SVANTAGGIO SOCIALE

 

SVANTAGGIO SOCIALE

Per s.s. si intende la situazione di​​ ​​ emarginazione sperimentata dal singolo e / o dal gruppo (classe, ceto, minoranza, comunità) in un contesto sociale di riferimento in cui altri vivono la situazione opposta di vantaggio e quindi di non emarginazione.

1. Lo s.s. è misurabile statisticamente, prendendo come indicatori il reddito, la classe sociale, l’età, il sesso, il livello di istruzione, l’occupazione, il luogo di residenza, la collocazione urbana, storia ed ambiente familiare. La disparità selettiva riguarda nazioni ed individui. Nei Paesi cosiddetti «svantaggiati» si registrano più bassi tassi di scolarizzazione di base e solo una piccola minoranza privilegiata raggiunge livelli superiori e migliori di formazione. La politica europea della cooperazione allo sviluppo tende a favorire «l’inserimento armonioso e progressivo dei paesi in via di sviluppo nell’economia mondiale» (Trattato di Maastricht, 07.02.1992, art. 130 U). Ricerche significative condotte sin dagli anni ’60 (C. Bereiter, S. Smilansky, B. Bernstein, J. S. Coleman, A. H. Passow) evidenziano il problema dello s. socio-culturale di bambini «differenti» per linguaggio e schemi di riferimento appresi anche prima dell’ingresso a scuola in ambiente socio-culturale meno favorito, non corrispondente cioè pienamente ad una cultura scolastica che è soprattutto costituita da valori della classe media. Di qui l’insuccesso scolastico e l’educazione compensativa (A. Little, G. Smith) degli anni ’70 intesa ad offrire socializzazioni adatte allo sviluppo nel bambino delle abilità richieste.​​ 

2. Dalle ricerche psicopedagogiche e sociologiche degli anni ’80 emerge un nuovo orientamento. I modelli valoriali della classe media delle società occidentali industrializzate sono considerati in modo critico e non accettati come norma universale, piuttosto si tende all’elaborazione dell’apprendimento partendo da specificità e differenze culturali. Alla pedagogia segregante si sostituisce la pedagogia del pluralismo e l’educazione interculturale. In questo senso lo s.s. è trattato non solo in termini di effetto da eliminare e superare, ma viene anche affrontato con la razionalizzazione di carattere umanistico che valorizza contenuti ed apporti della diversità da comprendere e preservare. Una certa esperienza sociale del bambino è studiata ed esaminata nella sua validità di costruzione differenziata della personalità e delle caratteristiche individuali dell’apprendimento (​​ Piaget, B. S. Bloom) prima che la differenza si trasformi in comportamento deviante socialmente riprovevole.

Bibliografia

Luccio R. - N. Borroni,​​ Disadattamento e s.s.,​​ Firenze, Le Monnier, 1979; Canevaro A., «Gli svantaggiati», in B. Vertecchi (Ed.),​​ La scuola italiana verso il 2000,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1984, 474-490; Chistolini S.,​​ Superare lo s.: indagine su percezioni e valori dei giovani tra i 14 e i 19 anni, in «Osservatorio ISFOL. Formazione - Orientamento - Occupazione - Nuove tecnologie - Professionalità» 19 (1997) 3, 162-219.​​ 

S. Chistolini

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SVANTAGGIO SOCIALE

SVILUPPO

 

SVILUPPO

Lo s. umano è un processo di cambiamento progressivo e costante che accompagna la​​ ​​ persona lungo tutto l’arco evolutivo (dalla nascita alla morte) modificando ogni suo aspetto, sia sul piano della struttura di​​ ​​ personalità, sia nelle manifestazioni a livello comportamentale. Tale processo è osservabile non solo in riferimento a grandi periodi evolutivi (per es. infanzia - età adulta), ma anche confrontando le diverse manifestazioni del soggetto esaminato a piccoli intervalli temporali (specie nei primi anni di vita). Questo cambiamento come processo, per essere considerato s., implica una tendenza verso una ottimizzazione delle risorse umane («un miglioramento con basi valoriali»); tale aspetto valoriale è definito in funzione delle singole teorie.

1.​​ Caratteristiche dello s.​​ Lo s. appare come una realtà dinamica che, in modi diversi e con ritmi diversi, attraverso continui cambiamenti, tende verso un equilibrio sempre più grande e più maturo. Idealmente, quindi, il cambiamento implica un progresso continuo; non necessariamente, però, avviene in modo armonico a tutti i livelli della singola persona, né si manifesta con eguali ritmi nel confronto interpersonale. Nella singola persona, infatti, è possibile constatare uno s. più maturo e armonico a livello strutturale che comportamentale o viceversa; oppure vi possono essere sfasamenti di s. nelle diverse sfere affettiva, cognitiva e comportamentale; o, ancora, gli sfasamenti possono riguardare le diverse dimensioni e polarità che definiscono la ricchezza dell’uomo. Nel confronto interpersonale è facile rilevare che lo s. è più veloce nei primi anni di vita, per farsi via via meno evidente nell’età adulta e, ancor meno, nell’età senile. Accanto a questa constatazione così palese, però, va rilevato che altrettanto palese è la differenza di s. che possono manifestare persone che pure appartengono alla stessa fascia d’età. L’analisi dei fattori e dei principi di s. può aiutare a capire questa non corrispondenza dei livelli di s.

2.​​ Fattori di s.​​ È ormai unanime la convinzione che i cambiamenti nello s. sono il risultato dell’influsso sia dei fattori endogeni che di quelli esogeni. Senza soffermarci su questo aspetto già noto, ci sembra più importante considerare il modo in cui questo duplice influsso si relaziona con la crescita umana. I due gruppi di fattori endogeni (processi biologici) ed esogeni (processi ambientali), che sono fondamentali per lo s. e che, pertanto, chiamiamo «maggiori», agiscono sempre con uguale influenza. Il loro influsso, però, si esercita in una situazione determinata della storia della persona, il loro incontro avviene alla presenza di quella serie di esigenze concrete che la persona manifesta in ogni momento e subisce l’influsso di una quantità di variabili sia interne che situazionali. Queste esigenze e variabili costituiscono, così, una seconda serie di fattori (che, per analogia, diciamo «minori») che va a condizionare l’interazione dei primi. In altri termini, l’importanza dei diversi fattori, nella situazione concreta della vita, non dipende necessariamente dalla loro grandezza o dalla loro capacità astratta di influsso, ma dall’incidenza reale esercitata in un momento particolare: un fattore oggettivamente piccolo può essere l’elemento che fa scaturire il comportamento. Tutti i fattori concorrono alla messa in opera di un comportamento ed ognuno svolge la sua parte, in modo tale che l’esclusione di uno di essi può compromettere tutto il comportamento. Tenendo presenti i fattori «maggiori» e gli svariati fattori «minori» che intervengono nel comportamento soggettivo, è possibile comprendere più profondamente l’agire umano. È interessante non soltanto considerare la presenza di una pluralità di fattori ma anche, e forse soprattutto, la loro interazione «transazione». Non si tratta di chiedersi quale gruppo di fattori stia influenzando la situazione, né sembra utile chiedersi quanto peso abbia ogni gruppo di fattori. La questione importante sta nell’analizzare come tali fattori influiscano e come intervengano. Appare chiaro che tutti e due i gruppi di fattori devono essere presenti affinché il comportamento sia adeguato. La compresenza e il contributo di ogni fattore, senza escluderne nessuno, e soprattutto la loro armonizzazione e integrazione funzionale e produttiva costituiscono lo stimolo adeguato per la crescita del soggetto. Infatti, la capacità maturativa in generale e, più in concreto, la disponibilità dei soggetti ad imparare, è in funzione della transazione dell’insieme dei fattori presenti nel comportamento umano. L’attuale momento evolutivo del soggetto con il corrispondente livello di maturità raggiunto, la sua esperienza passata con la relativa problematica, e la situazione particolare che sta vivendo possono essere considerati come una sintesi dei fattori la cui analisi garantisce la conoscenza della situazione reale della persona e permette di scoprire la sua disponibilità a maturare e ad imparare. In chiave educativa, si tratta di identificare i «periodi critici», cioè, quei periodi privilegiati durante i quali è più facile, più piacevole e più gratificante la realizzazione di alcuni compiti o il raggiungimento di mete di s., oppure è più facile acquisire conoscenze, competenze ed abilità. In quest’ottica educativa, appare chiara l’importanza di conoscere il tipo di interazione dei diversi fattori e la situazione particolare del soggetto, in modo tale che possa essere colto il momento in cui l’educando si trova nella condizione ottimale per imparare e maturare. Questa scoperta esige come risposta, da parte degli educatori, un adeguamento della proposta educativo-scolastica. La distanza, o discrepanza, tra il punto in cui si trova l’educando e la meta da raggiungere deve essere tale che il soggetto si senta motivato a camminare nella direzione giusta e che l’obiettivo non sia così lontano da indurre scoraggiamento. Di conseguenza, la meta ideale (proposta con «discrepanza ottimale») è quella che presenta maggiore distanza tra il punto di partenza e il punto di arrivo e, nello stesso tempo, è altamente motivante e raggiungibile. Per poter verificare la validità della propria proposta, l’educatore ricorre al meccanismo del​​ feedback,​​ cioè, si avvale di parametri costituiti dall’interesse dell’educando, dalla sua costanza nell’impegno e dal profitto (risultato dell’impegno).

