SECOLARIZZAZIONE
Guido Gatti
1. Un fenomeno culturale di grande rilevanza pastorale
2. Il mondo sacrale
3. La marginalizzazione della religione
4. Il ruolo della mentalità scientifica e tecnica
5. Una occasione di purificazione per la fede
6. Il superamento della concezione alternativa del rapporto tra Dio e l’uomo
7. Evangelizzare la città secolare
8. Le contraddizioni della cultura secolare
1. Un fenomeno culturale di grande rilevanza pastorale
All’interno della storia della cultura occidentale, quel fenomeno culturale cui si dà comunemente il nome di «secolarizzazione» rappresenta indubbiamente una delle connotazioni più specifiche e più vistose di questa cultura e uno dei trend di più lungo periodo di tutta la sua storia.
La secolarizzazione è uno degli elementi più pervasivi e più qualificanti di tutta la nostra civiltà; la cultura occidentale contemporanea si differenzia da tutte quelle che l’hanno preceduta e da quelle che ancora resistono in molte parti della terra alla sua forza di assimilazione e di contagio, se non proprio unicamente, almeno in modo determinante, per il suo carattere secolare. Questo carattere è d’altra parte il risultato di un processo storico-culturale in atto già da secoli e che ha lasciato le sue orme in ogni settore della vita pubblica e privata dell’occidente.
Le culture, in tutti i loro aspetti, costituiscono indubbiamente un condizionamento decisivo della domanda religiosa, e quindi dell’evangelizzazione e dell’educazione della fede. La secolarizzazione poi non è un aspetto qualsiasi della cultura: è una presa di posizione globale della cultura nei confronti del fatto religioso. E poiché si tratta di una presa di posizione per moltissimi aspetti ambigua, quando non proprio negativa, essa pone all’evangelizzazione e all’educazione della fede tutta una serie di problemi complessi e relativamente inediti, di non facile soluzione.
Nessuna meraviglia quindi che la letteratura religiosa, e perciò anche la pastorale e la pastorale giovanile, dedichino già da molto tempo una attenzione privilegiata a questo tema. La soluzione dei molteplici e immani problemi che essa presenta, presuppone naturalmente una comprensione accurata di quello che essa è, delle cause che l’hanno innescata, dei dinamismi con cui opera, degli esiti prevedibili verso cui è incamminata, degli influssi che ha sopra le modalità concrete con cui può essere pensata, comunicata, vissuta la fede, in un mondo sempre più profondamente e irreversibilmente secolare.
Una comprensione, per quanto è possibile, adeguata della secolarizzazione può emergere soltanto da un confronto tra la condizione sacrale che l’ha preceduta nel tempo e che in certo senso le si contrappone e la nuova situazione culturale che con essa si è instaurata.
2. Il mondo sacrale
La secolarizzazione non è infatti la situazione culturale originaria dell’occidente. Per molti secoli, anche l’occidente è stato caratterizzato, come tutte le altre regioni culturali del globo, da una cultura sacrale.
Tanto la secolarizzazione quanto una cultura sacrale si definiscono primariamente in base al rapporto esistente tra la cultura e la religione.
Per cultura sacrale si intende un mondo culturale in cui la religione informa le strutture della società, le attività umane e il modo collettivo di pensare.
La religione ha controllato di fatto per lungo tempo le strutture di base della società, che ricevevano da questo controllo l’avallo di una legittimazione sacra, e venivano percepite come il riflesso e il prolungamento della signoria di Dio sull’uomo. La religione segnava estesamente (anche se non sempre profondamente) la vita quotidiana di tutti gli uomini; il suo insegnamento, le sue leggi morali, le sue feste e le sue pratiche costituivano una parte importante delle loro certezze e motivazioni, occupavano una parte determinante del loro tempo e delle loro cure, erano l’unica identificazione in cui tutti si riconoscevano.
