TAGORE Rabindranath

 

TAGORE Rabindranath

n. a Calcutta nel 1861 - m. ivi nel 1941, filosofo, poeta, scrittore ed educatore indiano.

1. È considerato una delle più grandi personalità dell’India contemporanea. Nella scuola non gli piacquero le discipline e le restrizioni sulla libertà. Nel 1901 fondò la scuola di​​ Shanti-Niketan​​ e si dedicò intensamente all’attività letteraria, educativa e politica. T. ha scritto migliaia di poesie, romanzi, novelle, opere drammatiche, filosofiche e socio-politiche, e altri saggi, soprattutto sul tema dell’educazione; si dedicò inoltre a comporre musica e a 68 anni cominciò a dipingere. Nel 1913 ricevette il premio Nobel per il suo libro di poesia,​​ Gitanjali. Nel 1918 annunciò il suo progetto di trasformare la sua scuola in università internazionale,​​ Visva-Bharati. Dal 1919 a 1931 viaggiò in diversi Paesi del mondo soprattutto per ottenere aiuti per la sua nuova istituzione.

2. Per T. l’educazione ha primariamente uno scopo religioso e comprende lo sviluppo onnicomprensivo della persona. «Viviamo in Dio», dice T., «siamo chiamati a vedere Dio nella creazione e nella creazione vedere Dio». L’educazione è quella che fa della nostra vita un’esistenza armoniosa con tutta la creazione. Egli chiama questo tipo di educazione «educazione di simpatia» o «educazione simpatica». I bambini sono liberi e devono essere lasciati liberi di imparare dalle loro esperienze personali, dal contatto con il mondo della creazione e così godere la loro libertà. Questa libertà consiste anche nel camminare a piedi nudi, giocare con la terra, arrampicarsi sugli alberi, ecc. A questo fine T. fondò la sua scuola, dove i fanciulli, provenienti da qualsiasi casta, credenza o religione, potessero essere liberi di imparare a contatto con la natura. Difatti le lezioni erano tenute sotto gli alberi ed ampio tempo e spazio erano concessi per scoprire, osservare, riflettere, sperimentare, creare (pittura, dipinto, musica, danza, ecc.); l’istruzione così diventava un’arte, l’arte della vita. La sua scuola ha tutto l’aspetto di un’ashram​​ dove tutti, insegnanti e studenti vivono insieme come in una grande famiglia. Lo spirito d’amore personale dev’essere il principio guida dell’ashram, per realizzare il​​ regno di Dio​​ o​​ Dharma. Significativa importanza è data anche all’istruzione intellettuale e formale nel senso tradizionale.

3. T. fondò la​​ Visva-Bharati​​ con una visione universalistica dell’umanità e con lo scopo di creare una comunità dove tutti (artisti, poeti, scienziati, santi e mistici provenienti da qualsiasi casta, razza, religione o Paese) potessero vivere, lavorare e cercare insieme – maestri, insegnanti e alunni – la Verità, che è patrimonio di tutta l’umanità. È il miglior mezzo per promuovere la comprensione e la comunione tra l’occidente e l’oriente. L’università internazionale dev’essere permeata dall’ideale religioso della cultura indiana e cioè la​​ Mukti, la liberazione dell’anima dalla catena dell’egoismo che è la causa di tutti i mali, e la sua unione con l’Anima Infinita attraverso l’unione di​​ ananda​​ (felicità gioiosa e armoniosa) con l’universo. Il pensiero pedagogico di T. è essenzialmente spiritualistico, vitalistico e pragmatistico, però allo stesso tempo non manca di sfumature utopistiche.​​ Santi-Niketan​​ e​​ Visva-Bharati​​ sono luminosi simboli di questi grandi ideali e i loro messaggi (libertà, gioia, pace, pienezza di vita e amore universale) trascendono ogni barriera politica, culturale o religiosa.

Bibliografia

a)​​ Fonti: T. R. - L. K. Elmhirst,​​ R.T.,​​ pioneer in education: essays and exchanges between R.T. and L.K. Elmhirst, London, Murray, 1961; T.R.,​​ Teaching to children the idea of God, in «Visva Bharati Quarterly» 27 (1961) 1, 20-27. b)​​ Studi: Mukherjee H. B.,​​ Education for fulness, Bombay, Asia Publishing House, 1962; Delfino G.,​​ L’ideale educativo di R.T., Genova, Edizioni Pedagogiche, 1972; Ottonello G., «T.R.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol.​​ VI, Brescia, La Scuola, 1994, 11641-11646.

S. Thuruthiyil

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TAGORE Rabindranath

TASSONOMIA

 

TASSONOMIA

Ordinamento classificatorio effettuato secondo uno o più principi (etim. gr.:​​ , ordine, e​​ , legge).

1. II termine t. (trad.: ingl.​​ taxonomy, fr.​​ taxonomie, ted.​​ taxonomie, sp.​​ taxonomía) è nato in biologia dove sta a indicare la scienza delle leggi di classificazione delle forme viventi; è passato poi a significare la scienza delle classificazioni in generale ed è stato infine impiegato, in quest’ultima accezione, anche nelle scienze umane, tra cui la​​ ​​ pedagogia. In ambito pedagogico si intende per t. una lista ordinata di obiettivi educativi che consente di analizzare una finalità educativa e di specificarne i diversi livelli di realizzazione possibile. Esistono numerose t. di obiettivi educativi e alcuni tentativi di andare oltre le t. ordinando gli obiettivi senza perdere di vista l’unità del sapere e l’unitarietà della persona che apprende.

2. Nel 1956 Benjamin Bloom completò la revisione dei documenti preparati da un gruppo di lavoro, composto da insegnanti, ricercatori e esaminatori scolastici, che si era costituito a Boston nel 1948 in occasione di un congresso dell’A.P.A., con l’intento di redigere un testo che consentisse di classificare il livello di difficoltà delle operazioni intellettuali richieste agli alunni per rispondere alle domande fatte più frequentemente durante gli esami.​​ Bloom pubblicò a New York, con la casa editrice McKay, la​​ Taxonomy of educational objectives: the classification of educational goal.​​ Handbook I: cognitive domain. Lo stesso autore avvertì che la suddivisione della sua t. in tre ambiti («cognitive», «affective» e «psychomotor») veniva fatta solo per motivi espositivi, mentre in realtà è impossibile dividere la persona in parti. Nel 2001 tale t. è stata rivista e modificata da L. W. Anderson e da D. R. Krathwohl. Nel 1964 Krathwohl, con la collaborazione di Bloom e di Masia, pubblicò la t. per l’area «affective», aggettivo che in italiano è stato malamente tradotto con «affettiva» mentre sarebbe più esatto parlare di area della volontà. Nel 1972, Anita Harrow completò il lavoro per l’area psicomotoria pubblicando, sempre a New York, la​​ Taxonomy of the psychomothor domain.

