SESSUALITÀ
SESSUALITÀ
Guido Gatti
1. Il problema
1.1. La sessualità come problema pastorale
1.2. Una prima risposta: permissività etica e dimissione educativa
1.3. La seconda risposta: un ripensamento del ruolo della norma
2. Una concezione educativa dell’etica sessuale
2.1. La sessualità è una realtà evolutiva
2.2. La morale sessuale ha una dimensione educativa
2.3. Il principio di autorealizzazione etica
2.4. Il principio di gradualità
2.5. Il principio di globalità
2.6. Carattere educativo delle rinunce inerenti all’impegno etico
3. Al di là dell'etica
3.1. La novità cristiana
3.2. I significati specificamente cristiani della realtà sessuale
1. Il problema
1.1. La sessualità come problema pastorale
La sessualità costituisce lungo quasi tutta la vita dell’uomo una realtà che pone problemi. In passato, questi problemi erano percepiti prevalentemente in chiave etica, cioè come problemi di discernimento del bene e del male morale, di dominio degli istinti e di acquisizione di abiti o disposizioni morali buone in questo ambito del comportamento umano. Oggi si tende facilmente a negare o ignorare la dimensione etica del problema sessuale, per privilegiarne la dimensione psicologica e culturale: ci si preoccupa soprattutto di come vivere in modo appagante e psichicamente sano la propria sessualità, di come integrarla in una personalità equilibrata, ricca e riuscita. Ma in un modo o nell’altro, la sessualità continua a restare per l’uomo una fonte di ansietà, di tensioni, in una parola, una realtà che fa problema.
Ma la sessualità fa problema in modo tutto particolare per la pastorale giovanile. Sembrano ormai lontani (ma sono in realtà vicinissimi) i tempi in cui la «pastorale» era soprattutto una guida per i sacerdoti confessori nell’espletamento del loro compito; e tale guida concerneva per una parte notevole quello che era considerato il problema cruciale di ogni pastorale penitenziale: l’etica sessuale.
Le cause di questa maggiorazione della problematica morale in campo sessuale andavano ricercate nella tensione che si creava tra la particolare severità e rigidità della morale cattolica in questo campo e le possibilità morali medie dei fedeli (tenendo conto non solo della loro fragilità di fronte alla forza degli istinti, ma anche della loro mentalità, del loro senso morale spontaneo, di certi pregiudizi culturali).
Del resto era proprio questo settore della vita morale a fornire ai fedeli la parte più pesante della materia delle loro confessioni, dei loro problemi e difficoltà morali. Non per nulla sant’Alfonso asseriva che se qualcuno si dannava, o era per il vizio della lussuria o almeno non senza di essa (Theologia Moralis, lib III, n. 413).
Su questo settore della morale si concentravano unilateralmente le preoccupazioni educative della pedagogia cattolica, anche di quella più illuminata e autorevole. A questo settore della morale erano generalmente attribuiti quelli che don Bosco chiamava gli imbrogli di coscienza, che egli riteneva molto frequenti tra i giovani.
Questo spiega come la sessualità e le problematiche morali ad essa relative costituissero un elemento di disturbo nella educazione alla fede dei giovani.
Le difficoltà morali a questo riguardo e il divario inevitabile che si creava tra l’ideale morale predicato da una parte e la realtà concreta dall’altra, tra le esigenze morali sentite come severamente vincolanti e il vissuto quotidiano erano particolarmente vive nell’età giovanile.
Questo divario provocava frustrazioni penose che finivano per generare fastidio nei confronti di tutto il discorso religioso, connotato da pretese che parevano assurde, e alla fine l’abbandono di ogni pratica religiosa, di ogni legame con la Chiesa e della stessa fede.
1.2. Una prima risposta: permissività etica e dimissione educativa
La pastorale (e ancora a monte la teologia morale che in questo caso la condiziona e la ispira) si trova oggi divisa nella ricerca della risposta più adeguata da dare alla sfida che le viene da una situazione di questo genere. Una prima risposta consiste in una rielaborazione radicale dell’etica sessuale cattolica per quanto riguarda i suoi contenuti normativi.
