste secondo le specializzazioni ed è la formula più seguita. In connessione con questa situazione, negli anni ’60 e ’70 si è assistito allo sviluppo di un settore non universitario di istruz. superiore, che nel tempo è cresciuto in misura sempre più consistente. La ricerca dell’eguaglianza delle opportunità nell’accesso ha dato a un numero maggiore di giovani capaci dei ceti più bassi la possibilità di proseguire gli studi all’u. ed è anche alla base della crescita spettacolare della partecipazione delle donne. È pure aumentato il numero degli allievi a tempo parziale e si è registrata un’espansione quantitativa degli adulti; le u. sembrano aver assunto ormai stabilmente la funzione dell’educazione permanente e degli adulti, accanto a quelle tradizionali della formazione iniziale delle classi dirigenti e della ricerca. Passando ai​​ curricoli, recentemente si è assistito a un maggior sviluppo di corsi professionalizzanti. Nella grande maggioranza dei Paesi gli studi di dottorato sono di competenza esclusiva delle u. A partire dagli anni ’70 del sec. scorso è incominciata una graduale crescita degli iscritti ai corsi di tipo «masters» che stanno registrando attualmente una forte espansione: infatti essi offrono una preparazione professionale superiore e, a seconda dei Paesi, possono anche aprire la via al dottorato. Recentemente all’insegnamento tradizionale si stanno affiancando – o lo stanno sostituendo – strategie didattiche innovative quali: la centralità del lavoro apprenditivo dello studente; l’introduzione generalizzata delle attività formative, oltre alla lezione frontale; l’attenzione alle possibili ricadute operative; la ricerca di una valutazione formativa continua e integrata; l’intenzionalità pedagogica di un rapporto studente-docente più personalizzato; la necessità di più spazi, attrezzature, in particolare informatiche e telematiche, servizi, personale intermedio per il lavoro dello studente. Nel campo della ricerca sono diminuite le sovvenzioni statali e le autorità hanno sollecitato il settore privato a intervenire. Più in generale è cresciuto il legame dell’u. con i contesti territoriali. In linea di massima i laureati godono di opportunità di lavoro più elevate dei giovani che possiedono titoli di studi inferiori, benché non siano preservati dalla disoccupazione; al tempo stesso essi tendono talora a essere occupati in lavori che un tempo erano svolti dai diplomati della secondaria superiore. Un problema fondamentale in questo campo consiste nell’adeguare i curricoli alle domande del mercato di lavoro. Il tema della qualità ha assunto negli anni ’90 un posto centrale, mentre la decade ’60 era dominata dalla preoccupazione dell’espansione quantitativa e gli anni ’70-’80 dalla prospettiva dell’eguaglianza e della partecipazione. Per l’effetto dell’avvento della società della conoscenza e delle esigenze di consolidamento dell’u. di massa, la determinazione degli obiettivi e delle funzioni è in parte sfuggita al controllo degli organismi rappresentativi del corpo docente per passare alle autorità pubbliche. Da ultimo va ricordato che sul piano dell’innovazione ha assunto recentemente un significato emblematico il​​ ​​ Processo di Bologna​​ che i Paesi dell’​​ ​​ Europa stanno realizzando dal 1999 al fine di arrivare a riforme convergenti dell’u.

