TEOLOGIA PASTORALE (CORRENTI)
Mario Midali
1. La proposta dell’«Handbuch der pastoraltheologie»
1.1. Delimitazione e fondazione dell’oggetto
1.2. La tematica materiate
1.3. L’oggetto formate
1.4. Il metodo
1.5. Rilievi valutativi
2. Superamento della prospettiva ecclesiologica dell’«Handbuch»
2.1. Il riferimento al Cristo «storico» secondo G. Biemer e P. Siller
2.2. La prospettiva «eristica» di H. Schuster
2.3. La ripresa del principio d’incarnazione secondo J. Goldbrunner
3. Comunità, Chiesa del futuro, secondo F. Klostermann
3.1. Il «principio comunità»
3.2. Lo statuto epistemologico della teologia pastorale
3.3. La teologia pastorale fondamentale
3.4. Rilievi valutativi
4. Teologia del cambio ecclesiale, secondo P.-A. Liégé
4.1. Il concetto di teologia pastorale
4.2. La concentrazione ecclesiologica e il vissuto ecclesiale
4.3. Funzioni e campo della teologia pastorale
4.4. Rapporti con le altre discipline
4.5. Annotazioni valutative
5. Riflessione pastorale come «interpretazione dell’esperienza»
5.1. La proposta di M. Van Caster
5.2. La proposta di G. Ceriani
6. Teologia pastorale e formazione clinica del pastore in campo europeo
6.1. Il colloquio pastorale e l’itinerario formativo del pastore
6.2. Comprensione europea della proposta nordamericana
6.3. Piste di approfondimento teologico-pastorale
1. Teologia pratica come «scienza dell’azione»
7.1. Configurazione «prasseologica»
7.2. Configurazione in un sistema di «autoregolazione»
7.3. Configurazione in riferimento alla «prassi comunicativa»
1 A. Configurazione centrata su una criteriologia e una kairologia
8. Sviluppi della recente teologia pratica evangelica
8.1. Il mutato contesto sociale ed ecclesiale
8.2. Critica del metodo storico-critico e necessità del metodo empirico-critico
8.3. Il ricorso a formulazioni di teorie e modelli
9. Teologia pastorale nel contesto delle teologie della liberazione
9.1. Modelli di azione pastorale
9.2. Pastorale o evangelizzazione liberatrice
9.3. Il dibattito teologico-pastorale attorno a Puebla
9.4. Rilievi valutativi
Nel periodo che va dagli anni ’60 agli anni ’80, dietro il forte impulso impresso dal Vaticano II, ma anche per le notevoli sollecitazioni provenienti da situazioni socio-culturali e religioso-ecclesiali in movimento, si è registrato un considerevole sforzo di ricerca e di approfondimento nell’ambito della teologia pastorale, riconducibile a correnti di pensiero, a progetti proposti, a problemi sollevati, a piste per l’ulteriore studio. Qui di seguito se ne offre una visione di sintesi ristretta alla teologia pastorale fondamentale.
1. La proposta dell’«handbuch der pastoraltheologie»
Nel mondo teologico tedesco degli anni ’60 avviene un intenso confronto con la problematica teologico-pastorale, nella realizzazione del noto Manuale di teologia pastorale. La teologia pratica della Chiesa nel suo presente, curato da F. X. Arnold, F. Klostermann, K. Rahner, V. Schurr e L. M. Weber. Esso costituisce un notevole tentativo di reimpostare in modo scientifico e teologico l’intera problematica pastorale, per sottrarla all’improvvisazione, a impostazioni unilaterali, conservative o innovative, e a una carente fondazione teologica.
La teologia pastorale proposta è, in sostanza, un’ecclesiologia esistenziale perché studia l’attuale esistenza storica della Chiesa, da distinguere, quindi, da un’ecclesiologia essenziale attinente l’essenza della Chiesa. II principio su cui è fondata è «l’autorealizzazione della Chiesa nell’oggi». Questa proposta, elaborata da K. Rahner, si ricollega alla tradizione della scuola di Tubinga (e in particolare ad A. Graf), rispecchia il clima caratteristico del periodo conciliare e indica l’oggetto materiale e formale proprio della «teologia pastorale», denominata pure «teologia pratica», in quanto allarga il suo orizzonte dal pastore d’anime all’azione dell’intera comunità ecclesiale.
1.1. Delimitazione e fondazione dell’oggetto
L’oggetto materiale della teologia pastorale è l’autorealizzazione della Chiesa attraverso l’insieme delle sue attività. Questa scelta è giustificata in base a una ricognizione storica e a una rielaborazione dell’ecclesiologia volta a superare quelle disponibili, ritenute insufficienti (in ciò la teologia pastorale fa opera di supplenza), e ad aprire valide prospettive teologico-pastorali. È condensata in questo asserto: «la Chiesa è la comunità, legittimamente organizzata come società, nella quale, mediante la fede, la speranza e l’amore, la rivelazione di Dio (come sua autocomunicazione), escatologicamente completa in Cristo, rimane presente come realtà e verità per il mondo».
La Chiesa così definita si costruisce nella storia e attraverso scelte storiche. Ciò consente di evidenziare la dialettica tra la sua essenza permanente e le forme storiche contingenti del tempo presente, che sono appunto oggetto di studio della teologia pastorale. E ciò che caratterizza tale storicità non è «il permanere, ma il realizzarsi sempre di nuovo». Essendo di sua natura correlata all’autocomunicazione divina, l’autorealizzarsi della Chiesa avviene in una duplice direzione: in quella della verità creduta con l’ascolto della Parola annunciata e insegnata, e in quella dell’amore divino accettato e donato nella vita cristiana, nei sacramenti e nella preghiera. Le tre virtù teologali esprimono questo autorealizzarsi della Chiesa come verità e amore, e le diverse attività ecclesiali devono tendere a concretizzarlo.
Questa delimitazione dell’oggetto proprio della teologia pastorale è giudicata più originaria rispetto a quella tradizionale, incentrata sui tre uffici di Cristo e riconducibile ai due poteri di ordine e di giurisdizione, che manifestano soltanto il realizzarsi giuridicosacrale della Chiesa.
1.2. La tematica materiale
La tematica materiale affrontata ricopre l’intera ecclesiologia essenziale e non pochi temi di dogmatica, che vengono trascritti in chiave teologico-pastorale per fare da solido fondamento alla disciplina. In concreto vengono trattati i seguenti argomenti:
— I soggetti dell’autorealizzazione: tutti i membri della Chiesa; tutte le funzioni e i ruoli che esercitano come soggetti della sua autorealizzazione: la funzione propria del singolo cristiano e di ogni comunità, la ricomprensione, alla luce dell’unità del ministero e della collegialità, della figura del vescovo e della diocesi, del presbitero e del parroco, delle funzioni diaconali, del papato e della curia romana.
— Le funzioni fondamentali della Chiesa riconducibili alle sue attività verificate per renderle conformi alla sua essenza e aderenti alla situazione contemporanea: la predicazione della parola, la liturgia e l’amministrazione dei sacramenti, la disciplina ecclesiastica, l’attuazione concreta della vita cristiana e il servizio al mondo, la caritas come assistenza istituzionalizzata.
— Gli aspetti sociali dell’autorealizzazione collegati con la dimensione sociale della Chiesa e con la situazione umana e storica dei suoi membri: l’istituzionalizzazione ecclesiale, i modelli di verità, di comportamento morale e di controllo sociale, il ruolo delle ideologie, i meccanismi di integrazione, i processi di interiorizzazione e di comunicazione, la propaganda ecclesiale.
— I presupposti antropologici radunati attorno all’«esistenziale soprannaturale» e articolati secondo le varie dimensioni dell’essere umano, con particolare riferimento alla dualità sessuale e al differente apporto dell’uomo e della donna nella vita della Chiesa.
— Le strutture formali fondamentali qualificanti la realizzazione della Chiesa: la distinzione tra «processo di salvezza» e «mediazione di salvezza»; le diverse forme di pietà; il rapporto tra élite e massa; la partnership e la struttura dialogale di comunicazione; la struttura formale della predicazione del messaggio (distinzione tra kerigma e dogma); l’interiorità del fatto religioso e le caratteristiche della propaganda cristiana; la differenza tra morale vissuta e morale annunciata; le strutture «tattiche» della cura d’anime.
1.3. L’oggetto formale
Il punto di vista formale dal quale è considerata questa tematica è il legame costitutivo che la realizzazione della Chiesa ha con la situazione attuale comprendente le realtà sociali, culturali e politiche. Superando criticamente visioni clericali che reputano tali realtà come variamente estranee alla Chiesa, il manuale valuta il mondo presente come l’ambiente voluto da Dio per la sua Chiesa, come l’appello di Dio al suo popolo. Tramite il mondo Dio richiama la Chiesa al suo compito, sempre nuovo, di formulare e annunciare il vangelo per e non contro l’umanità attuale, amata da Dio con amore indefettibile.
Il presente o l’oggi è inteso, quindi, come la concretizzazione dello sfondo permanentemente storico e perciò mutevole, sul quale avvengono l’offerta e l’accoglienza della libera autocomunicazione della verità e dell’amore di Dio a ogni generazione umana. Come tale, la situazione presente caratterizza in modo decisivo l’umanità, al quale la Chiesa deve comunicare il vangelo; caratterizza pure in modo profondo la missione della Chiesa e dei suoi responsabili e con ciò la sua natura storica.
1.4. Il metodo
Il metodo esibito prevede vari momenti. Un primo momento riguarda il reperimento di principi teologici sempre validi ad es. riguardanti l’essenza permanente della Chiesa, necessari per analizzare, valutare e orientare teologicamente l’attuale realizzazione della comunità cristiana.
Il secondo momento è critico e consiste nell’analisi socio-religiosa della situazione sociale ed ecclesiale, attuata con l’ausilio delle scienze sociologiche e confrontata con un’analisi teologica, che colloca i risultati della ricerca sociologica in un orizzonte di storia della salvezza e li trasforma da semplici dati «esistenziali» in dati «provvidenziali» o «storico-salvifici» per la Chiesa.
Il terzo momento è normativo ed è indirizzato all’identificazione di una duplice serie congiunta di «imperativi» per l’agire ecclesiale: le norme «più alte» ricavate dall’essenza permanente della Chiesa che assicurano alla sua realizzazione «la conformità all’essenza»; le norme secondarie o di «minor peso», ma non per questo meno importanti, che traducono i dati storico-salvifici desunti dall’analisi teologica della situazione in norme di azione. Il rinvenimento di tali imperativi è compiuto con il ricorso alle libere decisioni della comunità e dei suoi responsabili, frutto di un «discernimento degli spiriti». L’ultimo momento è quello strategico e consiste nell’elaborazione di un piano o progetto pastorale complessivo e unitario, in cui confluiscano gli imperativi indicati, in modo da superare visioni tattiche di semplice adattamento o parziali e inadeguate, e da attuare una pianificazione aperta della realizzazione della Chiesa rispondente all’attuale situazione.