3. Anche le altre t. – oppure modelli e sistemi utilizzabili tassonomicamente –, che successivamente sono state prodotte riflettono una tricotomia di obiettivi, generalmente raggruppati in tre campi: «cognitivo» (ad es. quelle di J. Guilford, di R. Gagné-M. D. Merrill, di V. Gerlach-A. Sullivan, di A. De Block, di L. D’Hainaut), «affettivo» (ad es., quelle di W. French o di J. Raven) e «psicomotorio» (ad es. quelle di E. Simpson, di R. Dave, di R. Kibler-L. Barker-D. Miles). Le t. più numerose riguardano l’area «cognitiva»; tra di esse hanno avuto finora una maggiore diffusione, dopo la t. di Bloom e collaboratori, quelle di Guilford, Gagné e D’Hainaut. Guilford, a partire dal 1956, pubblica su riviste nord-americane di psicologia i risultati dei suoi studi sulla struttura dell’ intelligenza; quindi, nel 1967 raccoglie e organizza in un sistema tridimensionale i processi intellettuali precedentemente da lui studiati con l’analisi fattoriale, in modo tale da favorire la formulazione dei corrispondenti obiettivi educativi e la programmazione degli esercizi adeguati; anche se ha costruito un modello strutturale dell’intelligenza e non una t. il contributo di Guilford è stato utilizzato tassonomicamente. Gagné (1969) non prepara una t. degli obiettivi educativi ma sviluppa una gerarchia di schemi operativi che formano le fasi dei processi da attivare per realizzare gli apprendimenti richiesti dagli obiettivi assegnati. D’Hainaut (1980) propone una tipologia interdisciplinare per la classificazione degli obiettivi, che prevede venti classi.

4. Già nel 1977 Gilbert e Vivianne De Landsheere, a p. 20 del libro,​​ Définir les objectifs de l’éducation, pubblicato a Parigi, affermavano: «L’ideale è una t. unica, polivalente, nella quale si fondano i tre ambiti tradizionali e alla quale richiamare costantemente l’attenzione degli educatori, degli autori dei programmi scolastici e dei costruttori dei test circa la necessità di considerare l’individuo tutto intero». L’esigenza manifestata dai De Landsheere ha provocato varie proposte per garantire l’unitarietà dell’educazione, il collegamento dei modelli teorici con i contenuti dei programmi scolastici, l’uso agevole delle classificazioni da parte degli insegnanti. Alcuni hanno cercato di integrare fra di loro le diverse t. mentre altri sono andati oltre le t. Come esempio del primo tipo si segnala Steinaker-Bell e come esempio del secondo García Hoz perché i loro modelli sono stati sperimentati da lungo tempo, rispettivamente nelle scuole del Distretto Scolastico dell’Ontario-Montclair in California e nelle scuole dell’ associazione​​ Fomento de centros de enseñanza​​ in Spagna. II modello tassonomico di Norman W. Steinaker e M. Robert Bell (1974) si articola in cinque livelli gerarchici. García Hoz (1982) ha costruito un sistema di obiettivi fondamentali dell’educazione (S.O.F.E.) che supera la frammentazione degli obiettivi prodotta dalle t. L’autore ha rappresentato tridimensionalmente il suo modello: su di un lato vengono riportate le conoscenze, su di un altro le attività intellettive, su un terzo i valori. Il S.O.F.E. è stato completato, sviluppato e sperimentato in Italia da Zanniello (2002); apposite griglie consentono ora agli insegnanti di formulare gli obiettivi della programmazione mantenendo la visione unitaria del processo educativo.

Bibliografia

Krathwohll D. R. - B. S. Bloom B. - B. Masia,​​ Taxonomy of educational objectives: the classification of educational goal. Handbook II: affective domain, New York, McKay, 1964; Guilford J. P.,​​ The nature of human intelligence, New York, MacGraw-Hill, 1967; Gagné R.,​​ The conditions of learning, New York, Holt, Rinehart and Winston, 1969; Steinaker N. W.- M. R. Bell,​​ The experiential taxonomy, New York, Academic Press, 1974; Vandevelde L. - P. Vander Elst,​​ Peut-on préciser les objectifs en éducation? Illustration de deux modèles, Labor, Bruxelles, I976; De Landsheere G. - V. De Landsheere,​​ Définir les objectifs de l’éducation, Paris, PUF, 1977; D’hainaut L.,​​ Des fins aux objectifs de l’éducation, Bruxelles, Labor,​​ 1980;​​ García Hoz V.,​​ Modelo de aprendizaje humano y sistema de objetivos fundamentales de la educación, Madrid, Universidad Complutense, 1982; Anderson L. W. - D. R. Krathwohl (Edd.),​​ A taxonomy for learning,​​ teaching and assessing: A revision of Bloom’s taxonomy of educational objectives.​​ Complete edition, New York, Longman, 2001; García Hoz V. et al.,​​ Dal fine agli obiettivi dell’educazione personalizzata, Palermo, Palumbo, 2002; Zanniello G., «Dal sistema degli obiettivi fondamentali dell’educazione alla programmazione educativa», in V. García Hoz et al.,​​ Dal fine agli obiettivi dell’educazione personalizzata, Ibid., 2002, 61-155.

G. Zanniello

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TASSONOMIA

TEAM TEACHING

 

TEAM TEACHING

Forma di​​ ​​ insegnamento nella quale un gruppo di insegnanti si prende carico congiuntamente dell’attività formativa da svolgere a favore di un gruppo di allievi. La proposta avanzata negli anni sessanta era diretta a rendere più flessibile l’attività formativa della scuola permettendo di organizzarla in forme diversificate e secondo modalità organizzative collaborative. Al​​ t., o squadra, degli insegnanti (t.t.) faceva riscontro il​​ t., o squadra, degli studenti (t. learning). Il gruppo, anche abbastanza vasto, degli allievi poteva essere riorganizzato secondo modalità diversificate: per gruppo totale, per gruppi più ristretti ma consistenti, per piccoli gruppi, per coppie, a seconda delle necessità e delle possibilità date dalle diverse attività didattiche previste. In Italia dalla riforma della scuola elementare del 1990 sono stati introdotti i moduli di insegnamento, forme di collaborazione e corresponsabilizzazione di più insegnanti nello svolgere i programmi didattici previsti.

Bibliografia

Bair M. - R. G. Woodward,​​ La pratica del t.t., Torino, Loescher, 1973; Lobb M. D.,​​ Aspetti pratici del t.t., Teramo, EIT, 1973; Shaplin T. - F. Olds,​​ T.t.: una nuova organizzazione del processo educativo, Torino, Loescher, 1973; Chamberlin L. J.,​​ T.t.: organizzazione e amministrazione, Roma, Armando, 1974; Dell’Aquila N.,​​ Insegnare per moduli nella scuola elementare, Teramo, Giunti e Lisciani, 1989; Marradi T.,​​ Dai programmi ai moduli, Roma, Anicia, 1993; Buckey F.J.,​​ T.t.: What,​​ why,​​ and how, London, Sage, 1999.

