SCALE

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SCALE

1.​​ S. di valutazione.​​ Le s. sono strumenti che consentono di classificare, in una situazione tipificata, caratteristiche psicologiche, sociologiche ed educative (come​​ ​​ atteggiamenti, opinioni, attitudini) attraverso un’osservazione continuata. Le s. sono costituite da una lista di comportamenti, atteggiamenti o proprietà da osservare in cui si possono distinguere diversi livelli; riferendo le osservazioni alla s. si può formulare un giudizio sulla presenza, intensità e / o frequenza delle condotte rilevate.

1.1. Tipi di s. di valutazione.​​ Le s. si possono distinguere: a)​​ In relazione alle forme con cui si esprimono i livelli:​​ possono essere​​ descrittive​​ (rilevano dati classificandoli in categorie);​​ grafiche​​ (la diversa intensità di presenza di una caratteristica è simboleggiata da tacche lungo un segmento);​​ numeriche​​ (definiscono, usando un simbolo numerico, il grado con cui una caratteristica è presente). b)​​ In relazione ai metodi (di graduazione) usati per costituire i livelli (scaling). c)​​ In relazione a chi le compila:​​ si distinguono s. di autovalutazione da s. di eterovalutazione. d)​​ In relazione ai parametri di riferimento per i livelli​​ si distinguono in:​​ s. normative​​ (quando le prestazioni del singolo sono confrontate con quelle del gruppo di appartenenza);​​ s. ipsative​​ (quando il criterio di confronto sono le manifestazioni del soggetto stesso in momenti diversi).

1.2.​​ Caratteristiche psicometriche delle s.​​ Tali proprietà vengono determinate attraverso elaborazioni statistiche condotte su dati rilevati in campioni rappresentativi di popolazioni statistiche alle quali gli strumenti sono destinati. a)​​ La validità.​​ Una s. è valida se misura solo la grandezza per cui è stata costruita, se sono definite con precisione (teorica e operativa) la o le variabili che intende misurare. b)​​ La costanza (o fedeltà,​​ attendibilità):​​ 1)​​ degli osservatori:​​ è definita sulla base del grado di accordo raggiunto da osservatori che utilizzano la s.; 2)​​ della s.​​ (stabilità temporale o fedeltà test-retest). La s. è fedele se, utilizzata due volte nelle stesse condizioni, sugli stessi soggetti di cui si misurano tratti stabili, porta a risultati che differiscono solo per aspetti accidentali.

1.3.​​ Errori nell’uso delle s. e linee di soluzione.​​ Le s. si prestano ad un uso soggettivo. L’errore di generosità, di severità, o di tendenza centrale, l’effetto di alone o pervasivo di una caratteristica osservata sulle altre o l’errore logico legato alle aspettative dell’osservatore, possono interferire sulle osservazioni stesse. È utile quindi seguire, nella costruzione di s. per la ricerca educativa, alcune norme: identificare costrutti educativamente rilevanti, teoricamente ben definiti e traducibili in caratteristiche direttamente osservabili (indicatori); individuare modalità ben distinte per ogni dimensione (livelli); verificare psicometricamente lo strumento.

1.4.​​ S. usate nella ricerca scolastica. a)​​ S. Thurstone: è volta a rilevare l’atteggiamento di un soggetto nei confronti di un particolare argomento; il soggetto deve selezionare, tra una serie di asserzioni, quelle con le quali si trova in accordo. b)​​ S. Likert: si tratta di una s. graduata tramite avverbi e consiste in una serie di asserzioni rispetto alle quali il soggetto deve esprimere il proprio grado di accordo. c)​​ S. Guttman: si avvale di risposte dicotomiche e prevede una serie di asserti ordinati gerarchicamente a seconda dell’intensità della proprietà misurata nel soggetto. d)​​ S. Osgood: si basa su s. di giudizio bipolari (differenziale semantico) e ha lo scopo di rilevare il significato che i concetti assumono per un soggetto, facendo leva sulla componente affettiva.

2.​​ S. metrica dell’intelligenza.​​ Si attribuisce il nome di s. a una serie di problemi (test) che consentono di discriminare le prestazioni di soggetti secondo gradini o livelli. Classica la s. metrica dell’intelligenza di​​ ​​ Binet (1905) elaborata per individuare i bambini ritardati mentali.

3.​​ S. di misura.​​ A seconda della tipologia, i dati delle ricerche nelle scienze umane si possono distinguere come esiti di misure su «s. nominale», ordinale, di rapporti o di intervalli (​​ statistica).

Bibliografia

Bouvard M.,​​ Questionnaires et échelles d’évaluation de la personnalité, Paris, Masson, 2002; Borg I. - P. J. F. Groenen,​​ Modern multidimensional scaling: theory and applications, New York, Springer, 2005; Boncori L.,​​ I test in psicologia, Bologna, Il Mulino, 2006.

C. Coggi​​ 

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SCALE

SCAUTISMO

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SCAUTISMO

Si tratta di un movimento che, occupandosi del​​ ​​ tempo libero dei ragazzi e dei giovani mediante l’individuazione di una proposta di vita semplice ma assai coinvolgente e di una metodologia adeguata alle diverse età fin dal 1908, anno della sua fondazione per merito di sir Robert Baden Powell, ha dato luogo a migliaia di associazioni caratterizzate territorialmente o per motivi religiosi.

1. La validità del movimento è dimostrata non solo dalla sua diffusione ma soprattutto dalla sua «tenuta» nel corso degli anni. C’è da dire anzi che, proprio in questi ultimi decenni esso ha registrato un successo senza precedenti che ha creato qualche problema organizzativo, tenuto conto che tutti gli educatori scout (i famosi «capi») operano volontaristicamente. In Italia operano due associazioni scout: il Corpo Nazionale Giovani Esploratori italiani (CNGEI) con più di diecimila iscritti; e l’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI) che attualmente conta più di centomila aderenti. Entrambe queste associazioni partecipano all’Organizzazione internazionale del Movimento Scout che ha il compito di verificare la correttezza metodologica di ciascuna. Le associazioni scout, pur seguendo un’unica impostazione pedagogica, si strutturano in tre «branche»: quella dei lupetti / coccinelle, rivolta ai bambini dagli 8 agli 11 anni; quella degli «esploratori / guide», per i ragazzi dai 12 ai 16 anni; quella dei «rovers / scolte», per i ragazzi dai 17 ai 20 anni.