Partendo da una fondazione esclusivamente teleologica delle norme morali (che valuta il bene e il male morale delle azioni soltanto in base alle loro conseguenze non morali) e accodandosi a una cultura sessuale sempre più permissiva, una parte dei teologi moralisti (ricordiamo tra gli altri: S. H. Pfùrtner, A. Vaisecchi, A. Kosnik, Ch. Curran) ha cominciato a negare, prima timidamente, poi con più forza la rigidità delle posizioni tradizionali sui punti fondamentali dell’etica sessuale: la gravità di tutta la materia, l’illiceità assoluta della masturbazione, dei rapporti prematrimoniali, delle pratiche omosessuali e della contraccezione.
La pastorale che si ispira a questo nuovo orientamento etico si limita spesso a mettere tra parentesi il problema etico della sessualità, quasi fosse irrilevante per la vita cristiana, polarizzando invece tutta l’attenzione su altri problemi morali (in particolare su quelli relativi alla vita sociale) e più in generale sull’annuncio cristiano nella sua qualità di buona notizia e quindi nella sua dimensione securizzante.
Pur riconoscendo la preminenza di questi aspetti dell’educazione e della prassi di fede, si deve dire che non basta ignorare un problema per risolverlo. L’ansia e il senso di colpa che accompagnano spesso il vissuto sessuale sopravvivono a questa liquidazione sbrigativa ma velleitaria. Resta il problema di educare a gestire, fosse pure soltanto in modo psichicamente costruttivo, una realtà così difficile da integrare in un progetto sensato di vita e d’altra parte pure così inevitabilmente centrale e onnipresente in tutto il vissuto psicologico della persona.
Del resto, il dissenso sistematico da un insegnamento non marginale e continuamente riconfermato con puntigliosa precisione dal magistero della Chiesa non può non porre problemi di coerenza e compatibilità con una fede che voglia continuare a confessare la Chiesa, così come l’ha voluta Cristo, maestra di vita e guida autorevole della fede.
1.3. La seconda risposta: un ripensamento del ruolo della norma
La seconda risposta punta sul divario fattualmente esistente tra le esigenze oggettive dell’etica e le possibilità reali della persona, di cui si conoscono sempre meglio i limiti, un tempo insospettati, dovuti ai dinamismi psicologici, spesso inconsci e compulsivi che presiedono al comportamento in campo sessuale.
Si tratta di un divario che può presumersi frequente e ampio soprattutto a livello di adolescenza, di disturbi della personalità, di forme di immaturità psichica, di nevrosi. Naturalmente esso diminuisce la responsabilità personale e autorizza, nelle situazioni personali concrete, una valutazione di minore gravità morale per certi comportamenti di cui peraltro non viene messo in questione la valutazione morale oggettiva.
Si tratta, come si vede, di uno sviluppo nuovo della tradizionale distinzione tra peccato materiale e peccato formale, tra disordine morale oggettivo e colpevolezza soggettiva.
Ma si tratterebbe di uno sviluppo miserabile e in fondo farisaico, se si limitasse ad aumentare l’area della diminuzione della colpevolezza soggettiva, pure indubbiamente bisognosa di un ridimensionamento.
Esso deve aprirsi a una diversa interpretazione dell’ordine morale in quanto espresso attraverso norme proibenti. Esso deve arrivare a vedere nelle norme, al di là della loro assolutezza impersonale e oggettiva (che esprime un aspetto impreteribile della verità etica), l’indicazione di una polarità che orienta un cammino di crescita; la determinazione di un ideale che contrassegna una morale dinamica e progressiva, di una meta educativa che qualifica la morale come pedagogia dei valori.
Si tratta di una morale (e di una correlativa pastorale) che, invece di esaurire la sua spinta innovativa nella riformulazione e nell’indebolimento della norma oggettiva, cerca di ricomprenderne il significato; invece di spostare i confini della legge, cerca di cambiarne il ruolo e la funzione nell’ambito della vita morale.
Ma per giustificare convincentemente questo sviluppo, è necessario acquisire una consapevolezza nuova del carattere essenzialmente evolutivo di tutta la sessualità umana, e quindi del carattere fondamentalmente autoeducativo dell’impegno morale in questo campo.
2. Una concezione educativa dell’etica sessuale
2.1. La sessualità è una realtà evolutiva
Si parla abitualmente della sessualità come di una funzione da esercitare o di una facoltà da usare, come qualcosa cioè che ci è già data subito tutta al momento della pubertà. La psicologia moderna ci ha invece abituati a vedere la sessualità come una realtà in divenire, sotto la spinta e la guida degli influssi educativi e culturali provenienti dall’esterno della persona e delle scelte libere che essa stessa produce.
