TEST PSICOLOGICI

 

TEST PSICOLOGICI

Il t. è uno strumento scientifico elaborato con una articolata metodologia per rilevare una o più caratteristiche della​​ ​​ personalità; il risultato ottenuto viene espresso numericamente oppure assegnando i soggetti ad una determinata categoria a seconda della caratteristica in essa presente. Il t. è simile all’esperimento in quanto lo stimolo è scelto con cura, la situazione è predisposta allo scopo e la risposta del soggetto è valutata secondo precise regole.

1.​​ Precisazioni.​​ Questa definizione è adatta ai t. che misurano i costrutti psicologici e i​​ ​​ tratti della personalità, ma non corrisponde altrettanto bene a strumenti come le​​ ​​ tecniche proiettive oppure le scale di​​ ​​ osservazione della​​ ​​ diagnosi comportamentale. La ragione è dovuta al fatto che sia i costrutti sia i tratti sono intesi come entità teoriche che unificano i fenomeni osservabili sotto un solo denominatore e sono presenti nel soggetto come delle variabili latenti e costanti. Essi si manifestano nel comportamento per mezzo di segni dai quali si deduce la rispettiva variabile latente; per rilevarla viene usato uno stimolo cognitivo, quindi comprensibile ed univoco. Tutti i soggetti ai quali viene somministrato il t. devono intenderlo allo stesso modo e devono variare soltanto le loro risposte secondo la propria struttura individuale. Le tecniche proiettive invece adottano degli stimoli (visivi, uditivi, iconici) volutamente ambigui (macchie o scene sfumate) perché il soggetto possa proiettare in essi i suoi stati d’animo, i sentimenti, i desideri e le emozioni. La valutazione delle risposte è globale ed elastica; la diagnosi comportamentale è basata sull’osservazione diretta del soggetto; i costrutti e i tratti sono sostituiti dal campione di comportamento e vengono ridotte al massimo le illazioni e le estrapolazioni. La valutazione è basata sul funzionamento del soggetto nella specifica situazione e sulle cause che provocano e mantengono il comportamento.

2.​​ Uso.​​ I t. vengono utilizzati per molteplici finalità; tra le prime è la​​ diagnosi.​​ Poiché lo sviluppo umano presenta dei rischi, deve essere condotto un periodico accertamento per verificare se esso procede bene nelle sue svariate componenti; in caso contrario occorre conoscere le cause che ostacolano una normale crescita per rimuoverle. La seconda finalità si riferisce alla​​ decisione,​​ che deve essere presa dopo un accurato esame delle alternative e delle conseguenze che essa comporta. I t. possono contribuire al processo decisionale in quanto offrono delle informazioni al soggetto su se stesso e talvolta anche sull’oggetto al quale la decisione si riferisce (situazione o istituzione). La terza riguarda la​​ collocazione:​​ varie istituzioni perseguono delle finalità specifiche e per poterle raggiungere formano il loro personale. I t. possono contribuire ad una migliore conoscenza dei potenziali requisiti del soggetto e collocarli nel corso di formazione in cui potranno avere un buon esito. Un tale uso viene fatto dalle industrie, dalle forze armate e dalle istituzioni scolastiche. In queste ultime i t. servono per assegnare alunni ai corsi di ricupero, ai corsi opzionali e ai compiti sociali (​​ leadership).​​ La quarta finalità è inerente alla selezione: quando l’offerta supera la domanda è necessario selezionare i candidati. I t. possono contribuire a stabilire quali candidati posseggono i requisiti adatti alle attività da svolgere. La selezione viene effettuata nel mondo del lavoro e nelle istituzioni formative (borse di studio, specializzazioni, partecipazione a progetti). La quinta finalità riguarda la​​ predizione​​ d’un evento (positivo o negativo) ed è basata sull’accordo che viene stabilito per mezzo del t. tra il soggetto e il gruppo a cui egli intende appartenere. La predizione può essere effettuata solo nel caso in cui sono disponibili i dati sulla rispettiva categoria di soggetti. Infine un vasto uso dei t. viene fatto nella ricerca sia per la descrizione della situazione iniziale che per quella finale per verificare l’efficacia di un fattore sperimentale. La ricerca viene condotta anche sui t. stessi per verificare la loro fedeltà e validità. I t. vengono pure usati per contribuire alla raccolta di informazioni per verificare il funzionamento di un soggetto o di una istituzione oppure per prendere delle valide decisioni collegiali o personali. Questo complesso procedimento viene chiamato​​ assessment​​ (accertamento). L’obiettivo dell’assessment​​ possono essere categorie di soggetti: alunni, impiegati, pazienti, clienti; esso viene condotto in rapporto alla istituzione (formativa o produttiva) di cui fanno parte o in cui vorrebbero entrare (Rogers, 1995). L’assessment​​ viene effettuato in modo particolare nelle istituzioni per stabilirne funzionamento ed efficienza e per proporre suggerimenti per le decisioni da prendere o miglioramenti da effettuare. Nell’ambito dell’educazione si è diffuso recentemente l’assessment​​ «dinamico», che consiste in un’agile diagnosi nella quale è più importante il processo di acquisizione delle conoscenze che non il risultato. La diagnosi è flessibile e l’esaminatore è interessato maggiormente alla formazione e alla modificazione della struttura mentale del soggetto che non al suo accertamento. La diagnosi si muove continuamente tra le strutture mentali acquisite e quelle potenziali. L’assessment dinamico​​ trae le sue origini dai lavori di​​ ​​ Vygotskij, noto per aver proposto la «zona prossima allo sviluppo». Essa consiste nel divario tra le abilità e i processi in possesso del soggetto e quelli potenziali che possono essere acquisiti con l’aiuto di una guida. Identificato il grado di aiuto necessario al soggetto per passare dal livello potenziale a quello effettivo, l’assessment​​ contribuisce alla comprensione del processo di apprendimento e a stabilirne la sua qualità. Il pregio dell’assessment dinamico​​ consiste nello stretto legame tra la diagnosi e la promozione dei processi e delle strutture cognitive dell’alunno.