2. I principi fondamentali cui lo s. si rifà sono: l’autoeducazione​​ nel senso che il ragazzo è chiamato ad essere protagonista (peraltro non unico) della propria crescita; l’interdipendenza tra pensiero e azione​​ in quanto si realizza attraverso attività concrete ma sulle quali il ragazzo è invitato a riflettere criticamente; la​​ vita di gruppo​​ che consente a ciascuno (capi compresi) di sperimentare forme di vita fondata sul rispetto delle persone, senza esclusioni o emarginazioni; il​​ ​​ gioco inteso come momento fondamentale in cui attraverso l’avventura, l’impegno e la scoperta, il ragazzo sviluppa creativamente le proprie doti. D’altro canto lo s. è stato definito dallo stesso Baden Powell un​​ grande gioco;​​ la​​ vita all’aperto​​ attraverso cui gli scouts, piccoli e grandi, imparano l’essenzialità e la semplicità e scoprono la necessità di aiuto e rispetto reciproco fra l’uomo e la natura; il​​ servizio​​ verso cui il ragazzo scout è progressivamente portato, fino ad accettare come proprio modo di essere la disponibilità a mettere a disposizione degli altri, soprattutto di coloro che hanno più bisogno, le proprie capacità e la propria esperienza. Anche le dimensioni religiosa e politica sono ben presenti nello s. La prima che, al di fuori di forme di religiosità chiuse e faziose, stimola il ragazzo alla consapevolezza della necessità per lui di aprirsi all’universale e al trascendente. La seconda che, al di fuori di scelte partitiche specifiche, punta al superamento di ogni forma di individualismo, sollecitando a seconda delle età, ad un impegno concreto nella comunità, ispirato ad una fondamentale attenzione per la libertà di tutti e di ciascuno.

Bibliografia

Baden Powell R.,​​ S.​​ per ragazzi,​​ Roma, Nuova Fiordaliso, 1997; Bertolini P. - V. Pranzini,​​ S. oggi,​​ Bologna, Cappelli, ²1985;​​ Cherrutre M.-T.,​​ Le scoutisme au féminin: les guides de France,​​ 1923-1998, Paris, Cerf,​​ 2002; Schirripa V.,​​ Giovani sulla frontiera: guide e scout cattolici nell’Italia repubblicana (1943-1974), Roma, Studium, 2006.

P. Bertolini

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SCAUTISMO

SCETTICISMO

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SCETTICISMO

Posizione di chi non crede in verità assolute ed oggettive circa il senso ultimo della realtà e al massimo vede nel dubbio radicale e nella ricerca la forma cosciente del conoscere umano (dal gr.​​ sképsis =​​ dubbio, ricerca).

1. Nella storia del pensiero filosofico, si distingue lo s. antico da quello moderno. Il primo, più radicale ed antidogmatico, si riferisce soprattutto a Pirrone e al suo discepolo Timone di Fliunte (sec. IV e III a.C.), ad Arcesilao e Carneade dell’Accademia platonica (sec. III e II a.C.), con influenze su​​ ​​ Cicerone, e a Enesidemo, Agrippa e Sesto Empirico (sec. I a.C. e II d.C.). Il secondo, quello moderno, di cui si può considerare massimo esponente M. de​​ ​​ Montaigne, ammette la funzione morale della coscienza; e nella forma mitigata di D. Hume (1711-1776), il riferimento alle credenze e al senso comune per la vita pratica.

2. La soggettivizzazione delle idee e dei valori e una sottile vena di s. pervadono l’esistenza e la crescita personale nella società contemporanea, caratterizzata da una profonda differenziazione e complessificazione vitale e culturale: specie nell’adolescenza e nella giovinezza. Una risposta positiva a tale clima è certamente uno dei compiti primari dell’educazione contemporanea e dell’​​ ​​ orientamento formativo.

Bibliografia

Rensi G.,​​ Apologia dello s.,​​ Roma, Formiggini, 1926; Brezinka W.,​​ L’educazione in una società disorientata,​​ Roma, Armando, 1989; Popkin R. H.,​​ Storia dello s.,​​ Milano, Mondadori, 2000.

C. Nanni

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SCETTICISMO

SCHEDA DI VALUTAZIONE

 

SCHEDA DI VALUTAZIONE

Si tratta di uno strumento certificativo della valutazione scolastica adottato nel primo ciclo dell’istruzione. È stato introdotto in sostituzione della pagella scolastica con i voti in decimi, dalla L. 517 del 4.8.1977, che ne ha disposto l’uso. L’art. 4 della L. ha descritto la struttura della s. per la scuola elementare, l’art. 9 ha fatto altrettanto per la media. Con l’a.s. 1977 / 78 è stato proposto un primo modello; con il D.M. 5.11.85 è stata autorizzata nella scuola media una ricerca-azione per arrivare a un modello definitivo (D.M. 5.5.93), adottato in forma generalizzata nell’a.s. 1994 / 95. Nello stesso anno la scuola elementare ha introdotto un «documento di​​ ​​ valutazione», simile, nella struttura, a quello della media. Innovazioni analoghe erano da tempo presenti in scuole d’avanguardia, in vari Paesi europei e oltre oceano. La s. e il documento di valutazione, così come sono stati concepiti dalla L. 517, sono strumento ufficiale per informare in modo analitico e motivato le famiglie. Tale modello si propone di sintetizzare l’informazione sull’alunno negli elementi significativi, allo scopo di commisurare gli interventi alla situazione così rilevata. Famiglie e alunni devono contribuire con le informazioni in loro possesso. Sulla s.d.v. vengono riferiti sia i giudizi per disciplina, sia «una valutazione adeguatamente informativa sul livello globale di maturazione raggiunto». Con la 517 viene suggerito un tipo di valutazione formativa e sistemica, basato sulla collegialità, che prende come punto di riferimento la situazione di partenza dell’alunno e i traguardi da raggiungere, perché la pari opportunità dello sviluppo non resti una vaga aspirazione. L’adozione di questa innovazione ha richiesto ai docenti una rivisitazione dei problemi della valutazione specie se un approfondimento è mancato nel momento formativo. I modelli successivi di s. personale dell’alunno hanno previsto una contrazione progressiva delle informazioni. Con la Riforma Moratti la descrizione analitica dei processi di apprendimento è stata delegata al​​ ​​ portfolio. Attualmente la certificazione sta andando nella direzione della costituzione di dossier delle competenze (c.m. 28 del 15.3.07).