Si sapeva già quanto la sessualità fosse estremamente plastica, perché con essa l’uomo può fare cose diversissime; ora si sa che essa lo è molto di più perché di essa l’uomo può fare cose diverse. Nella sua realtà psichica (che è l’elemento decisivo della sessualità umana), essa può divenire quello che la fa essere l’educazione e l’autoeducazione dell’uomo.
Secondo Freud, la sessualità ha nella persona umana una sua preistoria: ci sarebbero cioè nella vita di ogni uomo delle esperienze infantili, dotate di una certa connotazione sessuale, che per quanto rimosse dalla memoria conscia del soggetto «lasciano il segno» nella struttura psichica della persona e condizionano le forme adulte della sessualità. La sessualità si presenterebbe quindi in due forme profondamente diverse ma legate tra loro da una sotterranea continuità: la sessualità infantile o pregenitale, pervertita e polimorfa, sottomessa ciecamente al principio del piacere e ultimamente all’istinto di morte, e la sessualità genitale o adulta, guidata dal principio di realtà, centrata sulla fase genitale e sulla funzione procreatrice, congiunta con la corrente della tenerezza e sublimata nell’amore.
Tutto questo può essere messo in discussione. Ma gli si deve almeno riconoscere il valore di intuizione di una verità più generale: la sessualità non è data all’uomo come una realtà già compiuta, da usare in modo corretto, ma come una realtà da portare a compimento.
Egli è responsabile non solo per come la vive, ma ancora di più per quello che la fa diventare. La norma morale non è soltanto legge dell’esercizio della sessualità, ma anche progetto del suo divenire. Essa impegna l’uomo a costruire in sé una sessualità adulta, equilibrata, capace di autodominio e di amore autentico, di apertura alla vita e di senso di responsabilità.
Non solo le esperienze dell’infanzia, ma tutte le scelte libere della persona «lasciano il segno» nella struttura della sua personalità psicosessuale.
La sessualità infantile esiste di fatto se non proprio nel bambino, nell’adulto che non è riuscito a diventare moralmente tale: è la sessualità pervertita, malata, incontrollata, o anche solo narcisistica e irresponsabile della personalità immatura.
2.2. La morale sessuale ha una dimensione educativa
Lo sviluppo della sessualità, dall’esito quindi tutt’altro che garantito in partenza, attraversa due fasi nella vita della persona: nella prima esso è totalmente dipendente dall’influsso dell’educazione ricevuta dall’esterno (e le responsabilità degli educatori sono a questo proposito tanto oggettivamente enormi quanto abitualmente ignorate); nella seconda il soggetto prende gradualmente in mano la direzione della sua vita e dirige questo sviluppo con le sue scelte libere, diventandone quindi responsabile.
L’evoluzione psicosessuale non si risolve quindi in un gioco cieco di pulsioni contrapposte o in una repressione del desiderio imposta da una realtà ostile, ma in una consapevole e impegnativa crescita di umanità. Essa ha quindi una rilevanza etica, che porta a ripensare tutto il discorso morale in termini educativi o autoeducativi.
Concepire la morale in termini educativi significa in particolare:
1) vedere le singole decisioni etiche come momenti particolari di un processo attraverso il quale l’uomo plasma sé stesso (principio di autoplasmazìone etica),
2) ispirare la normativa etica non soltanto al bene e al male in sé, ma anche al concreto itinerario di questa autoplasmazìone del singolo uomo, personalizzando le norme e ispirando la loro applicazione a criteri di gradualità (principio di gradualità),
3) vedere lo sviluppo psicosessuale solo come momento particolare della più generale maturazione di tutta la personalità (principio di globalità),
4) ripensare le rinunce inerenti all’impegno morale in questo campo nella luce della crescita dell’amore (valore positivo delle rinunce inerenti all’impegno morale).