Questo procedimento conoscitivo teologico in larga parte nuovo e non privo di difficoltà è giustificato con il richiamo all’istinto di fede del popolo di Dio (sensus fidei). Esso include sempre, assieme a conoscenze ed esperienze profane, un sapere teologale, cioè una comprensione teologica, per lo più spontanea o atematica, della situazione e del da farsi. La teologia pastorale può tematizzare, almeno in modo limitato e sempre problematico, tale sapere atematico: la sua riflessione è scientifica perché critica e metodica, è teologica perché è intelligenza dell’istinto di fede.
1.5. Rilievi valutativi
L’impostazione ecclesiologica del manuale costituisce la sua forza e il suo limite. Per il fatto di essere un’ecclesiologia esistenziale non giunge ancora a essere veramente una teologia della prassi cristiana ed ecclesiale nel senso proposto da altri pastoralisti contemporanei. Le obiezioni mosse all’opera vertono su tutti i suoi punti qualificanti e riflettono, evidentemente, le comprensioni di teologia pastorale proprie dei recensori.
Viene denunciata la mancanza di scientificità in quanto l’identificazione degli imperativi è frutto non della riflessione teologica, ma della coscienza ecclesiale e delle sue decisioni. Viene criticata la formula «autorealizzazione della Chiesa», perché assieme a un’interpretazione corretta, si presta a comprensioni ideologiche e clericali della Chiesa come l’introversione su sé stessa e la minore attenzione al servizio al mondo; inoltre perché postula una subordinazione dell’ecclesiologia esistenziale a quella essenziale e, quindi, della teologia pastorale alla dogmatica.
Viene ritenuto non soddisfacente il modo con cui è spiegato il rapporto tra essenza permanente della Chiesa e sua realizzazione storica: la Chiesa si troverebbe a dover semplicemente rispondere alle sollecitazioni della situazione socio-culturale; un’ecclesiologia esistenziale alleggerita di dati storici e arricchita di dati sociologici non è ancora una teologia pastorale plausibile; il modo con cui si effettua il confronto tra norme più alte e norme subordinate non è indicato.
Anche per la mancanza di ricerche in merito, il manuale offre solo spunti circa l’analisi teologica della situazione, che resta tutta da fare. Inoltre, l’analisi sociologica sembra solo giustapposta all’interpretazione teologica e considerata come sua «ancella».
La successiva riflessione supera la proposta del manuale su argomenti rilevanti: l’impostazione ecclesiologica, il rapporto teoria-prassi, l’utilizzazione del metodo empirico-critico, il rapporto tra teologia pratica e scienze umane.
Ammessi questi limiti, va detto che il progetto conserva una sua validità e attualità da riferire non tanto ai suoi contenuti concreti, quanto piuttosto alla problematica sollevata, alla tematica proposta, alle sue intuizioni portanti e alle piste aperte all’ulteriore ricerca.
2. Superamento della prospettiva ecclesiologica dell’«handbuch»
Il contesto dei primi anni del postconcilio, caratterizzato dai noti fenomeni contestativi delle istituzioni ecclesiastiche, e l’attenzione alle nuove acquisizioni della cristologia ed ecclesiologia di tipo critico portano a superare la prospettiva ecclesiologica dell’Handbuch, con la proposta di porre a fondamento della teologia pastorale o teologia pratica un principio cristologico. La formula «teologia pratica» si impone anche in campo cattolico e la disciplina viene ormai elaborata secondo le esigenze del dialogo ecumenico.
2.1. Il riferimento al Cristo «storico» secondo G. Biemer e P. Siller
Un primo tracciato percorso da G. Biemer e P. Siller si prefigge di produrre una riflessione scientifica di direttive difendibili e controllabili del servizio ecclesiale, che è diretto a testimoniare e mediare la fede e la speranza per l’uomo contemporaneo. La teologia pratica si costruisce appunto come riflessione «critica» di tale servizio ecclesiale.
Nel fare ciò, si riferisce al Gesù di Nazaret considerato «principio della comunità», perché all’origine del discepolato biblico e dei connessi comportamenti, e considerato insieme «principio concreto della teologia pratica», perché interpreta criticamente l’esperienza del Gesù storico in riferimento alla problematica ecclesiale attuale.
Questa riguarda il conflitto tra norme ecclesiali date e agire ecclesiale sensibile alla continua novità della situazione. La sua corretta soluzione va ricercata nell’interpretazione critica dei processi storici, alla luce dell’«evento Gesù», della sua esperienza del contrasto e della sua storia di critica dei modelli esistenti e di apertura a un futuro assoluto che viene da Dio. Va ricercata insieme nell’adattamento alla situazione presente accompagnato dall’apertura al futuro, in modo da concretizzare nell’oggi il discepolato biblico. Il che va operato con il ricorso alle scienze umane. In questa visuale, la fede della comunità cristiana conduce a una rottura nei confronti di sistemi di bisogni sociali esistenti. E la teologia pratica mira a un mutamento del sistema, dato che la storia del NT è storia di emancipazione.
2.2. La prospettiva «eristica» di H. Schuster
H. Schuster, collaboratore dell’Handbuch e discepolo di K. Rahner, sposta l’accento dall’ecclesiologia a un’aggiornata comprensione dell’«evento Gesù» (Die Sache Jesu), ritenuto criterio ultimo dell’essere e dover essere della Chiesa.
La formula «evento Gesù» è connessa con quelle di «vangelo di Gesù» e «regno di Dio» nella misura in cui queste indicano inscindibilmente Gesù stesso, la rilevanza della sua azione e della sua dottrina per i suoi discepoli, l’interpretazione che tutto ciò ha avuto nelle primitive comunità cristiane mediante la parola (ad es. tradizioni e scritti) e le attività (ad es. le strutture comunitarie). L’evento Gesù è inseparabilmente «evento dell’uomo» perché dà senso e rilevanza all’esistenza umana, e «evento di Dio» perché rivelativo della realtà da lui chiamata «Padre». L’evento Gesù così inteso è normativo per l’intera azione ecclesiale e quindi per la teologia pastorale o teologia pratica.
In effetti, l’esperienza di fede nel Cristo, vissuta dalla comunità dei discepoli, è il motivo della fondazione della Chiesa e il punto di partenza per la fondazione e la vita di altre comunità ecclesiali. Sicché la Chiesa esiste solo dove vi sono persone che vivono l’evento Gesù e testimoniano per gli altri la loro speranza.
La teologia pratica deve assumere come «fondamenti ecclesiologici» questi dati raggiunti dalla recente ecclesiologia critica, e non definire l’essenza della Chiesa appellandosi a una sua strutturazione storica, di per sé legittima, ma di un periodo posteriore (come fa l’Handbuch).
Distinguendo tra «motivazioni cristiane» costituite dall’evento Gesù continuamente operante nella storia, e «strutture ecclesiali» riconducibili alle forme di pensiero, di organizzazione e di vita che la Chiesa si è data lungo i secoli, è compito della teologia pratica: essere sensibile e rendere sensibile alle differenti motivazioni rilevabili nelle concrete situazioni umane e aiutarne la loro successiva concretizzazione in strutture che siano genuinamente cristiane e al servizio della persona nel suo divenire storico; svolgere un servizio critico rispetto alle strutture ecclesiali, tradizionali e nuove, per verificare se favoriscono o non piuttosto ostacolano l’accesso all’evento Gesù, se cioè sono a parole e di fatto espressione di quell’amore, di quella speranza, giustizia e libertà che gli uomini hanno sperimentato nel Cristo, come dono e impegno del Padre.
Nel fare ciò dovrà ascoltare non solo il vangelo, ma anche le persone per cogliere i motivi cristiani che le guidano. La prassi dei cristiani, confrontata con la prassi di Gesù, diventa luogo teologico principale per la teologia pratica, e questa a sua volta si colloca sempre più nell’orbita ellittica i cui due fuochi sono la prassi e la teoria.
2.3. La ripresa del principio d’incarnazione secondo J. Goldbrunner
Il principio d’incarnazione, già illustrato dall’Arnold, viene ripreso da J. Goldbrunner per valutare le recenti proposte pastorali (che saranno presentate più oltre) e per rispondere alle seguenti esigenze irrinunciabili della teologia pastorale.
È un principio teologico che unifica altri principi prevalentemente sociologici e incompleti, proposti da sostenitori di una teologia pratica come scienza dell’azione. Illumina le coordinate fondamentali fede e non-fede, che caratterizzano molti contesti socio-culturali attuali e che sarebbero carenti nell’Handbuch essendo centrato sulla Chiesa. È un principio specificamente cristiano che coglie insieme teocentrismo e cristocentrismo ed evidenzia lo specifico cristiano disatteso da qualche pastoralista attuale (ad es. G. Otto). Salvaguardia il primato della persona nella comunità contro tendenze collettiviste e comunitariste. Rende possibile il superamento del verticalismo e dell’orizzontalismo e salva la dualità natura-soprannatura. È capace di unire teoria e prassi nella concretezza delle situazioni storiche: la storicità, la legge della croce e la riserva escatologica consentono di cogliere il divenire storico, la conflittualità e la relatività delle realizzazioni umane. Rende possibile un atteggiamento unitario tra vita intraecclesiale e impegno verso il mondo.
3. Comunità, chiesa del futuro, secondo f. Klostermann
Ferdinando Klostermann (1907-1983), noto pastoralista di Vienna, approfondisce la prospettiva cristologica ed ecclesiologica dell’Handbuch attorno al «principio comunità». È particolarmente sensibile agli aspetti strutturali e istituzionali della Chiesa, fonte di disagio e oggetto di contestazione, e ne prospetta con disarmante audacia il cambio. Si confronta con i pastoralisti contemporanei e offre un proprio apporto critico e innovativo.
3.1. Il «principio comunità»
Egli ravvisa nel «carattere comunitario della vita ecclesiale» il principio informatore e unificatore delle molteplici attività della comunità e lo assume come motivo dominante della teologia pastorale. Per raggiungere tale obiettivo si riferisce alla «comunità di Gesù» e ne definisce i lineamenti essenziali recependo i risultati della recente ecclesiologia critica.