Bibliografia

Calonghi L. et al.,​​ La valutazione nella scuola media,​​ in «Studi degli Annali della Pubblica Istruzione» 16 (1993) 64, 3-417; Rossi P. G.,​​ Progettare e realizzare il portfolio, Roma, Carocci, 2005.​​ 

C. Coggi

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SCHEDA DI VALUTAZIONE

SCHEMA CORPOREO

 

SCHEMA CORPOREO

La formazione dello s.c. appartiene all’ambito psicofisico e si può riscontrare anche negli animali. Nell’uomo prelude alla formazione dell’immagine di sé,​​ che è qualcosa di molto complesso e che assume un ruolo fondamentale nella strutturazione della personalità. Secondo alcuni uno stadio intermedio è rappresentato dalla formazione dell’immagine corporea,​​ che si differenziano dal semplice s.c. per l’aggiunta della componente estetica. Non tutti gli Autori distinguono però questi due momenti e parlano indifferentemente di s. e di immagine corporea.

1.​​ Definizione.​​ P. Schilder, uno dei maggiori competenti in questo campo, senza far distinzione fra s. e immagine corporea, così scrive: «Con l’espressione​​ immagine del corpo umano​​ intendiamo il quadro mentale che ci facciamo del nostro corpo, vale a dire, il modo in cui il corpo appare a noi stessi. Noi riceviamo delle sensazioni, vediamo parti della superficie del nostro corpo, abbiamo sensazioni tattili, termiche, dolorose, sensazioni indicanti le deformazioni del muscolo provenienti dalla muscolatura e dalle guaine muscolari e sensazioni di origine viscerale. Ma al di là di tutto questo vi è l’esperienza immediata dell’esistenza di un’entità corporea che, se è vero che viene percepita, è d’altra parte qualcosa di più che una percezione: noi la definiamo s. del nostro corpo o​​ s.c.​​ [...]​​ è l’immagine tridimensionale che ciascuno ha di se stesso». A. Delmas, anch’egli senza far distinzione fra s.c. e immagine corporea, dice: «L’immagine del nostro corpo è il risultato di una serie di informazioni di provenienza varia. Abbiamo infatti del nostro io corporeo conoscenza in vari modi; per mezzo del tatto ci rendiamo conto della forma e della consistenza delle diverse parti del corpo; per mezzo degli stimoli propriocettivi siamo informati sull’atteggiamento e sulla nostra situazione nello spazio; per mezzo della vista vediamo il nostro corpo; per mezzo dell’udito possiamo sentire la nostra voce e i rumori che provochiamo. Tutte le informazioni raccolte dagli organi di senso ci permettono di distinguerci da ciò che è al di fuori di noi. Le aree della sensibilità tattile (aree parietali), dell’udito (aree temporali), visive (aree occipitali) sono collegate a una regione dell’emisfero cerebrale situata in corrispondenza dei loro confini; è questa l’area dello s.c., corrispondente alle circonvoluzioni che circondano l’estremità posteriore della scissura laterale di Silvio e del primo solco temporale». Molto opportuna l’osservazione di G. Guaraldi, M. Venuta ed E. Orlandi, che iniziano col sottolineare come s.c., immagine del corpo, vissuto corporeo e altri termini consimili, rappresentano solo un tentativo di definire la corporeità come parte essenziale di un Io, e continuano dicendo che: «Oggetto di studio non è il corpo biologico in sé, ma questo in relazione con la vita psichica; è l’esperienza corporea, è come l’individuo sperimenta il suo corpo e come si struttura ed evolve questa esperienza». Sottolineiamo che è implicito il concetto del continuo divenire. Infatti soprattutto nel periodo dell’accrescimento, variano continuamente le sensazioni provenienti dal corpo in crescita e le informazioni provenienti dall’ambiente esterno (sia per il mutare di esso sia per la continua attività esplorativa del soggetto stesso) e pertanto dovrà cambiare per forza la sensazione globale che il soggetto ha del proprio corpo.

2. Finalità.​​ Come si è accennato la formazione dello s.c. è il presupposto per la formazione dell’immagine corporea e dell’immagine di sé; però già di per se stesso lo s.c. ha lo scopo di fornire al soggetto umano, come all’animale inferiore all’uomo, la percezione del proprio corpo sia in situazione statica sia in situazione dinamica; è possibile eseguire i vari movimenti armonicamente proprio perché il soggetto ha la corretta percezione del suo essere corporeo e gli equilibri si raggiungono con maggiore facilità.

Bibliografia

Delmas A.,​​ Vie e centri nervosi,​​ Milano, Masson, 1986; Guaraldi G. et al.,​​ L’immagine del corpo in psichiatria,​​ vol. VII, Quaderni Italiani di Psichiatria, Milano, Masson, 1988, 239-266; Schilder P.,​​ Immagine di sé e s.c.,​​ Milano, Angeli, 1988.

V. Polizzi

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SCHEMA CORPOREO

SCHMID Christoph von

 

SCHMID Christoph von

C.​​ von​​ Schmid, nato il 15-8-1768 a​​ Dinkelsbuhl,​​ morto il 3-9-1854 ad​​ Augsburg,​​ viene giustamente chiamato il “discepolo prediletto di​​ Sailer”. Ebbe occasione di conoscerlo come allievo e studente a Dillingen​​ (17831791).​​ Quanto​​ Sailer​​ elaborò sul piano teorico, S. lo tradusse nella prassi dell’educ. cristiana e della C. S. entrò nella scuola come incaricato e in seguito come ispettore delle scuole statali a​​ Thannhausen​​ (Mindel) — era il suo primo impiego autonomo come sacerdote — con l’incarico di insegnare tutte le materie nella scuola elementare (1796-

1816.​​ . In quel periodo S. incominciò a pubblicare le sue esperienze.