3.​​ Principi di s.​​ Due riflessioni permettono di capire diverse manifestazioni della crescita e, avendo delle implicanze operative, offrono elementi per favorirla. a)​​ Relazione tra la maturità e l’esercizio.​​ Maturità ed esercizio, costituendo i due aspetti correlati dell’apprendimento, condizionano fortemente il processo di s. della persona. La maturità, conseguenza della transazione dei diversi fattori di cui abbiamo detto più sopra, condiziona e fondamenta i risultati che la persona può raggiungere (che vanno dalle prime ed elementari attività psicomotorie fino alle più alte realizzazioni dei grandi maestri delle diverse scienze ed arti). Data la correlazione esistente tra la maturità e l’esercizio, la programmazione di quest’ultimo, che comprende tutti gli aspetti della persona, va calibrata in base alla raggiunta maturità del soggetto. Un alto grado di maturità raggiunto dalla persona permette di fare a meno dell’esercizio che, in questo caso, non avrebbe un’incidenza particolare sul risultato finale. Diversamente, l’esercizio può avere delle conseguenze altamente positive, se calibrato alle attuali possibilità della persona, ma anche profondamente negative e disfunzionali (anche se viene eseguito nel migliore dei modi), se è proposto ignorando la disponibilità del soggetto (infatti, se viene proposto alla persona quando questa non è pronta a realizzarlo, può non soltanto condizionare, ma persino bloccare lo s. regolare). b)​​ Continuità e cambio nello s.​​ I fenomeni del cambiamento dovuto allo s. appaiono in modo palese. Nonostante gli evidenti cambiamenti, anche se l’uomo non può essere inquadrato in un modo statico e definitivo secondo preconcetti e nemmeno secondo quadri teorici, possiamo scoprire certe tendenze costanti durante tutto l’arco evolutivo. Non è possibile «sezionare» il processo di s. e dividerlo come se un comportamento o una manifestazione non avesse niente a che vedere con gli altri o con quanto è avvenuto o avverrà nella persona. Ogni individuo ha un proprio modo di svilupparsi e di crescere che costituisce quasi la sua «matrice di crescita»; tale peculiarità è sempre presente e costituisce un fedele accompagnatore. Ci sembra che la conclusione più ovvia e rispettosa della persona umana sia quella di considerare la persona stessa come avente una propria individualità con la quale si va manifestando e realizzando in modi diversi e sempre più maturi. Da un punto di vista educativo, vanno stimolate le capacità evolutive dell’educando favorendo i cambiamenti verso un più alto grado di maturità. È molto funzionale informarsi sulle caratteristiche attuali degli educandi e, in base ad esse, ipotizzare le possibilità di crescita futura nel rispetto del diverso ritmo di s., delle difficoltà che essi possono incontrare e delle differenze individuali. Queste previsioni rispettose delle persone, in campo educativo, permettono di adeguare i compiti da proporre agli educandi e, più in generale, aiutano a calibrare, misurare e adattare (rendere più realistiche) le proprie aspettative sugli altri.

4.​​ Teorie dello s.​​ Ogni teoria dello s. osserva i diversi cambiamenti che intervengono nei soggetti in s. e che riguardano tutte le aree della personalità (motoria, intellettiva, psicosessuale, sociale, affettiva, morale, religiosa, ecc.), cerca di descrivere e relazionare i dati osservati e tenta una loro elaborazione e spiegazione. Ogni teoria inoltre propone il proprio modello di s. indicando la concezione antropologica di base, la qualità dello s. stesso e il modo di interagire dei diversi fattori coinvolti nel processo di crescita del soggetto. La divisione dello s. in periodi evolutivi è una modalità scientifica didatticamente e operativamente utile che consente di cogliere le diverse manifestazioni del processo di cambiamento umano. Tale divisione consiste nel raggruppare, in successivi momenti evolutivi (stadi, fasi, tappe, ecc.), le manifestazioni affettive, cognitive e comportamentali che presentano caratteristiche simili (senza per questo negare la peculiarità degli individui e degli aspetti raggruppati nello stesso momento evolutivo). La sequenza costituita dai diversi momenti evolutivi dà luogo ad un​​ «modello di s.»​​ e l’attenzione particolare rivolta all’evoluzione dell’una o dell’altra manifestazione fa sì che esista una pluralità di modelli. Nell’affrontare i problemi evolutivi in particolare, ma anche nella riflessione antropologica in generale, è di fondamentale importanza il modello di s. di riferimento. Ogni modello offre spunti per cogliere aspetti diversi della persona; ma, per formarsi una mentalità evolutiva rispettosa delle diversità ma anche dell’unitarietà dell’uomo in s., per evitare dicotomie o frammentarietà, è necessario integrare gli aspetti analizzati separatamente unificando le diverse componenti e sfere della personalità in una concezione globale e integrata della persona in s. In altre parole, si richiede che ogni approccio alla realtà evolutiva sia aperto alla considerazione delle diverse componenti della persona vista nella sua totale ricchezza, senza pregiudizi di partenza. Da un punto di vista educativo, sarebbe desiderabile che ogni teoria proponesse delle possibili linee educative per favorire lo s. umano; le linee suggerite avrebbero il pregio di porre una base relativamente sicura per l’intervento educativo, da un punto di vista teorico e aiuterebbero a prendere in considerazione i punti nodali da privilegiare nel processo maturativo della persona stessa. Per altri aspetti e significati specifici, si vedano le rispettive voci dello s.

Bibliografia

Miller P. H.,​​ Teorie dello s. psicologico,​​ Bologna, Il Mulino, 1987; Aparo A. - M. Casonato - M. Vigorelli,​​ Modelli genetico-evolutivi in psicoanalisi,​​ Ibid., 1989; Axia G. (Ed.),​​ La valutazione dello s.,​​ Roma, NIS, 1994; Fonzi A. (Ed.),​​ Manuale di psicologia dello s., Firenze, Giunti, 2001; Oliverio Ferraris A. et al.,​​ Introduzione alla psicologia dello s., Bari, Laterza, 2001; Camaioni L. - P. Di Blasio,​​ Psicologia dello s., Bologna, Il Mulino, 2002.

A. Arto

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SVILUPPO

SVILUPPO MORALE

 

SVILUPPO MORALE

1.​​ Per S. morale si intende il processo psicologico, profondamente influenzato dall’educazione, con il quale l’uomo, durante l’età evolutiva, passa da una situazione di immaturità morale, capace soltanto di esperienze etiche imperfette e infantili, alla maturità morale dell’adulto, capace di una libera, consapevole e coerente adesione ai valori. La teologia morale, pur pensata in funzione pastorale, non ha mai studiato seriamente il fatto morale nel suo darsi concreto all’interno della maturazione di una persona. Essa studiava, più che lo S. della coscienza e del carattere morale, la loro essenza statica e intemporale e il loro rapporto con la norma etica, altrettanto immutabile ed intemporale. Si occupava perciò soltanto degli adulti normali (sia pure allargando tale concetto fino a includervi, attribuendo loro piena imputabilità morale, tutti coloro che non erano​​ infantes​​ o amentes).

La C. ha generalmente seguito la dottrina teologica, in questa assenza di prospettiva genetica, nella presentazione del fatto morale.