2.​​ L’evoluzione recente in Italia. Dopo la creazione dello Stato unitario il sistema universitario è stato organizzato prima dalla L. Casati (1859) e poi dalla riforma​​ ​​ Gentile (1923); nonostante il liberalismo moderato della prima e alcuni aspetti progressisti della seconda, il​​ centralismo​​ è stato sempre forte. La Costituzione repubblicana ha sancito il diritto delle u. di darsi ordinamenti autonomi; tuttavia, l’adeguamento a questa svolta, come alle istanze emergenti dalla società, è stato molto lento e la contestazione giovanile ha rappresentato la manifestazione più vistosa di un diffuso disagio per tali ritardi. Negli anni ’80 è stata avviata l’opera di​​ modernizzazione. Con la L. n. 382 / 80 la funzione docente è articolata nelle due categorie degli ordinari e degli associati anche secondo modalità di impegno effettivo e viene avviata la sperimentazione del​​ ​​ dipartimento per cui la facoltà cessa di essere la struttura fondamentale dell’u. e si crea una distinzione netta fra l’organizzazione della ricerca (dipartimenti e istituti) e dell’insegnamento (corsi di laurea e facoltà). La L. n. 168 / 89 che istituisce il Ministero dell’u. e della ricerca scientifica cambia il ruolo determinante svolto fino a quel momento dallo Stato nei confronti delle u. in quanto per la prima volta è attribuita a ciascuno di essi la facoltà e l’obbligo di formulare autonomamente i propri statuti e regolamenti. Per effetto della L. di riforma degli ordinamenti didattici universitari n. 341 / 1990 i titoli rilasciati dalle u. diventano quattro perché alla laurea tradizionale, alle specializzazioni e al dottorato di ricerca si viene ad aggiungere il diploma universitario che mira a formare delle professionalità intermedie. Con questa L. vengono anche avviate modifiche sostanziali sul piano metodologico: tra l’altro, ogni studente potrà contare su un professore, il tutore, che lo aiuterà non solo nell’orientamento iniziale, ma durante tutto il percorso formativo. Nonostante ciò, l’u. continua a soffrire di gravi disfunzioni che possono essere identificate nell’elevata percentuale di studenti fuori corso, negli alti tassi di abbandono degli studi prima del conseguimento del titolo e nel numero di laureati estremamente basso in relazione agli iscritti. A questi problemi intende dare risposta il decreto ministeriale n. 509 / 99. Infatti, esso si propone le seguenti mete: diminuire i tempi per il conseguimento dei titoli, riducendo la consistenza degli abbandoni e abbassando l’età media di accesso del laureato al mondo del lavoro; integrare conoscenze culturali e competenze professionali mediante tra l’altro il riordino delle classi dei corsi di laurea, l’introduzione di esperienze pratiche e il ricorso ad un’offerta formativa interdisciplinare; delineare un iter formativo distribuito su più livelli, in particolare quelli di laurea e di laurea specialistica e i master, mirato tra l’altro a promuovere l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita; facilitare la mobilità orizzontale e verticale degli studenti sia sul piano nazionale che su quello internazionale (come in particolare con i programmi​​ ​​ Erasmus), attraverso l’introduzione del sistema dei crediti; adeguare l’offerta formativa alle esigenze del contesto socio-economico e culturale. Con la​​ recente riforma​​ l’u. italiana si è resa più flessibile, prevedendo la laurea dopo tre anni e la laurea magistrale in seguito ad un ulteriore ciclo di due anni. Inoltre, il rinnovamento contempla lo spostamento del baricentro del processo di insegnamento-apprendimento verso lo studente e l’apprendimento; nella medesima direzione va anche l’attribuzione di nuove funzioni al personale insegnante, in particolare nell’orientamento e nel tutorato. A ciò si aggiunge la tendenza verso una maggiore autonomia delle u. Nello stesso tempo, la riforma si è scontrata con l’autoreferenzialità del mondo universitario; l’autonomia non ha camminato sufficientemente; anche le innovazioni in tema di valutazione sono state parziali. Nonostante le problematiche appena richiamate, la riforma sta incominciando a dare i primi risultati positivi, anche se il panorama continua a presentare molteplici ombre.

Bibliografia

Delors J. et al.,​​ L’éducation.​​ Un trésor est caché dedans, Paris, Editions Unesco / Editions Odile Jacob,​​ 1996; Associazione Treelle,​​ U. italiana,​​ u. europea, Quaderno 3 (2003) 8-182; Elevati C. - F. Lanzoni,​​ 3+2=La nuova u., Milano, Alpha Test, 2004; Malizia G. (Ed.),​​ Pedagogia e didattica universitaria dopo la riforma, in «Orientamenti Pedagogici» 51 (2004) 749-956; Balloni A. et al. (Edd.),​​ La riforma universitaria nella società globale, Milano, Angeli, 2005; Censis,​​ 40° Rapporto sulla situazione sociale del paese 2006, Ibid., 2006.

G. Malizia

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UNIVERSITÀ

UNZIONE DEGLI INFERMI

 

UNZIONE DEGLI INFERMI

Il catechismo postridentino al cap. V ricorda ai pastori la necessità di una adeguata C. dei fedeli circa i vantaggi che essi traggono da questo sacramento. Essi non hanno altri motivi per desiderarlo; vi siano indotti almeno dalla utilità personale; siamo infatti portati dalla natura a fare dipendere tutto dal nostro interesse. Il nuovo rito per la celebrazione dell’UdI (solo in determinati casi: estrema unzione) è denso di linee teologico-liturgiche e di linee di forza per una C. appropriata lontana da visioni utilitaristiche o “miracolistiche” dell’UdI che vale la spesa di conoscere anche solo in modo schematico. Per approfondimenti, cf la bibliografia.