La comunità di Gesù è caratterizzata dalla tensione escatologica e dall’essenziale dimensione comunitaria. Si costruisce in funzione del regno di Dio presente in essa, ma che non s’identifica con essa, e nell’intrinseca correlazione tra singolo e comunità. È segnata dal rapporto dialettico tra la sua componente divina e misterica e la sua componente umana e visibile. Di conseguenza, è attraversata dall’esigenza del continuo «aggiornamento», cioè dalla necessità di confrontare le sue forme storiche con il dettato della rivelazione circa la natura, la costituzione interna e i compiti assegnatile da Gesù. Questo suo riferimento a Cristo è determinante, per cui la dimensione istituzionale della Chiesa va valutata in base alla parola di Cristo espressa nel servizio o «diaconia». In concreto, il fatto che si entra nella comunità per libera scelta comporta che i suoi membri siano sempre di nuovo messi di fronte alla propria decisione. Tra Chiesa e mondo vi è, da un punto di vista umano, una radicale disfunzionalità, che fa apparire la Chiesa come straniera; tuttavia, la sua missione universale la orienta all’evangelizzazione e la lega vitalmente all’umanità. In questa visuale si situa il rapporto tra discepolato e apostolato, tra vita di comunione e azione evangelizzatrice.
Sono «elementi costitutivi» della comunità di Gesù: il suo riferimento originario allo Spirito che la costruisce; l’accoglienza della parola del Signore e la celebrazione del culto del Signore, mediante i quali si edifica come comunità; l’amore fraterno nel Cristo, che ne costituisce l’aspetto completivo e perfezionatore.
Sono suoi «elementi strutturali»: la fondamentale uguaglianza dovuta alla pienezza dello Spirito e all’amore di Cristo; la disuguaglianza data dalla presenza di uffici e carismi distinti e correlati; la storicità connessa, da un lato, con la distribuzione di compiti e ruoli rispondenti a esigenze del tempo e, dall’altro, con il condizionamento storico dell’immagine sociale della Chiesa; la necessaria revisione permanente delle strutture comunitarie facendo riferimento alle comunità neotestamentarie e alle strutture sociali di ogni epoca.
Il principio comunità presiede l’opera di aggiornamento strutturale della Chiesa: il cristianesimo può esistere e realizzarsi solo come comunità e in comunità; va superato, quindi, lo schema attivo-passivo nei rapporti intraecclesiali e va affermato che l’intera comunità è soggetto attivo dell’azione ecclesiale; l’ecclesia neotestamentaria si realizza e attualizza solo in riferimento a un determinato spazio umano, cioè in «comunità locali o particolari», legate alla legge della vicendevole comunicazione nel contesto della «comunità universale».
Questi asserti vengono verificati in rapporto alle forme storiche in cui la comunità di Gesù si realizza e si manifesta: la Chiesa universale e le questioni attinenti la collegialità e la partecipazione; la Chiesa episcopale e la problematica riguardante gli organismi di collaborazione e le dimensioni della diocesi; la comunità parrocchiale e i problemi delle sue dimensioni ottimali e della partecipazione responsabile dei laici; altre forme di comunità locali, tradizionali o nuove; il rapporto tra singolo e comunità che dev’essere attento alle successive fasi di crescita cristiana delle singole persone e mirare alla loro maturità.
3.2. Lo statuto epistemologico della teologia pastorale
In forza del principio comunità, la teologia pastorale si costituisce come «teologia dell’attuazione vitale della Chiesa» (formula preferita rispetto a quella dell’Handbuch, perché ne evita le note critiche). Essa studia «come la rivelazione e la fede si attualizzano nella comunità di Gesù, che si costruisce sempre di nuovo nel futuro, animata dalla continua presenza dello Spirito di Dio e di Cristo».
Il suo punto di vista formale è il riferimento al «qui-ora» della comunità e, quindi, l’attuale congiuntura storica della Chiesa. Ciò è dovuto alla storicità della comunità di Gesù, destinata a realizzarsi sempre di nuovo nel susseguirsi delle diverse situazioni storiche. È quindi inaccettabile un’unilaterale concezione monofisita della Chiesa che ne considera unicamente la dimensione divina e ne disattende quella umana sottoposta al fluire della storia.
La situazione presente della Chiesa è interpretata col ricorso alla teologia del kairós: situazione interna alla Chiesa e sua collocazione nella storia contemporanea sono interpretate come momento storico-salvifico. Lo sviluppo metodico di tale kairologia prevede due momenti successivi: un’analisi interpretativa condotta dalle scienze umane (antropologia, psicologia, sociologia, critica ideologica e critica culturale), i cui risultati non sono direttamente riferibili alla vita della Chiesa, perché questa si situa in un ambito di fede che sfugge loro; un’interpretazione teologica di tali risultati condotta alla luce della rivelazione o della cosiddetta «dottrina dei principi». Così intesa, la kairologia abilita il credente e la comunità a valutare lo hic et nunc della Chiesa come suo concreto kairós e a individuare conseguenti linee di azione.
3.3. La teologia pastorale fondamentale
In forza del principio comunità, l’A. difende e giustifica la costituzione di una teologia pastorale fondamentale avente il compito di studiare «l’intera vita della Chiesa come essa deve realizzarsi qui-ora, con un dinamismo che la protende verso il futuro».
In base a tale principio, egli critica la frammentazione dispersiva delle molte discipline teologico-pastorali e la loro configurazione storica come scienze indipendenti. Ritiene carente sia la tripartizione della materia presieduta dal triplice ufficio di Cristo e della Chiesa, sia la bipartizione della teologia pastorale attinente il terzo ufficio inteso come cura della singola persona e cura della comunità, perché l’una e l’altra disattendono un discorso fondante e unificante offerto appunto dal principio comunità.
Concepisce la teologia pastorale fondamentale come disciplina avente il compito di studiare le problematiche comuni a tutte le discipline particolari, che di conseguenza devono riferirsi a essa come a imprescindibile presupposto. Essa sviluppa tre tematiche di fondo: una «dottrina dei principi» valevoli per tutti i settori della vita ecclesiale e ricavati dalla dogmatica oppure elaborati da essa se non disponibili: in pratica è la fondazione storico-salvifica e cristologico-ecclesiologica della teologia pastorale; una kairoiogia; la realizzazione della Chiesa nel suo insieme.
La teologia pastorale speciale tratta «quei settori della vita ecclesiale che per la loro speciale rilevanza o per il loro significato è bene sottoporre a una ricerca più particolareggiata», fino a costituire discipline a sé stanti nel quadro della teologia pastorale. La loro distinzione non risponde, quindi, a esigenze teoriche e non è comandata, in particolare, dal triplice ufficio; ubbidisce piuttosto a istanze concrete proprie di ogni epoca.
La presentazione che l’A. fa dei contenuti materiali della propria proposta privilegia lo studio dell’attuale struttura della Chiesa e mira a evidenziarne le auspicabili riforme. L’operazione è compiuta a più riprese e trova un ampio sviluppo nell’opera intitolata Comunità. Chiesa del futuro, in cui applica coerentemente la metodologia segnalata, avvalendosi di una vasta documentazione internazionale e producendo un discorso di tipo interdisciplinare.
3.4. Rilievi valutativi
La critica teologica ha valutato positivamente i seguenti aspetti della proposta del Klostermann: l’adozione del principio comunità formulato in base a una cristologia ed ecclesiologia critiche; la giustificazione teologica di una teologia pastorale fondamentale; la definizione di una kairologia; il vigore dell’analisi pastorale e l’audacia delle proposte di cambio ecclesiale; l’impiego di un approccio interdisciplinare.
Gli aspetti carenti o problematici, che per altro superano la proposta dell’A. e rispecchiano il momento teologico ed ecclesiale del postconcilio, riguardano questi argomenti: la non adeguata esplicitazione dei momenti in cui è ricostruito il principio comunità; il procedimento interpretativo del kairós che pare egemonizzato dalie esigenze dell’attuale aggiornamento strutturale; l’assunzione dei risultati delle scienze umane senza un’adeguata critica delle ideologie che le presiedono.
4. Teologia del cambio ecclesiale, secondo P.-A. Liégé
Pierre-André Liégé (1921-1979), professore di teologia pastorale all’istituto cattolico di Parigi, ha offerto un proprio contributo di valore allo sviluppo della teologia pastorale, specialmente nell’area di lingua francese.
4.1. Il concetto di teologia pastorale
Nei vari tentativi di definire il profilo e la metodologia della teologia pastorale, Liégé si rifà alla prassi pastorale vigente, nella quale rileva alcuni pericoli ricorrenti, che questa disciplina dovrebbe aiutare ad evitare: la pastorale selvaggia fatta di spontaneismo o di sperimentazione incontrollata; la pastorale tecnocratica dominata da esigenze organizzative e burocratiche; la pastorale di acritico adattamento alle tendenze socioculturali dominanti; la pastorale di conservazione attaccata a una prassi uniforme e ripetitiva, securizzante ma esposta a sterile immobilismo. Mette in evidenza le maggiori acquisizioni raggiunte dalla teologia pastorale recente e avallate autorevolmente dal Vaticano II. È critico di fronte a concezioni che riducono questa disciplina a «corollari pastorali» della dogmatica e della morale, oppure a «una teologia della pastorale: teologia esteriore all’agire ecclesiale a cui si degna di offrire i suoi principi teologici e su cui esercita il suo controllo di ortodossia». È pure critico di fronte a «una pastorale della teologia, incaricata di rendere questa disciplina meno astrusa e più digeribile», rendendola attenta all’esperienza cristiana ed ecclesiale, aperta alle questioni attuali, preoccupata che la verità cristiana sia a servizio della missione della Chiesa.
Assume questa definizione della teologia pastorale che ritiene condivisa e adatta a definirne l’identità, in quanto ne indica il carattere di conoscenza scientifica, la natura teologica, la qualifica pratica o pastorale, l’oggetto materiale e formale: «la disciplina teologica che offre un suo discorso specifico alla coscienza riflettente dell’agire ecclesiale nell’oggi del suo compiersi».
È consapevole che una teologia pastorale così concepita è finora attuata solo in modo frammentario; tuttavia, esso consente di legittimare lo statuto a cui essa aspira.
4.2. La concentrazione ecclesiologica e il vissuto ecclesiale
Egli giudica ormai assodato che la teologia pastorale ha come oggetto di riflessione la Chiesa, luogo in cui si realizza rincontro salvifico della persona umana con Dio e con Cristo, che costituiscono la realtà studiata dalla teologia.
Ciò che polarizza la riflessione pastorale è «l’oggi dell’esperienza ecclesiale» presa nella sua «globalità organica» comprendente pastori e fedeli, considerata «nel suo dinamismo» teso all’edificazione della comunità, considerata cioè nel suo agire (compreso in senso blondeliano come sintesi dell’essere, del volere e del pensare), luogo in cui si attua e si manifesta il mistero divino.