2.3. II principio di autorealizzazione etica
Anche se l’esperienza morale occupa nella vita uno spazio più ampio di quello dell’educazione, anche se viene vissuta normalmente al di fuori del rapporto disimmetrico tra educatore ed educando, essa ha sempre l’aspetto di un processo di plasmazione della personalità, è sempre una forma di educazione, un «e-ducere», cioè far emergere, dall’uomo tutte le possibilità di umanità che in esso sono racchiuse: «Facendo il bene morale, l’uomo fa sé stesso in quanto persona; modifica l’orientamento di fondo e perfino le strutture della sua personalità» (Bockle). L’esperienza morale ha quindi sempre la dimensione di un fatto educativo, in cui il soggetto è insieme educatore ed educando.
Ma questo è vero in modo particolarissimo per quello che riguarda l’etica sessuale, appunto per questo carattere essenzialmente evolutivo della sessualità stessa.
Non solo la sua struttura pulsionale, ma anche tutti i suoi contenuti valoriali, l’apertura alla vita, la creatività, la capacità di comunicare, l’amore sono realtà che si costruiscono solo gradualmente nella persona, attraverso quel processo con cui la persona costruisce sé stessa, la sua maturità e autenticità umana.
D’altra parte questi valori nel loro versante positivo non sono mai del tutto pienamente realizzati; ci domandano sempre un perfezionamento o una autenticazione ulteriore.
Di questi contenuti valoriali, quello che tutti li riassume in sé e che rappresenta la chiave di volta del progetto etico della sessualità è indubbiamente l’amore.
Così che è possibile vedere tutta la morale sessuale in funzione della crescita dell’amore. Ogni impegno etico in questo campo può essere visto come educazione dell’amore.
La castità cristiana, si dice, è amore. Ciò è vero nella misura in cui si percepisce con chiarezza il carattere evolutivo di questo amore. La castità cristiana è un amore che si realizza, che cresce e si garantisce la sua autenticità, in un processo autoeducativo senza limiti: la castità cristiana è l’educazione dell’amore.
2.4. Il principio di gradualità
Questa modalità educativa dell’etica sessuale impone l’adozione di quel criterio pedagogico fondamentale, che è il principio di gradualità.
La pedagogia che sostiene e stimola questa crescita dell’amore non può essere che una pedagogia di gradualità, che si faccia mediazione dell’appello morale dei valori, adeguando tale appello al livello di maturità raggiunto dall’educando e al ritmo di crescita che gli è concretamente possibile.
Essa raggiunge la libertà del soggetto, là dove essa si trova, la interpella per come essa è in concreto, segnata sempre da condizionamenti, solo parzialmente e gradualmente superabili.
Essa realizza le possibilità di bene dell’educando, solo proponendogli obiettivi concretamente possibili.
Le norme che rispecchiano l’ordine morale oggettivo, al di là della formulazione necessariamente assoluta, nella misura in cui sono rivolte a una persona concreta in una situazione concreta, devono essere adeguate a questa persona e a questa situazione. Senza perdere la loro oggettività, esse diverranno appello concreto per una persona concreta, seguendo le leggi di una morale dinamica ed educativa.
Esse finiranno spesso per indicare più una direzione di marcia che un confine: il vero confine tra il bene e il male, passa all’interno di ogni situazione concreta: il bene è davanti a me, il male è appena dietro le possibilità concrete di bene che mi sono offerte. Non sono chiamato che a superare me stesso, sforzandomi di andare oltre, a partire da dove mi trovo, nella direzione indicatami dalla norma: questo è vero in ogni campo della morale, ma soprattutto in campo sessuale: un campo in cui l’uomo non si possiede mai completamente e tanto meno agli inizi di una maturazione che è tra le più impegnative della vita morale.
Giovanni Paolo II ha espresso questa concezione dell’impegno morale in modo chiarissimo nella Familiaris Consortio, riconoscendo che l’uomo «chiamato a vivere responsabilmente il disegno sapiente e amoroso di Dio, è un essere storico che si costruisce giorno per giorno con le sue numerose scelte: per questo egli conosce, ama e compie il bene, secondo tappe di crescita» (FC 34).
La pastorale che si ispira a una concezione educativa dell’etica e quindi al principio di gradualità, non rinuncia a testimoniare con umile coraggio tutte le severe esigenze oggettive della morale; non ha bisogno di giocare a nascondino con quella che crede essere la verità.
Ma la sua testimonianza della verità ha come unico scopo e quindi come unica misura di opportunità la crescita dell’educando: la proclamazione della verità non ha come scopo la verità astratta ma quella concreta dell’uomo in divenire.