Il sapere religioso permeava e unificava tutto il sapere umano. Nell’occidente, la religione che stava in questo modo al centro della vita culturale era di fatto il cristianesimo. La fede cristiana era l’elemento centrale e pervasivo della cultura, così che l’autoriproduzione della cultura, attraverso la socializzazione di base, comportava anche una automatica e pacifica autoriproduzione dell’appartenenza cristiana. Una fede non problematica e monoliticamente condivisa rappresentava l’identità culturale e il collante ideologico della società.
3. La marginalizzazione della religione
Non occorre un grande sforzo di riflessione per rendersi conto dell’ampiezza delle trasformazioni culturali che si sono verificate nella nostra società, per quanto riguarda il rapporto tra religione e cultura, nel giro degli ultimi secoli.
La religione ha perso il suo ruolo e la sua posizione di supremazia nella società civile: le strutture sociali e politiche non attingono più la loro legittimazione al mondo del sacro. L’identità religiosa non è più criterio rilevante di appartenenza sociale. Il pensiero religioso non gode più del riconoscimento ufficiale della comunità dei dotti e non svolge più quel compito di unificazione del sapere, che il mondo scientifico ritiene peraltro oggi impossibile e desueto: ogni disciplina si propone infatti di raggiungere un suo frammento isolato di verità, valido etsi Deus non daretur, e questa pacifica assenza di un centro del sapere è appunto una delle caratteristiche più qualificanti della cultura secolare.
Questa emarginazione della religione dai settori più significativi della vita e questo affrancamento della cultura da ogni ipoteca sacrale non comporta necessariamente un abbandono della fede, ma la sua riduzione all’ambito delle scelte personali e delle opinioni private. E tuttavia, per il fatto di non essere appoggiata dal consenso collettivo, la religione perde di peso psicologico anche nella vita individuale di molti credenti, che sembrano restare tali per fedeltà inerziale a una appartenenza non più significativa per la vita. L’abbandono più o meno radicale della fede è comunque consistente: la società si presenta così contrassegnata da un pluralismo religioso e ideologico rilevante. Le più diverse forme di fede religiosa convivono con l’assenza dichiarata di ogni credenza religiosa e con la critica positiva del fatto religioso in quanto tale.
4. Il ruolo della mentalità scientifica e tecnica
Le cause di una simile perdita della rilevanza culturale della religione non possono essere viste unicamente nella fine del monolitismo religioso medioevale e nel conseguente relativismo religioso causato dalla riforma. Il ruolo giocato in questa svolta dall’illuminismo ci dice che essa ha radici più profonde, in una evoluzione interna dello stesso pensiero occidentale; evoluzione che è stata percepita all’interno della nostra cultura come una specie di uscita da una condizione di minorità e accesso a una emancipazione o maturità dello spirito. Un ruolo importante in questo cambio di mentalità è stato svolto dallo sviluppo delle scienze e della tecnica.
Lo sviluppo scientifico ha portato con sé il rovesciamento della visione del mondo che caratterizzava l’universo di pensiero tipico della cultura sacrale. L’uomo è stato detronizzato dalla sua posizione di centro dell’universo materiale, e il cosmo ha cessato di apparire come trasparenza diretta del divino. Le scienze hanno restituito autonomia ai dinamismi immanenti delle cause seconde, snidando gradualmente la causazione divina diretta da ogni angolo del mondo fisico o biologico. Lo sviluppo scientifico ha portato all’enfatizzazione del principio di sperimentalità. Al confronto delle scienze, il sapere religioso, privo per sua natura di ogni possibilità di verifica o di falsificazione, appare sempre più come un mondo separato di opinioni personali, oggetto di una opzione volontaristica cieca e irrazionale.
Il carattere discontinuo dello sviluppo delle scienze ha inoltre alimentato una specie di «mito del superamento», il presente non è ripetizione ma superamento del passato; la novità è criterio di validità e di verità; la scienza fonda sulla perpetua rivedibilità e provvisorietà delle sue acquisizioni la sua credibilità. Il sapere religioso, nella misura in cui sembra arrogarsi immutabilità e definitività, appare al confronto inaffidabile.