I. Le dimensioni proprie all’UdI che la C. deve potenziare

Fondamentalmente sono quattro quelle evidenziate dai “Praenotanda” del nuovo rito riformato a norma dei principi decretati dal Vaticano II. Esse sono presenti anche nell’eucologia e dall’uso delle pericopi proposte per l’impiego della Sacra Scrittura.

1.​​ Dimensione cristocentrica.​​ L’Udì è un evento in cui il Signore “agisce” personalmente nel credente e vi “compie” la salvezza appunto mentre il fedele (coscientemente, in modo riflesso; oppure meno coscientemente, in modo implicito) dona la sua persona in stato di precarietà fisica (soggetto è l’ammalato, il vecchio, ecc.) perché sia configurato e conformato esistenzialmente al “Cristo-sofferente”, al “Cristo-crocifisso”, al “Cristo-morente” per la salvezza della Chiesa e dell’umanità. La C. deve fare forza su questo aspetto per poter essere imperniata sulla dimensione pasquale insita all’UdI, dove il “Cristo-medico” per mezzo dello Spirito Santo-medicina è presente per “celebrare” nel membro vivo del suo corpo mistico la sua vittoria sulla sofferenza, sulla morte, sul peccato causa dell’una e dell’altra. L’Udì è “rimemorativa” nel soggetto di quanto Cristo compì in se stesso, “dimostrativa” di quanto Cristo compie nell’”hic et nunc” celebrativo, “prognostica” della vittoria finale che è già in atto nella Chiesa (cf dimensione escatologica dell’UdI) ma che pienamente sarà nell’eschaton.

2.​​ Dimensione ecclesiale.​​ Secondo il dettato di LG 11, ripreso dal rito stesso, è tutta la Chiesa che raccomanda il malato, il vecchio, che si trovano in stato di precarietà, al Signore sofferente e glorificato perché dia loro sollievo e salvezza. Il cristiano è deputato dall’”Ecclesia” ad agire “pro​​ Ecclesia” e “in nomine Ecclesiae”. E la Chiesa tutta è coinvolta nel suo “ministerium alleviationis” attorno al soggetto dell’UdI. A causa della dimensione corporale e storico-sociale della persona umana l’incontro con il Signore avviene attraverso una mediazione ecclesiale; la Chiesa è presente almeno nella persona del ministro. La C. deve evidenziare che è nella persona del singolo fedele che l’Ecclesia celebra, né esclusivamente, né primariamente per il fedele, ma per la Ecclesia tutta. L’incontro pluripersonale tra la persona del soggetto e le Persone Divine avviene attraverso gesti e parole poste dalla Chiesa per continuare la volontà di Gesù (cf istituzione del sacramento). Così l’azione pastorale attorno al malato si carica di valenze profondamente teologico-liturgiche.

3.​​ Dimensione pneumatologica.​​ È tutto l’imperscrutabile piano di salvezza che, realizzato da Cristo in se stesso, in virtù dello Spirito Santo si rende presente nel soggetto. Per cui l’eucologia invoca dal Redentore conforto con la grazia dello Spirito Santo, anzi invoca la “pienitudo Spiritus”, perché lo Spirito sia sostegno della debolezza del soggetto, sia conforto, serenità, piena salute. La C. deve ricordare che l’Udì primariamente è un sacramento dei vivi spiritualmente. Il rito continuo (cf SC 74) contempla così la celebrazione del sacramento della penitenza, Udì e Viatico. La C. può anche avvertire che si profila una prassi pastorale che, se vede nell’unzione il sacramento “consummativum totius spiritualis curationis”, crea in analogia con l’iniziazione cristiana (battesimo-confermazione-eucaristia) un’iniziazione escatologica: penitenza-UdI-viatico (eucaristia).

4.​​ Dimensione antropologica.​​ Il valore della sofferenza, che le culture disattendono, è dall’UdI potenziato. Il Cristo com-patisce col fedele. Il fedele è liberato oggettivamente dall’angoscia del dolore. Questo, con-in-per mezzo del Cristo in unione con la Chiesa tutta, diventa occasione, motivo, causa di redenzione. Le esperienze psicologiche, i traumi a cui il malato viene sottoposto da svariate cause, la segregazione nella quale è relegato a motivo di una società non più civile che fa del malato una fonte di guadagno, ecc., sono nella visuale cristico-ecclesiale superate per mezzo dell’UdI, le cui valenze devono essere comprese, approfondite, vivificate dal catecheta in modo che la sua azione diuturna giunga a creare “mentalità nuove” in Cristo, l’uomo nuovo, la cui novità sarà sempre fonte di meraviglia. Comunque la C. può usufruire anche di alcuni principi o fulcri tipici.