2.​​ Lo studio della psicologia ci ha rivelato il carattere progressivo e graduale dello S. della → coscienza e dell’esperienza morale, facendo oggetto dello studio di tale sviluppo, non soltanto la dimensione quantitativa del fatto morale (l’accumulazione del sapere e della virtù morale) ma anche la dimensione qualitativa (il come della virtù, la qualità psicologica del comportamento virtuoso). Pioniere di questo genere di studio fu a suo tempo S. Freud, uno dei massimi “maestri del sospetto” della cultura moderna. Egli ha ridotto tutta l’esperienza morale a quella che può essere considerata la fase del suo innesco: l’interiorizzazione, in parte inconsapevole, dei veti e dei comandi parentali, in quello che egli ha chiamato con una espressione fortunata, il super-ego. Questa riduzione dissolveva tutta la serietà e dignità dell’esperienza morale, facendone qualcosa di irrimediabilmente infantile.

Dopo di lui, molti psicologi hanno cercato di ricuperare, al di là di questo innesco costituito dal super-ego, una fase più matura e valida di esperienza morale, fondata su un “io forte”, cioè sulle qualità razionali della persona. La crescita morale consisterebbe in questo caso nel passaggio dall’eteronomia morale, tipica del super-ego, all’autonomia morale dell’esperienza morale matura.

Su un’altra direttrice hanno portato avanti lo studio dello S. morale J. Piaget e, al suo seguito, L. Kohlberg e la sua scuola. Il loro approccio è prevalentemente cognitivo. Lo S. morale si identifica con lo S. del ragionamento morale; S. pensato, secondo modalità strutturalistiche, come passaggio da strutture formali di pensiero primitive ed altre più evolute, secondo una sequenza invariante di stadi che, per Kohlberg, sono essenzialmente tre (pre-convenzionale, convenzionale, postconvenzionale o dei principi).

3.​​ Questi studi hanno portato ad alcune conclusioni largamente condivise e recepibili con una certa sicurezza anche in sede cat. Esse possono essere così formulate:

1)​​ Il fatto morale si dà soltanto sotto la forma di una crescita o maturazione specifica, più intensa durante l’età evolutiva, ma estesa in certo modo a tutta la vita.

2)​​ Tale crescita non è puramente quantitativa; è di più di un accumulo omogeneo di sapere, attitudini, comportamenti morali: è passaggio da stadi di immaturità a stadi di maturità, qualitativamente disomogenei rispetto ai precedenti.

3)​​ Le grandi polarità di questo S. sono generalmente indicate nel passaggio dall’eteronomia morale del bambino all’autonomia morale e all’adesione personale ai valori dell’adulto; dal carattere rigido e irrazionale della coscienza dell’adolescente a quello razionale e creativo della coscienza adulta; dal punto di vista egocentrico dell’immaturo alla prospettiva altruistica dell’adulto riuscito.

4)​​ Le istanze psichiche in gioco sono tutte le energie della persona: non solo la capacità di apprendere, attraverso riflessi condizionati, comportamenti socialmente adeguati, non solo la capacità di interiorizzare veti sociali, ma anche la cognitività razionale, l’emotività, la fondamentale apertura della libertà umana al bene per cui è fatta.

Si tratta quindi di una crescita favorita dall’educazione, ma portata avanti sull’onda di energie interne alla persona. Lo S. morale è quindi nella persona qualcosa di autoctono, nei confronti del quale l’educazione svolge il compito di far emergere potenzialità latenti, favorendo uno sviluppo per germinazione, piuttosto che per accumulo.

5)​​ I dinamismi che favoriscono tale sviluppo costituiscono appunto 1’→ educazione morale. L’interesse della C. a questo genere di studi è legato al fatto che essa si pone anche compiti espliciti di educazione morale, in quanto per il credente tutta l’esperienza morale è vissuta all’interno dell’esperienza della fede, ed è un fatto di incarnazione e di autenticità della fede stessa.

Ma c’è un altro punto ancora più prossimo di contatto tra queste due aree del sapere, che si fonda sulla sintonia, posta in luce da san Paolo nella lettera ai Galati, tra passaggio dall’incredulità alla fede (e alla fede vissuta e adulta) da una parte, e passaggio da una forma eteronoma a una forma autonoma (o post-legale) di impegno morale. La maturazione della fede comporta di per se stessa anche una maturazione morale, nel senso di un superamento dell’atteggiamento legale, verso un’adesione interiore ai valori, con la spontaneità dell’amore.

Questo non comporta da parte dell’educatore della fede un abbandono intempestivo e unilaterale della pur necessaria pedagogia della legge (siamo ancora sempre peccatori e abbiamo ancora sempre bisogno della funzione di guida e di accusa svolta dalla legge), ma almeno una pedagogia morale che si prefigga come meta finale l’approdo dell’educando a una situazione di autonomia morale nel senso visto sopra. Le stesse considerazioni possono essere fatte per quanto riguarda il passaggio dalla irrazionalità (o forse meglio, prerazionalità) di una morale che sacralizza e assolutizza il sabato a spese dell’uomo, verso una razionalità che restituisca all’uomo il suo primato nella preoccupazione etica e alla ragionevolezza il suo compito di illuminazione e di guida nell’ambito dell’esperienza morale. Questo potrà comportare per la C. una messa in questione dello schema dei → comandamenti come struttura portante del messaggio morale cristiano, almeno nei catechismi degli adulti; messa in questione che ci pare peraltro largamente in atto.

L’educazione della fede, assumendo in sé gli obiettivi e i dinamismi propri di ogni autentica educazione morale anche semplicemente umana, offre allo S. morale l’apporto soprannaturale dei dinamismi educativi della grazia, in particolare dei sacramenti e della vita liturgica, dotati di una loro specifica e insostituibile efficacia di maturazione morale.

Bibliografia

H. Bissonnier,​​ Psicologia e morale nella nuova catechesi,​​ Leumann-Torino, LDC, 1969; R.​​ Duska –​​ M.​​ Whelan,​​ Lo sviluppo morale nell’età evolutiva: una guida a Piaget e Kohlberg,​​ Torino, Marietti, 1979; G.​​ Flick,​​ Coscienza e sviluppo della personalità,​​ Bologna, EDB, 1971; T. C.​​ Hennessy​​ (ed.),​​ Values and Moral Development,​​ New York, Paulist Press, 1976; A. W.​​ Kay,​​ Moral Development,​​ New York, Schocken, 1969; L. Kohlberg,​​ The Philosophy of Moral Development,​​ vol. I, S. Francisco, Harper-Row, 1981; T. Lickona (ed.),​​ Moral Development and Behavior,​​ New York, Holt, 1973; R. F. Peck – R. J. Havighurst.​​ The Psychology of Character Development,​​ New York-London, Wiley, 1960.

Guido Gatti

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SVILUPPO MORALE

Con il termine morale, dal lat.​​ mos,​​ moris​​ (costume), si intende comunemente ciò che «concerne le forme e i modi della vita pubblica e privata, in relazione alla categoria del bene e del male» (Zingarelli, 1995). Di conseguenza, definiamo lo s.m. come il processo di progressiva acquisizione, padronanza e adesione a tali forme e modi di comportamento volto al bene (o al male) della persona (privato) e della persona nella sua relazione interpersonale (pubblico). Il problema dello s.m. viene affrontato da diversi settori di studio e solo entro un’ottica interdisciplinare può essere colto in tutta la sua portata. La prospettiva della psicologia evolutiva (prospettiva in cui ci poniamo) sarà, pertanto, necessariamente limitata rispetto alla vastità dell’argomento.

1.​​ Studio psicologico del problema morale.​​ Lo s.m. è qualitativamente diverso dagli aspetti dello s. generale dell’io o, almeno, individua delle sfaccettature che permettono od esigono che venga studiato separatamente. In una visione rispettosa dei bisogni, delle esigenze e delle potenzialità dell’uomo non si potrà prescindere dal considerare la componente m. Tale componente umana è la parte del sistema di​​ ​​ valori, personali e culturali, relazionata con i fini delle attività e degli impegni dell’uomo, con l’adeguamento o meno del comportamento a tali fini, e con la responsabilità inerente a quest’ultimo. Evidentemente, il comportamento m. ha modalità diverse di attuazione a seconda del momento evolutivo che la persona attraversa e si colora di varie tonalità a seconda del tempo e della situazione concreta in cui questa vive.