Ogni IR è fondato nella rivelazione e quindi nella storia (della salvezza). In particolare occorre imparare da Gesù che cosa deve essere insegnato e (soprattutto) in che modo. Conseguentemente la narrazione biblica viene al primo posto​​ (Biblische Geschichte für​​ Kinder​​ zum allgemeinen Gebrauche in den Volksschulen Bayerns,​​ München, 1801, 6​​ volumetti, molte ristampe e revisioni; lo stesso​​ Sailer​​ aveva proposto S. come autore). Subito dopo viene il narrare come tale, l’aspetto “storico” come tale, in quanto via primaria per accedere al cuore dei fanciulli e dei giovani. Di conseguenza S. si dedica incessantemente alla narrazione volume dopo volume, molti dei quali bestseller, iniziando con​​ Genoveffa​​ (1810) e soprattutto​​ Osterreier​​ (1816) — che lo resero celebre — pubblicati in edizioni popolari economiche; ci furono molte ristampe ed edizioni abusive diffuse ovunque (traduzioni in più di 20 lingue; non di rado, a seconda delle mentalità, furono manomesse). Già da bambino S. aveva fatto l’esperienza benefica delle narrazioni di suo padre, e anche del parroco, rispetto all’insegnamento arido e concettualistico del catechismo. Come incaricato, ebbe occasione di scoprire la narrazione su misura del fanciullo, servendosi di accurate analisi delle ripetizioni fatte dagli stessi fanciulli.

Più tardi, quando era canonico del duomo di​​ Augsburg​​ (dal 1827 al 1854 fu direttore scolastico; precedentemente fu parroco di​​ Oberstadion)​​ S. scrisse in particolare il​​ Katechismus der christkatholischen Religion für das Bistum Augsburg​​ (München, 1836;​​ introdotto anche a​​ Mainz;​​ raccomandato a Cincinnati, USA; cf il suo​​ Kleiner Katechismus,​​ München,​​ 1801, 16 pag.!). Questo catechismo è interamente riferito alla “storia sacra”. La materia da imparare a memoria è ridotta allo stretto indispensabile (cf il commento con il testo del catechismo, 5 volumetti,​​ Augsburg,​​ 1844-1845). Si aggiunsero anche narrazioni storico-agiografiche (Die​​ Apostel Deutschlands,​​ 3 volumetti,​​ Augsburg,​​ 18451846),​​ teatrini come “istruttivo divertimento per la gioventù”​​ (Kleine Schauspiele für Familienkreise,​​ 3​​ volumetti,​​ Augsburg, 1833),​​ il​​ Katholisches Gebetbuch für die Jugend​​ (Augsburg, 1851). S.​​ scrisse e raccolse canti di chiesa e canti di bambini in lingua volgare, che tuttora vengono usati​​ (Beim letzten Abendmahle, Ihr Kinderlein kommet,​​ cf​​ Christliche Gesänge zur öffentlichen Gottes-

Verehrung in katholischen Kirchen,​​ Augsburg, 1807).

Nell’educazione, nella​​ C.​​ e anche nelle materie profane S. volle ispirarsi al modello di Gesù (intuitivo-visivo, chiaro, riferito alla situazione). Gran conoscitore della letteratura di allora, S. svolse una vasta attività letteraria. La sua produzione nell’ambito della letteratura giovanile fu criticata, non senza ragione, a partire dal 1900, perché moralistica, sentimentale e (teologicamente) idilliaca.

Analogamente a quanto toccò a​​ Sailer,​​ S. fu oggetto di ammirazione come di rifiuto​​ (cf​​ Erinnerungen aus meinem Leben,​​ 4​​ vol.,​​ Augsburg, 1853-1857,​​ che però, sotto l’influsso dell’età, livellano la realtà). Rifiutò sempre le cattedre universitarie.

Bibliografia

R.​​ Adamski,​​ Chr. v.​​ Sch. als Religionspädagoge,​​ Ohlau,​​ 1932; F.​​ Brutscher,​​ Chr. v.​​ Sch. Eine pädagogisch-literarische Studie,​​ München, 1917; E. Dreesen,​​ Das Verhältnis Chr. v. Sch. zu J. M. Sailer in pädagogischer Hinsicht,​​ Bonn, 1926 (Diss.); H. Kreutzwald,​​ Zur Geschichte des Biblischen Unterrichts,​​ Freiburg, 1957; H. Pörnbacher (ed.),​​ Chr. v. Sch. und seine Zeit,​​ Weissenborn, 1968 (bibl.); Id. (ed.),​​ Chr. v. Sch. Erinnerungen und Briefe,​​ München 1968; F. X. Thalhofer,​​ Entwicklung des katholischen Katechismus in Deutschland von Canisius bis Deharbe,​​ Freiburg, 1899.

Eugen Paul

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SCHMID Christoph von

SCHREIBMAYR Franz

 

SCHREIBMAYR Franz

1.​​ Nato a Hannover (8-8-1907) S. vi passò gli anni della scuola e vi conseguì la maturità nel 1926. Studiò teologia a Freiburg i.Br. e a Innsbruck. Ivi entrò in contatto con il futuro circolo tedesco degli Oratoriani e acquisì quella competenza teologico-sistematica che più tardi seppe sfruttare catecheticamente. Ordinato sacerdote a Berlino nel 1934, vi rimase come cappellano. Nel 1938 si associò al rifondato Oratorium di Berlino, al quale fu affidato un servizio parrocchiale nelle vicinanze della celebre e famigerata Alexander-Platz. S. si occupò della pastorale dei fanciulli e dei giovani.

Nello stesso periodo Romano Guardini fu professore all’università Humboldtiana di Berlino, e l’Oratorium ebbe con lui intensi scambi teologici. In questo modo divennero fecondi i primi passi verso il movimento biblico e liturgico in Germania. La loro trasposizione nella pastorale e nella C. per opera di S. deve molto al lavoro di Guardini.