Adesione incondizionata alla verità e graduale attuazione di essa nella vita sono momenti ugualmente importanti di questa crescita. Le due preoccupazioni apparentemente contraddittorie, di servire una verità oggettiva e di aiutare un soggetto in stato di crescita si conciliano appunto in quella concezione dinamica e progressiva dell’impegno morale che abbiamo cercato di presentare.
2.5. Il principio di globalità
L’educazione dell’amore non è l’educazione di un settore determinato, di un compartimento stagno della personalità: è educazione di tutta quanta la persona, educazione tout-court.
L’amore cresce nella misura in cui si sviluppano armonicamente tutte le qualità della persona; in primo luogo quelle fondamentali della consapevolezza e della libertà.
I dinamismi istintivi devieranno tanto più facilmente dal loro obiettivo finale, quanto più sarà loro concesso di agire nell’ombra del meno consapevole. Il primo atto del dominio di sé è una autocoscienza lucida e razionale. Lo stesso impegno morale perde gran parte della sua costruttività umana, quando si riduce a una specie di cortocircuito della volontà, fuori della luce della cognitività.
Così ogni crescita della libertà è una chance in più per l’amore. Non ci si può liberamente donare se non nella misura con cui ci si possiede. La libertà è la fonte dell’unità e della pace interiore, della disponibilità al dono gioioso di sé. Pretendere di educare all’amore con la costrizione e la paura è andare nella direzione opposta dell’amore. Per questo l’amore viene alla vita solo in un ambiente educativo carico di amore; è generato solo da un altro amore: «Quando i genitori si amano tra di loro, quando i genitori e gli educatori amano i bambini di un amore non geloso e possessivo, i bambini si sentono sicuri e sazi nella loro fame d’affetto. Solo così i genitori possono condurre i bambini a moltiplicare i loro rapporti con gli altri, senza che i bambini sentano sé stessi al centro della vita. (...) Invece la mancanza d’amore rende più difficile il superamento dell’egoismo» (CEI, Catechismo dei bambini).
Se l’educazione dell’amore si attua armonicamente all’interno dell’educazione di tutto l’uomo, ci sono determinate qualità morali che sono particolarmente solidali con l’amore e che dell’amore costituiscono come i contrafforti psicologici e morali.
Così è coerente con l’amore l’atteggiamento della non violenza, il superamento delle forme negative di aggressività, la capacità di ascolto e di comprensione, l’attitudine a risolvere le tensioni e i problemi della convivenza con la magnanimità e la tolleranza. È in linea con l’amore la capacità di fare silenzio, di riflettere, di interrogarsi sul senso ultimo delle cose, sui valori nascosti delle persone. Ed è naturalmente in linea con la crescita dell’amore ogni forma di disponibilità al servizio e al sacrificio, la capacità di farsi carico dei dolori e dei bisogni dell’uomo. Ma ci sono anche attitudini che svolgono, rispetto alla crescita dell’amore, una funzione antagonista.
Un ambiente sistematicamente impostato sull’emulazione, sulla riuscita del singolo a spese degli altri in una spietata lotta per l’emergenza e l’autoaffermazione non è in linea con la crescita dell’amore; come non lo è un ambiente in cui viga l’esclusione e l’emarginazione, il rifiuto delle persone e l’instaurazione di rapporti ostili ed aggressivi.
Ma non è educativo dell’amore anche un ambiente che favorisca nell’educando la falsa coscienza di essere al centro del mondo, così che tutto gli sia dovuto, quasi che le altre persone esistano solo per lui. E non è educativo dell’amore un ambiente superficiale e sordo ai dolori e ai problemi dell’uomo, opaco alle domande di senso che incombono sulla vita.
2.6. Carattere educativo delle rinunce inerenti all’impegno etico
La dimensione educativa dell’etica sessuale non va vista unicamente come un espediente pastorale, una specie di «captatio benevolentiae» finalizzata alla recezione delle norme morali da parte delle persone concrete. L’educatività entra a costituire la natura stessa del valore morale in questo campo, entra nella definizione di bene.
E questo non vale soltanto per la parte positiva dell’etica sessuale, quella che di sua natura consiste nella realizzazione di valori, ma anche per la parte negativa, quella che proibisce l’attuazione dei disvalori e si concretizza appunto in norme proibenti, di loro natura adatte ad indicare un confine preciso, al di sotto del quale si trova oggettivamente il negativo morale.