2.​​ Diversità di approcci nello studio dello s.m.​​ Lo studio psicologico dello s. fa riferimento fondamentalmente a due grandi modelli: meccanicistico e organicistico. Il modello meccanicistico descrive lo s. come una crescita di tipo quantitativo; l’uomo è visto come un essere reattivo che trova la fonte dei suoi valori nella struttura sociale. Il modello organicistico concepisce lo s. in termini di cambiamenti qualitativi e strutturali che si concretizzano nel progressivo passaggio da una fase o stadio al successivo; l’uomo appare come un organismo attivo che partecipa e costruisce il proprio processo di crescita. Questi due modelli hanno alla base una diversa concezione antropologica. Ma la diversa concezione antropologica cui fanno riferimento le varie correnti psicologiche implica anche una diversa impostazione e interpretazione dello s.m.​​ a) Approccio psicanalitico allo s.m.​​ L’antropologia alla base di molti contributi psicoanalitici è quella che diciamo del «peccato originale». Tale concezione parte dal presupposto che nella natura vi sia qualcosa di perverso; di conseguenza, il processo di​​ ​​ socializzazione è visto come una continua lotta tra l’individuo e la società in cui il primo è destinato è soccombere. La morale si presenta con una duplice veste: esterna e sociologica. Il bambino si sente forzato dall’esterno (morale esterna) ad avere un comportamento che gli consente di difendersi dai propri conflitti e dall’ansia provocata dalla repressione insinuata dalla proibizione genitoriale o sociale (morale sociologica). La maturità morale riflette la completa armonia degli istinti e del controllo razionale. La moralità dell’individuo che ha raggiunto la maturità è caratterizzata dalla rinuncia al principio del piacere per lasciare al principio della realtà la gestione del comportamento. L’Io organizza e gestisce Es e Super-Io.​​ b) Apprendimento sociale e s.m.​​ Le teorie S-R e varie correnti della teoria dell’apprendimento sociale applicata alla socializzazione hanno alla base una concezione antropologica che diciamo della​​ «tabula rasa»:​​ il bambino non è né corrotto né puro, bensì completamente malleabile e plasmabile senza limiti; la socializzazione, quindi, consiste in un processo di​​ ​​ condizionamento di un organismo fondamentalmente passivo. La moralità è descritta in termini di specifiche azioni e come realizzazione di ciò che è stato appreso attraverso i premi o le punizioni. Visto in questa prospettiva, lo s.m. altro non è che una trasmissione e interiorizzazione di valori altrui e, di conseguenza, l’uomo morale non è altro che un insieme di risposte condizionate e di abitudini apprese. Un aspetto fondamentale quale quello dell’autonomia e dell’indipendenza di giudizio viene totalmente escluso da questa visione. Nella più ricca visione di Bandura, lo s. (anche quello morale) è visto come un processo di apprendimento basato sull’acquisizione di nuove risposte, e sulla modificazione continua di quelle già esistenti, grazie all’osservazione di molteplici modelli, specie i genitori. In tale visione, la variabile fondamentale è rappresentata dall’affettività, cioè dall’interazione educativo-affettiva tra i genitori ed il bambino.​​ c) Approccio cognitivo-evolutivo allo s.m.​​ L’approccio cognitivo-evolutivo si rifà ad una concezione antropologica, che diciamo della​​ «purezza innata»,​​ secondo cui la natura umana è intrinsecamente buona ed è la società, e specialmente la società degli adulti, ad esercitare un influsso negativo sull’individuo. La socializzazione viene vista come un processo di s. in cui le intrinseche tendenze di crescita del bambino giungono ad una condotta sempre più adattata e autorealizzante. Lo s. (anche quello morale), processo fondamentalmente positivo, è visto come un emergere continuo di sempre più alte, efficaci e complete capacità di rispondere alla realtà esterna o, più precisamente, come una serie di tappe o stadi in ordine progressivo organicamente integrati tra loro e costituenti veri compiti di s. lungo l’arco evolutivo. Gli aspetti essenziali dello s. sono costituiti dalla capacità dell’uomo di organizzare la propria esperienza e di imporre la propria idea sull’ambiente. Lo s.m. (o, meglio, la maturità del giudizio morale) viene visto come un processo in cui l’individuo, per mezzo di strutture logiche nuove in ogni stadio di s., assume progressivamente il ruolo degli altri. In quest’ottica, il comportamento morale è quello che risulta dalla decisione basata su un giudizio sulla cosa giusta da fare; tale giudizio si fonda, a sua volta, sul principio che va dato rilievo a ciò che è giusto per gli altri e che il proprio comportamento va regolato sulla base di norme di giusto o sbagliato che si possono applicare all’altrui comportamento. Per essere in possesso di un elevato livello di moralità, si deve avere la capacità di comprendere la natura o i principi delle norme morali, di analizzare i problemi alla luce di tali norme, e di decidere se e come queste debbano essere applicate. La maturità morale consiste nella moralità basata sui principi (il più alto livello di giudizio morale): una moralità, cioè, che esige dal soggetto un’opinione personale, basata su principi razionalmente accettati e, possiamo anche dire, autogenerati. La maturità morale, per essere tale, non si limita alla sola capacità di prendere decisioni e dare giudizi che siano morali (governati da principi personali), implica anche un comportamento conforme a tali principi; richiede, cioè, che non ci si fermi all’aspetto del puro pensiero, ma che questo trovi il suo completamento nell’azione (coerenza tra pensiero e giudizio). In questa corrente cognitivo-evolutiva, danno il loro valido contributo​​ ​​ Piaget e​​ ​​ Kohlberg.

3.​​ Suggerimenti educativi.​​ Da un punto di vista educativo può essere utile considerare quanto segue: a) La crescita morale è favorita dalla stimolazione, da parte di persone significative, a procedere verso stadi più alti di pensiero; tale stimolazione si rende insufficiente (anche se garantita da una presenza continua e intensa) se l’educando non partecipa attivamente. b) Il movimento verso lo stadio superiore implica una riorganizzazione cognitiva; così, possiamo dire che il conflitto cognitivo e lo squilibrio, sono il motore centrale per la suddetta riorganizzazione cognitiva o per il movimento ascendente nella scala degli stadi. c) La discussione sui conflitti morali è un fattore che favorisce il progresso negli stadi di s. (Kohlberg): i diversi stadi che si propongono sono nuovi modi cognitivo-strutturali di assumere il proprio ruolo nelle situazioni conflittuali.

Bibliografia

Piaget J.,​​ Le jugement chez l’enfant,​​ Paris, PUF, 1932; Kohlberg L., «Stage and sequence: the cognitive-development approach to socialization», in D. Goslin (Ed.),​​ Handbook of socialization theory and research,​​ Chicago, Rand MacNally and Company, 1969, 347-480; Hoffman L., «Moral development in adolescence», in J. Adelson (Ed.),​​ Handbook of adolescent psychology,​​ New York, John Wiley and Sons, 1980, 295-343; Arto A.,​​ Crescita e maturazione morale.​​ Contributi psicologici per una impostazione evolutiva e applicativa,​​ Roma, LAS, 1984; Kurtines W. M. - J. L. Gewirtz,​​ Lo s.m. attraverso l’interazione sociale, Roma, Armando, 1998; Power F. C. - A. Higgins,​​ La educación moral según Lawrence Kohlberg, Barcelona, Gedisa, 1998; Pérez-Delgado - Ma. V. Mestre Escrivá (Edd.),​​ Psicología moral y crecimiento personal, Barcelona, Ariel, 1999; Kohlberg L.,​​ Psicología del desarrollo moral, Bilbao, Desclée de Brouwer, 2003.

A. Arto

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SVILUPPO MORALE

SVILUPPO RELIGIOSO

 

SVILUPPO RELIGIOSO

1.​​ Sviluppo.​​ Le concezioni teoriche dello S. o della crescita umana sono molto cambiate e il loro rapporto con la educazione religiosa rimane oggetto di discussione. All’inizio del sec. XX appaiono tre contributi storici significativi: A. Binet (Francia), J. Dewey (USA) e M. Montessori (Italia). Questi pensavano lo sviluppo in termini di educazione; Dewey e Montessori lo pensavano specificamente in funzione dell’educazione religiosa Soltanto la Montessori conservò questo interesse fino alla sua morte (1952).