Lo sviluppo tecnologico ha trasformato a sua volta l’immagine che l’uomo si faceva di sé stesso. Ha prodotto una struttura di pensiero particolare; ha creato un uomo nuovo, l'uomo della tecnica.
Elemento caratteristico di questa struttura di pensiero è una particolare forma di antropocentrismo, fondata sulla nuova consapevolezza delle possibilità che la tecnica offre all’uomo. La tecnica incanala la volontà umana di autoaffermazione verso il dominio della natura, e quindi verso obiettivi esclusivamente intramondani. Nella misura in cui la visione religiosa della vita poneva Dio al centro di tutto e ne faceva il fine ultimo dell’attività umana, l’autoaffermazione dell’uomo della tecnica è sembrata comportare la negazione di Dio.
La mentalità tecnica include il rifiuto di accettare la natura e di sottostare a un ordine naturale inviolabile e sacro; essa quindi esclude il rifiuto dell’ordine etico, quando sia visto come prolungamento della natura (legge naturale) o come legge imposta all’uomo da un Dio padrone e arbitro supremo del mondo.
Questa cultura peraltro non rifiuta soltanto la padronanza di Dio, ma anche la sua stessa paternità, elemento centrale della rivelazione cristiana: l’accelerazione della storia, che rende inutile l’esperienza, porta a una «società senza padre», al rifiuto di ogni paternità, all’ossessione di volersi costruire da soli, secondo i miti del selfmademan.
È in fondo un atteggiamento coerente con la felice esperienza di costruttore che ha portato l’uomo della tecnica alla passione del costruire, e quindi al rifiuto di quella visione statica della realtà, che è servita per tanti secoli a veicolare il pensiero religioso. L’esperienza della fecondità della sua azione ha portato l’uomo della tecnica a identificare nel successo pratico la prova della verità di ogni teoria («criterio prassologico della verità») e quindi a rifiutare la dimensione autorinnegativa del messaggio cristiano e la legge della croce che lo caratterizza.
Del resto l'homo faber identifica il costruire col fabbricare, sacrificando all’azione transitiva quella immanente, e limitando il suo orizzonte mentale al campo del suo lavoro: la terra è diventata l’unico oggetto delle sue preoccupazioni e delle sue speranze.
5. Una occasione di purificazione per la fede
Questa terrenizzazione delle speranze e dell’orizzonte mentale, come del resto tutti gli elementi della mentalità secolare, ripropongono in termini nuovi il problema dell’annuncio della salvezza cristiana nel linguaggio della cultura secolare.
In quest’opera di incarnazione del vangelo nella nostra cultura, non sono mancati teologi, soprattutto protestanti che hanno creduto di dover accogliere le provocazioni della città secolare con tutta la possibile radicalità; essi hanno cercato di elaborare un vangelo totalmente secolarizzato. Ripensando in termini dialettici la distinzione tra fede e religione, hanno creduto di poter separare la fede cristiana da ogni riferimento religioso, identificando nella religione una contaminazione culturale contingente e superata del messaggio di salvezza (teologia della morte di Dio). La fede, restituita alla sua originaria funzione di emancipazione dalle categorie sacrali, e vissuta come forma di responsabilizzazione radicale nei confronti del mondo, dovrebbe poter coesistere con la radicale secolarizzazione e mondanizzazione delle prospettive e delle speranze degli uomini della nostra cultura. La fede cristiana potrebbe così diventare la coscienza critica e profetica dell’uomo secolare, chiamato a vivere davanti a Dio una disincantata e coraggiosa assenza di Dio (Bonhffer).
Ma non è veramente possibile sopprimere ogni riferimento al Dio che si è rivelato in Cristo come presente alla storia umana, senza mutilare e stravolgere irreversibilmente la stessa essenza del cristianesimo.
La città secolare del resto non sente nessun bisogno di fondare le responsabilità etiche che essa vive su una qualsiasi fede, che sembrerebbe non aver nulla da aggiungere al distaccato agnosticismo che costituisce la sua visione del mondo.