3.​​ Elaborazione dei t.​​ Vi sono due procedimenti della elaborazione dei t. basati sugli stimoli cognitivi: razionale ed empirico. Il procedimento razionale consiste nella definizione della variabile da misurare (oppure nella scelta di un costrutto) dalla quale vengono dedotti logicamente dei quesiti. I quesiti formulati vengono poi somministrati ad un rilevante numero di soggetti dello stesso tipo ai quali si intende destinare il t. Viene poi condotta l’analisi dei quesiti per verificare la difficoltà (poche o troppe scelte indicano che il quesito è troppo difficile oppure troppo facile) e la discriminazione (se separano in modo sufficientemente differenziato i soggetti che posseggono la caratteristica in esame in grado alto da quelli che la posseggono in grado basso). I quesiti con i due coefficienti validi vengono inclusi nel t. per misurare il tratto o il costrutto prescelti. Il procedimento empirico inizia con la scelta della dimensione da misurare che viene definita in modo approssimativo; in rapporto al suo contenuto vengono raccolti i quesiti disponibili in varie fonti. Vengono poi scelti due gruppi che si differenziano sufficientemente nella dimensione scelta (gruppi criterio: per es., soggetti aggressivi e benevoli). Entrambi i gruppi rispondono poi a tutti i quesiti; le loro risposte vengono confrontate e vengono scelti solo i quesiti che differenziano i due gruppi: tali quesiti formeranno il t. I due procedimenti presentano vantaggi e svantaggi. Il procedimento razionale offre chiare informazioni sulla dimensione che misura e fa progredire il settore teoricamente; possiede però una minore utilità pratica in quanto coglie solo una parte del criterio sociale, per es. i voti scolastici. Il secondo ha una buona utilità pratica perché il t. è basato sulle effettive differenze dei gruppi ben caratterizzati, ma risulta molto incerto il significato della variabile misurata; esso contribuisce poco al progresso teorico del rispettivo settore. I due procedimenti possono essere solo in una minima parte usati nella elaborazione delle tecniche proiettive e delle scale di osservazione comportamentale.