M. Pellerey

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TEAM TEACHING

TEATRO

 

TEATRO

T., nel senso architettonico del termine, deriva dal gr.​​ theatron​​ (posto di visione). Nel senso di produzione invece, il termine è collegato agli aspetti di pianificazione, prove e rappresentazione di un lavoro. Dal punto di vista educativo, il t., a differenza della​​ ​​ drammatizzazione, si fonda sull’obiettivo di andare in scena raggiungendo i sottobiettivi legati agli aspetti: psico-sociologico (lavoro cooperativo, motivazione intrinseca, impegno e costanza, capacità di affrontare il pubblico e di esibirsi prefigurandosi il successo); cognitivo-comportamentale (affinamento delle abilità di comprensione, memorizzazione e dizione riguardo al testo e riguardo alla caratterizzazione da ricreare).

1.​​ Il t. educativo nella storia della pedagogia. La storia della pedagogia registra, fin dagli inizi, fatti che interessano l’ambito del t. educativo. T., musica e festa rientrano nella formula pedagogica dei​​ ​​ Gesuiti come parte integrante dell’attività di formazione dei giovani. Di grande apertura risulta la posizione di Giovanni​​ ​​ Bosco nei confronti del t. educativo. Asja Lacis e Natalia Saz – che apre a Mosca il primo, in assoluto, t. stabile per bambini – costituiscono un caso interessante per la sua innovatività e creano un modello di educazione estetico-proletaria basata sull’uso dei mezzi teatrali. In Gran Bretagna, il t. educativo, sostenuto dal pensiero e dalla pratica di Gavin Bolton, si connota con le caratteristiche proprie della drammatizzazione.

2.​​ Valenza educativo-didattica del t.​​ La riflessione sulla valenza educativo-didattica del t. percorre la strada dell’avanguardia pedagogica (​​ Dewey,​​ ​​ Makarenko, Bruner) e teatrale (Grotowski,​​ Living theatre) e, man mano che assume l’animazione come processo e come prodotto, collaudandola nell’attività diretta con i ragazzi della scuola e dei centri d’incontro sfocia, grazie all’impegno spontaneo dei ragazzi, in risultati molto simili a quelli ottenuti da alcuni insegnanti nello sforzo di rinnovare le metodologie didattiche. Nel t. dei ragazzi e per i ragazzi, l’azione teatrale e i contenuti che essa esplicita costituiscono l’espressione della stessa situazione del gruppo nei suoi aspetti più significativamente psicologici e culturali. Va attribuita una valenza formativa alle situazioni che si sciolgono, alle tensioni collettive che hanno una funzione genuinamente educativa. Il t. educativo non è solo un prodotto, ma un processo; è un’azione artistica in cui il rapporto con il ragazzo diventa il punto essenziale con l’intenzione di educarne il comportamento attraverso la riscoperta del gioco, dell’improvvisazione, del reale dialogo tra attori e pubblico. Numerose applicazioni, legate anche a campi specifici (apprendimento della lingua straniera ed educazione linguistica) provano la vitalità del t. educativo.

Bibliografia

Bernardi C.,​​ Il t. sociale.​​ L’arte tra disagio e cura, Roma, Carocci, 2004; Perissinotto L.,​​ Animazione teatrale: le idee,​​ i luoghi,​​ i protagonisti, Ibid., 2004; Patterson J. - D. McKenna-Crook - M. Swick,​​ Theatre in the secondary school classroom: methods and strategies for the beginning teacher,​​ New York (NY),​​ McGraw-Hill,​​ 2006; Gonzalez B.,​​ Temporary stages: departing from tradition in high school theatre education,​​ Portsmouth (NH), Heinemann,​​ 2006.

C. Cangià

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TEATRO

TECNICHE DI INSEGNAMENTO

 

TECNICHE DI INSEGNAMENTO

Modalità d’azione o procedimenti operativi per insegnare che implicano o meno l’uso di apparati tecnologici particolari.

1. Lo studio e l’organizzazione razionale delle differenti t. didattiche è sviluppato dalla tecnologia didattica. Talora l’espressione t. didattiche si accosta a quella di metodo didattico (​​ tecnologia dell’educazione).​​ ​​ Freinet ha valorizzato l’uso di questa espressione per indicare sia specifiche metodologie di insegnamento che implicano l’uso di alcuni apparati tecnologici (ad es. un apparato tipografico nell’insegnare a scrivere), sia modalità procedurali che non li coinvolgono. Sulla sua scia altri hanno utilizzato la stessa espressione per sottolineare la materialità dell’approccio. Esempi significativi di uso di questa espressione sono B. Ciari (1972) in ambito didattico e R. Massa (1986) in ambito più propriamente pedagogico. In ambito anglosassone si intendono le forme attraverso le quali le informazioni sono presentate agli studenti.

2. Un uso più tecnologicamente segnato viene dalle t. di​​ ​​ istruzione programmata, di utilizzazione del computer e degli​​ ​​ audiovisivi nell’attività didattica e di apprendimento e di sviluppo di abilità professionali. In questi casi si può parlare di t. di progettazione di materiali didattici o di​​ ​​ software audiovisivo e informatico, di programmazione e di validazione, come di t. per il loro utilizzo nel contesto dell’insegnamento.

3. Con l’avvento della cosiddetta pedagogia per​​ ​​ obiettivi si è posto l’accento sulle t. proprie della​​ ​​ progettazione didattica, accentuandone quindi la componente tecnologica. Così sono state sviluppate t. specifiche per l’operazionalizzazione degli obiettivi didattici, per l’analisi dei contenuti sia di tipo concettuale che procedurale, per la costruzione, validazione e utilizzo di prove di valutazione oggettive.

Bibliografia

Freinet C,​​ Le mie t., Firenze, La Nuova Italia, 1969; Ciari B.,​​ Le nuove t. didattiche, Roma, Editori Riuniti, 1972; Mager R.,​​ Gli obiettivi didattici, Teramo, Lisciani e Zampetti,​​ 41978; Massa R.,​​ Le t. e i corpi, Milano, Unicopli, 1986; Pellerey M.,​​ Progettazione didattica, Torino, SEI,​​ 21994;​​ Rieunier A.,​​ Les stratégies pédagogiques efficaces, Paris, ESF, 2001; Meirieu P.,​​ Faire l’école,​​ faire la classe, Ibid., 2004; Lang H. R. - B. N. Evans,​​ Models,​​ strategies and methods for effective teaching, Boston, Allyn and Bacon, 2005.

M. Pellerey

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TECNICHE DI INSEGNAMENTO

TECNICHE PROIETTIVE

 

TECNICHE PROIETTIVE

Strumenti psicodiagnostici particolarmente sensibili nel rilevare aspetti inconsci (desideri, motivazioni, ansie, stili, conflitti, meccanismi di difesa, ecc.) della personalità dell’individuo.