L’oggi della Chiesa, il vissuto ecclesiale è studiato dalla teologia pastorale non al fine di offrire ricette pratiche di adattamento, ma come luogo in cui è immanente dinamicamente la parola di Dio, «che l’atto teologico ha il compito di scrutare e riattualizzare», in modo che la coscienza ecclesiale sia adeguatamente orientata: la teologia pastorale è una prassiologia.
Così compresa, la teologia pastorale suppone una concezione ecclesiologica che va tematizzata attorno al rapporto tra «Chiesa eterna», comunità escatologica, perfetta, che esprime la comunione compiuta di tutti in Dio, e «Chiesa storica», che anticipa in modo germinale la comunità escatologica e tende verso il raggiungimento di tale meta mediante realizzazioni storiche parziali.
4.3. Funzioni e campo della teologia pastorale
Fra le molteplici funzioni della teologia (contemplativa e dossologica, apologetica, ermeneutica e critica, pratica...), la teologia pastorale rivendica per sé la funzione pratica, che l’A. articola in tre aree tra loro strettamente correlate: l’area criteriologica, l’area retrospettiva, e l’area prospettica o progettuale. A conclusione di varie riprese dell’argomento, sono proposti i seguenti criteri, cristologici i primi due e pentecostali gli altri: il criterio d’incarnazione o mediazione, che rimanda al Cristo risorto come realizzatore del piano salvifico divino; il criterio storico o di durata riguardante i condizionamenti storici dell’agire ecclesiale; il criterio comunitario, che propone la dialettica di persona e comunità all’interno del popolo di Dio; il criterio di cattolicità riguardante la necessaria apertura del messaggio cristiano alle culture; il criterio d’istituzione, che evidenzia l’insopprimibile componente istituzionale della Chiesa; il criterio di apostolicità o di tradizione, che sottolinea la continuità apostolica della dottrina e dell’autorità nella Chiesa; il criterio di unità di missione, che legittima la diversità e la convergenza di carismi e ministeri nella vita ecclesiale.
Tramite la sua funzione retrospettiva o di memoria, la teologia pastorale concentra l’attenzione critica sui condizionamenti storici dell’attuale esperienza ecclesiale e opera «una critica liberante nei confronti di un’eredità che spesso ritarda l’immaginazione». Le scelte pastorali del passato e, in particolare, le opzioni del tempo di cristianità sono analizzate criticamente e valutate in vista di una loro possibile assunzione oppure di un loro superamento nell’azione pastorale del presente. La funzione progettuale o creativa costituisce un momento tipico della teologia pastorale e ne fa una «teologia del cambio». L’attuazione metodica di tale funzione parte dalla precisazione del disagio nei confronti di «una prassi ereditata e contestata»; il traguardo finale è «una prassi riorientata e rinnovata». Il cammino tra i due estremi prevede una «spiegazione storica» dei fatti, attenta agli interrogativi e ai sospetti avanzati dalle scienze umane; una rivisitazione delle «fonti della fede», per ricavarne criteri teologici; «una rivalutazione pastorale» della situazione rilevata e un suo riorientamento verso mete operative e strategiche ridisegnate.
Collocata in questa prospettiva, la teologia pastorale «rivendica il diritto di ricoprire tutto il campo riguardante il progetto di Chiesa nel suo progressivo costruirsi, tutti i compiti che esso implica, tutte le istituzioni che mette in opera». E «siccome si è entrati in un’epoca in cui la teologia si presenta al plurale, sotto il segno della diversità e del cambio, occorre attendersi che la teologia pastorale si diversifichi da una regione all’altra della Chiesa e che sia minacciata di un invecchiamento quotidiano [...] Questo non significa però che la teologia pastorale di ieri sia oggi falsa. L’esperienza ecclesiale elevata a un livello critico e riflessivo in un momento storico è portatrice di una certa continuità».
4.4. Rapporti con le altre discipline
I suoi rapporti con altre discipline teologiche (dogmatica, morale, storia) sono di distinzione e di reciprocità, in ragione di un comune campo di ricerca e di differenti approcci e metodi specifici di ognuna di esse.
II suo ricorso alle scienze umane è indispensabile e avviene in tre momenti successivi: all’inizio per l’analisi del vissuto ecclesiale; nel proseguo per «transcodificare» le letture fatte da tali scienze con una lettura credente; al termine per produrre orientamenti dell’agire ecclesiale, che integrino l’oggi culturale. Le scienze umane non vanno considerate discipline «ausiliari» della teologia pastorale. Occorre piuttosto istituire fra loro una «integrazione» sul piano della ricerca e una distinzione di competenze a livello di risultati. Senza dubbio l’interpretazione ultima del vissuto ecclesiale si situa nell’orizzonte di fede, per cui è di competenza non delle scienze umane ma della teologia pastorale.
Il rapporto della filosofia con la teologia pastorale è meno decisivo di quanto lo è per la teologia sistematica. La teologia pastorale se ne avvale in maniera seria ma piuttosto eclettica, nel senso che essa è orientata di preferenza verso le filosofie dell’azione, della persona e della storia, perché più omogenee al suo progetto.
4.5. Annotazioni valutative
Benché disperso in numerosi contributi, il pensiero teologico-pastorale del Liégé lascia intravedere la sua struttura fondamentale criticamente sensibile alle istanze del periodo esaminato. Le sue proposizioni qualificanti
attinenti gli argomenti esposti consentono un’organizzazione ben fondata della teologia pastorale e l’adozione di un modello metodologico praticabile anche se parziale. Occorre tuttavia riconoscere che la proposta è per vari aspetti interlocutoria e si ferma allo stadio di suggestioni e intenzioni, giustificate ma non sviluppate e approfondite.
Ad ogni modo, va riconosciuto all’A. il merito di aver richiamato l’attenzione sul carattere ambizioso del profilo di teologia pastorale da lui delineato. A ragione egli può dichiarare che solo chi ha un’immagine povera di questa disciplina la può considerare una teologia declassata.
5. Riflessione pastorale come «interpretazione dell’esperienza»
Lina problematica in parte simile a quella dell’Handbuch e del Liégé, ma sviluppata in maniera originale, la si trova nella riflessione pastorale prodotta specialmente da M. Van Caster e da G. Ceriani.
5.1. La proposta di M. Van Caster
Il centro d’interesse della riflessione pastorale del Van Caster è costituito dall’«esperienza vissuta», dove esperienza indica una realtà inglobante l’intera esistenza della persona e, precisamente, «la realizzazione e integrazione di valori in una situazione personale attraverso la mediazione di alcune attività».
Ci si trova di fronte a un capovolgimento di prospettive. In effetti, l’esperienza non viene concepita «come applicazione pratica di una verità dottrinale o teorica o come prolungamento attuale di una realtà storica espressa nella Bibbia..., o come il quotidiano dove il mondo spirituale, celebrato nella liturgia, trova spazio di irraggiamento e di azione», ma appunto «come oggetto della riflessione cristiana», come esperienza «interpretata alla luce della fede».
Questo cambio di visuale è guidato dalla certezza di una divina presenza di rivelazione e di grazia nel quotidiano dell’esperienza umana. La teologia pastorale tende a evidenziare e a interpretare tale presenza in vista dell’elaborazione di orientamenti per l’azione. Lo fa lungo due direttrici distinte ma complementari.
La prima considera la vita vissuta come possibile portatrice di «valori», di cui vanno percepiti i significati al fine di una loro progressiva integrazione. «Si tende a precisare il senso immediato e il senso profondo (cioè il significato esplicitamente cristiano) di questo valore e si studiano le modalità attraverso cui può essere realizzato e integrato, nella doppia significatività, attraverso l’azione nelle diverse situazioni».
La seconda considera invece l’esperienza come luogo di possibili «appelli», che esigono determinate risposte di fede e d’impegno cristiano. «Si tratta di interpretare in modo umano e cristiano l’appello che nasce da questa situazione, per cogliere le modalità efficaci attraverso cui assumerla nel modo migliore, determinando per quali valori tale situazione costituisce una chance d’integrazione o una minaccia di scacco». L’interrogativo di fondo che ha sollevato questa corrente di riflessione pastorale riguarda il posto che occupano, in tale interpretazione dell’esperienza, i non-valori, i messaggi devianti, il male, il peccato strutturato, in breve, il mysterium iniquitatis.
5.2. La proposta di G. Ceriani
Chiamata a riflettere sull’«azione salvifica della Chiesa considerata nella sua contemporaneità alle condizioni umane in cui essa opera», la teologia pastorale ha, come «elemento caratteristico, la visione storica» e, in essa, «l’esperienza umana».
Pur senza collocarla tra le fonti della teologia pastorale, il Ceriani giudica tale esperienza come «uno dei segni dei tempi più vivamente sentiti oggi». La ricollega all’esperienza scientifica, morale, sociale, estetica, intesa come «coscienza che l’uomo possiede delle attività della vita totale e del loro significato unitario», e come «pensiero che ne scopre la struttura razionale, la logica dell’esistenza umana». Non si tratta, quindi, di un’esperienza soggettiva, individuale, ma di un dato oggettivo che definisce l’uomo nella sua essenzialità. Per questo richiede una sua comprensione e interpretazione cristiana ed ecclesiale. Il farlo è compito della teologia pastorale.
Compresa alla luce del mistero di Cristo, l’esperienza umana suggerisce un importante approccio pastorale, che permette di valorizzare tutto ciò che in ogni uomo c’è di positivo. In questo senso si parla di «metodo dell’immanenza» che spinge a realizzare la salvezza proprio all’interno dell’esperienza stessa, in quanto rivelativa di un mistero che supera l’uomo e completa l’uomo, se spiegata nel mistero di Cristo.
In questo ordine di idee, l’A. prospetta l’attuale orientarsi della teologia pastorale come teologia della storia d’oggi e come teologia dell’azione. E in questo si ricollega con altre correnti di pensiero.
6. Teologia pastorale e formazione clinica del pastore in campo europeo
La formazione clinica del pastore continua ad avere una vasta risonanza nella prassi pastorale nordamericana, meno nella sua riflessione teologica. In campo europeo questo movimento viene conosciuto attorno agli anni ’60 (R. Hostie, A. Godin) e il suo approdo ufficiale avviene prima in Olanda (W. Zijlstra, F. Haarsma, H. Andriessen) e successivamente in Germania (D. Stollberg, M. Klessmann, W. Becker, H. Harsch, H. J. Clinebell, J. Scharfenberg, H. Ch. Piper, Y. Spiegel) Inghilterra e Svezia con la creazione di centri di clinicalpastoral training. Negli ambienti protestanti è generalmente recepito, benché in modo critico.