A partire dalla metà del secolo altri contributi divennero gradualmente più importanti, sia per la qualità delle ricerche empiriche, come quelli di Ch. Biihler (Germania) e di J. Piaget (Svizzera), sia per il vigore della concettualizzazione, come quelli di R. J. Havighurst e di E. H. Erikson (USA). La crescita psicologica dalla nascita all’adolescenza sembrò dominata da due grandi categorie di influssi predeterminati: la​​ maturazione,​​ che indica lo sviluppo in quanto determinato da un insieme di fattori bio-psichici che regolano lo S. in senso cronologico e quindi per così dire dall’interno;​​ Yinculturazione,​​ che indica l’azione dei fattori culturali e sociali (per es. l’apprendimento) che orientano la crescita dell’organismo umano modellandolo o facendogli prendere certe forme secondo le tradizioni della società ambientale. Queste due serie di fattori sono in costante interazione tra loro e, a seconda dei comportamenti umani che si hanno di mira, l’una può dominare l’altra, oppure possono rinforzarsi o distruggersi vicendevolmente. Con il progredire dell’età i fattori culturali (per mezzo del linguaggio, delle conoscenze acquisite, dei gruppi di affiliazione scelta) aumentano di numero e diventano più complessi; di conseguenza nella psicologia genetica si restringe il campo di applicazione degli “stadi successivi”. Questa concezione ha avuto l’espressione culminante nelle pubblicazioni di A. Gesell (1946) ed ha ricevuto una conferma, criticamente limitata, nella tradizione di Piaget (Symposium del 1956). Lo studio dell’inconscio a partire da Freud ha sempre cercato di mantenere la distinzione tra alcune fasi di strutturazione dell’affettività (libidinale: per es. le fasi orale, anale, edipo). Non si tratta però di successione dovuta all’aggiunta di funzioni che producono comportamenti diversi.

Ogni fase di strutturazione procede integrando gerarchicamente la strutturazione precedente e subordinando a sé i suoi modi di funzionamento. Questi ultimi rimangono sempre presenti e possono riapparire, secondo il loro modo arcaico, in comportamenti che manifestano segni di “regressione” (per es. in situazioni troppo angoscianti per poter essere controllate consapevolmente). Questa concettualizzazione del comportamento nella linea cognitiva (Piaget) come in quella affettiva (Freud) presenta un interesse speciale per lo studio dello S. umano nelle realtà culturali di ordine simbolico, quali per es. la religione, come si vedrà più avanti. Per una buona sintesi delle ricerche scientifiche sullo sviluppo nell’infanzia occorre rivolgersi a S. R. Yussen e J. W. Santrock (1982); per un bilancio dei lavori circa le diverse età della vita a R. E. Schell e E. Hall (1983).

D’altronde vi sono serie riserve (ben fondate sul piano delle osservazioni psico-sociali) riguardanti le limitazioni delle teorie diventate classiche nella psicologia genetica. Secondo G. Lutte (1981) lo stesso concetto di adolescenza, confermato per ambienti sociali privilegiati (lunghezza della durata degli studi), rinforza la emarginazione di un numero crescente di giovani, nascondendo la loro condizione reale e i loro problemi vitali. Secondo C. Gilligan (1982) le teorie sullo S. hanno costantemente trascurato le donne, ignorando le loro motivazioni (scelte professionali), le loro decisioni (in caso di conflitto morale),​​ lo S. delle loro responsabilità secondo la diversità delle classi sociali. Si deve dunque sperare in una ricostruzione o in una differenziazione delle teorie sullo sviluppo. Questo comporterà anche delle conseguenze per la psicologia della religione.

2.​​ Sviluppo religioso.​​ La psicologia genetica della religione non studia la genesi del fenomeno religioso come tale, ma gli effetti che, nelle diverse età, vengono prodotti dall’incontro tra la crescita umana a diversi livelli (linguistico, cognitivo, affettivo, comportamentale) e le realtà già costituite di una religione intesa come insieme culturale simbolico (riti, credenze, discorsi, pratiche sociali, obblighi morali). La religione, come pure la non credenza, si affaccia al fanciullo anzitutto attraverso il linguaggio. Per es. la parola​​ Dio​​ (la più prestigiosa del vocabolario religioso), anche acquisita molto presto, si collega con evocazioni verbali.

Un noto ricercatore (J.-P. Deconchy, 1967) ne ha studiato la provenienza e i mutamenti, in condizioni tecnicamente rigorose, in una popolazione (2.316 ragazzi e 2.344 ragazze) che dovrebbe essere rappresentativa per i giovani (8-16 anni) catechizzati di una medesima regione francese. L’analisi fattoriale delle parole indotte fa emergere 29 temi con tre dominanze successive secondo le età. Da 8 a 10 anni “Dio” è collegato semanticamente a temi attributivi (creatore-artigiano, grande, forte, giusto) fondati su qualità umane (buono, gentile, saggio; dotto, furbo, istruito). Da 11 a 13 anni «Dio» è associato a “Gesù Cristo” e viene collegato con temi di​​ personalizzazione​​ (maestro-capo, signore, principe, salvatore, colui che perdona, colui che risuscita), a partire da​​ virtù​​ umane (padronanza di sé, irreprensibile). Da 14 a 16 anni “Dio” è collegato a una semantica di​​ interiorizzazione​​ a colorazione affettiva (fiducia, scambio, amicizia; timore, abbandono, dubbio) oppure come reazione contro tratti negativi (padrone, severo, distante, duro, dittatore).

Questo studio semantico non offre nessun criterio per determinare l’influsso della maturazione e dell’educazione. Tuttavia le strutture privilegiate che rivela in ogni tappa mettono in luce quali sono gli scogli che in ogni età si manifestano (anche secondo il sesso), e che vanno raggirati per poter essere fedeli allo slancio verso una maturità che è ancora lontana dall’essere congiunta alla fase della interiorizzazione affettiva. Nello stesso tempo in cui la semantica si arricchisce di sequenze strutturate, l’affettività accaparra certi elementi della religione costituita, per metterli al servizio del desiderio.

Certi attributi filosofici di Dio (onnipotenza, onniscienza) rinforzano​​ Yanimismo-.​​ sistema di pensiero che interpreta molti eventi, soprattutto insoliti, ricorrendo a intenzioni punitive o protettrici che modificano il corso delle cose. Anche se qualche altro attributo divino (per es. la provvidenza) rinforza la fiducia nella protezione divina — più incline ad aiutare l’uomo che a punirlo — le interpretazioni animiste ritardano il momento in cui si ricorre alla parola “caso” per indicare il succedersi di eventi angoscianti ma inerenti alla condizione umana. La struttura animista del pensiero in tutte le religioni è accompagnata da una mentalità​​ magica​​ nel compiere riti religiosi e sacramentali, oppure nell’assumere diversi comportamenti penitenziali (dolori inflitti, privazioni, doni di denaro) destinati esplicitamente ad assicurare l’efficacia delle preghiere di domanda. Ciò che sul piano religioso è sempre legittimo come espressione dei desideri, è accompagnato da una pretesa causale di essere esaudito, che dal punto di vita cristiano ne snatura il significato. La struttura magico-animista si indebolisce significativamente nel corso della giovinezza (13-20 anni). Così pure le produzioni immaginative che scaturiscono da interpretazioni letterali di racconti religiosi in forma mitica, soprattutto quelle che fanno eco alla colpevolezza (normale o patologica).

Non si può tuttavia dimenticare che la religiosità che scaturisce dai desideri e dalle angosce dell’uomo diventa nel corso della crescita una delle principali fonti dell’ateismo nelle culture recentemente studiate dalla sociologia e dalla psicologia. Per documentarsi sull’intero problema, cf L. B. Brown (1964, 1967), A. Godin (1967, 1970, 1983), G. Milanesi (1970, 1979, 1981), M. P. Strommen (1971) e a A. Vergote (1985).

Le trasformazioni del linguaggio e dell’affettività, in seguito all’incontro con una religione istituita, non seguono tuttavia una crescita lineare: anche lo sviluppo diversificato secondo i sessi apporta il proprio andamento. L’accesso progressivo alla percezione simbolica dell’eucaristia e del ruolo del sacerdote manifesta dinamismi psicologici diversi nei ragazzi e nelle ragazze tra 6 e 12 anni (A. Dumoulin e J.-M. Jaspard, 1973). Quest’ultima ricerca si trova già vicina ai lavori più direttamente preoccupati dell’obiettivo di una C. specificamente cristiana.