1.​​ Cenni storici. Le t.p. vengono introdotte nei primi decenni del ’900 in reazione, da parte degli psicologi clinici, ai test psicometrici, visti come inadeguati per fornire una diagnosi soddisfacente della personalità sia in senso idiografico (soggetto considerato nella sua individualità) che distico (soggetto considerato nella sua globalità). Il loro sviluppo è stato particolarmente favorito dai contributi teorici e clinici di numerosi psicoanalisti. Il primo serio tentativo di sintesi sulle t.p. è stato fatto da L. K. Frank nel 1939. Si può indicare come data d’inizio dell’uso delle t.p. il 1906 con l’introduzione da parte di​​ ​​ Jung del​​ test di associazione delle parole.​​ Altre tappe fondamentali sono la pubblicazione del Test di H. Rorschach nel 1921, del Thematic Apperception Test di H. A. Murray nel 1935, del Test di E. Wartegg nel 1939, delle Favole di L. Düss nel 1940, del Test di Frustrazione di S. Rosenzweig nel 1948, del Disegno della Figura Umana di K. Machover nel 1949, del Disegno dell’Albero di K. K. Koch nel 1949.

2.​​ Fondamenti teorici. Le basi teoriche su cui si fondano le t.p. sono fornite dalla psicologia della percezione e dalla psicoanalisi. La psicologia della percezione sottolinea che la risposta allo stimolo del test è determinata dal processo percettivo, il quale è la risultanza sia di fattori strutturali (quelli cioè derivati dalla natura stessa degli stimoli) che funzionali (quelli derivati dai bisogni, dagli stili cognitivi, dagli stati d’animo, dalle esperienze passate dell’individuo). La teoria psicoanalitica evidenzia che la risposta allo stimolo del test è determinata dal processo proiettivo, il quale fa emergere il mondo inconscio, inteso come un insieme di contenuti interni costituiti in gran parte da ciò che resta del passato, specie quello relativo alla prima infanzia, e che, pur non essendo presenti alla coscienza, agiscono in modo determinante sul pensiero, sul comportamento, sulle scelte e sulle relazioni dell’individuo. Sulla base di questi due processi, per molti versi tra loro assimilabili, si può quindi capire che l’individuo finisce per elaborare lo stimolo che gli viene presentato secondo la struttura della propria personalità, al punto da potere affermare l’esistenza in ogni essere umano di una tendenza di fondo a creare il mondo a propria immagine e somiglianza. Inoltre emerge che il materiale proiettivo prodotto dalle risposte allo stimolo non è il risultato di un puro caso, ma la conseguenza logica delle caratteristiche psichiche di base dell’individuo. Per cui, diversamente dai test psicometrici, non esistono risposte giuste e sbagliate, ogni risposta è sempre da considerarsi valida ai fini diagnostici, anche quando il soggetto per suoi motivi inconsci la dichiara sbagliata e desidera sostituirla con un’altra.

3.​​ Caratteristiche dello stimolo proiettivo. Innanzitutto, va chiarito che in senso largo, sono da considerarsi come stimolo proiettivo, oltre al test vero e proprio (per es. le tavole del Rorschach), lo stesso esaminatore e la situazione ambientale, in cui si svolge la somministrazione. In senso stretto per stimolo proiettivo s’intendono i singoli test. Per favorire l’emersione degli aspetti profondi ed inconsci della personalità di un individuo occorre che lo stimolo sia:​​ ambiguo,​​ non familiare​​ e​​ significativo. a) L’ambiguità dello stimolo è una delle caratteristiche fondamentali che differenzia le t.p. dai test psicometrici, dove invece lo stimolo deve essere ben definito. Uno stimolo può essere ambiguo, perché impoverito a livello fisico (es. riduzione del tempo di esposizione, riduzione dell’illuminazione, ecc.) oppure perché suscettibile di diverse decodificazioni da parte di differenti soggetti. Nelle t.p. si mira ad ottenere questo secondo tipo di ambiguità. L’ambiguità minimizza l’influsso dello stimolo, mentre massimizza l’influsso della personalità del percettore. Va tuttavia chiarito che non si deve confondere l’ambiguità dello stimolo con la sua scarsa strutturazione. Inoltre l’ambiguità non va assolutizzata, dal momento che non è senz’altro scontato che più lo stimolo è ambiguo e più c’è proiezione. b) La non familiarità dello stimolo comporta che esso sia sconosciuto al soggetto. Tale caratteristica insieme all’ambiguità suscita una situazione di ansia e di riflesso un processo di regressione. E cioè il soggetto ritorna indietro nel suo passato verso il «già conosciuto». In tal modo vengono fatti riaffiorare i contenuti e le modalità specifiche del mondo arcaico rimosso. c) La significatività dello stimolo consiste nel fatto che esso deve essere in rapporto a situazioni specifiche che il soggetto vive. Ad es., se si vuole conoscere come l’individuo si rapporta alle figure parentali si può ricorrere allo stimolo: «Disegna una famiglia di tua invenzione».

4.​​ Validazione.​​ La validazione delle t.p. poggia sui quattro requisiti fondamentali propri dei test psicometrici: oggettività (uguale situazione per tutti i soggetti sottoposti al test), sensibilità (finezza di discriminazione dei soggetti sottoposti al test), fedeltà (costanza della misura), validità (grado di precisione con cui il test misura una determinata caratteristica dell’individuo). Va tuttavia chiarito che tali requisiti, dal momento che si rifanno alla quantificazione dei dati e alla relativa elaborazione statistica, non sono rigidamente applicabili alle t.p. Queste infatti privilegiano un approccio idiografico (attento alle caratteristiche del singolo e non alla media di gruppo) ed olistico (attento alla globalità della personalità e quindi a molteplici variabili). Del resto, l’adozione di metodi prevalentemente fondati sulla quantificazione, e quindi l’accettazione di un approccio nomotetico dove dell’individuo si sa solo ciò che ha in comune con gli altri, comporterebbe la rinuncia alle caratteristiche e alle finalità proprie delle t.p.

Bibliografia

Rabin A.​​ I.​​ (Ed.),​​ Assessment with projective techniques.​​ A concise introduction, New York, Springer, 1981;​​ Anzieu D. - C. Chabert,​​ Les méthodes projectives, Paris, PUF,​​ 1983; Castellazzi V. L.,​​ Introduzione alle t.p., Roma, LAS,​​ 32000; Sola T.,​​ L’apporto dei metodi proiettivi nella psicodiagnosi clinica, Roma, Aracne, 2006; Chabert C.,​​ Psicoanalisi e metodi proiettivi, Roma, Borla, 2006.

V. L. Castellazzi

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TECNICHE PROIETTIVE

TECNOLOGIA

 

TECNOLOGIA

Per t. si intende, secondo la classica definizione del​​ Dizionario​​ di N. Tommaseo, una tecnica basata sulla scienza. Ciò è alluso dal termine​​ logia​​ incorporato al vocabolo composto.