D’altra parte una certa concezione del sacro, di stampo più naturistico che cristiano, può essere effettivamente superata senza alcuna compromissione della specificità teologale della fede, permettendo anzi alla fede di esprimere tutte quelle possibilità di emancipazione che essa porta in sé, e che una cultura sacrale non le permetteva di esprimere. Non per nulla la cultura secolare è il risultato di uno sviluppo interno alla cultura cristiana, omogeneo alle potenzialità evolutive di questa cultura. Indubbiamente la secolarizzazione provoca i credenti a una difficile purificazione della dimensione religiosa del loro credere; ma proprio questa purificazione si rivela come una preziosa occasione, per mobilitare tutte le capacità liberatrici interne al messaggio evangelico.
Così può essere ad esempio dell’immagine cristiana di Dio: liberato da ogni funzione suppletiva nei confronti delle cause seconde intramondane, che ne facevano il classico «tappabuchi», Dio potrà essere restituito alla sua funzione di senso e di speranza ultima di tutto l’impegno umano nel mondo.
6. Il superamento della concezione alternativa del rapporto tra Dio e l’uomo
Così può essere della concezione del rapporto tra Dio e l’uomo. La sensibilità spirituale, guadagnata dall’uomo secolare attraverso l’esperienza della scienza e della tecnica, rendono possibile e necessario il superamento di ogni concezione alternativa del rapporto tra Dio e l’uomo e quindi tra sacro e profano.
Alla radice infatti di molte incomprensioni tra cultura secolare e religione si trova spesso una più o meno esplicita impostazione concorrenziale dei rapporti tra Dio e l’uomo; impostazione che ha pervaso a lungo il linguaggio della fede, alla maniera di un condizionamento culturale spurio ed ambiguo. Concezione alternativa o concorrenziale significa un modo di pensare il rapporto tra Dio e l’uomo che pone Dio e l’uomo sullo stesso piano, come entità contrapposte che si tolgono spazio a vicenda; così che per affermare l’uno sono costretto a negare l’altro; fare dell’uno il fine significa ridurre l’altro a mezzo. Concentrare l’attenzione sull’eternità equivale a svilire il tempo, riducendo questo mondo a uno scenario provvisorio e irrilevante.
In questa concezione il sacro è vissuto come «separazione per Dio», e quindi sottrazione all’uso mondano, espropriazione dell’umano a favore di Dio. La conseguenza pratica di questo modo di pensare è I’irrilevanza o per lo meno la strumentalizzazione radicale degli impegni terreni e delle responsabilità intramondane.
Messo di fronte alla necessità di una scelta alternativa, l’uomo secolare opta (almeno inconsapevolmente e perfino quando continua a credere) per il profano, ed emargina il sacro, divinizza l’uomo e dimentica Dio.
Ma una concezione alternativa del rapporto tra Dio e l’uomo non è soltanto inaccettabile per l’uomo secolare: essa si rivela sempre meglio come una eredità culturale fondamentalmente estranea al nucleo centrale del messaggio rivelato.
Il rapporto tra l’uomo e il Dio che si è rivelato in Cristo come Padre è un rapporto di amore creativo che esclude ogni antagonismo e strumentalizzazione; l’amore autentico vede nell’amato un fine e non un mezzo; non si può amare in senso proprio che una persona e non si può amarla che come persona, volendo il suo bene di persona, quindi la sua autonomia e libertà. Dio crea per amore e in forza di questo amore vuole per l’uomo ogni possibile pienezza di essere e di vita. In questa pienezza consiste la sua gloria. L’autorealizzazione umana, pur restando radicalmente dono di Dio, fonte di ogni essere e di ogni perfezione, è anche frutto di una responsabile assunzione da parte dell’uomo dell’impegno morale come propria autorealizzazione. L’autocompimento è per l’uomo il compito supremo, e il termine dei suoi desideri; in esso Dio realizza il massimo dono di sé, il culmine della sua autocomunicazione; Cristo che è questo culmine è quindi la verità ultima dell’uomo, la pienezza della vita.