4.​​ Caratteristiche.​​ Per poter usare un t. sono necessarie tre caratteristiche: oggettività, fedeltà e validità. L’oggettività​​ viene assicurata con la somministrazione standardizzata, con la correzione basata su precise indicazioni dell’autore e con l’interpretazione dei risultati in stretto rapporto con la variabile misurata. L’oggettività nella somministrazione sarà assicurata se l’esaminatore predisporrà il soggetto alla collaborazione. L’oggettività è condizionata da fattori interni ed esterni sia del soggetto come anche dell’esaminatore che possono influenzare il rendimento del primo e la valutazione delle risposte del secondo (stati affettivi, tendenza a dare le risposte secondo la desiderabilità sociale e persino contraffazione conscia delle risposte). La​​ fedeltà​​ del t. viene esaminata con alcuni metodi statistici per stabilire la costanza del comportamento misurato. Un’eccessiva fluttuazione del punteggio di un t. vanifica ogni giudizio sulla dimensione rilevata. La fedeltà del t. assume una particolare importanza, quando esso viene utilizzato per la classificazione dei soggetti in vista di un potenziamento delle caratteristiche (abilità intellettive) oppure per la prevenzione del disadattamento (droga, delinquenza). Un t. con una bassa fedeltà assegna un certo numero di soggetti in gruppi sbagliati: esclude dal trattamento quelli che ne hanno bisogno e vi include quelli che non ne hanno. Essa ha lo stesso effetto anche sulla valutazione delle differenze intraindividuali delle abilità (verbali, numeriche, spaziali) o delle aree professionali (tecnica, artistica, sociale) in quanto le differenze sono dovute più all’instabilità del t. che non alle effettive differenze tra i punteggi delle variabili. Infine la fedeltà è importante anche per la verifica dell’efficacia di un fattore sperimentale (intervento terapeutico). La bassa fedeltà porta ad una falsa conclusione sull’effetto del fattore come efficace oppure come inefficace. La fedeltà perde ogni significato nella diagnosi comportamentale in quanto essa intende rilevare la fluttuazione del comportamento in dipendenza dalla situazione. La verifica della​​ validità​​ di un t. è complessa e secondo l’impostazione tradizionale se ne distinguono tre tipi: validità di contenuto, validità di criterio e validità di costrutto. La validità di contenuto viene stabilita per mezzo del giudizio degli esperti se i quesiti corrispondono logicamente alla dimensione che si intende misurare; in breve se la denominazione del t. corrisponde al contenuto. Il metodo più adatto però è l’analisi fattoriale con la quale è possibile identificare i fattori di cui il t. è composto. La validità di criterio si distingue in concorrente e predittiva. Se i dati del criterio sono disponibili simultaneamente può essere verificata la validità concorrente; se invece il criterio si realizzerà nel futuro si tratta di validità predittiva. Per es., il successo scolastico può essere un criterio per la verifica della validità concorrente di un t. attitudinale se al momento della somministrazione del t. sono disponibili i voti e per la verifica della validità predittiva se la somministrazione avviene all’inizio dell’anno scolastico e i voti sono disponibili soltanto alla fine dell’anno. Spesso i vari t. vengono confrontati anche tra di loro per verificare se siano simili (validità convergente) oppure notevolmente differenti (validità divergente). I t. che posseggono la validità predittiva sono utili particolarmente nella prevenzione dei comportamenti disadattivi (alcolismo, droga, delinquenza). La verifica della validità di costrutto è molto più complessa e sostanzialmente consiste nella conformità dei risultati del t. con il rispettivo costrutto; per es., se un t. di disegno intende rilevare il grado in cui i concetti astratti sono posseduti da un bambino e tale grado corrisponde al livello dello sviluppo cognitivo (del bambino) accertato con una differente metodologia, il t. di disegno avrà la validità di costrutto. Le tecniche proiettive devono possedere tutti i tipi di validità tranne quella del contenuto in quanto la loro utilità sta nel fatto che ogni soggetto deve percepire lo stimolo in modo personale e non oggettivo. Viceversa, per i mezzi della diagnosi comportamentale può essere accertata soltanto la validità di contenuto in quanto essi devono assicurare soltanto il campione di comportamento. La validità predittiva poi non viene mai verificata in quanto lo scopo della diagnosi non è quello di prevedere l’evolversi del comportamento ma di modificarlo. I t. devono essere corredati anche di norme per la interpretazione dei punteggi ottenuti; per poterle elaborare il t. deve essere somministrato ad un campione, devono essere calcolate per ogni variabile le medie aritmetiche e preparate le scale dei punteggi standard. La scala standard più nota è quella del quoziente di intelligenza con la media 100 (intelligenza media) e la deviazione di 15 punti. La deviazione dalla media che supera due unità nelle due direzioni (70-130) indica un risultato eccezionale. I punteggi grezzi trasformati in punteggi standard sono poi direttamente confrontabili.

5.​​ Classificazione.​​ I t. possono essere classificati in base al contenuto in tre aree: attitudinale, motivazionale e della personalità. L’area​​ attitudinale​​ comprende i t. che accertano la normalità dello sviluppo cognitivo dei bambini (T. di sviluppo della percezione visiva,​​ T. della figura umana, alcune prove per rilevare le fasi di​​ ​​ Piaget). Per diagnosticare l’intelligenza generale sono disponibili le varie scale di​​ ​​ Wechsler (fanciulli e adulti) e numerosi t. singoli (T. di mosaico,​​ Matrici progressive,​​ Domino 48). La diagnosi delle attitudini può essere condotta con le cosiddette batterie (Attitudini mentali primarie,​​ Differential aptitude t.). L’area​​ motivazionale​​ è formata dagli inventari di interessi, valori e dai questionari dell’efficienza nello studio e delle strategie di apprendimento (Inventario degli interessi professionali,​​ Questionario dei valori professionali,​​ Questionario sull’efficienza nello studio). L’area della personalità è composta da numerosi questionari che rilevano vari tratti e alcuni costrutti della personalità oppure contribuiscono alla diagnosi di determinate patologie oppure offrono delle informazioni sui tipi sociali (Temperament survey,​​ Questionario dei sedici fattori,​​ Inventario multifasico della personalità,​​ Sex role inventory). La grande varietà dei t. può contribuire ad una corretta gestione del processo educativo a tutti i livelli dello sviluppo dei soggetti (Boncori, 2006).