3.​​ Sviluppo religioso e C. cristiana.​​ Sarebbe bello poter conoscere meglio l’influsso relativo della maturazione e dell’educazione sulle credenze, sui comportamenti, sulle immaginazioni o sugli atteggiamenti religiosi nel corso dello S. umano. Questo studio è reso difficoltoso a causa dell’aspetto socio-culturale che è essenziale a ogni religione. Non mancano però autori che hanno studiato come i​​ compiti​​ proseguiti da una C. cristiana (in particolare quella scolastica) si trovano ostacolati, almeno temporaneamente, da certi tratti psicologici che, sul piano cognitivo, corrispondono a una inadeguata maturazione. La trasmissione del simbolismo cristiano, legittimata sul piano teologico, subisce ritardi e incontra ostacoli o distorsioni, di cui i catecheti hanno tutto l’interesse a prendere conoscenza. Si possono segnalare cinque obiettivi teologici o compiti cat.:

1)​​ Gesù, il Figlio, deve essere scoperto come centro del piano divino nella storia. Il destarsi e il progredire degli interessi storici tra gli 8 e i 14 anni passano attraverso alcune fasi che ora sono meglio conosciute (tempi mitici delle storie meravigliose, tempo oggettivo aperto al controllo, continuità di eventi giustapposti, progresso storico nella continuità, apertura alle motivazioni che illuminano il significato delle azioni in un ambiente antico). Alcune ricerche (per es. quelle riassunte nel cap. IV di M. P. Strommen 1971) spiegano le scoperte fatte da R. Goldman (1964). Quest’ultimo mostra, per ciascuna delle “storie” bibliche metodicamente studiate, come non escono dal loro “isolamento storico” (miti meravigliosi extratemporali) che nell’età fra gli 11 e i 14 anni — a seconda della storia raccontata — per il 75% dei soggetti nei gruppi esaminati. La capacità di intravedere un significato attuale di questi racconti (non soltanto la possibilità della loro ripetizione attuale), sempre secondo Goldman, è essenziale per la loro comprensione simbolica.

2)​​ Gesù stesso deve essere percepito come portatore degli atteggiamenti o dei desideri del Padre, prolungati dallo Spirito nei cristiani di oggi. Goldman (1974) ha scoperto nelle risposte dei giovani (7-17 anni) la traccia delle tre fasi dello sviluppo intellettuale secondo Piaget: pensiero intuitivo, pensiero operativo concreto, pensiero operativo formale; il tutto però leggermente ritardato a causa della semantica corrente in C. I risultati ottenuti da J. H. Peatling (1977) con 3000 studenti e adulti confermano le sequenze di questo sviluppo, ma rivelano anche forti differenze nel progresso a seconda degli individui o dei gruppi. Goldman interroga gli educatori religiosi: perché usate racconti il cui significato simbolico non è assimilabile? Una équipe di catecheti inglesi ha cercato di iniziare i fanciulli ai simboli biblici senza passare prematuramente attraverso i racconti religiosi (Goldman 1965). Alcuni hanno rimproverato a Goldman di confondere la capacità ermeneutica (decodificare intellettualmente il significato di un racconto religioso), che viene necessariamente assai tardi, e la percezione simbolica di certi racconti o di immagini che accompagnano questi racconti (in questo senso A. Godin 1968). Lo studio del destarsi graduale della funzione simbolica potrebbe anche utilmente ispirarsi a un’altra opera classica di Piaget (1945), combinandola però con certe idee psicanalitiche sulla strutturazione dell’affettività e del desiderio (in questo senso W. de Bont 1972, e soprattutto A. Vergote 1972).

3)​​ Il culto​​ cristiano è un’espressione della vita nuova, nutrita sacramentalmente per opera dello Spirito nelle Chiese. Il culto presuppone una graduale riduzione della struttura magico-animista (soglia religiosa fondamentale) con il suo orientamento egocentrico, in favore di un ascolto dei significati che scaturiscono dalle parole del Signore, e che vanno riscoperte secondo i tempi e le culture. Numerosi lavori rivelano chiaramente quanto sono precari i riti e le preghiere animati unicamente da desideri religiosi. Le ricerche fanno vedere che il loro declino sboccia sia nell’ateismo, sia nella scoperta di significati (specificamente cristiani) non ancora accessibili alla fanciullezza, ma compatibili con la maturità (numerose referenze in M. P. Strommen 1971).

4)​​ La speranza​​ cristiana, fondata in Gesù Cristo e basata sull’annuncio della salvezza per mezzo del perdono dei peccati, richiede anch’essa un superamento del moralismo basato sulla colpevolezza, frequentemente presente durante il periodo della giovinezza, e causa di una tenace allergia nei confronti delle osservanze imposte dalle Chiese (è vero che la loro teologia dominante è avversa all’idea di “salvezza per mezzo delle [buone] opere”). Per documentarsi su questo sviluppo è utile leggere N. Fabre (1966), R. W. Fairchild (1971) e l’inchiesta recente sui valori della gioventù europea (J. Stoetzel 1983).

5)​​ Infine,​​ la fede​​ cristiana deve raggiungere la maturità superando l’ateismo e criticando le immagini parentali soggettive che entrano geneticamente nella sua composizione. Per ciò che riguarda gli influssi parentali, le immagini-ricordo parentali, le figure parentali nei diversi gruppi culturali e nelle diverse età della vita, occorre consultare l’ampia documentazione raccolta da C. Bendaly (1982), e le ricerche scientifiche presentate da A. Vergote e Tamayo (1981), ben riassunte d’altronde in Vergote (1985). Per ciò che riguarda una teologia che cerca di offrire alla C. una via verso la simbolizzazione corretta delle relazioni trinitarie, nel tempo e fuori del tempo, si possono consultare per es. i due volumi di C. Duquoc (1974 e 1978).

Le teorie psicologiche sono utili per inquadrare le osservazioni sullo sviluppo; di volta in volta possono sottolineare il fondamento materno (Erikson), la strutturazione paterna (Freud, Vergote), oppure la solidarietà sociale (Fromm). Se la C. intende caratterizzare la maturità cristiana al di là di ogni immagine parentale o progetto caritativo, essa deve ricorrere alle Scritture e alle interpretazioni della Tradizione, cercando di rinnovare il proprio linguaggio. Un linguaggio d’amore (agape), certo, ma con i desideri propri di un Padre, che è tuttavia paradossale per le attese umane, e con gli atteggiamenti che hanno portato il Figlio a offrire il perdono a coloro che lo condannarono a morte, con l’invito a una figliolanza adottiva secondo lo Spirito, il quale fa rinascere ogni uomo, ogni donna, per mezzo di questa eredità cristiana di un progetto trinitario sul mondo.

Bibliografia

1.​​ Sviluppo

A.​​ Gesell,​​ The Child from Five to Ten,​​ New York, Harper-Row, 1946; C. Gilligan,​​ In A Different Voice'. Psychological Theory and Women’s Development,​​ Harvard, Univ. Press, 1982; G. Lotte,​​ Giovani invisibili.​​ Lavoro, disoccupazione, vita quotidiana in un quartiere proletario di Roma, Roma, Ed. Lavoro, 1981; R. E. Schell – E. Hall,​​ Developmental​​ Psychology Today,​​ New York, Random House, 1983;​​ Symposium sur le problème des stades en​​ psychologfe​​ de l’enfant​​ (J. Piaget, P. Osterrieth et al.), Paris, Presses Univ. de France, 1956; S. R. Yussen – J. W. Santrock,​​ Child Development: An​​ Introduction,​​ Dubuque (lowa), W.C. Brown, 1982.

2.​​ Sviluppo religioso

L. B. Brown – R. H. Thouless,​​ Les prières pour demander des faveurs,​​ in:​​ Cabiers de psychologie religieuse,​​ vol. HI, Bruxelles, Ed. Lumen Vitae, 1964, 129-145; In.,​​ Attitudes sous-jacentes dans les prières pour demander des faveurs,​​ in​​ ibidem,​​ vol. IV, ivi, 1967; J. P. Deconchy,​​ Structure génétique de​​ l'idée​​ de​​ Dieu chez des catholiques français,​​ ivi,​​ 1967; A. Dumoulin – J. M. Jaspard,​​ Les médiations religieuses dans l’univers de l'enfant,​​ ivi,​​ 1973; A.​​ Godin,​​ Sviluppo psicologico e tentazione di ateismo,​​ in​​ L’ateismo contemporaneo,​​ vol.​​ I, Torino, SEI, 1967, 209-226; In.,​​ Le​​ chrétien à l'écoute​​ de la​​ psychologie,​​ in​​ Bilan​​ de la​​ théologie du​​ XXe​​ siècle,​​ vol. I, Paris-Tournai, Casterman, 1970, 177207; Id.,​​ Psicologia delle esperienze​​ religiose,​​ Brescia, Queriniana, 1983; G.​​ Milanesi,​​ II​​ pensiero magico nella preadolescenza,​​ in​​ Ricerche di psicologia religiosa,​​ Zürich,​​ PAS-Verlag, 1970, 77-114; M. P. Strommen,​​ Research in​​ Religious​​ Development. A​​ Comprehensive Handbook,​​ New York,​​ Hawthorn Books,​​ 1971; A. Vergote,​​ Religione, fede, incredulità,​​ Ed. Paoline, 1985.