A partire dal 1939 S. lavorò con →​​ Tilmann​​ alla preparazione del nuovo catechismo kerygmatico, destinato a sostituire il vecchio catechismo unitario (di matrice neoscolastica). Collaborò con​​ Tilmann​​ al​​ Katholischer Katechismus der Bistümer Deutschlands​​ (→​​ Catechismo cattolico​​ delle​​ diocesi di Germania, 1955) e allo​​ Handbuch​​ (Manuale, sei vol.;​​ cf​​ →​​ Tilmann).​​ Il​​ Catechismo​​ deve a S. la sua struttura contenutistica, cioè l’ordine delle lezioni. Il merito di S. per il​​ Catechismo​​ come per lo​​ Handbuch​​ consiste soprattutto nella trasposizione della teologia sistematica, acquisita durante gli studi a​​ Innsbruck,​​ in una kerygmatica che si ispira alla teologia biblica. Essa deve molto a Heinrich Kahlefeld, Oratoriano e studioso del NT. L’accoglienza del nuovo​​ Catechismo​​ fu sostenuta da S. attraverso conferenze e articoli.

Nel 1968 gli fu conferito il Dottorato honoris causa in teologia dalla facoltà teologica di Innsbruck.

2.​​ S. è confondatore della → “Équipe europea per la catechesi” (1950), di cui fu presidente dal 1972 al 1974. È anche confondatore dell’”Institut für Katechetik und Homiletik” (IKH:​​ Istituto​​ per​​ la catechetica​​ e l’omiletica) di München.​​ Vi insegnò​​ Struttura sistematica dell’annuncio cristiano”. Per molti anni (fino alla pensione nel 1982) fu direttore dell’Istituto.

S. ha collaborato al​​ Glaubensbuch​​ (Libro della fede) per la 3a​​ e la 4“ elementare; al​​ Rahmenplan für​​ die​​ Glaubensunterweisung​​ (1967: programma-quadro per l’insegnamento della fede); alla revisione del​​ Catechismo​​ nel 1969​​ (Glauben – leben – handeln-,​​ credere – vivere – agire). Partecipò al congresso di C. missionaria di​​ Eichstätt​​ (1960), a quelli di Katigondo (Uganda, 1964) e di Manila (1967: Relazione “Il kerygma dell’evangelizzazione”). Collaborò pure al​​ Directorium Catechisticum Generale,​​ almeno per la III parte: “De nuntio christiano”, come pure alla preparazione del Congresso cat. internazionale del 1971.

3.​​ Da quanto indicato sopra risulta anche l’importanza di S. Egli può essere caratterizzato come il sistematico per eccellenza fra i kerygmatici tedeschi. Soprattutto le riflessioni teologiche sulle lezioni del​​ Catechismo​​ che si trovano nello​​ Handbuch​​ sono una eccellente espressione di C. sistematica alla luce della Bibbia. Una riscoperta di questo lavoro, che ormai appartiene alla storia, è interessante, anche se in seguito all’apertura che il Vaticano Il ha dato alla teologia, molte cose sono state formulate in senso più aperto.

Attraverso la sua attività di docente e di direttore dell’IKH S. ha allievi in tutto il mondo. La sua attività pubblicistica è continuata fino alla morte, avvenuta a Monaco il 17-12-1985. Di fronte alla C. incentrata sul destinatario e di fronte alla riscoperta della C. comunitaria, S. conserva la funzione di ricordare loro ciò che è “permanente”.

Bibliografia

Handbuch zum katholischen Katechismus,​​ 6 Halbbände, Freiburg, 1955ss; trad. ital.:​​ Somma catechistica,​​ Milano-Roma, Ancora-Herder, 6​​ vol.,​​ 1962-1966;​​ Wovon der Glaube lebt,​​ Frankfurt, 1973.​​ Numerosi art.​​ in​​ riviste e opere in collaborazione; part. importante:​​ Neue und zukunftsträchtige Ansätze in der Arbeit am neuen Katechismus von 1955,​​ in “Katechetische Blätter» 100 (1975) 715-737.

Günter Stachel

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SCHREIBMAYR Franz

SCIENZA

 

SCIENZA

Il rapporto tra​​ sapere​​ e educazione è evidentemente assai stretto, proponendosi l’educazione di incentivarlo, e di avviare l’individuo a conoscenza, oltre che di sviluppare la cultura morale e di condurre a maturazione la personalità.​​ 

1. La s. nel senso moderno della parola ha però un significato più preciso; essa si pone all’interno del sapere come una sua forma rigorosa; come tale o è s.​​ esatta​​ (quali sono le matematiche) o è s.​​ sperimentale​​ (quali sono la fisica, la chimica, la biologia) vale a dire basata su metodi osservativi e sperimentali controllati dalla ragione euristica, cioè intesa alla ricerca. Quest’ultima richiede una ferma aderenza all’esperienza sensibile. Già nella tarda​​ ​​ Scolastica i «nominalisti» avevano criticato il ricorso nella spiegazione dei fatti ad entità estranee ai fatti stessi, secondo il principio detto «rasoio di Ockam» che​​ non sunt multiplicanda entia sine necessitate.​​ Nel Rinascimento B. Telesio aveva espresso l’oggetto della ricerca come quello che tratta​​ de rerum natura iuxta propria principia.​​ Non si devono insomma introdurre nel discorso forme, entelechie, forze, virtù, facoltà che forniscono spiegazioni illusorie (come dire che l’oppio fa dormire perché ha la​​ virtus dormitiva).​​ In filosofia queste parole possono avere un senso, perché «tengono il posto» di spiegazioni concrete per il momento accantonate, svolgendo un discorso più generale. Ma nella s. si pone proprio il compito di quella sostituzione.

2. Per comodità linguistica si può anche dire che ci sia una​​ virtus dormitiva;​​ ma il problema è di spiegare in che cosa essa consista e come essa operi, attraverso certi processi biochimici agenti sulle cellule nervose. Anche negli sviluppi della s. moderna sono stati talvolta introdotti dei costrutti teorici come il «flogisto» per spiegare i fenomeni di combustione, o l’«etere» per spiegare la trasmissione delle onde elettromagnetiche nel vuoto; ma la loro ammissione è stata del tutto provvisoria, fino a che i fenomeni corrispondenti sono stati spiegati mediante il nesso con altri fenomeni.