6.​​ Rilievi conclusivi.​​ In questi ultimi decenni i t. sono stati contestati a causa dell’invasione nella sfera privata; è stato pure sottolineato il pericolo che essi siano usati per perseguire le finalità sociali subordinando i diritti delle persone alle istituzioni, soprattutto di quelle produttive. I t. vengono considerati strumenti di discriminazione delle minoranze per mantenere il loro status quo a vantaggio delle classi privilegiate. La contestazione ha avuto però anche degli effetti positivi evitando vari inconvenienti del passato; infatti sono stati condotti numerosi studi per verificare l’effettiva discriminazione delle minoranze ed attualmente anche nel loro uso vi è maggiore rispetto della dignità del soggetto. Non mancano neppure riserve sull’intera impostazione teorica dei t.; dal loro sorgere sono stati basati sul positivismo e sull’empirismo logico, di cui la precisione delle misurazioni è il segno più evidente. Questa rigida impostazione è entrata recentemente in crisi; anche la validità di costrutto, che sotto l’aspetto teorico è la più importante, insieme con tutte le teorie della personalità, viene attaccata in quanto non falsificabile. Dall’altro lato una critica tanto radicale non offre nessuna valida alternativa. La decisione poi di usarli o di abbandonarli non può essere basata soltanto sulla constatazione che la loro validità non può essere falsificata. Molti t. hanno al loro attivo ricchi dati positivi e il loro contributo ai vari processi decisionali è molto evidente. Tutto ciò però sta producendo un lento spostamento da una rigida verifica della validità dei t. ad una verifica più flessibile e da un uso delle precise classificazioni ad un mezzo di comunicazione tra soggetto ed esperto (Rogers, 1995). Questo vale particolarmente per le tecniche proiettive le quali vengono usate più per interviste cliniche che per precise diagnosi.

Bibliografia

Keyser D. F. - R. C. Sweetland (Edd.),​​ T. critiques, voll. 1-10, Austin, PRO-ED, 1984- 1994; Rogers T. B.,​​ The psychological testing enterprise: an introduction, Pacific Grove, Brooks / Cole, 1995; Knoff M. (Ed.),​​ Assessment of child and adolescent personality, New York, Guilford, 2003; Lopez S. J. - C. R. Snyder (Edd.),​​ Positive psychological​​ assessment,​​ Washington, APA, 2003; Spies R. A. - B. S. Plake (Edd.),​​ The sixteenth mental measurements yearbook, Lincoln, Univ. of Nebraska Press, 2005; Boncori L.,​​ I t. in psicologia,​​ Bologna, Il Mulino, 2006.

K. Poláček

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TEST PSICOLOGICI

TESTI DI RELIGIONE

 

TESTI DI RELIGIONE

Accanto al testo ufficiale di catechismo sono esistiti fin dall’apparire della stampa, e si sono poi diffusi più ampiamente con il progredire dell’istituzione scolastica, altri libri di testo per l’IR, sia parrocchiale, sia scolastico. La differenza dal catechismo è che quello è ufficiale, e promulgato direttamente dall’autorità religiosa, mentre i testi sono opera di autori privati, pur ottenendo poi un​​ imprimatur​​ del vescovo e (se destinati alla scuola statale) anche l’approvazione delle autorità scolastiche, con procedure talora complesse, regolate dai Concordati.

1.​​ Testi per la C. parrocchiale.​​ Nella C. parrocchiale per lungo tempo l’unico testo fu il catechismo ufficiale. Solo all’inizio del sec. XX, quando vennero in luce le sue deficienze dal punto di vista didattico e pedagogico, si cercò di sostituirlo, dapprima attraverso le Guide per il Catechista (che offrivano esempi di sviluppo didattico della lezione: cf G. Mey, H. Stieglitz, W. Pichler, ecc.) e poi con veri e propri testi didattici. Forse il primo esempio in assoluto è costituito dalla serie di sei volumetti​​ Fede mia, vita mia!,​​ redatti nel 1912-1913 con sviluppo ciclico e metodo intuitivo dai catecheti italiani L. Pavanelli e L. Vigna e stampati dall’editore Berruti di Torino. In essi si partiva da fatti e illustrazioni, con le risposte del catechismo ufficiale (non le domande) inserite nella spiegazione, contraddistinte solo dal carattere stampato in neretto. Le restrizioni economiche dovute alla prima guerra mondiale riportarono i testi a un arido succedersi di formule, e quando i testi didattici rinacquero negli anni ’30 e ’40, portavano sì le formule ufficiali al termine della lezione, ma non partivano più da una base intuitiva: si trattava di parole che spiegavano altre parole. Le illustrazioni avevano un compito adornativo e non più funzionale. Questo in Italia.