3.​​ Sviluppo religioso e C. cristiana

C. Bendaly,​​ Images​​ parentales​​ et attitudes​​ religieuses.​​ Thèse doctorale en Lettres et Sc. Humaines, Lyon, Univ. “Jean Moulin”, 1982; C. Duquoc,​​ Jésus, homme libre,​​ Paris, Cerf, 1974;​​ Id.,​​ Dieu différent. Essai sur la symbolique trinitaire,​​ ivi,​​ 1978; N. Fabre,​​ Educazione della coscienza nel fanciullo,​​ Leumann-Torino, LDC, 1970;​​ R.​​ W.​​ Fairchild,​​ Delayed Gratification.​​ A Psychological​​ and Religious Analysis,​​ in M. P. Strommen,​​ op. cit.,​​ 175-210; A.​​ Godin,​​ Fonction symbolique​​ et​​ capacité herméneutique chez l’enfant,​​ in “Lumen Vitae” 23 (1968) 513-523; R. Goldman,​​ Religious Thinking from Childhood to Adolescence,​​ London, Routledge, 1964; Id.,​​ Readiness for Religion,​​ ivi,​​ 1965; J. H. Peatling,​​ Cognitive Development in Pupils in Grade Four to Twelve: the Incidence of Concrete and Abstract Religious Thinking in American Children,​​ in​​ Character Potential. A Record of Research”​​ 7 (1974) 1, 52-61; Id.,​​ Cognitive Development. Religious Thinking in Children,​​ ibid. 8 (1977) 2, 100-115; J.​​ Piaget,​​ La formazione​​ del​​ simbolo,​​ Firenze,​​ La Nuova​​ Italia, 1972; J. Stoetzel,​​ Les valeurs​​ du temps​​ présent: une enquête​​ (neuf pays de la communauté européenne), Paris, PUF, 1983; A. Vergote,​​ Interprétation du langage religieux,​​ Paris, Seuil, 1972; A. Vergote – A. Tamayo,​​ The Parental Figures​​ and the Representation of God,​​ Paris, Mouton, 1981.

André​​ Godin

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SVILUPPO RELIGIOSO

SVIZZERA

 

SVIZZERA

La situazione particolare della SV (Confederazione di 23 cantoni, 6 diocesi, 4 lingue nazionali, popolazione confessionalmente mista) determina la realtà pastorale e cat. soprattutto secondo le regioni linguistiche. La Commissione cat. della conferenza episcopale (CCCE) è soprattutto un organo di coordinamento, che delega le sue competenze alle diverse regioni. I grandi vicini linguistici della SV hanno contribuito in misura considerevole a dare alla sua C. tre volti distinti e complementari.

I.​​ Svizzera romanza

Simile alla SV tedesca per la situazione (era dei catechismi, accento sull’insegnamento, assenza di direttive e di coordinamento, ecc.) lo sviluppo della C. nella SV rom. si delinea nel corso degli anni ’60, soprattutto sotto l’influsso del movimento cat. francese: elaborazione di nuovi catechismi per l’infanzia (Avec le Seigneur,​​ 1966), poi a partire dal 1970 adozione generalizzata di manuali francesi e belgi. Le principali iniziative prendono consistenza a partire dal 1965 e sono stimolate dai Sinodi diocesani (1972-1975).

1.​​ Passaggio dal catechismo nazionale alla pedagogia dei segni (anni ’60) e alla C. della testimonianza (anni ’80); le direttive pastorali insistono sulla libera scelta e sull’impegno personale nella C. sacramentale (direttive episcopali rom. relative ai sacramenti dell’iniziazione 1974, della confermazione 1981, del battesimo in età scolastica 1984).

2.​​ Passaggio dal libro al catechista: le prime “mamans catéchistes” radunano i fanciulli a gruppetti a casa (cantoni di Ginevra, Neuchàtel e Vaud); vengono assistite dai primi catechisti laici professionali; attualmente ci sono in tutti i cantoni gruppi di fanciulli che si radunano con i loro catechisti (all’incirca 5000, in maggioranza laici); il coordinamento è assicurato da 70 catechisti a tempo pieno.

3.​​ Passaggio dai fanciulli verso gli adulti: senza sottovalutare la C. della fanciullezza, l’età adulta diventa una preoccupazione crescente, soprattutto nell’ottica di una formazione cristiana (innumerevoli corsi formativi, giornate di studio, serie di conferenze); a poco a poco emerge la C. degli adulti, stimolata dal catecumenato degli adulti (in tutti i cantoni esiste il catecumenato in preparazione al battesimo; si trovano gruppi di famiglie o gruppi biblici spesso interconfessionali con un’ottica chiaramente cat.).

4.​​ Responsabilità dei genitori: la C. familiare e l’educazione alla fede, in cui i genitori sono i primi educatori della fede dei loro figli (con riunioni dei genitori, celebrazioni comuni), sono promosse e introdotte ovunque.

5.​​ Accento sulla formazione: in ogni cantone vengono organizzati corsi formativi per i laici in vista di un servizio cat. in senso largo; la “École des Catéchistes” di Friburgo (1970) forma, in collegamento con l’università, i quadri cat.; nel 1983 furono promulgate le “Lignes directrices romandes pour la formation catéchétique”.

6.​​ Collaborazione ecumenica crescente: commissione interconfessionale per l’animazione cat. degli handicappati, formazione comune dei catechisti di base (Ginevra), centri cat. cantonali ecumenici (Neuchàtel, Ginevra), elaborazione di corsi cat. comuni (i parcours​​ Séquences-, Alliance, Paraboles, St-Paul​​ per preadolescenti).

7.​​ Verso un coordinamento efficace: commissioni di coordinamento rom. per tutti i settori della C. (0-6 anni, fanciullezza, adolescenza, catecumenato, formazione, audiovisivo), programma-quadro per la C. della fanciullezza, in cui sono fissati gli orientamenti e le finalità normative (adattamento del →​​ Zielfelderplan​​ tedesco), bollettino di collegamento per i catechisti “Catecho” (5000 copie, 1982).

Soltanto due dei sei cantoni (Friburgo e​​ Valais)​​ hanno la C. nel contesto scolastico, impartita dal sacerdote, dall’insegnante o dal catechista. Manuali, programmi e opzioni sono gli stessi che negli altri cantoni valgono per la C. a livello della parrocchia. C’è inoltre un’ora di insegnamento biblico impartito dall’insegnante (quindi sotto la responsabilità dello Stato) in tre cantoni; si usano manuali ecumenici (ENseignement BIblique ROmand).

La struttura e l’organizzazione sono in prevalenza cantonali: in ogni cantone c’è un Centro cat. che, in collaborazione con i catechisti di professione, coordina e anima l’insieme della C. Sotto la guida della Commissione rom. per la C. (CRC) i cantoni si mettono d’accordo per tutti gli aspetti riguardanti l’insieme della regione rom.

Ambroise Binz

II. Svizzera italiana: diocesi di Lugano (Ticino)

1.​​ Lo sviluppo delle idee cat. nella diocesi di Lugano ha conosciuto dapprima il positivo influsso della riforma biblico-liturgica (anni ’50), del Concilio Vaticano Il poi (anni ’60), e infine il rinnovamento della C. operato dalla Chiesa italiana negli anni ’70. A partire dagli anni ’80, per influsso del Sinodo diocesano (1976) e approfittando della contemporanea riforma dei programmi di tutti gli ordini di scuola, l’Ufficio Cat. Diocesano, ristrutturato nel 1976, ha provveduto a un radicale rinnovamento di tutti i programmi scolastici di istruzione religiosa. Tale rinnovamento per il settore elementare è tuttora in corso. Si è inoltre provveduto a organizzare corsi diocesani e vicariali per la formazione dei catechisti ai diversi livelli.

2.​​ L’IR è previsto in ogni ordine e grado di scuola pubblica.

a)​​ A livello elementare è responsabile il parroco, e la retribuzione è compresa nella sua congrua. Solo pochi comuni hanno uno stanziamento speciale per l’IR a livello elementare. Nel livello medio e medio-superiore, la retribuzione è fatta dallo Stato cantonale, mentre la designazione dei programmi e dei catechisti spetta all’Ordinario diocesano.

b)​​ La finalità dell’IR va inquadrata nell’ambito delle finalità specifiche della scuola, e come tale si differenzia dalla C. che è attività propria e specifica della Chiesa per formare sistematicamente alla conoscenza e all’esperienza della fede cattolica. L’IR invece è un approccio criticamente motivato e documentato al fenomeno religioso e all’esperienza cristiana così profondamente radicata nella storia e nella cultura del paese. Una volta IR e C. coincidevano.