3. Occorre rilevare che l’educazione che conseguiva dalle impostazioni antiche e medievali era confacente a una mentalità di tradizione assai solida, ma di tipo storico-letterario e teologico-filosofico-giuridico più che scientifico; basti pensare che Plinio il Vecchio, autore della più grande enciclopedia antica intitolata​​ Historiae naturales,​​ confessava in verità di aver tratto i contenuti dell’opera dalla «lettura» di oltre duemila opere a lui antecedenti. L’esito finale non poteva che essere una cultura in gran parte solo verbalistica, e spesso riportata «per sentito dire». Occorre aggiungere che questa veduta ormai superata dalla s. militante è invece ancora oggi largamente diffusa nella pratica didattica, ove regna incontrastato il dominio dei trattati sistematici, dei manuali e dei sommari (e spesso dei riassunti) che vengono puntualmente mandati a memoria e ripetuti senza originalità.

4. F. Bacone, criticando la sterilità dei ragionamenti puramente sillogistici, propose l’osservazione dei fatti registrando quelli concordanti e quelli discordanti, e le variazioni concomitanti tra di essi. G. Galilei rafforzò questa opzione di fondo, affermando che la s. sperimentale cerca di formulare rapporti matematici tra variabili associate, misurate a due a due, tenendo le altre «ferme» o ininfluenti, mediante una riproduzione dei fenomeni in condizioni controllate. Dopo di loro​​ ​​ Locke, D. Hume e J. Stuart Mill hanno delineato quello che si è chiamato metodo​​ empiristico.​​ Empiristi, sensisti e positivisti hanno ribadito che la s. positiva deve partire dai fatti, e dopo avere sviluppato l’elaborazione razionale dei loro nessi, deve tornare ai fatti per una verifica. Questo processo dovrebbe mettere in evidenza come nella varietà dei fenomeni molteplici e contingenti si possano tuttavia astrarre delle «invarianti», che consentono previsioni e costituiscono le leggi della natura.

5. Questa convinzione ha sostenuto il cosiddetto​​ induttivismo,​​ vale dire la proposta non di dedurre proposizioni a priori da principi, bensì di indurre i principi a posteriori dai confronti tra i fatti. La s. si costruirebbe passando dal particolare all’universale, e solo in fase successiva di sistemazione passando dall’universale al particolare. Dal punto di vista educativo l’induttivismo ha sollevato grandi speranze; si è ritenuto infatti che esso fosse il migliore metodo per superare una s. «di carta», invitando gli allievi a cimentarsi direttamente con la natura. Ma un generico invito «ricercate!» ha poco significato, se non si aggiunge «che cosa» ricercare. La ricerca è sempre selettiva, nasce da un atto di attenzione a qualche aspetto delle cose che presenta probabili connessioni con i fatti osservati. Limitarsi ad ammassare fatti è un esercizio futile e vano, e alla lunga decade in​​ ​​ nozionismo. Già in passato gli aristotelici e i tomisti, fraintesi dai loro epigoni, e meglio in epoca moderna i razionalisti e gli analisti logici, hanno rilevato che da un semplice atteggiamento passivo alla raccolta di fatti non si ricava vera «s.», ma semmai solo «notizia», erudizione affastellata,​​ rudis indigestaque moles.

6. Il momento critico decisivo della ricerca sta invece in un atteggiamento attivo, anzi «creativo» dell’immaginazione e dell’intelligenza, che producono congetture o​​ ipotesi,​​ vale a dire si rappresentano possibili collegamenti tra i fatti. Le ipotesi vengono poi messe alla prova, in quanto da esse si può dedurre l’attesa di certe conseguenze, che si vanno a riscontrare coi fatti stessi. Se le conseguenze «osservate» non sono quelle «attese», si dice che l’ipotesi è «falsificata»; se invece sono uguali, vengono dette impropriamente «verificate»; ma in realtà esse sono soltanto provvisoriamente «confermate» o corroborate in attesa di ulteriori indagini. Questo punto è stato approfondito solo di recente dalla epistemologia contemporanea, e principalmente da K. R. Popper. La falsificazione e la verificazione non sono infatti due alternative simmetriche. La prima scarta un’ipotesi come incompatibile coi fatti osservati, e costringe quanto meno a modificarla. La seconda invece stabilisce che l’ipotesi è compatibile coi fatti osservati, ma non ci dice se «altre» ipotesi ugualmente compatibili siano possibili, e magari tali da garantire una compatibilità ancora più estesa. Lo spareggio di queste «altre» eventuali ipotesi non può avere luogo se non ancora attraverso una falsificazione che proceda per via eliminatoria. Ma essa non ha virtualmente mai fine. Conseguenze di grande portata filosofica e pedagogica derivano da queste premesse. Anzitutto, la pretesa dei trattati sistematici di «aver detto tutto» su una s. deve venire accantonata. La s. è in continuo movimento, e le sue proposizioni più numerose sono​​ domande e non risposte.​​ Un manuale che dia l’impressione contraria rende un cattivo servizio allo spirito scientifico, e si allea al più deteriore «scientismo» che è una forma di dogmatismo chiuso. L’​​ ​​ educazione scientifica deve quindi coltivare lo «spirito di domanda» e la umiltà di riconoscere che la s. non ha «dogmi» propri. Se questo atteggiamento è condiviso, su un diverso piano, da chi riconosce che in religione i misteri della fede non sono traducibili in s., si esclude in via preliminare che vi possa essere contrasto tra le due.

7. In secondo luogo, l’educazione scientifica ha a disposizione un forte argomento per escludere il manualismo preconfezionato, non già a vantaggio di un ambiguo induttivismo, ma piuttosto di una didattica della ricerca basata sul​​ metodo delle ipotesi.​​ È importante rendersi conto che le s. nascono da un incontro tra esperienza e ragione, ovvero tra dati osservativi e costrutti teorici. Le ipotesi confermate sono i gradini di una scala, che tuttavia prosegue verso ipotesi sempre più vaste e unitarie, atte a dare ragioni più estese e fondamentali. Le tappe superate nel progresso della ricerca non sono tanto da considerare «errori» quanto piuttosto «verità parziali», da integrare in prospettive sempre più complete. Il sapere finito è sempre approssimato e la «verità» scientifica non è mai un possesso tranquillo, ma un ideale regolativo. L’unilaterale empirismo e l’unilaterale razionalismo sono stati superati attraverso la costruzione effettiva di un sapere che è sempre limitato ma sempre perfettibile. La nozione di s. nella formazione degli insegnanti riguarda la conoscenza riconosciuta, appresa, diffusa.