In Francia occorre giungere fino al 1938 perché appaiano timidi accenni di testi didattici: si tratta dell’edizione del catechismo ufficiale francese del 1937 curata da A. Boyer e C. Quinet, suddiviso in lezioncine con all’inizio un brano biblico e al termine preghiere liturgiche, ecc. L’esperimento venne rinnovato nel 1948 con il catechismo del 1947, e fu di stimolo ai catecheti tedeschi per compilare un catechismo ufficiale di tipo più esposi ti vo-didattico, secondo il metodo di Monaco. Si tratta del​​ Catechismo Cattolico delle diocesi di Germania​​ del 1955. Anche questo venne poi rinnovato nel 1969 con il nuovo testo​​ Glauben – Leben – Handeln;​​ dopo il suo insuccesso, si prese decisamente la strada dei testi didattici veri e propri, ricchi di illustrazioni, grafici, sviluppi delle idee, ecc., per ogni grado e tipo di scuola. La stessa soluzione è stata adottata in Francia. Dopo il fallimento dei catechismi del 1937 e 1947, sorsero numerosi testi didattici privati del tutto indipendenti da qualsiasi testo ufficiale, come quelli di A. Boyer, di F. Derkenne, M. Fargues, ecc. In seguito, l’Episcopato pubblicò dei documenti di riferimento per gli autori dei testi: il​​ Fonds obligatoire​​ del 1967, il​​ Document de Base​​ del 1971, e poi il​​ Texte de référence​​ del 1980. Numerose équipes, secondo un itinerario stabilito dal Centro Nazionale per la C., elaborano quindi veri e propri testi didattici, che ricevono un’approvazione di conformità alle direttive dei testi ufficiali.

La soluzione adottata dall’Episcopato italiano a partire dagli anni 1966-1970 è stata quella di pubblicare non dei documenti di riferimento, ma dei catechismi “veri e propri”, leggibili dai destinatari, che in un secondo momento avrebbero dovuto incarnarsi in testi didattici (ne parla cinque volte il documento di base RdC ai nn. 75, 76, 99, 178, 200). La distinzione tra “catechismi” e “testi didattici” veniva così descritta dalle équipes che lavoravano alla stesura dei catechismi: il catechismo non è un testo didattico, non risolve i problemi di carattere didattico, se non in modo generale e orientativo. Esso è una “esposizione”, una “proposizione”, una “narrazione” dei misteri cristiani, adatta all’età e alla situazione dei destinatari... Il catechismo è sobrio; il testo didattico può essere più enucleato. Il catechismo si riferisce alle situazioni profonde e classiche della vita; il testo didattico non teme di rifarsi a spunti didattici più passeggeri, ma forse più vivi. Il catechismo ha sensibilità per la Chiesa universale e per la

Chiesa italiana; il testo didattico cala il tutto nella Chiesa locale. Il catechismo accoglie un’ampia ispirazione pedagogica; il testo didattico può seguire gli indirizzi di questa o di quella scuola.

Nella realizzazione dei cinque “catechismi per la vita cristiana”, le diverse équipes non tennero sufficiente conto — a nostro parere — di queste indicazioni, per cui i catechismi non risultarono così “sobri” ed essenziali, ma si presentarono come un qualcosa di intermedio tra questo modello e il testo didattico. Ne proviene che, mentre da una parte non sono abbastanza “didattici” da facilitare l’insegnamento, dall’altra sono abbastanza diffusi da rendere quasi impossibile la stesura di testi didattici. Fanno eccezione quelli dell’ → Azione Cattolica, nei suoi diversi rami.