7. Evangelizzare la città secolare
La pastorale è chiamata a rispondere alle istanze dell’uomo secolare presentandogli un vangelo che non gli chieda alcuna dimissione di maturità, di autonomia, di responsabilità; che sia anzi il senso ultimo e una speranza trascendente di riuscita, proprio per i suoi compiti di costruttore di umanità.
La pastorale ha spesso tentato di provare il carattere necessario e insopprimibile della religione partendo dai limiti e dalle miserie della condizione umana. La condizione secolare esige invece un’apologetica che, senza ignorare questi limiti e queste lacune, sappia valorizzare anche le conquiste dell’uomo e le dimensioni positive della sua esistenza, come punto di partenza per una riscoperta di Dio. Riconoscere l’incompiutezza dell’uomo non significa necessariamente per i nostri contemporanei scoprire una fessura attraverso cui reintrodurre Dio; essa può suscitare al contrario un senso di responsabilità orgogliosa e disincantata; il tentativo di programmare una vita e una storia priva di ogni illusoria compensazione religiosa.
La fede ci ricorda che il dialogo dell’uomo con Dio non è tanto lo sbocco naturale dei limiti della condizione umana quanto il risultato di una iniziativa gratuita di Dio. Ma nella misura in cui il credente sa che questa iniziativa gratuita è, nel concreto ordine storico della salvezza l'unum necessarium, egli metterà la sua vita al servizio di questa testimonianza, senza orgoglio, ma anche senza complessi di inferiorità. Ma non cercherà di agganciare il suo annuncio alle miserie e alle lacune dell’uomo, bensì alle sue vittorie e alle sue conquiste, cioè alla sua libertà e alla sua responsabilità di cui Dio resta il senso ultimo e l’orizzonte decisivo.
8. Le contraddizioni della cultura secolare
La descrizione che abbiamo appena abbozzato della cultura secolare e della mentalità scientifico-tecnica che la ispira peccherebbe di semplicismo e di idealizzazione, se non tenessimo conto in modo adeguato delle profonde contraddizioni che attraversano questa cultura.
L’uomo contemporaneo è infatti ricco di incoerenze. Il passato anche più remoto sembra sopravvivere in lui, e farne un essere in ritardo sull’universo tecnico e scientifico da lui stesso messo in moto. La lucidità del pensiero scientifico convive con elementi di irrazionalità; la stessa razionalità tecnologica si esaurisce troppo spesso nell’ambito della funzionalità strumentale, e non riesce a diventare razionalità sostanziale.
Nonostante il suo umanesimo l’uomo secolare ha infierito sull’uomo come mai era avvenuto in passato. Ancora oggi due terzi dell’umanità soffrono la fame in una situazione di sottosviluppo umiliante, mentre si sprecano risorse ingentissime nel creare la possibilità di un immane suicidio collettivo.
Lo storicismo tipico della mentalità secolare non impedisce a molti uomini di vivere nell’attesa di un tempo sacro intrastorico, capace di realizzare il paradiso sulla terra. La persistenza delle ideologie è all’origine di forme faraoniche di schiavitù collettiva; nuovi riti e nuovi miti occupano in modo ambiguo lo spazio psicologico lasciato libero dalla caduta delle forme tradizionali di religiosità. Ancora una volta sembra rivelarsi in queste contraddizioni una specie di radicale e insuperabile insufficienza dell’uomo, che fonderebbe la sua costitutiva necessità di Dio. Si direbbe che l’atteggiamento religioso risponde a un bisogno insuperabile, così che l’assenza di uno sbocco religioso vero e proprio costringa l’uomo a rifugiarsi in forme ambigue di religiosità decaduta. E naturalmente si presenta per la pastorale la tentazione di profittare di queste contraddizioni, per mettere l’uomo secolare con le spalle al muro della sua insopprimibile sete del divino.