La fedeltà alle esigenze dell’amore e degli altri valori o significati della sessualità chiede infatti anche rinunce e sacrifici; quello che Freud ha voluto indicare appunto col nome di repressione.
A differenza della psicanalisi, la morale cristiana non vede nella repressione soltanto una dura necessità, ma il risvolto negativo della realizzazione positiva dei valori morali. La fede oltretutto permette al credente di vivere queste rinunce nella luce di una ulteriore positività; la partecipazione al mistero pasquale di Cristo cui egli è stato iniziato con il battesimo: rinunciare è per lui anche in questo campo morire a sé stesso per vivere a Dio (cf Rm 6,1-14; 2 Cor 4,10; 5,14-15).
Va detto però che se l’educazione dell’amore ha bisogno anche di ascesi e di rinuncia, non ogni ascesi e ogni rinuncia è di per sé umanizzante ed eticamente positiva. Il valore morale non si misura solo con lo sforzo sviluppato e col costo sopportato per compiere il bene; ma con la sincerità e interiore libertà dell’adesione al bene stesso. Caso mai è piuttosto la facilità e la spontaneità con cui
10 si compie la vera misura della nostra connaturalità a questo bene e quindi la nostra vera virtù. Le rinunce imposte dalla castità sono costruttive nella misura in cui sono interiorizzate e vissute nella luce dei valori che permettono di realizzare.
Si avverta tra l’altro che la realizzazione dei valori etici nell’ambito della realtà sessuale ha un carattere tutto particolare, molto diverso da quello che ha la realizzazione dei valori in altri ambiti dell’agire umano.
Il comportamento sessuale non è primariamente un’azione transitiva o «pragmatica», volta a produrre risultati tangibili e misurabili, come l’attività lavorativa, economica, politica o medica.
La sessualità è una forma di comunicazione interpersonale. Il suo rapporto con il valore dell’amore, ad esempio, è lo stesso rapporto che c’è tra un linguaggio e la verità che in esso si esprime. Il linguaggio sessuale parla di amore anche quando ne parlasse mentendo. Lo stesso vale per l’apertura alla vita. Il gesto sessuale dice vita anche quando venisse forzato a smentire l’apertura alla vita che esso dice.
Il valore morale di un linguaggio, prima ancora che dai risultati che produce si misura dalla sua corripondenza ai significati che esprime, cioè alla sua veracità.
Il male morale nel campo della sessualità è quindi sempre almeno il male di una menzogna. Il bene è il bene della veracità e dell’autenticità, cioè della corrispondenza tra il gesto e la verità dell’uomo che esso esprime.
3. Al di là dell’etica
3.1. La novità cristiana
Quanto detto fin qui riguarda la dimensione etica del problema sessuale; i significati morali (e quindi i contenuti normativi) dell’etica sessuale cui ci si è riferiti fin qui hanno in grandissima parte una loro autonoma consistenza e un loro valore umano, anche prescindendo dalla fede in Cristo. I valori e i significati su cui essa si fonda appartengono già alla natura umana e, già sul piano naturale, determinano l’interna costruttività o distruttività umana del comportamento sessuale.
Ma la pastorale non può occuparsi di sessualità soltanto dal punto di vista dell’etica. Essa deve educare non soltanto a vivere la realtà sessuale in modo pienamente umano ma insieme e più ancora a viverne in pienezza il significato specificamente cristiano.
Essa deve quindi cogliere con lucidità e presentare con coraggio la radicale novità cristiana del vivere la sessualità in Cristo.
La fede in Cristo comporta effettivamente una «radicale novità di vita» che coinvolge ogni settore dell’esistenza e dell’impegno morale: l’espressione «novità di vita» (Rm 6,4), insieme con altre equivalenti (Rm 7,6; Rm 12,2; Ef 4,24; Col 3,10; 1 Cor 5,7) ci dice quanto fosse viva nella prima comunità di fede la coscienza della propria originalità. La fede introduce quindi un elemento decisivo di novità e di specificità nell’autocoscienza del credente, che segna profondamente di sé anche l’esperienza sessuale.