II. I fulcri attorno ai quali deve gravitare la C. dell’UdI

Questi possono assurgere anche a principi e leggi tipiche alle quali la C. si arricchisce di contenuti e di metodologia speciale, per l’appunto quelli mediante i quali la C. si caratterizza come C. liturgica.

1.​​ Il fulcro della preminenza della Parola di Dio.​​ È evidenziato dalla stessa struttura celebrativa. La celebrazione del sacramento propriamente detto fa sempre seguito alla celebrazione della Parola di Dio. Anzi, la celebrazione diventa esegesi esistenziale e continuazione di ciò che Cristo ricominciò a fare e a insegnare (cf​​ At​​ 1,1). Inoltre le stesse preghiere, i “praenotanda”, ecc., risultano una “centonizzazione” della stessa Sacra Scrittura. La C. deve modularsi sulle tematiche biblico-liturgiche. E la celebrazione a sua volta diventerà la “sede” dove per eccellenza va a sfociare l’azione biblico-cat., e nella quale si potenzia il processo di progressivo approfondimento della Parola di Dio in vista del “dopo” celebrativo.

2.​​ Il fulcro della dialogicità.​​ Nella celebrazione è sempre implicita la fede che il sacramento dona. Meglio se la fede è esplicitamente professata ed esiste il desiderio di crescere in essa. Qui si inserisce una triplice modalità propria alla C. che vuole portare a maturazione della fede il soggetto suscitando in lui i requisiti non solo per una valida celebrazione ma ancora più per una degna e fruttuosa celebrazione, in modo che possa rispondere all’invito di Dio e con lui “dialogare”. Si tratta cioè di potenziare:

a)​​ Il​​ prima​​ celebrativo nel quale l’azione cat. congiuntamente a quella pastorale deve saper coinvolgere tutta la comunità locale o almeno i più vicini per parentela o per motivi di lavoro, ecc., al malato, o creare 1’”humus” più proficuo per la celebrazione. Le idee da veicolare si ricerchino sopra al par. I.

b)​​ Il​​ durante​​ celebrativo nel quale si dovrebbe potenziare l’azione cat. intesa ad usufruire dei testi liturgici, delle occasioni e circostanze, ecc., per suscitare nei fedeli tutte le disposizioni necessarie per una piena e attiva partecipazione. Ciò vale nei limiti del possibile anche per il soggetto, il quale comunque dovrebbe, con la C. presente nel tessuto ecclesiale, essere già sufficientemente preparato alla celebrazione.

c)​​ Il​​ dopo​​ celebrativo. E lo stesso dettato del n. 40 b) dei “Praenotanda” che recita: “... il sacerdote ... procuri ... che anche dopo la celebrazione del sacramento venga data all’infermo una dimostrazione concreta dell’amore fattivo della comunità locale; potrà farsene interprete lui stesso o affidarne il compito a un altro membro della comunità, purché non ci siano difficoltà da parte dell’infermo”. Cioè, si deve con C. adeguata seguire lo sviluppo della situazione. Se ritorna la salute, il soggetto con la comunità locale ringrazi Dio. Se la situazione precipita, entra in azione la C. e la pastorale lit. del moribondo.

3.​​ Il fulcro dell’integralità​​ dell’evento celebrativo. Esso è mistero celebrato nell’azione lit. per la vita (dimensione discendente o di santificazione) ed è la vita che nella celebrazione realizza il mistero della “vita di culto nello Spirito” (= dimensione ascendente o di culto). La C. riguarda simultaneamente i tre momenti: mistero – azione – vita; suppone una “tensione” speciale intesa ad evidenziare l’evento salvifico che si rivela presente nel sacramento (= dimensione presenziale) come prolungamento della storia salvifica (= dimensione anamnetica o di memoriale) e come anticipazione del futuro (= dimensione escatologica). Ciò è conseguito dalla C. lit. orientata su un duplice livello:

a)​​ Livello​​ personale.​​ La C. nelle sue fasi precedenti, concomitanti, susseguenti la “celebrazione” è indirizzata allo sviluppo armonico del fedele anzitutto mediante un’azione di purificazione di schemi mentali incompatibili con le visuali cristiane della malattia, sofferenza, dolore. L’azione di purificazione è collaterale a quella della codificazione di veri contenuti cristiani.

b)​​ Livello​​ comunitario.​​ La C. fa leva sul bene che proviene all’Ecclesia dal dolore santificato. Il malato è “pupilla dell’occhio della Chiesa” (Pio XII). D’altra parte una comunità cristiana che non sa raccogliersi attorno al malato con fede, con carità e con speranza, dimostra d’essere cristiana solo di nome, non di fatto.