2.​​ Per quanto riguarda la scuola,​​ fin dal secolo scorso i testi di religione cominciarono a rendersi sempre più indipendenti dai catechismi ufficiali. Se, all’inizio, si limitavano a una scelta o riordinamento del testo ufficiale e, in un secondo periodo, a un suo commento più diffuso, in seguito presero un andamento più indipendente. Furono quindi più spesso aperti a un rinnovamento di metodi e di contenuti. Ciò avvenne in particolare negli anni ’30, ’40 e ’50 specialmente in Belgio e Francia, dove, soprattutto nella scuola secondaria, si ebbero produzioni aggiornate di grande valore, come le collane​​ Témoins du Christ​​ del Centro “Lumen Vitae”,​​ Enseignement​​ religieux du secondaire​​ dell’editrice L’École di Parigi, il​​ Cours d’instruction​​ religieuse​​ dell’editore Lethielleux e, negli anni ’60, la collana​​ laonde et Foi​​ dell’editore Chalet, diretta da P. Babin. Tutti ebbero traduzioni o edizioni adattate in diverse lingue. Meno innovativi i testi italiani per la scuola secondaria (per la primaria, dopo i buoni testi dovuti a E. Zammarchi negli anni ’20, si passò al libro unico di testo, con poche pagine scheletriche dedicate alla religione), eccettuate alcune produzioni postconciliari dovute ad équipes specializzate (di → Centri Catechistici come quello Salesiano di Leumann, o di gruppi come quello della rivista “Religione e Scuola”, o della diocesi di Roma) e i testi, sempre molto ben curati, dell’ → Azione Cattolica.

3.​​ Quanto al contenuto,​​ i testi si possono distinguere in​​ dottrinali​​ (quando prevale la sintesi di tipo teologico-scolastico),​​ kerygmatici​​ (caratterizzati dall’esposizione biblico-liturgica) o​​ antropologici​​ (con vasto spazio all’esperienza umana e all’integrazione​​ fede-vita).​​ Dai testi veri e propri si distinguono altri sussidi, che stimolano a costruirsi un testo da sé, oppure guidano al lavoro pratico su un “quaderno attivo”. Inoltre, da un testo di religione non si esige di solito quella completezza di contenuti che è richiesta a un catechismo. Può anche fare delle scelte, e presentare in modo più accentuato una particolare dimensione del fatto o della dottrina cristiana. Questo permetterà all’insegnante di scegliere il testo più adatto alla situazione delle sue classi. Egli saprà apportare i completamenti necessari. Il vero “testo” non è il libro, si suole dire, ma la “testa” (e il cuore) del catechista. Questi non è mai uno che “spiega” un testo, ma un testimone che presenta la realtà cristiana, con l’aiuto di un libro.

Oggi si pone anche il problema di testi per un insegnamento “ecumenico”, o per una presentazione del fatto religioso indipendentemente dall’adesione a una religione o confessione particolare (cf CT 34). Un altro problema che gli autori dei testi oggi affrontano con impegno è quello della illustrazione: si vuole che non serva solo ad abbellire, ma che diventi funzionale, anzi sia costitutiva del contenuto stesso del testo di religione, con le sue capacità documentarie, evocative, comunicative. Per “costruire” un buon testo di religione occorre oggi un gruppo di specialisti, che si impegnino nella riflessione e nella sperimentazione a contatto con la realtà dell’insegnamento.

Bibliografia

P. Damu,​​ Le doti di un testo di religione,​​ in “Catechesi” 39 (1970) fase. 33, 7-13; Io.,​​ L'utilizzazione del testo di religione,​​ in “Catechesi” 39 (1970) fase. 33, 14-20; U. Gianetto,​​ Perché un nuovo catechismo in Italia?,​​ in «Catechesi» 35 (1966) fase. 328, 9-13; 333, 7-13; 36 (1967) fase. 338, 7-14; 344, 11-20; 349, 1-8; 354, 7-18; 359, 3-14. In particolare, il fase. 344 tratta del sorgere di testi didattici e del loro sviluppo; In.,​​ 1 “testi”ei”sussidi” devono proprio contenere tutto l'iter della catechesi?,​​ in “Catechesi” 42 (1973) fase. 177, 1-4; R. Giannatelli,​​ La ricerca pedagogica attorno a un testo di religione,​​ in “Orientamenti Pedagogici» 26 (1979) 1, 103-114; F.​​ Lever,​​ Perché le immagini in un testo di Religione,​​ in «Catechesi» 52 (1983) 13, 65-71; E. Paul,​​ Religionsbücher als Medien des Unterrichtsprozesses,​​ in “Religionspädagogische Beiträge» 7 (1984) 13, 2-18; Fr. Vincent,​​ Du bon usage du “marnici”,​​ in “Catéchistes” 7 (1956) 26, 155-166.

Ubaldo​​ Gianetto

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TESTI DI RELIGIONE

TESTIMONIANZA

 

TESTIMONIANZA

Testimoniare è attestare di persona un fatto, una volontà, un valore, è impegnarsi per una causa; è garantire mediante le scelte di vita una verità creduta e annunciata. Nel processo di comunicazione della fede la T. è condizione indispensabile, anche se non sufficiente, di credibilità del messaggio. Essa rende plausibile la verità religiosa perché ne mostra il valore che di fatto assume nella vita del testimone. Il criterio della T. o dell’ortoprassi è fondamentale, anche se non esclusivo, per verificare il senso del → linguaggio religioso, perché la verità religiosa non è enunciabile per deduzione logica o per induzione scientifica, ma è verità esistenziale, che impegna nella prassi ed esige di farsi soggettiva (S. Kierkegaard).