Ora la vera novità, l’autentico e irriducibile specifico dell’esistenza cristiana è Cristo stesso, l’evento Cristo, con la sua assoluta centralità nel progetto divino di salvezza. Cristo è quindi l’imperativo concreto, la norma vivente del credente. In Lui è ricuperata, rifondata e inverata la stessa etica naturale. L’impegno morale del credente è quindi un fatto di adesione personale a Cristo, è l’espressione concreta di una fiducia e di un amore incondizionati nei suoi confronti. Questa fiducia-amore è la motivazione di base che comanda tutte le altre scelte morali, prendendo in esse corpo e consistenza. Ogni comportamento buono traduce, nei diversi campi della vita quotidiana, questa scelta di fondo, che dà a ogni altra decisione morale il suo significato e il suo valore di salvezza.
Fare di Cristo la legge viva dell’esperienza morale credente significa anzitutto riconoscere che l’evento Cristo fonda in radice la stessa possibilità dell’impresa morale. Egli riscatta l’uomo dalla schiavitù del peccato che lo renderebbe radicalmente incapace di ogni apertura reale e totalizzante al bene. In Cristo, i valori morali sono, prima che conquista o frutto di orgogliosa ma illusoria pretesa di autosufficienza morale, il dono di una trasformazione interiore, che ci rende capaci di amare e compiere il bene. È il dono dello Spirito che infonde nei nostri cuori la carità, sorgente e vertice di tutta la vita morale. È questo amore, dono prima che conquista, l’elemento qualificante la coscienza morale del cristiano, la luce che illumina il suo cammino tra le contraddizioni del quotidiano, la forza che lo sorregge nelle difficoltà e nelle prove dell’esistenza.
3.2. I significati specificamente cristiani della realtà sessuale
Questo vale per la vita cristiana in genere. Ma assume una fisionomia particolare nell’applicazione al campo della sessualità, di cui ci stiamo occupando.
La castità ha una dimensione eristica, non solo nelle sue motivazioni generali e ultime, che la ricollegano alla fede-carità come fonte di tutto l’impegno morale cristiano, ma anche nel suo aspetto specifico di autoeducazione dell’amore e di promozione e custodia dei valori della vita coniugale.
Per il credente, il matrimonio, cioè il patto coniugale e lo stato di vita specifico dell’amore coniugale, è un sacramento della Nuova Legge, cioè uno di quei gesti che significano ed attuano la storia della salvezza, rendendo presente Cristo, evento centrale di questa storia, nel concreto dell’esistenza quotidiana del credente. Nel matrimonio come in ogni altro sacramento, viene riattualizzato il sì definitivo di Dio all’uomo e il sì incondizionato dell’uomo a Dio, che ha avuto il suo momento culminante nella croce di Cristo. In forza della sua specifica consacrazione sacramentale, l’amore sponsale, che ha il suo linguaggio nella sessualità, diventa partecipazione all’amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa, alla dimensione nuziale dell’amore di Dio per l’umanità. Inserito in questo mistero di grazia, l’impegno morale del coniuge cristiano, e quindi anche quell’impegno morale che ha a che fare con la realtà sessuale, diventa uno specifico atto di culto ed evento di salvezza.
Questo vale in particolare per l’amore casto e fedele dei coniugi, che nasce ed è direttamente consacrato dal sacramento del matrimonio. Ma ci sembra giusto pensare che l’efficacia consacrante e salvante del sacramento si estenda, con una specie di effetto retroattivo e anticipatore, anche a tutto l’impegno morale con cui, attraverso aperture e rinunce, tentennamenti e riprese, i futuri sposi vengono educando il loro amore e prepaparando fin da molto lontano la santità del loro focolare.
Questa efficacia qualifica come specificamente cristiana tutta la castità coniugale cristiana, sia prima che durante il matrimonio; e non esclude dalla sua logica neppure la scelta celibataria di coloro che seguono più da vicino Cristo nella castità consacrata, e di cui un’antica preghiera liturgica dice che della comunione sponsale rifiutano l’incontro visibile, ma perseguono il contenuto misterico, evitando ciò che nelle nozze prende corpo, ma amando ciò che esse prefigurano.
Così tutto lo spazio dell’impegno morale cristiano in questo campo resta segnato dal carattere consacratorio e salvifico del sacramento del matrimonio, simbolo di una vocazione all’amore, più universale e più grande di quella contenuta nella realtà sessuale.
Bibliografia
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