1. La tecnica in genere è un​​ modus operandi, vale a dire una sequenza di operazioni tese alla produzione di un risultato. Come tale può essere il semplice effetto empirico di una esperienza ripetuta con esito vantaggioso, e trasmessa culturalmente, come avviene per le tecniche delle arti utili e delle arti belle, ossia rispettivamente delle arti d’artigiano e di quelle d’artista. Si può rammentare che le prime civiltà vennero descritte essenzialmente in base ad aspetti tecnici della loro cultura materiale, come le civiltà della pietra scheggiata e levigata, del rame, del bronzo e del ferro. Quando parecchie tecniche si collegano per la produzione di risultati importanti, sottentra la necessità di darsene ragione e di cercarne i fondamenti teorici. A quel punto avviene il passaggio alla t. Nel nostro tempo si è instaurata una civiltà tecnologica che si estende a tutte le attività economiche, ma soprattutto trova applicazione grazie all’impiego di grandi fonti di energia nei settori industriali e nei trasporti, nelle comunicazioni, nella sanità. Il passaggio alla automazione e informatizzazione ha determinato un ulteriore salto di qualità introducendo al settore «terziario avanzato» detto anche «quaternario».

2. L’educazione è condizionata dai cambiamenti nella cultura materiale e formale, e quindi è sollecitata da nuove sfide provenienti dalla diffusione e rapida accelerazione di tutti i processi tecnologici. In questo senso i programmi e curricoli scolastici devono prestare maggiore attenzione alle discipline d’insegnamento delle​​ ​​ scienze, alla​​ ​​ educazione tecnica e alla​​ ​​ formazione professionale. Esse devono essere intese non come un cumulo di prescrizioni empiriche e occasionali, ma come una concezione organica del lavoro umano, che è «lavoro pensato». In un altro senso i progressi tecnologici possono offrire alla educazione e alla scuola nuove opportunità, in quanto pongono nuovi mezzi al servizio del pensiero e della sua comunicazione. In particolare le t. della stampa hanno reso possibile la cultura del libro a buon mercato ed a larga diffusione; quelle della fotografia e poi del cinema hanno consentito progressi scientifici e illustrazioni efficaci; la radio e la televisione hanno diffuso la informazione, la cultura e lo spettacolo; la registrazione delle immagini e dei suoni hanno offerto condizioni alla cultura post-alfabetica; l’amplificazione permette la comunicazione simultanea a grandi uditori.

3. Sul piano didattico,​​ ​​ audiovisivi e informatica costituiscono i «media» tecnologici per antonomasia. Ma vanno altresì considerati tutti i mezzi che facilitano la registrazione, replica e diffusione dell’informazione e la comunicazione a distanza nello spazio o differita nel tempo. Ciò rende disponibili mezzi autodidattici in larga misura automatici (​​ istruzione programmata e / o assistita dal calcolatore) i cui programmi sono preregistrati, ma flessibili e interattivi con una pluralità di vie, o addirittura aperti a una libera «navigazione» tra contenuti conservati in «ipertesti». Una ulteriore possibilità offerta dalle t. è quella di somministrare​​ ​​ prove e test per la valutazione e per la sperimentazione, che vengono scrutinati con lettura ottica mediante​​ scanner​​ e resi immediatamente noti come​​ feedback​​ dell’apprendimento. La elaborazione statistica dei risultati necessaria alla​​ ​​ docimologia difficilmente oggi può farne a meno, soprattutto quando debbano essere valutate molte prove di migliaia di soggetti. La t. è il mezzo attraverso il quale l’insegnamento verifica l’apprendimento.

Bibliografia

Laeng M., «Pedagogia didattica t.», in R. Titone (Ed.),​​ Questioni di t. didattica, Brescia, La Scuola, 1974, 23-60; Id.,​​ L’educazione nella civiltà tecnologica, Roma, Armando, 1969 (2ª​​ ed. 1984); Ballanti G., «La t. dell’istruzione», in B. Vertecchi (Ed.),​​ Il secolo della scuola, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1995, 271-287; Devoti A. G.,​​ Educazione e t., Pisa, ETS, 2003; Calvani A.,​​ Manuale di t. dell’educazione, Ibid., 2004; Roszak T.,​​ El culto a la información: tratado sobre alta tecnología, inteligencia artificial y el verdadero arte de pensar, Barcelona, Gedisa, 2005.

M. Laeng

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TECNOLOGIA

TECNOLOGIA DELLEDUCAZIONE

 

TECNOLOGIA​​ DELL’EDUCAZIONE

Il termine t., dal gr.​​ tékne​​ (tecnica) e​​ lógos​​ (studio), viene utilizzato in alcuni momenti per indicare tecniche, strumenti e in altri è considerato come un modo di affrontare la progettazione dei processi educativi.

1.​​ L’evoluzione tecnologica.​​ Il concetto di t. ha subito con l’avvento della società industriale una radicale trasformazione. Anche nel campo della t.d.e. si è prodotta parallelamente una evoluzione profonda, in parte derivante dagli studi di tipo psicologico, in parte dalle ricerche nel campo dell’organizzazione dei sistemi produttivi e dei processi informativi. La t. moderna introdotta dalla rivoluzione industriale e dal progresso scientifico ha caratteri essenzialmente diversi dalla t. antica dove i cambiamenti avevano finalità eminentemente pratiche ed immediate e dove il criterio di verifica e di controllo sul campo aveva il compito di dimostrare la bontà delle proposte. Una concezione moderna della t. che cerca di intervenire nei diversi settori del vivere umano in maniera sistematica ed organizzata per ottenere l’effetto voluto con il massimo di efficacia, è stata applicata sistematicamente nel mondo formativo in particolare a partire dalla fine degli anni quaranta, cioè subito dopo la seconda guerra mondiale. Questa opera è dovuta, almeno nelle sue fasi iniziali, alle ricerche ed all’azione di due pionieri: R. W. Tyler e Skinner che, seguiti poi da altri, hanno contribuito notevolmente a chiarire il concetto di t.d.e.

2.​​ La t.d.e.​​ In sede pedagogica ed educativa il termine assume il significato di una mentalità diversa, una mentalità tecnologica come a volte si usa dire, nell’affrontare i problemi legati al mondo educativo, in cui possono essere certamente incluse tecniche e strumenti, ma solo in quanto elementi di una pianificazione più generale e finalizzata al miglioramento degli interventi progettati. In tal senso oggi si parla molto di: progetto educativo, progettazione didattica, proposta formativa e t. didattiche. Ma tale impostazione richiede di entrare in un’ottica in cui l’attività formativa viene strutturata in momenti ben definiti che potrebbero essere sintetizzati come: un momento di analisi della situazione su cui si vuole intervenire; un momento in cui si elaborano obiettivi, si scelgono le attività e gli strumenti per intervenire, si prepara un piano d’azione; un momento in cui si controlla la qualità del prodotto e del processo per verificare l’efficacia e procedere ad eventuale revisione e riprogettazione.