Nei paesi a maggioranza cattolica viene introdotto in modo limitato e tra perplessità e difficoltà (Y. Saint-Arnaud, H. Faber, B. Giordano).
6.1. Il colloquio pastorale e l’itinerario formativo del pastore
L’abbondante letteratura europea in merito presenta i vari aspetti del colloquio pastorale: la problematica attinente il suo carattere «non direttivo; i suoi modelli, quindi, il colloquio centrato sul cliente oppure centrato sul consulente, oppure ispirato alla collaborazione; la consulenza individuale, quella di gruppo e quella che combina l’una e l’altra per raggiungere la persona nel «campo» di forze sociali da cui è condizionata e in cui interagisce; il procedimento e le tecniche di sperimentazione come lo «studio del caso», generalmente nel contatto diretto con una o più persone, oppure sulla base di un materiale già elaborato; gli atteggiamenti del consulente-pastore raggruppati attorno a due poli maggiori: «l’ascolto» inteso come funzione di accoglienza e «il consiglio» considerato come funzione di discernimento.
Tale letteratura descrive pure le componenti del l’itinerario formativo al colloquio pastorale. Il suo obiettivo è l’acquisizione non tanto di conoscenze teoriche (non escluse), quanto piuttosto di capacità operative. Il suo principio informatore è «l’imparare facendo», cioè il fare riflessione critica, psicologica e teologica, all’interno delle proprie esperienze pastorali. Oltre la clinica, il suo luogo d’attuazione è la comunità umana e cristiana. Tra i metodi di apprendimento e affinamento vengono applicati i seguenti: la discussione di un caso; l’analisi del colloquio sulla base della sua verbalizzazione (verbatim); la relazione sullo svolgimento di un caso (processonotes); il «giuoco dei ruoli» (role-playing), in cui il presentatore gioca il ruolo del cliente; la visita in due al cliente (dual calling); Tautosperimentazione della dinamica di gruppo. L’intervento del «supervisore» è ritenuto determinate: secondo i momenti del processo formativo, egli svolge il ruolo di ricercatore con gli studenti, di docente che offre informazioni, di osservatore, assistente e interprete del lavoro di gruppo. Il curricolo formativo può essere integrato da successive verifiche e da gruppi di studio dei casi giunti a conclusione (gruppi di Balint).
6.2. Comprensione europea della proposta nordamericana
La recezione europea ravvisa nella proposta teologico-pastorale nordamericana un’innovazione radicale: la teologia che questa propone le appare come teologia vivente, sperimentale, non facilmente integrabile nell’edificio teologico tradizionale; e la teologia pastorale da questa prospettata è vista come «teologia empirica», elaborata in riferimento non a un settore del sapere teologico, ma all’intera esperienza del pastore intesa come relazione interpersonale o come comunicazione, sicché risulta una «teologia in atto» (doing theology) prodotta nel farsi della consulenza pastorale.
La letteratura europea rileva le seguenti obiezioni mosse dalla teologia tradizionale a tale impostazione: l’assunzione massiccia dei metodi sociologici accompagnata da una carente giustificazione teologica delle proposte; la comprensione della fede come forza d’integrazione psichica e sociale; il primato riservato ai dati delle scienze della comunicazione interpersonale e gruppale rispetto all’elaborazione concettuale e all’aspetto dottrinale. Rileva pure i tentativi di legittimare teologicamente il programma: sono riconducibili ai seguenti asserti ispirati dalla teologia delle relazioni di Tillich.
Conformemente alla rivelazione biblica che si attua più in eventi che in enunciati dottrinali, l’autocomunicazione di Dio si iscrive nell’esperienza globale dell’uomo, per cui le relazioni interpersonali costituiscono i canali, imperfetti ma rilevanti, dell’amore salvifico divino. La fede non è adesione angosciosa a formule tramandate, ma capacità di parteciparsi agli altri sulla base di un’originaria fiducia. L’annuncio della rivelazione è partecipare sé stessi e il proprio amore agli altri, dato che nella relazione interpersonale si rivelano la grazia e il giudizio di Dio.
1 meccanismi di autodifesa e di rigetto che ostacolano una comunicazione autentica sono segni tipici della peccaminosità umana.
6.3. Piste di approfondimento teologico-pastorale
Nell’area europea emerge specialmente l’esigenza di conferire una più consistente fondazione teologica alla proposta nordamericana. Lo fa seguendo varie piste che concepiscono il colloquio pastorale come «luogo teologico».
Una prima pista (H. Ch. Piper) considera l’atteggiamento del pastore nella relazione di aiuto come traduzione moderna del «pure docere evangelium»; interpreta i limiti e le debolezze dell’operatore alla luce della «theologìa crucis»', comprende i processi interpersonali e gruppali come espressione del «mutuum colloquium et consolatio fratrum».
Una seconda pista (V. Làpple) mette in luce gli elementi di una «teologia implicita» nel colloquio pastorale, chiarendo come in esso confluiscono contenuti della tradizione cristiana e tecniche terapeutiche. Il rapporto tra psicologia e teologia qui implicato è di sua natura dialettico. Verità psicologica e verità teologica non sono due compartimenti stagni: occorre allora ripensare la verità psicologica su colui che è la verità, Gesù Cristo. Non è consentito alla teologia prescrivere norme alla psicologia. D’altra parte, è illusorio trasferire determinate conoscenze psicologiche intese come «pura prassi» nell’agire pastorale, perché alla loro base vi sono presupposti antropologici e teologici, che è compito della teologia esplicitare nella disputa con le scienze dell’uomo.
Una terza pista (D. Stollberg) critica la concezione di teologia sottesa all’obiezione di carente teologicità del programma clinico-pastorale: tale teologia elabora il suo sapere secondo le scienze dello spirito (filosofia, linguistica, scienze storiche) e disattende un più ampio orizzonte culturale offerto dalle scienze dell’azione. Difende una concezione della teologia capace di assumere, in una «visione di fede» la totalità delle prospettive culturali attuali. Per cui «ogni scienza può diventare disciplina teologica attraverso una “prospettiva teologica”». Fare teologia vuol dire, in conclusione, «accettare le scienze [del mondo profano e secolare] come scienze di Dio e in questo senso come teologia».
La teologia pratica si costituisce nel dialogo tra fede e scienze dell’azione. Il suo «testo» o ambito di ricerca è il «qui-ora» dell’uomo rapportato alla Chiesa. Ivi l’uomo è condizionato dalla memoria del passato (tradizione biblica e postbiblica) e dalle attese di fronte al futuro (proiezione), ma il suo «qui-ora» si manifesta in molteplici interazioni, specialmente sociali e politiche, nonché in una complessa dinamica intrapsichica. Compito fondamentale della teologia pratica è mediare l’esperienza e il diritto degli antenati da un lato (tradizione), l’esperienza e il diritto dei contemporanei dall’altro (situazione), e assumere insieme la responsabilità per un futuro più degno dell’uomo in senso cristiano (proiezione). Suo obiettivo è elaborare la norma di fede per il qui-ora umano ed ecclesiale. Suo criterio interpretativo è la «presenzialità» o «contemporaneità» della rivelazione divina (da non identificare con le sue fonti scritte del passato), che si realizza sempre di nuovo nella situazione di dialogo, nella comunità in cui la comunione evangelica si esprime in comunicazione (Mt 18,19s). Per la teologia pastorale, la rivelazione di Dio «si schiude qui-ora, certamente anche nell’incontro di testi e tradizione con noi qui-ora, ma precisamente con noi (scienze umane) qui-ora (scienze empiriche)».
7. Teologia pratica come «scienza dell’azione»
Una corrente di pensiero che, a partire dagli anni ’70, riscuote ampi e crescenti consensi definisce la teologia pratica come «scienza dell’azione».
Si presentano qui alcune sue configurazioni maggiori espresse in campo cattolico e nel dialogo interconfessionale.
7.1. Configurazione «prasseologica»
Un primo abbozzo è quello del pastoralista canadese Marcel Lefèbvre, che riprende e sviluppa suggestioni del Liégé nella linea della recente prassiologia.
Questa si snoda lungo tre direzioni: l’analisi degli elementi dell’azione; il cammino dell’azione; i fattori costitutivi di un’azione collettiva.
Utilizzando i risultati di tale tipo di ricerca, l’A. ritiene che ogni azione ecclesiale possa essere studiata nei seguenti suoi elementi costitutivi: un obiettivo semplice o complesso da raggiungere; la traiettoria che l’azione pastorale deve compiere per raggiungerlo; il controllo dell’obiettivo lungo la traiettoria al fine di verificare se viene perseguito; lo studio dei mezzi e dei metodi richiesti per eseguire l’azione programmata; la delimitazione dei mezzi per recepire le informazioni sull’andamento dell’azione; le decisioni da prendere nelle diverse fasi esecutive.
Circa l’azione collettiva come è quella pastorale, segnala i vantaggi che ad essa potrebbero derivare dall’applicazione delle metodologie introdotte dall’Organization Development, le quali mirano a garantire, assieme all’efficienza dell’azione, anche la valorizzazione delle persone interessate alla sua realizzazione, coinvolgendole in un movimento di compartecipazione e corresponsabilità.
Infine affronta il tema dell’interdisciplinarità nell’azione e nella riflessione pastorale: ne giustifica l’adozione; ne prospetta i vari modelli di attuazione con i loro limiti e problemi; ne individua le possibilità e le condizioni di realizzazione; solleva la questione dell’interfecondazione tra ricerca e azione, la cui positiva soluzione apre promettenti prospettive tanto alla prassi ecclesiale quanto alla riflessione teologico-pastorale.
7.2. Configurazione in un sistema di «autoregolazione»
La configurazione più esplicita e condivisa è quella proposta da Rudolf Zerfass, che fa sua l’impostazione dell’Hiltner e la rielabora come possibile alternativa a quella dell’Handbuch.
In analogia con le scienze dell’azione (sociologia, psicologia, pedagogia, politologia, scienze economiche e della comunicazione), la teologia pratica si concentra sull’attuale agire umano, come dato verificabile, considerato nella sua dimensione religiosa (esperienza del contingente) e nelle sue manifestazioni concrete e istituzionalizzate: è la prassi religiosa, cristiana ed ecclesiale compresa in senso molto vasto comprendente ad es. la parola, il silenzio, la preghiera...