1.​​ Il messaggio cristiano si è presentato fin dall’origine come una T.: che Cristo risorto è vivente oltre la morte e che il suo Spirito è operante nella storia come forza di liberazione per ogni uomo che lo accoglie nella fede. Questo annuncio non avrebbe mostrato la sua efficacia se a portarlo non fossero stati uomini nuovi, che manifestavano nell’atteggiamento e nelle opere i segni della potenza salvifica di Dio. Ma tutta la storia della rivelazione si svolge in una dinamica di T.: i Profeti testimoniano l’alleanza di Iahvè che hanno conosciuto nell’immediatezza della propria esperienza o nelle vicende del popolo; in Gesù di Nazaret è il figlio stesso di Dio che attesta da “fedele testimone” (Ap​​ 1,5) quanto ha visto e udito nel seno del Padre (Gv​​ 3,11); gli Apostoli diventano i testimoni autorevoli della risurrezione, sia perché hanno conoscenza diretta e intima dei fatti che proclamano, sia perché hanno ricevuto espresso mandato di attestarli (“Voi sarete miei testimoni»,​​ At​​ 1,8); infine, la comunità cristiana nel suo insieme, con la novità della sua vita, testimonia gli effetti che il Vangelo produce in quanti Faccettano. Di fatto i Vangeli prima, la storia del movimento cristiano poi, raccontano quale significato Gesù ha assunto per la vita di alcuni gruppi di uomini (E. Schillebeeckx). Nell’economia della trasmissione della fede è la comunità ecclesiale​​ testimoniante,​​ vista nel suo sviluppo storico e nel suo vivere attuale, che costituisce l’insostituibile e principale struttura di plausibilità del messaggio.

2.​​ Essendo sostanzialmente un linguaggio di T., cioè performativo, quello della C. è un linguaggio che adotta un triplice codice espressivo: il codice​​ narrativo,​​ in quanto rievoca gli eventi storici che stanno all’origine e l’esperienza che il credente ne ha fatto; il codice​​ ostensivo,​​ in quanto rivela o “dimostra” nel presente una situazione vitale conseguente all’evento storico narrato; il codice​​ esplicativo,​​ perché ogni T. può suscitare domande nell’interlocutore e quindi venir richiesta di una giustificazione. Da queste modalità distintive del linguaggio testimoniale scaturiscono le sue specifiche funzioni in ordine all’educazione della fede: la funzione​​ profetica,​​ in quanto testimoniare è perpetuare nell’oggi i segni dell’azione di Dio, è rendere leggibili e appellanti gli eventi di salvezza “mediante fatti e parole intimamente connessi” (DV 2); la funzione​​ dialogica,​​ in quanto sulla base della T. offerta e ricevuta la ricerca della verità si attua in un contesto in cui il vissuto degli interlocutori si pone dialetticamente come domanda e risposta capaci di “dire” la verità prima di enunciarla; la funzione​​ dinamica,​​ in quanto la testimonianza traduce in termini esistenziali fatto e significato, verità e valore, ideale e impegno, convinzione e operatività.

3.​​ Le ragioni culturali che urgono una accresciuta valorizzazione della T. nell’agire pastorale della Chiesa stanno oggi nel fatto: — che il progetto cristiano appare troppo spesso insignificante rispetto ai progetti che si trovano in concorrenza con esso (K. Rahner); — che la mentalità contemporanea registra una crisi di fiducia nella tradizione, nell’autorità, nella ragione e nelle ideologie (J. B. Metz) e si affida, pragmatisticamente, alla prova dei fatti; — che esiste una diffusa domanda di senso, che si va acuendo anche nella coscienza di molti credenti, ma solo l’esperienza umana è considerata luogo ermeneutico della riscoperta di un senso per resistenza (P. Ricoeur); — che anche le moderne scienze umane e sociali interessate al fenomeno religioso, ai suoi linguaggi e alle relative strategie educative, asseriscono la non separabilità tra messaggio e messaggero, tra significato e significante, tra forma e contenuto (H. G. Gadamer, H. Halbfas).