3.​​ Diversi significati ed usi formativi.​​ Il termine t.d.e. può assumere dunque un primo significato quando lo si riferisce a tutto ciò che riguarda l’applicazione della scienza fisica e della t. ingegneristica allo studio e alla costruzione di strumenti meccanici o elettromeccanici che possono essere usati a scopi formativi. Questo è il significato principale in cui il termine è stato usato in particolare dai portavoce dell’istruzione con 1’audiovisivo e dall’industria delle comunicazioni elettroniche. In questo senso il riferimento riguarda solitamente l’uso di strumenti in un intervento formativo per renderlo più efficace. In tale contesto si preferisce parlare di t. didattica o t. didattiche. Un secondo significato di t.d.e. non si riferisce tanto allo strumento come tale, ma ad una t. in senso generico, come derivato o applicazione di una scienza. Il rapporto Perkins-McMurrin, elaborato da una commissione parlamentare negli Stati Uniti nel 1970, presenta due definizioni della t. didattica. Con la prima s’intendono i mezzi nati dalla rivoluzione delle comunicazioni: cioè i mezzi che possono essere usati a scopi didattici dall’insegnante, insieme con i libri di testo e il suo apporto personale. Con la seconda definizione, meno comune, per t. didattica si vuole intendere qualcosa di più che l’insieme delle sue componenti. Essa è vista come un modo sistematico di progettare, realizzare e valutare il processo globale dell’apprendimento e dell’insegnamento in termini di obiettivi specifici. La diffusa accettazione e applicazione di questa più ampia definizione esige un approccio sistematico ed estensivo, che può realmente contribuire all’avanzamento dell’educazione. L’uso dei prodotti delle t. moderne rientra nell’ambito di una t.d.e., ma solo in quanto componente di un sistema assai più vasto e comprensivo di procedimenti di un intervento formativo. Il significato quindi, più appropriato del termine t.d.e. sembra essere quello di trattamento sistematico di un’arte, in questo caso dell’arte dell’educazione. Il problema fondamentale di ogni intervento formativo è quello di organizzare in maniera efficace una serie di esperienze ed attività di apprendimento, e non tanto quello di usare questo o quel libro di testo, proiettare o meno un film, visitare un museo o usare un sistema multimediale. La t.d.e. diventa quindi una scienza pratica che permette la progettazione, la conduzione e la valutazione di un programma formativo. Essa potrebbe essere vista anche come una mentalità nuova da acquisire per poter progettare prima e realizzare poi, la programmazione didattica. La t.d.e. potrebbe dunque essere definita come lo sviluppo di un insieme delle tecniche sistematiche e delle conoscenze pratiche che le accompagnano, volte a progettare, verificare e gestire sia la pianificazione dell’intero sistema formativo, sia l’organizzazione dei diversi centri e scuole intesi come sistemi formativi, sia, infine, lo sviluppo delle singole lezioni o gruppi di lezioni scolastiche.

4.​​ Il supporto scientifico.​​ Certamente per concretizzare tutto questo verranno utilizzate tutte le risorse possibili e i contributi delle diverse scienze. Le scienze sociologiche ed antropologiche, per individuare le situazioni di partenza dal punto di vista culturale e sociale della popolazione scolastica, e i condizionamenti ambientali e per analizzare sistemi di valori e le tradizioni culturali presenti nell’ambiente esterno ed interno alla struttura formativa. La psicosociologia delle istituzioni, per favorire una analisi delle relazioni istituzionali presenti nella struttura formativa e della loro incidenza sul processo didattico. La psicologia dello sviluppo e dell’intelligenza, per aiutare i processi di​​ ​​ apprendimento, da cui si possono trarre alcuni parametri di riferimento fondamentali sulla conoscenza dell’allievo in generale e sui processi di sviluppo della sua maturazione conoscitiva e comportamentale. La​​ ​​ psicologia sociale per approfondire gli studi sui meccanismi umani relazionali che possono contribuire alla comprensione dei fenomeni di natura interattiva ed emozionale. La​​ ​​ psicologia differenziale che può aiutare ad individuare particolari situazioni di difficoltà e di disturbo. È appena da accennare al fatto che, tra i supporti, si dovrà pensare in primo luogo a quelli economici e di politica scolastica.

Bibliografia

Ceri,​​ Le nuove t. dell’informazione: una sfida per l’educazione, Roma, Armando, 1988;​​ Calvani A.,​​ Manuale di t.d.e.,​​ Pisa, ETS, 1999;​​ Scurati C. (Ed.),​​ Tecniche e significati: linee per una nuova didattica formativa,​​ Milano, Vita e Pensiero, 2000;​​ Aleandri G.,​​ Formazione e dinamiche sociali: la diffusione delle t. per lo sviluppo della qualità,​​ Roma, Armando, 2001; Calvani A.,​​ Educazione,​​ comunicazione e nuovi media, Torino, UTET, 2001; Regni R.,​​ Geopedagogia: l’educazione tra globalizzazione,​​ t. e consumo,​​ Roma, Armando, 2002.

N. Zanni

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TECNOLOGIA DELLEDUCAZIONE

TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE

 

TECNOLOGIE​​ DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE

Il termine​​ Tecnologie dell’informazione e della comunicazione​​ (TIC) a volte indicato in inglese​​ Information and Communication Technology​​ (ICT) si riferisce ad un insieme di strumenti come il telefono, internet, computer, reti, radio, televisione; un insieme di servizi ed applicazioni ad essi associati come videoconferenza, formazione a distanza, banche dati e un insieme di programmi legati al mondo dell’informazione e comunicazione. È un termine che abbraccia tutte quelle forme di t. impiegate per creare, scambiare, utilizzare e immagazzinare l’informazione.

1. Lo sviluppo tecnologico negli ultimi decenni ha avuto una accelerazione molto forte in tutti i settori non escluso quello inerente il trattamento dell’informazione. In particolare la t. che si occupa della​​ gestione dati,​​ elementi di base dell’informazione, ha cercato di studiare modalità sempre più efficaci per velocizzare la loro trasmissione nelle diverse parti del mondo e facilitare una comunicazione più rapida e sicura. Le TIC sono diventate, ormai, un elemento molto importante nel nostro vissuto quotidiano. Esse stanno provocando una piccola rivoluzione nel gestire l’informazione e la comunicazione spingendo verso il cambiamento nel modo di lavorare e nella gestione del tempo libero. Il binomio «tempo» e «spazio» ha assunto in questo contesto sfumature diverse dal passato. La rivoluzione industriale si è sviluppata attraverso le t. legate ai sistemi di produzione e trasporto. La rivoluzione dell’informazione si sta sviluppando attraverso le nuove t. legate al reperimento, alla conservazione e trasmissione dei singoli elementi dell’informazione in modo sempre più rapido e meno costoso.

2. Sono t. che riguardano prevalentemente i settori legati all’informatica ed alle telecomunicazioni. Esse svolgono un ruolo importante in materia di crescita dell’innovazione, della creatività e della competitività in diversi settori industriali e dei servizi. Si tratta di t. che stanno rivoluzionando il mondo dei servizi, le strutture sociali, culturali ed economiche introducendo nuovi comportamenti nei confronti dell’informazione stessa, dello scambio delle conoscenze in generale e dell’attività professionale.