Essa solleva i più radicali interrogativi teologici rispondenti alle dimensioni elementari di tale prassi: la soggettività (centralità della persona che agisce e interagisce), l’intersoggettività (ogni azione umana è sempre orientata all’agire di altre persone), la storicità (ogni agire umano è sempre basato su precedenti scelte umane e spazio di libera decisione). Di conseguenza affronta ad es. i problemi concernenti il progresso, le fasi di maturazione, i conflitti e i modelli risolutivi, i compromessi, le ideologie, le strutture e istituzioni, i processi decisionali, la pianificazione e il controllo.
Dovendo non tanto definire quale prassi vada rilevata (quella clericale, quella cristiana, quella ecclesiale, quella religiosa), quanto piuttosto delimitare come tale prassi si modifichi e si sviluppi, ha il compito di elaborare modelli che consentano di analizzare e verificare scientificamente il divenire del cambio della prassi.
Per modello l’A. intende un sistema di segni e di rapporti che, per il numero di dati significativi collegati tra loro, corrisponde effettivamente alla realtà descritta. Egli propone un modello mutuato dalla cibernetica e costituito da tre grandezze: 1) la prassi data frutto della tradizione vigente e della problematica in essa emergente; 2) la prassi desiderata; 3) la teoria teologia pratica che media il passaggio dalla prassi data a quella progettata. Tale modello consente l’autoregolazione dell’azione ed è configurato nel modo seguente.
La riflessione teologia pratica parte, per definizione, da una determinata prassi religiosa cristiana ed ecclesiale che fa problema. La prima reazione dovrebbe essere quella di rifarsi alla tradizione vigente (comportamenti e regole obicttivati in formule di fede, nella dogmatica nella morale e nel diritto) che l’ha introdotta e che va riesaminata. Ne nasce così una situazione più o meno conflittuale che può essere rilevata in modo scientifico. Per poter agire, si rende necessario una risposta che aiuti a superare tale fase di disturbo e venga incontro alle nuove esigenze. Tale risposta va ricercata confrontando la tradizione vigente con i dati della situazione rilevata, perché questa non va accolta nella sua fattualità, ma va valutata criticamente alla luce appunto della tradizione vigente, a sua volta riesaminata. È questo il compito della teologia pratica. In questo modo essa pone in condizione non solo di offrire indicazioni operative per una nuova prassi, nella linea desiderata, ma anche di integrare i nuovi impulsi provenienti dalla situazione rilevata e di reinterpretare e riattualizzare i valori della tradizione vigente. Questa nuova prassi entra nel circuito di regolazione, per cui diventa, a sua volta, punto di partenza per il proseguo del processo conoscitivo, che è così mantenuto aperto e in movimento.
Essendo punto di contatto tra patrimonio normativo e dato fattuale, la teologia pratica assomma in sé dati teologici e dati delle scienze umane; sviluppa teorie di «media portata» distinte in quanto tali da asserti di altro valore con cui lavorano altre discipline teologiche; prospetta inoltre delle ipotesi che, come tali, vanno sottoposte a verifica nel corso del processo.
7.3. Configurazione in riferimento alla «prassi comunicativa»
Un altro tentativo, tra i più organici, è compiuto dal pastoralista Norbert Mette a conclusione di un’accurata ricognizione storica circa le numerose interpretazioni del rapporto teoria-prassi nella teologia pratica. Prende l’avvio da alcune annotazioni preliminari e poggia su alcune tesi generali.
Per ovviare a imprecisioni, confusioni e ambiguità è indispensabile premettere alla riflessione teologia pratica una rigorosa delimitazione dei concetti e linguaggi utilizzati, attese la diversità dei contesti culturali e delle matrici scientifiche in cui sono prodotti: concezioni filosofiche, antropologiche, psicologiche, sociologiche... È imprescindibile inoltre precisare, già nell’ambito dell’epistemologia scientifica, la validità degli strumenti di pensiero che vengono assunti.
Poste queste premesse, l’A. ritiene (ed è una prima tesi) che la teologia pratica vada collocata nel contesto di una teologia intesa, nel suo insieme, come scienza empirica o prassica. Una teologia, quindi, consapevole del fatto che la fede ha sempre a che fare con una prassi storica e sociale, per cui si configura come riflessione scientifica vitalmente innervata in tale prassi.
La teologia pratica va definita inoltre (ed è una seconda tesi) nel quadro di una teologia fondamentale che studia la struttura dell’agire cristiano in base a una teoria della «prassi comunicativa» ovvero dell’interazione tra le persone, il che consente di impostare in modo unitario l’intera riflessione teologica. Di conseguenza «la teologia pratica va concepita come un 'esplicita teoria teologica dell’azione comunicativa».
Il suo campo di ricerca è, conseguentemente, assai vasto. Comprende non solo i settori istituzionalizzati dell’agire cristiano ed ecclesiale, ma anche tutte le forme di comunicazione umana tese alla ricerca di solidarietà, di sostegno e di senso per la propria esistenza, individuale e collettiva, di fronte agli interrogativi sollevati da ogni epoca storica. Deve configurarsi come teologia politica (ci si riferisce a Metz). Inoltre, superando i limiti di una teologia pratica strettamente connessa con l’ecclesiologia (studio dell’autorealizzazione o dell’edificazione della Chiesa...), deve interessarsi delle realizzazioni umane qualificate come obiettivazioni «anonime» del cristianesimo (ci si riferisce a K. Rahner e alle tesi del Pannenberg).
Essa affronta tale problematica in una prospettiva non di legittimazione ideologica, ma di emancipazione evangelica: il suo sapere è diretto a eliminare situazioni, causa di sofferenza fisica e sociale e di illiberalità per gli uomini, e a anticipare condizioni di «vita vera» offrendo possibilità di realizzare i modi elementari di comunicazione ordinaria senza restrizioni.
Una teologia pratica cosi concepita consente di comprendere e attuare il rapporto teoria-prassi all’interno di una prassi comunicativa: l’elaborazione di un contenuto teologico è connessa con la realizzazione di una maniera elementare di agire comunicativo e lo fonda. Consente inoltre una più adeguata prospettiva per la formazione del pastore: la colloca nel contesto di una prassi comunicativa tra i vari soggetti dell’agire cristiano (fedeli e collaboratori) e le assegna come obiettivo non la semplice acquisizione di un sapere da applicare alla prassi (superamento di una teologia pratica applicativa), ma l’abilitazione a un «mutato comportamento comunicativo».
A tale scopo essa mette in questione il valore delle norme che reggono la comune intesa e l’agire comune, e favorisce il crearsi di un accordo circa nuove possibilità e orientamenti operativi. In tale modo essa si configura come elaborazione teorica e critica dei processi diretti alla preparazione della decisione e alla formazione del consenso. Nei confronti poi delle molteplici forme di comunicazione distorta, svolge un ruolo terapeutico e di denuncia, e favorisce l’avvio di processi di comunicazione sana e riuscita.
Posto questa sua configurazione, il suo necessario ricorso a metodi empirici e analitici (specialmente sociologici) non deve escludere la dimensione ermeneutica del pensiero e la connessa ricerca di senso per i soggetti della sua riflessione (ci si riferisce alle istanze del Pannenberg).
Il comune riferimento della teologia pratica e delle altre scienze dell’azione all’evento della comunicazione umana fonda, in definitiva, l’esigenza della loro cooperazione e giustifica la connotazione della teologia pratica come scienza dell’azione. Ma ciò non significa che la problematica dell’interdisciplinarità sia risolta: resta piuttosto uno dei problemi più gravi di questa disciplina.
7.4. Configurazione centrata su una criteriologia e una kairologia
Un altro abbozzo è proposto dal pastoralista viennese Paul M. Zulehner, che mira a delimitare l’orizzonte metodologico e contenutistico, in cui definire una teologia pastorale fondamentale destinata a informare tutte le altre discipline pastorali speciali.
L’A. parte dalla costatazione che nella prassi cristiana ed ecclesiale è sempre immanente una specie di «teologia pratica quotidiana» cioè una «teoria» più o meno riflessa. La teologia pratica ne è l’elaborazione scientifica: in effetti, essa «sviluppa una teoria teologica e scientifica della prassi credente ed ecclesiale ereditata dalla storia di ieri, oggi vigente e protesa verso il futuro». È coinvolta nel fluire storico di tale prassi e ne è la coscienza critica e profetica. Studia la prassi religiosa intraecclesiale ed extraecclesiale nel suo duplice aspetto di evento e di istituzione. Lo fa in dialogo costante con coloro che in essa hanno specifiche responsabilità decisionali.
Un suo primo tema imprescindibile è costituito dalla criteriologia intesa come dottrina diretta a accertare gli obiettivi, principali e secondari, inerenti alla prassi ecclesiale. Gli obiettivi principali sono collegati alla prassi di Gesù riguardante il regno, compreso come gratuita offerta di vita per l’uomo, e la configurazione della Chiesa secondo il «principio comunità». Gli obiettivi secondari concernono i vari modi con cui la tradizione si istituzionalizza, la religiosità popolare, i desideri umani primari: avere un nome e una reputazione, disporre di un potere e essere liberi, possedere beni materiali. Rispetto agli obiettivi sono ambivalenti, perché li possono concretizzare ma anche ostacolare.
Un secondo tema imprescindibile è costituito dalla kairologia cioè dalla riflessione teologica volta a accertare la situazione di salvezza o di non salvezza in cui è inserita la prassi credente ed ecclesiale. Dal punto di vista metodologico ciò comporta un inevitabile dialogo interdisciplinare, articolato in modo che a una prima riflessione sociologica attinente il rapporto individuo-religione-società-Chiesa faccia seguito una seconda riflessione specificamente teologico-pastorale.
La kairologia fa comprendere che il cambio è un destino permanente della Chiesa. La teologia pratica ha il compito di sviluppare una teoria della prassi di cambio, che può avvenire secondo due opzioni: la creazione di Chiese parallele, con iniziative promosse dall’alto o dal basso; oppure la messa in opera di una riforma ecclesiale nella linea aperta dal Vaticano IL
8. Sviluppi della recente teologia pratica evangelica
Durante l’ultimo ventennio, in ambiente evangelico europeo, la teologia pratica (formula preferita a quella di «teologia pastorale») rispecchia un mutato contesto culturale ed ecclesiale ed è caratterizzata dall’impiego del metodo empirico-critico e dal ricorso alla formulazione di teorie, ipotesi e modelli.
8.1. Il mutato contesto sociale ed ecclesiale
Nel periodo indicato, la teologia pratica supera ormai i confini confessionali, diventa interconfessionale o ecumenica. Il forte sviluppo delle scienze sociali e la riforma degli studi universitari allargata a quelli teologici conducono a una rinnovata concezione della teologia in generale come scienza empirica o prassica e della teologia pratica come «scienza dell’azione».