Bibliografia

Duhem P.,​​ Le système du monde,​​ Paris, Hermann,​​ 1913-1959, 10 voll.; Poincaré H.,​​ Il valore della s.,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1947; Dewey J.,​​ Logica,​​ teoria dell’indagine, 2 voll., Torino, Einaudi, 1949; De Santillana G.,​​ Le origini del pensiero scientifico,​​ Firenze, Sansoni, 1966; Naville E.,​​ La logica dell’ipotesi,​​ Milano, Rusconi, 1989; Blezza F.,​​ Educazione 2000,​​ Cosenza, Pellegrini, 1993; Laeng M.,​​ S. filosofia religione: l’enigma nello specchio,​​ Brescia, La Scuola, 2003; Chistolini S.,​​ S. e formazione. Manuale del laboratorio universitario di pedagogia,​​ Milano, Angeli, 2006; Todaro L.,​​ L’ordine pedagogico, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006.

M. Laeng​​ 

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SCIENZA

SCIENZA E FEDE

 

SCIENZA E FEDE

1.​​ La chiarificazione dei concetti di S. e F. è l’indispensabile premessa per seriamente cogliere e valutare il loro reciproco rapporto, sia in linea di principio sia in sede storica, poiché qui più che altrove imperversano il genericismo, i preconcetti e la “retorica delle conclusioni”.

Per F. (cristiana) s’intende l’accettazione della persona e dell’insegnamento di Gesù Cristo, rivelazione definitiva di Dio, resosi credibile con la sua vita morte e risurrezione, e continuato “sacramentalmente” nella Chiesa, la cui missione è di custodire, difendere e proporre, in maniera autoritativa e adeguata ad ogni epoca storica, il contenuto della Rivelazione. Il termine S. è stato riempito lungo i secoli di contenuti molto differenti, la cui disamina supera le possibilità di questo intervento. Comunque​​ l’epistéme​​ greca (= “conoscenza vera”, che ricerca essenze, cause e princìpi) e la​​ scientia​​ latino-medioevale (= “scire per causas”, anch’esso scopo ultimo della filosofia) sono le accezioni più lontane da quella odierna, per la quale bisogna piuttosto rifarsi alla rivoluzione galileiana: l’invenzione di un nuovo tipo di sapere “accanto” a quello filosofico, che rinunciava a indagare le essenze per interessarsi solo di alcuni fenomeni circoscritti (quantitativi) ed esprimere in “leggi” la costanza dei rapporti matematici del loro comportamento.

Iniziò così il prestigioso cammino della “scienza moderna”, che per l’imponenza dei risultati conseguiti venne ritenuta da molti l’unico tipo di sapere autentico da estendere a tutti gli aspetti della realtà (cf positivismo e “scientismo”). Però nuove scoperte dell’ultimo secolo (geometrie non-euclidee, teoria della relatività, meccanica quantistica, ecc.) hanno a loro volta rivoluzionato questa “scienza classica” provocandone la crisi (cf neopositivismo) che l’ha resa consapevole della propria limitatezza e inadeguatezza, pur continuando a ritenere che l’unica conoscenza valida siano i meno pretenziosi enunciati scientifici, in quanto solo essi sono verificabili empiricamente. Oggi, infine, c’è larga convergenza nel non più attribuire alla S. una competenza-capacità risolutiva universale e nel riconoscerla​​ un​​ tipo di sapere circoscritto, fallibile, ipotetico, autocorreggibile.

2.​​ In teoria,​​ tutti i conflitti (avvenuti e possibili) sono risolubili se S. e F. sanno evitare malintese autocomprensioni e indebite invasioni nel campo altrui, dimenticando di essere entrambe dei saperi parziali. La teologia (= esposizione sistematica della F.) ha provocato incresciosi conflitti quando impose come patrimonio rivelato presunte informazioni scientifiche della Bibbia, e quando — per “integrismo” — deduce unicamente dalla Rivelazione il comportamento concreto dell’uomo. Altrettanta conflittualità ha generato la S., sia quando negava il carattere di vera conoscenza a saperi (metafisica e F.) non fondati sul proprio presunto infallibile metodo empirico-matematico (cf positivismo); sia quando pretendeva di essere l’unica risposta esaustiva a tutti i problemi dell’uomo (cf “scientismo”); sia quando contestava (sempre alla metafisica e alla F.) la possibilità di raggiungere verità-valori certi, perché, fattasi consapevole dei propri limiti (cf neopositivismo), continuava a ritenersi l’unico tipo di sapere consentito all’uomo.

In pratica,​​ non dobbiamo meravigliarci troppo di tali contrasti, giudicando la storia passata con la più matura mentalità di oggi, perché, al di là delle intemperanze e meschinità umane, “non è poi tanto facile stabilire fino a che punto delle concezioni riguardanti la struttura e l’origine del cosmo non entrino direttamente in gioco nel modo di concepire la dipendenza del mondo da Dio, il rapporto particolare esistente fra Dio e l’uomo, la natura specifica dell’uomo: tutti argomenti assolutamente centrali proprio alla F. religiosa strettamente intesa” (E. Agazzi). E non è nemmeno tanto facile contenere il risentimento di fronte a chi spaccia come teorie scientifiche sicure delle semplici (provvisorie) ipotesi di lavoro. E riconosciamo pure tranquillamente che la S. ha stimolato la teologia per una comprensione più chiara e approfondita della natura della Rivelazione (le cui verità sono “in ordine alla nostra salvezza”: DV 11), e la teologia ha stimolato la S. a prendere coscienza degli inevitabili limiti di ogni sapere e particolarmente delle sue aporie.