Ma ancora una volta riteniamo che puntare sulle incoerenze, le lacune e le debolezze dell’uomo secolare, se potrà raggiungere in maniera più o meno convincente le singole persone all’interno di questa cultura, non aiuterà ad attuare una convincente evangelizzazione della cultura secolare in quanto tale. L’evangelizzazione di questa cultura non dovrebbe consistere tanto in un suo improbabile ripiegamento sulle posizioni di un passato culturale, che essa ritiene di avere sorpassato definitivamente, quanto in un suo andare oltre l’instabile equilibrio di valori e di significati, che essa crede di avere raggiunto. È soltanto portando fino al fondo i suoi aspetti positivi, che questa cultura potrà incontrare il vangelo, non come mascheramento delle sue residue contraddizioni, ma come compimento ultimo delle sue conquiste e delle sue speranze.
Bibliografia
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SECOLARIZZAZIONE
Il termine s., come strumento descrittivo e analitico, è carico di molteplici significati e non vi è accordo circa quello che dovrebbe avere nella teoria sociologica. Dice a proposito Lary Schiner (Acquaviva-Guizzardi, 1973) che l’unica cosa che si può forse dire con certezza del concetto di s. è che raramente si può essere sicuri di che cosa esattamente voglia dire quando viene usato. Il termine, infatti, è stato utilizzato in tanti sensi anche tra loro contrapposti. Un altro motivo per cui esso si presenta scientificamente sospetto sta nel fatto che si trasforma facilmente in un giudizio di valore e viene strumentalizzato e adoperato ideologicamente (→ ideologia). In ciò può avere responsabilità un certo ottimismo razionalista, che dà eccessivo rilievo alla → religione come sistema di spiegazione e che ne prevede poi la progressiva scomparsa soppiantata alla ragione oggettiva. Sulla stessa linea ottimistica si muoveva anche l’ideologia marxista ortodossa che proclamava come inevitabile il declino e l’uscita di scena del fenomeno religioso, in connessione col trionfo della scienza e della → ragione.
1. Oggi esiste un’area geografica a cui la teoria della s. si può applicare molto bene: l’Europa. Al contrario, la religione continua a esercitare un profondo influsso nel resto del mondo: l’Oriente e il Sud-Est asiatico, le regioni asiatiche meridionali e il mondo musulmano, l’Africa e l’America Latina, e anche gli Stati Uniti continuano ad essere Paesi profondamente religiosi. Forse ha ragione Peter Berger quando propone che la teoria della s. dovrebbe essere nobilitata dal concetto di «teoria della pluralizzazione» nel processo di modernizzazione (1994). La parola → pluralismo non è così ambigua e significa nell’uso comune la coesistenza, in certa misura pacifica, di gruppi diversi in una stessa società, il che implica un certo grado di → interazione sociale. Il processo di s. comincia in corrispondenza con lo sviluppo delle scienze, della tecnica, della vita in società, dell’auto-comprensione dell’individuo: esso riguarda soprattutto le strutture sociali, pur senza negare l’importanza della religiosità individuale. Le religioni in Occidente hanno perso di rilevanza sociale e politica, poiché esercitano sempre di meno quel potere di plasmare la società che hanno posseduto per secoli.