Il tema del rapporto tra teoria e prassi vi diventa centrale e pregiudiziale. La sua soluzione è guidata da tre distinte concezioni di scienza. La prima, di tipo riformistico e rivelatasi perdente, cerca di recuperare la concezione umanistica prima e idealistico-romantica poi di scienza intesa come elaborazione di «teoria» e della sua «applicazione pratica». La seconda, qualificata come «funzionalista», vuole superare tale impostazione. Per essa la scienza è lavoro spirituale in cui interagisce teoria e prassi; scienza non è soltanto cambio di coscienza, ma anche cambio del mondo; non è solo contemplazione, ma anche produzione, «sostanza dell’agire pratico». La terza, connotata come «critico-progressista» (scuola di Francoforte), considera il lavoro scientifico come fattore dell’umanizzazione della società, perché teso a mutare in modo «pratico-critico» i rapporti sociali stabiliti, in vista di un’autoliberazione dell’uomo.
8.2. Critica del metodo storico-critico e necessità del metodo empirico-critico
La teologia evangelica (W. Herrmann, G. Lauter, G. Krause) innesta questi fermenti nella propria problematica. Su un versante riconosce gli apporti positivi del metodo storico-critico, preminente nella letteratura teologica, ma ne evidenzia pure i limiti. Esso è legato allo studio e all’interpretazione dei «documenti» del passato e mira a stabilirne l’attendibilità storica e a coglierne in modo critico il messaggio o il significato. Il suo ricorso alle fonti storiche consente una revisione critica degli asserti biblici e dogmatici, in quanto vengono riferiti al loro contesto storico, e ciò è positivo. Ma tale ricorso non riesce da solo a sottrarre la teologia nel suo insieme da una certa storicizzazione, che tende a privilegiare e ad assolutizzare la storia e il passato a scapito del presente e del futuro. Su un altro versante mette in risalto l’esigenza d’introdurre in teologia il metodo empirico-critico, legato all’analisi e all’interpretazione critiche di eventi o prassi o attività. Esso consente di vagliare scientificamente teologia e Chiesa in rapporto alla loro situazione attuale e ai problemi che si pongono nel presente ecclesiale. L’orizzonte in cui va compresa oggi la teologia non è il passato e il testo, ma piuttosto il futuro di teologia-Chiesa e società, in quanto la parola di Dio non coincide immediatamente con il testo biblico che ne è una conseguenza, ma si esprime pure, a pari titolo, nella cristianità attuale e nel suo futuro.
A livello di organizzazione dello studio teologico, tutto questo sfocia nella critica al modello «dal testo alla predica», proprio della teologia barthiana e della teologia kerigmatica: esso concepisce la prassi come semplice luogo di applicazione della teoria elaborata dall’esegesi biblica, dall’interpretazione storico-critica e dalla riflessione sistematico-normativa.
Il modello alternativo proposto va «dalla prassi alla teoria» in vista di una prassi migliore: parte (nel caso esemplare della predica) dalla predicazione attuale e ne evidenzia i presupposti biblici, sistematico-normativi, teologico-pratici e pastorali-psicologici. In tale modo apre la via all’autocritica il cui luogo proprio è il dialogo nella comunità. In questa direzione si cerca di rispondere all’interrogativo di fondo: come comunicare la fede oggi di fronte all’incapacità della predicazione e della catechesi di inserirsi nei circuiti del comunicare umano.
8.3. Il ricorso a formulazioni di teorie e di modelli
In questo contesto emerge l’esigenza di elaborare la teologia pratica come scienza dell’azione, recependo i risultati specialmente delle scienze sociali (G. Krause, D. Ròssler, Y. Spiegel, H.-D. Bastian).
Si chiariscono progressivamente i concetti chiave «azione», «prassi», «empeiria»: essi indicano non la sola attività produttiva, ma anche un agire di tipo contemplativo; riguardano non soltanto la prassi dei pastori o della Chiesa, ma il più vasto fenomeno della religione.
Si approfondisce il concetto di teoria: essa è un sistema di conoscenze, aperto alla recenzione di nuovi dati, necessario in rapporto a determinate regole, ma in situazione di nonsapere circa l’agire ecclesiale, che va superato con l’ausilio appunto di tale strumento conoscitivo.
Accanto a proposizioni dogmatiche assiomatiche che esprimono i valori permanenti della rivelazione e della tradizione cristiana, si fa spazio a proposizioni ipotetiche, che sono parziali, relative, provvisorie in quanto cercano di rilevare e interpretare il presente contingente e mutevole della prassi religiosa, cristiana ed ecclesiale.
Si elaborano pure dei modelli compresi come insieme idealizzato di fattori della realtà, atti a rilevarla e a guidarne il cambio. Il modello privilegiato è quello cibernetico: tra l’homo sapiens (il teologo) e l'homo faber (l’operatore ecclesiale) la teologia pratica introduce l’homo ludens, il pastoralista che creando modelli di agire ecclesiale svolge il ruolo di regolatore e guida della prassi ecclesiale.
Teorie, ipotesi e modelli sono elaborati in riferimento alla prassi religiosa da migliorare, ed è in in questo modo che divengono riflessione teologico-pratica. Le principali teorie proposte sono le seguenti.
La teoria funzionale di K. W. Dahm, secondo cui la religione è variamente innervata nel tessuto sociale e vi assolve un ruolo emancipatorio. Per l’individuo essa costituisce un vincolo con concezioni di valore e di significato, ne facilita l’apprendimento e ne rafforza le motivazioni. In rapporto alla società, essa favorisce lo sviluppo e la trasformazione di tali concezioni, sostiene i processi di socializzazione e promuove l’elaborazione di nuove costellazioni di valori e di significati, rispondenti ai mutevoli bisogni dei suoi membri. La Chiesa, a sua volta, è funzionale nei confronti della società in quanto è coinvolta con altri gruppi sociali, con le loro funzioni e i loro interessi, e riveste un significato per la convivenza umana; inoltre in quanto è orientata a precisi compiti religiosi e di mediazione sociale e culturale in momenti di crisi e di conflitto.
La teoria critica della prassi mediata religiosamente nella società di Gert Otto. Secondo questo pastoralista che si ispira alla scuola di Francoforte, la teologia pratica in quanto «teoria critica» si prefigge di evidenziare le potenzialità dell’uomo e di creare un mondo in cui le forze ed esigenze umane siano soddisfatte, e ciò tramite non un semplice miglioramento delle conoscenze, ma specialmente attraverso l’emancipazione e la liberazione da ogni forma di oppressione. In quanto teoria critica «della prassi mediata religiosamente nella società», la teologia pratica produce un’analisi critica di tutte le manifestazioni che hanno una motivazione religiosa. Come tale, non può rinchiudersi negli schemi tradizionali dei servizi ecclesiali o mirare a costruire un nuovo sistema; deve piuttosto tendere a rinnovare in continuità il campo di ricerca, in modo da essere in grado di offrire sempre nuove possibilità di correttura e ristrutturazione nel campo della religione, della Chiesa e della società.
La teoria della prassi del vangelo attraverso la Chiesa nella società di M. Jossutis, che denuncia il carattere selettivo e riduttivo di movimenti culturali che producono un’interpretazione del vangelo in categorie o solo religiose o solo politiche, e tenta di superare tali alternative, focalizzando la dimensione tanto religiosa quanto politica del vangelo e, quindi, della missione della Chiesa.
La teoria del ministero del pastore (W. Neidhart, W. Steck) che riafferma l’indiscusso significato che può assumere, accanto a una teologia pratica scientifica sviluppata secondo i progetti finora descritti, una teologia pastorale rinnovata, che si prenda carico della problematica specifica del pastore d’anime e della sua formazione professionale.
La teoria del cristianesimo contemporaneo di D. Ròssler, volta a valutare, alla luce dei dati fondamentali della tradizione cristiana e dell’odierna esperienza religiosa ed ecclesiale, le responsabilità attuali in ordine alla configurazione del volto cristiano della Chiesa oggi e, in essa, della vita dei cristiani.
9. Teologia pastorale nel contesto delle teologie della liberazione
Nel quadro della teologia pastorale come scienza della prassi merita una particolare considerazione la recente letteratura latino-americana ispirata dalle varie teologie della liberazione. Prese nel loro insieme queste non sono ancora teologie pratiche comprese nel senso delle recenti correnti europee; sono prevalentemente teologie empiriche o prussiche, perché si prefiggono di elaborare il messaggio cristiano a partire dalla prassi cristiana ed ecclesiale al fine di illuminarla, accompagnarla e orientarla.
Tuttavia alcuni autori sviluppano una riflessione teologica attinente la pastorale o l’evangelizzazione liberatrice non soltanto per offrirne una comprensione dottrinale (compito sicuramente basilare), ma anche per indicare come essa vada attuata. In concreto, essi valutano, alla luce del Vangelo riletto e reinterpretato nella prassi storica liberatrice, le opzioni pastorali emergenti dalla realtà latino-americana, e segnalano le linee di azione per un efficace e credibile impegno cristiano ed ecclesiale di liberazione.
9.1. Modelli di azione pastorale
La loro riflessione teologia pastorale fa riferimento a distinti modelli di azione ecclesiale o pastorale presenti nel continente, e ai corrispondenti distinti modelli di Chiesa: gli uni e gli altri considerati come strettamente collegati a differenti comprensioni della realtà socio-economica, politico-culturale e religioso-ecclesiale latino-americana, con speciale riferimento al cattolicesimo popolare. Gustavo Gutierrez identifica quattro modelli di azione pastorale rilevabili nel continente e dipendenti, in larga parte, da analoghi modelli europei:
— la pastorale di cristianità corrispondente a una Chiesa di cristianità, solidamente collaudata dall’esperienza plurisecolare del cattolicesimo uscito dalla riforma tridentina e tuttora maggioritaria;
— la pastorale di nuova cristianità attuata da settori di cattolici, i quali di fronte alle istanze di autonomia del temporale e al processo di scristianizzazione del mondo moderno si prefiggono, tramite un laicato specializzato e militante, di dar vita a una nuova «cristianità profana», distinta da quella precedente sacrale e clericale;
— la pastorale della maturità della fede postulata dal fenomeno della secolarizzazione impostosi nel primo mondo e presente pure nel continente;
— la pastorale profetica di solidarietà con i poveri nella linea promossa dal Vaticano II e dall’assemblea episcopale di Medellin (1968): è detta anche pastorale liberatrice e ad essa vanno le preferenze dell’A.
Muovendosi in questa stessa prospettiva di fondo, Segundo Galilea ravvisa nella pastorale liberatrice il punto di confluenza tra pastorale estensiva e pastorale intensiva, due tipi di pastorale che hanno caratterizzato le Chiese latino-americane tra il 1930 e il 1970.