3.​​ Oggi la F. lascia completamente alla S. il compito di indagare quanto è accertabile con criteri empirici, riconoscendole la legittima autonomia metodologica, che non ha mezzi per interloquire sul patrimonio specifico della Rivelazione; è convinta che non ci sarà mai reale contrasto, “perché le realtà profane e le realtà della F. hanno origine dal medesimo Dio” (GS 36); lungi dal temerlo, cerca addirittura un confronto e un dialogo costruttivo con la S., poiché “troppo grande sarebbe il danno se la Chiesa non pronunciasse risposte che non incontrano le domande che oggi si pone l’uomo» (Giovanni Paolo II). Quanto al problema se la S. contemporanea (che abitua a rinunciare alla ricerca delle “cause prime”, delle “spiegazioni ultime”) e il conseguente progresso tecnico (spinta alla fiducia nelle capacità umane e a diminuire il senso di limitatezza dell’uomo) insidino in qualche modo il sentimento religioso, da una parte si deve ammettere che la “mentalità tecnico-scientifica” non è uno stimolo immediato al divino (cf GS 19), soprattutto se si insiste nel ritenere Dio un tappabuchi dei vuoti rimasti nella conoscenza e potenza umane; dall’altra parte le meraviglie che la S. scopre e descrive (non... crea!), ma soprattutto l’incompetenza da essa proclamata sull'orizzonte di una interrogazione universale del “senso” della realtà, diventano sollecitazione nuova (rispetto alla “natura”) a cercare in qualche “fede” quelle certezze di cui l’uomo ha bisogno per impostare la vita.

Bibliografia

E. Agazzi, art.​​ Scienza,​​ in​​ Dizionario di spiritualità dei laici,​​ Milano, Ed. O.R., 1981, vol. II, 268-272; Id. (a cura di),​​ Storia delle scienze,​​ 2 vol., Roma, Città Nuova, 1984; E. Brovedani,​​ Mentalità scientifica e riflessione teologica,​​ in “Aggiornamenti sociali” 32 (1981) 5, 333-350; G. De Rosa,​​ Fede cristiana, tecnica e secolarizzazione,​​ Roma, La Civiltà Cattolica, 1970; H. Fries,​​ Fede e sapere scientifico,​​ in​​ Sacramentum Mundi,​​ vol. III, Brescia, Queriniana, 1975, 758-768; W.​​ Kasper,​​ Introduzione alla fede,​​ ivi, 1973; J. Ladrière,​​ I rischi della razionalità.​​ La sfida della scienza e della tecnologia alle culture, Torino, SEI, 1977; R.​​ Liebig,​​ Fede e scienza in dialogo.​​ La scienza rivelatrice di Dio, Leumann-Torino, LDC, 1972; E. Medi,​​ Il mondo come lo vedo io,​​ Roma,​​ Studium,​​ 1974.

Mario Montani

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SCIENZA E FEDE

SCIENZA/E COGNITIVA/E

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SCIENZA / E COGNITIVA / E

La s.c., o al plurale scienze cognitive, è un’area di studio e ricerca che ha per oggetto i processi che richiedono l’acquisizione e l’uso di conoscenza.​​ 

1. I tipici argomenti di cui si interessa sono i processi «intelligenti», come il linguaggio, la rappresentazione, il ragionamento, la soluzione di problemi, la decisione. Alcune delle discipline partecipanti sono la psicologia, in particolar modo la psicologia cognitiva,​​ la linguistica, le​​ ​​ neuroscienze, l’intelligenza artificiale, la filosofia della mente e del linguaggio, l’epistemologia, la logica e la filosofia della matematica. La prospettiva della s.c. è interdisciplinare e combina le ricerche svolte su questo oggetto di studio da parte di tutte queste discipline. Alcuni esempi di domande che interessano chi svolge ricerche nell’ambito delle s.c.: come si acquisisce la capacità di far fronte alla complessità dell’ambiente? in che modo ci rappresentiamo le situazioni e perché alcune costituiscono un problema? come possiamo pianificare o controllare le azioni che svolgiamo per ottenere certi risultati? come possiamo imparare e ricordare meglio? come possiamo ragionare meglio? perché commettiamo certi errori? come scegliere fra alternative e prendere decisioni difficili? come possiamo gestire linguaggi diversi? come possiamo utilizzare al meglio le macchine e gli oggetti di uso quotidiano? possiamo costruire macchine intelligenti? Queste domande portano a studiare da prospettive diverse i vari processi cognitivi come la memoria, il ragionamento, la soluzione di problemi, la percezione, l’attenzione, la coscienza, l’apprendimento.​​ 

2. All’origine della s.c. si possono ricondurre le ricerche che hanno permesso la costruzione e l’uso dei calcolatori elettronici. Tra queste ricerche merita una menzione particolare la macchina universale di Alan Turing. Essa era intesa come un modello per simbolizzare ogni possibile operazione di calcolo. Turing intendeva dimostrare che esistevano enunciati matematici non calcolabili; in questo modo egli dimostrò che la matematica non era completamente decidibile. La sua macchina è stata in seguito considerata il primo modello di mente computazionale. Negli anni cinquanta del sec. scorso la metafora della mente umana come elaboratore di informazioni divenne il riferimento fondamentale per gli sviluppi della psicologia cognitivista, come di ogni altra s.c. Oggi sono particolarmente vive le ricerche sulla simulazione mediante macchine dei processi cognitivi superiori e del comportamento degli esperti nei vari settori, sull’interazione uomo-macchina e la valorizzazione delle macchine per allargare le potenzialità dell’intelligenza umana o per superarne alcune disfunzioni.

Bibliografia

Gardner H.,​​ La nuova s. della mente, Milano, Feltrinelli, 1985; Di Francesco M.,​​ Introduzione alla filosofia della mente, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1996; Ferretti F.,​​ Dizionario di s.c., Roma, Editori Riuniti, 2000; Legrenzi P.,​​ Prima lezione di s.c., Bari, Laterza, 2005; Searle J. R.,​​ La mente, Milano, Cortina, 2005; Boncinelli E.,​​ L’anima della tecnica, Milano, Rizzoli, 2006.​​ 

M. Pellerey

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SCIENZA/E COGNITIVA/E
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