3.​​ L’organizzazione della C. in diocesi risulta così strutturata. L’Ufficio Cat. Diocesano promuove e coordina tutte le attività cat. in Diocesi. È formato da sei membri, uno per ogni vicariato della Diocesi, e lo presiede un direttore. A loro volta i singoli membri animano la C. nella loro zona, e collegialmente sono responsabili dell’attività dell’Ufficio Cat.

Giacomo Grampa

III.​​ Svizzera di lingua tedesca

1. Dopo il 1945 si continuarono ad usare per i preadolescenti i diversi catechismi diocesani; dopo il 1956 venne frequentemente adoperato il​​ Catechismo cattolico per le diocesi della Germania;​​ per i fanciulli si usavano diversi libretti della fede; per i giovani si usavano libri scolastici di storia della Chiesa, ecc. Non c’erano programmi in senso stretto, ma soltanto programmi per la divisione della materia in riferimento ai diversi libri di religione. Le finalità principali erano la trasmissione del sapere e l’iniziazione alla vita ecclesiale. L’insegnamento cat. era impartito quasi esclusivamente da sacerdoti. Accanto all’IR scolastico vi era, per studenti e per giovani che avevano già lasciato la scuola, l’insegnamento cristiano (Christenlehre) la domenica. Non vi erano commissioni cat., né centri cat., né possibilità di formazione. I rinnovamenti più rilevanti della C. nella

SV ted. avvengono nel decennio 1965-1975.

1)​​ Partecipazione dei laici.​​ Quasi contemporaneamente furono creati curricoli per la formazione di catechisti laici volontari (dal 1963, in un primo momento per iniziativa privata) e catechisti professionali (Istituto cat. di Lucerna, 1964).

2)​​ Ampliamento delle finalità.​​ L’abbandono dei catechismi come libri di testo per l’IR scolastico divenne sintomatico per il fatto che si cercava con maggiore intensità di stabilire esplicitamente la correlazione tra fede e realtà della vita; di educare atteggiamenti religiosi fondamentali, quali per es. il rispetto e la gratitudine; di realizzare rapporti con Dio Padre, Gesù Cristo e lo Spirito Santo; di fare anzitutto un’esperienza di Chiesa.

3)​​ Una maggiore scelta metodologica.​​ Per es., accanto alla esposizione, l’attività personale dei fanciulli riceve uno spazio assai maggiore; le ore di religione vengono consapevolmente accentuate in chiave emozionale (creare esperienze ed elaborarle creativamente) oppure cognitiva (costruire progressivamente il sapere della fede). Per i nn. 2 e 3 cf soprattutto le oltre 50 pubblicazioni della Grenchner​​ Arbeitsgemeinschaft.

4)​​ Strutturazione della C.​​ Il primo vero programma per la C. è quello della diocesi di Basilea (1970). Un abbozzo di curricolo (1972) fu abbandonato e al suo posto venne pubblicato il​​ Katechetischer Rahmenplan​​ (programma quadro) della SV ted. (1975-1977).

5)​​ Assenza di mezzi didattici ufficiali.​​ Accanto ad alcuni mezzi di produzione svizzera (privata) furono utilizzati molti libri tedeschi e austriaci. Per l’insegnamento biblico si affermò come unico testo la​​ Schulbibel​​ (Bibbia scolastica) svizzera (realizzata in collaborazione tra evangelici e cattolici); venne a sostituire la​​ fiugendbibel​​ (Bibbia per giovani), pubblicata nel 1962 come testo didattico ufficiale.

6)​​ Consolidamento istituzionale.​​ Dopo il 1965 si creano a brevi intervalli le Commissioni cat. delle diverse diocesi. Dal 1967 esiste la Commissione Cat. interdiocesana (SV ted.), che dispone, dal 1974, di un Segretariato permanente (ufficio). Anche nella maggior parte dei cantoni furono create Commissioni e Uffici cat. Si aggiungono anche molti centri per i mezzi audiovisivi.

7)​​ Più intenso rapporto con la parrocchia.​​ L’IR era sempre collegato con la parrocchia. Ciò nonostante i Sinodi diocesani​​ (19721975) indicavano come una delle esigenze più rilevanti un più forte legame della C. dei fanciulli con le parrocchie. Così pure

8)​​ La​​ collaborazione tra catecheti e famiglie.

9)​​ Collaborazione ecumenica​​ (→ Chiese riformate). A livello istituzionale la collaborazione ecumenica esiste finora soltanto in alcuni cantoni, e limitatamente all’insegnamento della Bibbia.

L’impegno per il prossimo futuro deriverà probabilmente dal fatto che la C. con sempre maggiore frequenza deve cercare di dare ai fanciulli la prima iniziazione alla fede. Questo condurrà certamente a un cambiamento nella C. dei sacramenti.

2.​​ Nella stragrande maggioranza dei cantoni della SV ted. la C. dei fanciulli (IR) è inserita, con 1 o 2 ore settimanali, nell’orario di tutti gli anni della scuola elementare. Inoltre in 18 dei 21 cantoni gli insegnanti sono incaricati (da parte dello Stato, o da parte della Chiesa, o da ambedue) di impartire l’insegnamento della Bibbia nei primi sei anni delle elementari.

Il Rahmenplan (programma quadro) per la C. indica come finalità globale: Il fanciullo deve imparare a vivere con Dio (atteggiamenti cristiani fondamentali e comprensione della fede). Poiché è sempre più frequente la mancanza di esperienza della vita ecclesiale, la preparazione dei fanciulli alla prima confessione, all’eucaristia e alla confermazione si fa sempre più fuori del contesto scolastico. La competenza della Chiesa è diversa da un cantone all'altro, quindi non si può sempre contare su una finalità kerygmatica per l’insegnamento della Bibbia.

3.​​ Le istituzioni, di cui in 1.6, hanno responsabilità esplicita per la sola C. dei fanciulli. La direzione delle attività cat., e in modo particolare la formazione permanente dei catecheti, è generalmente affidata agli Uffici cat. cantonali. La Commissione Cat. per la SV ted. e le Commissioni diocesane hanno soprattutto funzioni di coordinamento. L’unico documento rilevante per l’intera regione di lingua ted. è il Rahmenplan (programma quadro) per la C.

Oltre agli allievi delle scuole elementari, soltanto gli studenti, e non gli apprendisti, ricevono un insegnamento cat. regolare. Diversi gruppi giovanili ecclesiali si impegnano nella formazione religiosa degli iscritti. Per ciò che riguarda gli handicappati, la C. è collegata con la pastorale generale. La C. degli adulti, giudicata una realtà importante, oltre la predicazione domenicale, conosce soltanto sporadiche offerte (serate per genitori, eventi parrocchiali generali, centri di formazione, alcune riviste).

Othmar Frei

Bibliografia

Testi dei diversi Sinodi diocesani (1972-1975): Basilea 1978; Coita 1977; St-Gall 1977; Lausanne-Ginevra-Friburgo 1978; Commission Romance de​​ Catéchèse,​​ Pour une catéchèse de l’enfance.​​ Introduction au Plan-Cadre pouf les diocèses de Suisse romande, Neuchàtel, s.d. (1984);​​ Katechetische Richtlinien​​ für​​ die Anstellung von Katecheten und Katechetinnen,​​ St. Gallen, 1975, 19842;​​ Deutschschweizerischer Katechetischer Rahmenplan,​​ Luzem, 1975-1977, 1982-19842;​​ Pian cadre pour la Catéchèse de l’enfance,​​ Neuchàtel, 1983;​​ Zur Kooperation der Kirchen im RU​​ wãhrend der ohi. Schulzeit,​​ in “Schweiz.​​ Kitchenzeitung” 144 (1976) 510-512; O. Frei,​​ Der​​ Religionsunterricht​​ im Rahmen der Kinderkatechese nach der Synode 72,​​ Luzern, 1982 (bibl.);​​ Lignee​​ Directrices​​ Romandes pour la formation catéchétique,​​ Lausanne, 1983.

Riviste cat.: “Katechetische Informationen” (dal 1969); “Praxis” (dal 1970); RL (ecumenica, dal 1972); “Catecho” (in francese, dal 1983).

Ambroise Binz

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SVIZZERA
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