La pastorale estensiva è condizionata da una società tradizionale, rurale, stabile, ed è espressione di una Chiesa patrimonio del clero e coestensiva alla società qualificata come cristiana. È una pastorale di cristianità prevalentemente indirizzata a conservare la pratica religiosa e la coscienza cattolica della società; è quindi impegnata preponderantemente non nell’evangelizzazione, ma nella sacramentalizzazione; è segnata da un atteggiamento conformista e sovente parassita nei confronti di una religiosità popolare fatta di devozionalismo ritualista; è palesemente o inconsapevolmente allineata col potere civile ritenuto garante di una situazione generalizzata di cristianità e di tutte le istituzioni educative, assistenziali, culturali che ciò comporta. A partire dagli anni ’30 manifesta progressivamente le sue carenze e risulta inadeguata nell’affrontare le nuove sfide.
La pastorale intensiva sorge e si sviluppa in tale congiuntura. È condizionata da una società segnata da questi fenomeni: l’industrializzazione che dà vita a un incipiente proletariato e pone la questione sociale; l’urbanizzazione che provoca la decadenza della cultura rurale e crea masse emarginate e disgregate; la crescente secolarizzazione che è accompagnata dalla politicizzazione; la democratizzazione che stimola le aspirazioni popolari all’uguaglianza e alla partecipazione organizzata. Tale pastorale è espressione di una Chiesa missionaria, fatta di élite e di diaspora impegnata nella realtà socio-politica e culturale. È apertamente ispirata dalla riflessione teologia pastorale francese e in parte tedesca degli anni ’50. Attraverso l’azione cattolica ed altri movimenti, mira a formare un laicato specializzato e militante; accentua l’evangelizzazione dell’ambiente; è critica nei confronti del cattolicesimo popolare; tende a mutare l’atteggiamento socio-politico delle Chiese del continente e a renderle indipendenti dal potere politico; è interessata a proporre valori piuttosto che modelli di comportamento; è impegnata più a formare la coscienza sociale che a promuovere opere assistenziali; è una pastorale profetica che annuncia il vangelo e denuncia le situazioni disumanizzanti. Nel suo cammino pluridecennale incontra resistenze e viene accusata di elitismo, di allontanare la Chiesa dalle masse, di deprezzare il cattolicesimo popolare.
9.2. Pastorale o evangelizzazione liberatrice
Attorno agli anni ’70, con raffermarsi della tematica della liberazione, questi due modelli vengono ormai compresi nella visuale di un’unica pastorale liberatrice e dell’unitario processo di evangelizzazione che va dalla testimonianza e dall’annuncio alla celebrazione cultica e all’impegno nel sociale, nel politico e nel culturale.
È un’evangelizzazione che, nel continente, viene qualificata come liberatrice, perché formula il messaggio cristiano come risposta alle attese liberatrici dei popoli latino-americani, perché nella sua metodologia concreta fa costante riferimento ai loro sforzi di liberazione: li assume come punto di partenza essendo sforzi ispirati dalla fede, li accompagna nel loro cammino per sostenerli, verificarli e purificarli, li orienta alla realizzazione di un progetto di società e di Chiesa più umani e fraterni. È un’evangelizzazione liberatrice di sua natura, perché animata da una fede impegnata che permea tutte le espressioni dell’azione pastorale.
Per la conoscenza della situazione pastorale delle Chiese, ci si avvale di tutte le risorse delle scienze storiche e sociali: l’esigenza di un approccio pluridisciplinare e scientifico alla completa realtà del continente, come presupposto indispensabile per impostare un’evangelizzazione liberatrice valida, è molto rimarcato da vari autori.
Quanto agli imperativi pastorali, è assai evidenziato l’impegno cristiano ed ecclesiale di solidarietà con le classi popolari, di liberazione dalla violenza istituzionalizzata e da una cultura alienante od oppressiva; è molto sottolineata la funzione critica e profetica di denuncia dell’ingiustizia e di annuncio della fraternità; viene valorizzata una liturgia stimolatrice di una fede che animi la prassi liberatrice socio-politica; viene promossa un’azione pastorale che aiuti le comunità cristiane ad assumere le proprie responsabilità nella liberazione dell’uomo latino-americano e nella costruzione di società più giuste e fraterne.
Nell’ambito di questo comune orizzonte, le varie correnti di teologia della liberazione propongono differenti letture e scelte pastorali. Alcune élites (H. Assmann) si appellano alla ragione progressita illuministica nella linea del neo-liberalismo sviluppistico e, inoltre, alla ragione critico-dialettica marxista che ha promosso una prassi rivoluzionaria. Accentuano'la critica etico-politica e acutizzano il conflitto. Altre correnti maggioritarie (G. Gutierrez, L. Boff, L. Gera, J. C. Scannone) sono più attente al significato liberatorio dei simboli religiosi e della fede dei popoli latino-americani; assieme all’analisi socio-analitica sviluppano pure una ricerca storico-culturale; accentuano l’esigenza della riconciliazione.
La pastorale popolare è anch’essa interpretata diversamente. Per chi intende il popolo come classe sociale dei poveri emarginati in senso socio-economico e politico-culturale, essa è «evangelizzazione dei poveri, partendo dai poveri». Per chi, invece, considera il popolo come soggetto collettivo di un’esperienza storica, con una cultura indigena, una religiosità propria, una mentalità peculiare, una lingua differenziata e un destino comune, essa è «evangelizzazione della cultura di un popolo».
La pastorale intensiva, la quale trova nuova vitalità nelle comunità ecclesiali di base, assume anch’essa due distinti orientamenti. Alcune comunità insistono di più sull’aspetto comunitario e mettono a fuoco l’azione ad intra della Chiesa: la vicinanza, la fraternità, l’ascolto della parola, l’aiuto vicendevole, la preghiera... Altre, invece, accentuano maggiormente l’aspetto «di base» e tendono a dare più importanza alla funzione ad extra della Chiesa: l’impegno politico, la preoccupazione per le strutture, le manifestazioni esterne, una fede liberatrice nel pubblico, la comunione critica con la Chiesa istituzionale.
9.3. Il dibattito teologico-pastorale attorno a Puebla
Nell’ultimo decennio, la teologia pastorale ispirata dalle teologie della liberazione si concentra quasi esclusivamente attorno all’evento Puebla (1979). Il tema della missione evangelizzatrice è motivo di tensione e di discussione prima durante e dopo questa terza conferenza dell’episcopato latino-americano. Le posizioni che si fronteggiano sono, in sostanza le seguenti.
La posizione di coloro che identificano la missione storica della Chiesa con l’evangelizzazione della cultura e, in particolare, della religiosità popolare. Per l’analisi della realtà si avvale del metodo storico-antropologico e culturale, giudicato più globale e comprensivo rispetto a quello sociologico. L’ecclesiologia invocata è, in larga parte, quella contenuta nel simbolo apostolico. Rivela un’accentuata preoccupazione per l’ortodossia. Criticati il capitalismo e il collettivismo per il loro carattere secolarista, propone, come progetto pastorale, la creazione di una società nuova, impregnata di valori evangelici e la configurazione cristiana della cultura. Enfatizza l’identità della missione ecclesiale di fronte a possibili rischi di ridurla a compiti temporali, socio-politici.
La posizione di coloro che identificano la missione storica della Chiesa con l’evangelizzazione liberatrice a partire dai poveri. Per l’analisi della realtà ricorre in modo particolare alla teoria della dipendenza. La sua comprensione ecclesiologia è quella di una Chiesa profetica e missionaria, segno e strumento di liberazione nella prospettiva del regno di Dio, una Chiesa che dà la priorità all’azione pastorale a favore della giustizia e di difesa dei diritti dei poveri e degli emarginati. Ciò che ne caratterizza il progetto pastorale è l’inserimento storico della Chiesa nella prassi liberatrice in atto in vari contesti sociali, politici e culturali del continente.
La posizione che identifica la missione storica della Chiesa con l’evangelizzazione per la comunione e la partecipazione al fine di superare situazioni conflittuali. Allarga da un punto di vista teologico e pastorale la proposta dell’evangelizzazione della cultura, sottolineando i valori di comunione e partecipazione. Alla sua base vi è l’ecclesiologia di comunione proposta dalla Lumen Gentium. Il progetto pastorale proposto è volto a promuovere la comunione e la partecipazione a tutti i livelli tanto ecclesiali che civili. È preoccupata di definire più la vita intraecclesiale che non la missione storica della Chiesa nella realtà concreta latino-americana. Tale missione è demandata, in certo modo, all’impegno etico di ogni cristiano, rettamente orientato dalla dottrina sociale della Chiesa. Critica i sistemi e le ideologie dominanti nel continente, ma in concreto offre linee programmatiche piuttosto generali e astratte. Nonostante lo sforzo compiuto a Puebla per integrare queste posizioni, nel dopo-Puebla, di fatto queste si fronteggiano nuovamente all’atto di interpretare i documenti definitivi di tale conferenza.
In effetti, ognuna di esse ritiene che la propria proposta pastorale sia quella centrale e preminente nei testi approvati, rispetto alle altre che, quindi, andrebbero subordinate o integrate in essa.
9.4. Rilievi valutativi
È non solo difficile e rischioso, ma prematuro e pressoché impossibile offrire una valutazione complessiva e critica di questo movimento vivo e ancora in pieno processo di creazione.
Al di là delle note e autorevoli critiche mosse a non poche delle sue impostazioni teologiche, vanno segnalati i seguenti apporti illuminanti: l’aver tentato di impostare una teologia nel suo complesso «prassica» o empirica, in quanto prende l’avvio dalla prassi ecclesiale, si prefigge di illuminarla e orientarla; inoltre l’aver cercato di integrare in essa una riflessione teologia pastorale o teologia pratica in senso specifico; in tal modo ha per lo meno tentato di superare il divario, ripetutamente deprecato nel corso della storia della teologia pastorale o teologia pratica, tra teologia storica e sistematica da una parte e teologìa pastorale o pratica dall’altra.
A questo riguardo, però, i teologi della liberazione, pur offrendo indicazioni pertinenti, non tematizzano ancora in modo rigoroso una teologia pastorale o teologia pratica concepita nel senso proposto dalla recente e qualificata letteratura cattolica ed evangelica, la quale configura questa disciplina come teoria teologica circa le regole o le modalità di miglioramento della prassi religiosa, cristiana ed ecclesiale.
Bibliografia
Midali Mario, Teologia pastorale o pratica. Cammino storico di una riflessione fondante e scientifica, LAS, Roma 1985. Inoltre la bibliografia indicata sopra alla voce teologia pastorale.