3. Essendo un insieme molto ampio che comprende diversi settori da quello informatico a quello delle telecomunicazioni e trasmissioni radiotelevisive, le TIC spesso vengono associate a contesti specifici, come le TIC nell’istruzione, nella ricerca, nella medicina, nella pubblica amministrazione, nell’industria. Le TIC in questi ultimi anni hanno subito una grande espansione sviluppando elementi poco presenti nelle t. tradizionali, come ad es. l’interattività e la multimedialità. Esse svolgono un ruolo fondamentale nella società attuale, molto segnata da forme nuove nel mondo dell’informazione e comunicazione, in materia di crescita delle innovazioni, della creatività e della competitività di tutti i settori industriali e dei servizi.

Bibliografia

Bentivegna S.,​​ Politica e nuove t. della comunicazione, Bari, Laterza, 2002; Beducci F.,​​ La democrazia e le nuove t. della comunicazione, Roma, P. Università Lateranense, 2003; Ingrosso M.,​​ Le nuove t. nella scuola dell’autonomia: immagini,​​ retoriche,​​ pratiche: un’indagine in Emilia Romagna, Milano, Angeli, 2004; Mammarella N. - C. Cornoldi - F. Pazzaglia,​​ Psicologia dell’apprendimento multimediale: e-learning e nuove t., Bologna, Il Mulino, 2005; Piattini Velthuis M. G.,​​ Gobierno de las tecnologías y los sistemas de información, Madrid, RA-MA, 2007.

N. Zanni

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TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE

TELEVISIONE

 

TELEVISIONE

In questo dizionario ci sono altre voci che toccano temi chiaramente collegati con quanto si dovrebbe dire qui: mass-media, radio, comunicazione come processo... Piuttosto che approfondire lo studio della situazione attuale, proponiamo di spostare lo sguardo verso un futuro imminente, e considerare la TV in quanto “luogo” in cui sta realizzandosi una vera e propria rivoluzione; per chiedere poi a quali compiti nuovi sia sollecitata la Chiesa, se vuole rimanere fedele al suo mandato.

1.​​ Un futuro già presente

Il progetto TV come futuribile è stato definito allo scadere del secolo scorso. Tra il 1900 e il 1930 si sono messe a punto brevetti e prototipi; nel 1936 iniziarono le prime trasmissioni in Inghilterra; nel 1938 in USA; in Italia nel 1954. Lo sviluppo su larga scala è del dopoguerra: tra il 1950 e il 1975 gli apparecchi televisivi nel mondo sono aumentati del 3235% (gli apparecchi radio del 417%, i libri del 111%, i giornali del 77%). Tra il 1960 e il 1975 la popolazione mondiale è aumentata di un terzo (+ 33%) e l’udienza televisiva si è triplicata (+​​ 185%).​​ I paesi ricchi detengono il 95% delle stazioni emittenti, hanno 1’88% degli apparecchi riceventi, con una densità media di 322 televisori ogni 1000 abitanti (più di uno per nucleo familiare). Il tempo di funzionamento dell’apparecchio (tempo di potenziale attenzione ai programmi) è tra le due e le sei ore giornaliere: il guardare la TV è divenuta l’attività che occupa più tempo dopo il sonno e il lavoro. Nei paesi poveri c’è il 5% delle stazioni, il 12% dei televisori e la media è di 24 apparecchi ogni 1000 abitanti. (I dati riferiti provengono da UNESCO,​​ Statistical​​ Yearbook 1982,​​ Paris 1982).

Oggi si sta realizzando una convergenza verso un unico progetto globale di tutti gli studi e le innovazioni tecnologiche compiute nei settori della comunicazione, del trattamento e della trasmissione dei dati; il televisore sta diventando il​​ terminale​​ di una rete assai complessa, aperta ancora a nuovi ampliamenti. Le innovazioni più significative che interessano il settore sono queste:

a)​​ Miniaturizzazione.​​ Lo sviluppo in questo settore è assai significativo perché è la via percorsa per l’abbattimento dei prezzi e per la deprofessionalizzazione degli strumenti (in questo modo infatti le macchine possono essere rese maneggevoli nonostante la quantità di automatismi inseriti).

b)​​ Miglioramento qualitativo.​​ Sono già in fase sperimentale telecamere e monitor ad altissima definizione, capaci cioè di una perfezione nella riproduzione delle immagini da andare oltre la soglia di definizione dell’occhio umano.

c)​​ Nuove tecnologie per la trasmissione dei segnali.​​ Due sono le direzioni di sviluppo: i satelliti di “distribuzione” e i cavi a fibra ottica.

La tecnica tradizionale usata per la distribuzione del segnale televisivo è la rete dei ripetitori a terra. Da alcuni anni — oltre ai satelliti per i collegamenti intercontinentali — si sono cominciati a lanciare dei satelliti destinati a inviare il segnale direttamente agli utenti. Quali i vantaggi? È evidente il risparmio per nazioni che hanno un vasto territorio da servire; inoltre aumentano i programmi disponibili per il singolo utente: si prevede che in ogni paese europeo si potranno ricevere sessanta stazioni straniere...

Nascono però anche gravi problemi: anzitutto una forte dipendenza dalle nazioni tecnologicamente più avanzate, perché esse soltanto sono in grado di lanciare i satelliti e mantenerli in efficienza; questi satelliti poi annullano di fatto le frontiere tra nazione e nazione: a livello politico ci si sta chiedendo come si potrà garantire l’autonomia politica, economica, culturale di ciascun stato.

Una tecnica diversa è la distribuzione del segnale televisivo attraverso il cavo a fibre ottiche: l’adozione di questa tecnica garantirebbe la piena autonomia di ciascuno stato, un notevole aumento dei canali televisivi, disponibili anche per forme di televisione locale e per trasmissioni a due vie (l’ascoltatore diventa interlocutore). La difficoltà maggiore è legata ai capitali necessari per compiere un simile lavoro: il progetto è redditizio solo se questi cavi diventano — per così dire — il “sistema nervoso” dell’intera nazione.

d)​​ Videoregistratori e videodischi.​​ Dall’ormai lontano 1957 (primo videoregistratore professionale AMPEX) ad oggi molti sono i passi compiuti per rendere i prodotti audiovisivi disponibili all’utente quanto lo sono i libri o i giornali. Le strade percorse sono due: il videoregistratore e il videodisco. Il primo dei due è già un prodotto affermato (uso familiare e didattico), il secondo sta creandosi il mercato (scuola, centri culturali, industria...).

e)​​ Nuove fonti di informazione.​​ La tecnologia è riuscita a fare in modo che lo stesso segnale che forma l’immagine sul televisore sia in grado anche di portare altre informazioni. E così sullo schermo, in alternativa al film o al telegiornale, è possibile avere una pagina scritta (24 righe di 40 caratteri) scegliendola a partire da un indice: si tratta del videotex. Quando il sistema sarà pienamente sviluppato si avranno a disposizione migliaia di pagine con le più svariate informazioni, da quelle di più usuale consultazione a forme di istruzione programmata. Il tutto può essere collegato con una stampante e con il telefono per ricevere testi da qualsiasi corrispondente a qualsiasi distanza.