III. La C. operativa dell’UdI

È eminentemente funzionale in quanto è in relazione all’iniziativa della Trinità nei riguardi del fedele posto nella Chiesa. Per questo preferibilmente si accentra sui contenuti dei testi liturgici (Sacra Scrittura, eucologia, riti, simboli, linguaggio, ecc.) e fa di tutto, con opportuni accorgimenti metodologici, ecc., per rimarcare l’unione fra rito e vita. Per questo fa ricorso ad alcuni elementi liturgico-rituali particolarmente atti, per loro natura, a restare impressi nella mente dei fedeli, usufruendo anche della legge dell’associazione delle idee (es.: olio = presenza e azione dello Spirito Santo; imposizione delle mani = consacrazione-trasformazione; ecc.). La C. in una parola deve riuscire a far​​ compenetrare​​ — per mezzo dei dinamismi teol.-lit. propri all’UdI — la vita con la celebrazione. Vitalizzare il mistero e celebrare la sofferenza cristiana come una continua tensione operativa per Dio (= dimensione​​ latréutica)​​ nel vissuto ecclesiale; per la Chiesa (= dimensione​​ operativo-caritativa)​​ con le Persone Divine che interagiscono nel sofferente e con lui; con lui per gli altri (= dimensione ecclesiale) in Cristo “patiens simul et glorifica​​ tus”.

Bibliografia

A. M. Triacca,​​ Per una rassegna sul sacramento dell’unzione degli infermi,​​ in “Ephemerides Liturgicae» 89 (1975) 397-467.

1.​​ Per la C. dell’UdI

J. A. Bernard,​​ La catequesis de​​ los enfermos​​ en la​​ perspectiva​​ sacramentaria de la Santa Unción,​​ in “Sinite” 8 (1967) 409-443; C. Mesters,​​ Esempio di catechesi sulla risurrezione. Nota pastorale sulla unzione degli infermi,​​ in “Rivista di pastorale liturgica” 10 (1972) 237-256; D. Pezzini,​​ Catechesi liturgica dell’unzione dei malati,​​ in “Anime e Corpi” 6 (1968) 22, 145-155; A. M. Triacca,​​ Elementos​​ do novo​​ ritual​​ da​​ Unção dos Enfermos​​ para una​​ acção​​ catequético-litúrgica,​​ in “Ora et​​ labora”​​ (Singeverga) 19 (1973) 374-385.

2.​​ Per il commento al nuovo rituale

G. Colombo,​​ Unzione degli infermi,​​ in D. Sartore – A. M. Triacca (ed.),​​ Nuovo dizionario di liturgia,​​ Roma, Ed. Paoline, 19842, 1538-1552 (bibl. 1552); G. Davanzo,​​ II nuovo rito dell’unzione sacra,​​ in «Anime e Corpi» 11 (1973) 45, 85-94; A. Donghi,​​ L'olio della speranza. L’unzione degli infermi,​​ Roma, Ed. Paoline, 1984 (bibl. 185s); P. M. Gy,​​ Le​​ nouveau​​ rituel romain des malades,​​ in “La Maison-Dieu” 29 (1973) 113, 29-49; M. Magrassi,​​ L’unzione degli infermi. Per un rito nuovo, una nuova teologia e una pastorale rinnovata,​​ Noci, La Scala, 1973;​​ La malattia e l’unzione degli infermi,​​ Milano, OR, 1975;​​ Il sacramento dei malati,​​ Leumann-Torino, 1975; A. M. Triacca,​​ Unzione degli infermi: contributo a una rilettura dei documenti conciliari e postconciliari,​​ in “Salesianum” 36 (1974) 69-96; Io.,​​ “Strutturazione di simboli” o “simboli finalizzati”? In margine al nuovo “Ordo Unctionis Infirmorum”,​​ in​​ Symbolisme et tbéologie,​​ Roma, Ed. Anselmiana, 1975, 257-281; In.,​​ Gli “effetti” dell’unzione degli infermi. Il contributo del nuovo “Ordo Unctionis Infirmorum” a un problema di teologia sacramentaria,​​ in “Salesianum” 38 (1976) 3-41.

Achille Maria Triacca

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