Bibliografia

J. P. Jossua,​​ La condition du témoin,​​ Paris, Cerf, 1984;​​ I linguaggi della fede,​​ in “Credere oggi” 4 (1984) n. 1; J. M.​​ Martínez​​ Beltràn,​​ Creatividad​​ y​​ pedagogia de la fé,​​ Salamanca, S. Pio X, 1976; C. Molari,​​ La fede e il suo linguaggio,​​ Assisi, Cittadella, 1972; In.,​​ Linguaggio,​​ in​​ Nuovo Dizionario di teologia,​​ Roma, Ed. Paoline, 1977, 778-814; F. Pajer,​​ La catechesi come testimonianza,​​ Leumann-Torino, LDC, 1969; P. Ricoeur – E.​​ Jüngel,​​ Dire Dio. Per un’ermeneutica del linguaggio religioso,​​ Brescia, Queriniana, 1978.

Flavio Pajer

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TESTIMONIANZA

È l’atto (parola, discorso, attestazione, comportamento pratico) con cui una persona (testimone, lat.​​ testis,​​ gr.​​ martys) propone ad un’altra persona di accettare come vera e credibile un’affermazione di per sé priva di evidenza intrinseca e non suscettibile di verifica sperimentale.

1. L’elemento specifico della t. consiste nella presentazione di una idea / valore, accreditata unicamente sulla base di un rapporto fiduciale tra persone. In tale rapporto, la persona del testimone – con la sua veracità e coerenza di vita, e quindi con la sua autorità morale – si pone come garanzia prossima di​​ ​​ verità. Garanzia prossima, non ultima, in quanto ogni persona è per natura fallibile e ogni t. personale è inevitabilmente connotata di soggettività. Ne consegue che la comunicazione del testimone, se può riuscire moralmente plausibile e convincente, non assume – né pretende di assumere – i caratteri della prova oggettivamente evidente e vincolante. Tuttavia, se dal punto di vista puramente intellettuale la verità testimoniata risulta più fragile rispetto alla verità argomentativamente dimostrata, dal punto di vista etico e culturale la prima sorpassa la seconda proprio per il più profondo coinvolgimento del potenziale personale cui fa appello. Mentre infatti l’argomentazione impegna solo le facoltà intellettive e critiche, la t. fa appello anche e anzitutto alla fiducia tra persone, alla capacità di discernimento etico, all’apertura verso i valori, in definitiva alla comunione interpersonale e alla decisione esistenziale. La nozione di t. è di primaria importanza in pedagogia, in quanto l’educazione è sempre intervento​​ attestativo​​ piuttosto che soltanto​​ enunciativo.

2. Nell’ambito della tipologia dei processi conoscitivi, si designa la conoscenza per t. come una delle modalità tipiche della trasmissione culturale, accanto alla conoscenza per​​ ​​ insegnamento, alla conoscenza per​​ ​​ esperienza, alla conoscenza per​​ ​​ iniziazione. In particolare, il linguaggio performativo della t. qualifica il processo educativo, sia perché questo non può che basarsi sulla reciproca fiducia tra educando ed educatore, sia perché l’intenzionalità educativa è già di per sé carica di​​ ​​ valori, di cui l’educatore si rende immancabilmente testimone e a volte, forse inconsciamente, controtestimone, prima ancora di esserne il docente. La t. si rivela presupposto educativo indispensabile nella​​ ​​ educazione morale, per l’intrinseca necessità di garantire nel​​ ​​ processo educativo – specie in età evolutiva – una congrua continuità / coerenza tra insegnamento dei valori etici (piano del discorso oggettivo sui valori), professione personale di tali valori (piano della adesione soggettiva) e​​ ​​ esemplarità comportamentale (piano della visibilità sociale). Tuttavia l’enfasi odierna sulla visibilità sociale, cui non sono esenti chiese e movimenti religiosi, appare spesso il sintomo di una impertinente rivendicazione identitaria, che confligge con gli ideali di convivenza democratica proposti dalle società multireligiose.

3. Nell’ambito specifico della​​ ​​ educazione religiosa, la t. non è da intendersi come una tattica pedagogica o un coadiuvante morale (il cosiddetto «buon esempio» edificante, che l’educatore si crede moralisticamente obbligato a dare attorno a sé), ma è anzitutto dimensione simbolica costitutiva della comunicazione religiosa, in quanto è nella natura della fede di diffondersi per t. Un credente o una comunità di credenti educa la fede in quanto, nel trasmettere una «memoria», traduce e manifesta il significato salvifico e liberante di quella memoria nell’oggi.

Bibliografia

Pajer F.,​​ La catechesi come t., Leumann (TO), Elle Di Ci, 1969; Ciardella P. - M. Gronchi M. (Edd.),​​ T. e verità, Roma, Città Nuova, 2000; Seminario Arciv. di Milano,​​ Testimoni di Gesù Risorto,​​ speranza del mondo, speciale de «La Scuola Cattolica» 134 (2006) 189-389.

F. Pajer

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