II. Problemi aperti per la catechesi

Siamo coinvolti in una vera e propria rivoluzione, la quale non investe soltanto i massmedia ma tutti i mezzi con i quali noi trattiamo le informazioni. La novità si pone sia a livello di ciascuno strumento, sia — ed è la novità più grande — a livello delle interconnessioni tra i vari sistemi, che vengono integrati in una nuova unità di efficienza superiore. Ciò pone dei problemi per tutti: non è fuori luogo chiedersi quali sollecitazioni investano anche la C.

1.​​ Il primo problema riguarda l’atteggiamento stesso della Chiesa di fronte ad una evoluzione tecnologica il cui ritmo è talmente rapido da non concedere il tempo necessario perché si riescano ad elaborare delle scelte programmatiche: c’è il rischio di essere sempre in ritardo, giocati da “fatti” imposti dall’industria e dal mercato.

I settori che esigono una presenza di studio e di intervento sono:

— lo squilibrio tra le diverse nazioni nel controllo delle informazioni;

— la difesa della “privacy” del singolo individuo;

— la protezione da una eccessiva invadenza da parte degli operatori economici e pubblicitari;

— la difesa di spazi gestibili dalla comunità locale;

— la preoccupazione per la gioventù.

Può sembrare che tutto questo abbia poco a che fare con la C., ma non è vero: non solo perché la proposta cristiana è comprensibile e credibile solo sulla base dei fatti che la comunità cristiana pone; ma anche perché queste stesse preoccupazioni investono il modo con cui la Chiesa gestisce l’informazione al suo interno.

2.​​ La situazione che si prospetta come imminente è caratterizzata dalla grande disponibilità di programmi, prodotti molto spesso sulla base di modelli umani funzionali agli interessi del mercato e della pubblicità. Quale tipo di servizio può e deve rendere la comunità dei cristiani?

a) Da una parte c’è chi sostiene l’opportunità per la Chiesa di rinunciare ad una presenza a livello di grandi mezzi, per impegnarsi invece nell’azione concreta e là dove si realizza un incontro umano autentico: i group-media, radio e tv locali, le varie forme di espressione proprie di una comunità. Ciò può divenire un atto di contestazione profetica nei confronti di una società che sembra surrogare la vita vissuta con lo spettacolo (si​​ guarda​​ giocare, si​​ guarda​​ la politica, si​​ guardano​​ le guerre, si​​ guarda​​ pregare...) e che antepone l’efficienza al rispetto del più debole.

b) Dall’altra non si vedono motivi sufficienti per dichiarare in ogni caso contraddittoria una presenza della Chiesa a livello di massmedia: sembra infatti l’unico modo per parlare alla vita di molti. In questo caso si devono affrontare alcune opzioni.

1)​​ Quanto agli strumenti. Si può scegliere di gestire una stazione televisiva in modo diretto, decidendo anche se si vuole un “organismo ufficiale” o una struttura autonoma: nel primo caso il rischio è di non essere né ascoltati né creduti dai lontani e dai critici; nel secondo caso il pericolo è di dar vita a un organismo che funziona al di sopra della stessa comunità, con inevitabili conflitti di competenza.

Una scelta diversa è quella di utilizzare spazi disponibili nelle strutture commerciali e pubbliche: in questo caso la difficoltà consisterà nel sopravvivere anche se collocati entro rubriche chiuse in tempi morti.

2)​​ Quanto al pubblico. L’obiettivo da raggiungere può essere l’incontro con il pubblico più vasto oppure con la cerchia ristretta di coloro che sono profondamente interessati al discorso religioso; si può anche tentare una via differenziata e studiare programmi rivolti agli uni o agli altri. In ogni caso l’interesse per il dialogo con il pubblico dovrà essere sempre presente. Ma fino a che punto approfondire questo dialogo? C’è infatti chi propone l’organizzazione di centri di assistenza pastorale accanto alle redazioni di programmi religiosi televisivi, quasi parrocchie di nuovo genere. Bisognerebbe chiedersi il senso di questo preteso modo di fare comunità: è un servizio o è una mistificazione?

3)​​ Quanto ai mezzi economici. Non ci sono molte alternative: o si lavora a partire da un budget messo a disposizione dall’emittente; o i fondi necessari vengono dalla comunità; oppure sono gli utenti che pagano i programmi. L’aspetto finanziario è un punto critico: senza denaro non si fa nulla; per avere il denaro si può gestire la comunicazione religiosa televisiva alla stregua di un prodotto commerciale sostenuto da una ambigua macchina pubblicitaria (è il caso di alcuni gruppi evangelici negli USA: la cosiddetta Electronic Church).

4)​​ Quanto ai programmi. Una volta di più si deve sollevare il problema se abbia senso trasmettere nel circuito televisivo le immagini di quanto appartiene alla vita della comunità (la messa, i sacramenti) o se non si debbano riservare gelosamente queste celebrazioni alla partecipazione diretta di chi vuole essere coinvolto. Per la TV si possono inventare altre forme, tali anche da sostenere il senso di appartenenza di chi non può essere fisicamente presente. La cosa è tanto più urgente in quanto la massima parte del tempo televisivo a tema religioso è ora occupata da queste riprese o da momenti di celebrazioni ufficiali.

Conclusione

La messe non è mai stata così vasta; è chiaro che oltre agli operai occorre anche il contributo della teologia e della mediazione cat. Alcuni segni di una presenza sulla frontiera delle innovazioni tecnologiche ci sono: la Chiesa francese, quella tedesca e quella canadese sono presenti nei rispettivi paesi alla fase sperimentale del videotex, elaborando una loro politica e precisi programmi; la Chiesa statunitense e quella inglese partecipano al dibattito sulla legislazione relativa al settore della comunicazione; studiosi cristiani — specie in America Latina — sono attivi nel dibattito per un nuovo ordine a livello di comunicazione internazionale.​​ E​​ tuttavia tutto ciò sembra poca cosa di fronte​​ ad un​​ intero mondo che cambia.

Bibliografia

P. Babin – M. F. Kouloumdjian,​​ Les nouveaux​​ modes​​ de comprendre la génération de l’audiovisuel et de l’ordinateur,​​ Paris, Le Centurion, 1983; M. Beckbr-Huberti,​​ Videotex und Kirche. Dritte s​​ Internationales​​ Seminar in Durham,​​ in “Communicatio Socialis” 17 (1984) 4, 320-325;​​ Church​​ response​​ to cable television,​​ numero monografico di “Research Trends in Religious Communication” 3 (1982) n. 1;​​ Contribution of the Church to National Broadcasting Policy,​​ numero monografico di “Research Trends in Religious Communication” 1 (1980) n. 3; G.​​ Giovannini,​​ Mass media anni '90,​​ Torino, Ed. Gutemberg 2000, 1985; P. G. Horsfield,​​ Religious Television. The American Experi enee,​​ New York,​​ Longman,​​ 1984; G. Jaberg – L. G. Wargo,​​ The video pendi-, cable Communications for church and community,​​ Lanham,​​ University Press of America, 1980;​​ Religious Broadcasting now,​​ numero monografico di “Independent Broadcasting» 34 (1983).

Franco Lever

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