2. Alcuni autori indicano due errori da evitare al riguardo della s. Il primo consiste nel partire dalla negazione dei fenomeni attuali di crisi per concludere nel senso della permanenza o dell’invarianza della funzione religiosa in Occidente; nel secondo caso si inferisce dall’indiscutibile declino del ruolo della religione nelle nostre società la certezza che essa sia destinata a svanire senza lasciare tracce. Le istituzioni religiose, raggiunte dalla modernità e dai cambiamenti sociali, sono state depotenziate nelle loro risorse del → sacro. Ora il sacro deborda dallo spazio delle religioni, si trova libero, diffuso, fruibile in più direzioni. I processi di s. sono andati avanti e parallelamente si sono create ampie zone franche non più controllate da un’autorità e sempre più aperte a esperienze differenziate. Il termine s. risulta nel contesto odierno sempre più insufficiente a indicare e comprendere i nuovi modi di intendere i problemi e i nuovi stili di vita: esso è diventato troppo ambiguo. I nuovi dati esulano dal modello prefigurato dal principio di s., anche a partire dagli ambienti della moderna razionalità formale. La s. non è né omogenea, né universale, né univoca nei suoi effetti, come era stato previsto da alcuni autori che avevano sottostimato le risorse di sopravvivenza, di adattamento, di ricomposizione e di innovazione della religione nel mondo moderno. Alcuni sociologi sono del parere che esistono oggi delle forme religiose che sono ormai un esito della s. e che insieme configurano una fase storica che si può definire «post-secolare». Proprio sul terreno della s. si sono manifestati fenomeni culturali significativi come il bisogno di eticità, la domanda di spiritualità, la rivalutazione delle esperienze del sacro e la rinascita di forme nuove e varie di religiosità. La s. si presenta come processo di scomposizione più che di cancellazione del religioso, che produce diverse visioni del mondo, diverse fedi, diversi valori, diverse chiese e diverse appartenenze.
3. Il punto più importante nell’evoluzione della religiosità odierna è la smentita dell’ipotesi relativa ad un suo regresso irreversibile come volevano alcuni interpreti della s. Per descrivere i molti fermenti di innovazione religiosa ed ecclesiale che si riscontrano nel mondo anche occidentale è stato impiegato il termine di «de-s.». Teorie diverse e contrastanti avevano disegnato schemi interpretativi al cui interno si riduceva sempre più lo spazio delle tematiche dell’ → appartenenza religiosa, ritenute forme arcaiche per la costruzione di identità pubbliche e private. La moltiplicazione crescente delle nuove forme religiose ha chiaramente smentito ogni ipotesi sul senso irreversibile e unidirezionale delle trasformazioni sociali in atto. Nell’Ottocento era opinione comune che i processi di modernizzazione favorissero ineluttabilmente l’eliminazione delle religioni: ma oggi, all’inizio del terzo millennio, è opinione prevalente che le religioni sono ineliminabili dal mondo sociale, e dunque continueranno per sempre a caratterizzare la storia umana. A questo riguardo dice F. Sidoti: «Da questo punto di vista nelle società ci saranno sempre fenomeni religiosi, e importante non è tanto la riflessione su s. o de-s., ma piuttosto la discussione in merito a quali forme di religiosità sono preferibili per la stabilità di una società democratica» (Sidoti, 1992,17). La cultura positivista nelle sue varie accezioni era impreparata a prevedere sia un regresso così forte nella diffusione dello spirito laico, sia una rinascita impetuosa dei fenomeni religiosi in parte all’interno e in parte all’esterno delle forme tradizionali. La s. risulta nel contesto odierno sempre più insufficiente a indicare e comprendere i nuovi modi di intendere i problemi religiosi e le espressioni e gli stili nuovi di vita religiosa. Essa nonostante la grande attrattiva esercitata è ben lontana dall’avere un’accezione comune presso i diversi autori e ambienti, e la nuova fenomenologia religiosa si stacca dal modello da essa prefigurato. Molte delle nuove forme di religione e di religiosità costituiscono risposte a bisogni creati da processi messi in moto proprio dalla modernizzazione, che avrebbero dovuto al contrario portare a un irriducibile antagonismo tra religione e modernità secondo la tesi formulata sulla base dell’opera di Weber, per cui la religione nell’età moderna si sarebbe avviata a diventare un fattore sempre più marginale e ad occupare soltanto gli spazi della vita e delle scelte private. La persistenza del religioso, e non soltanto del sacro, è uno degli indicatori più significativi della crisi di fiducia nella → modernità (ragione, scienza, progresso) da parte dell’uomo tecnico.
Bibliografia
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J. Bajzek