PENITENZA (Sacramento della)
1. Il sacramento della P. o Riconciliazione è oggetto di particolare interesse da parte del catecheta, sia in quanto contenuto notevole della C., sia in quanto occasione importante di essa (l’iniziazione al sacramento della P. — coincida cronologicamente o meno con l’iniziazione all’eucaristia — è infatti uno dei momenti decisivi dell’iniziazione alla vita cristiana e dell’educazione della fede), sia infine in quanto occasione e momento privilegiato per l’educazione di quella dimensione essenziale della fede che è la → conversione permanente.
2. Per quanto riguarda i contenuti si deve dire che la C. della P. ha risentito come e più ancora di quella del → peccato di una cattiva utilizzazione delle categorie forensi, che una teologia legalistica e una concezione troppo giuridica del rapporto Dio-uomo le fornivano. Così sono stati interpretati in passato in chiave forense tanto i concetti di offesa di Dio che quelli di espiazione-riparazione, così come la natura giudiziale del sacramento stesso (cf DS 1709).
La conversione con i suoi atti è stata spesso vista come una condizione positivamente esigila da Dio per la concessione di un perdono-condono che sembrava produrre soprattutto gli effetti giuridici della remissione o cancellazione di un debito (debitum culpae e debitum poenae). Restavano così occultati da un lato il carattere assolutamente preveniente dell’iniziativa dell’amore misericordioso di Dio che ci perdona con vertendoci, cioè cambiandoci dentro, operando in noi una redenzione che è nuova creazione e nuova nascita, e dall’altro il carattere ontologico della negatività del peccato e della positività della redenzione.
Ma anche il carattere profondamente personale delle opzioni fondamentali di rifiuto di Dio e ritorno a lui, inerenti, secondo la concezione biblica, sia al peccato che alla conversione, passavano in secondo piano di fronte a una dottrina del peccato e delle “cose necessarie per ben confessarsi” che si prestava troppo a essere intesa in senso giuridico e cosistico. È probabilmente un po’ anche a questa presentazione inadeguata (almeno a livello di linguaggio) che si deve l’attuale crisi del sacramento, così profonda e diffusa, che fa seguito peraltro a molti decenni di prassi penitenziale sempre più segnati dalla routine e dal moralismo.
La ripresa del discorso biblico e del suo linguaggio vigorosamente personalistico ha portato alla rivalutazione del carattere interpersonale della conversione; il movimento liturgico ha portato invece a una rivalutazione della dimensione comunitario-ecclesiale del rito sacramentale. Purtroppo non sembra facile dare al rito un giusto equilibrio tra la dimensione personale (che non può essere soppressa) e quella comunitaria. La storia stessa del sacramento presenta d’altronde un passato di sconcertante pendolarismo nella accentuazione di queste due dimensioni (con una sopravvalutazione prima, con un certo occultamento poi, della dimensione comunitaria).
3. Ma più ancora che al problema della trasmissione dei contenuti, la C. è interessata al problema dell’educazione degli atteggiamenti costitutivi della conversione cristiana, tanto più importante nell’attuale crisi della prassi sacramentale in quanto l’atteggiamento della conversione interiore non è soltanto condizione per la significatività ed efficacia salvifica del sacramento, ma anche retroterra psicologico imprescindibile per una ripresa della prassi sacramentale stessa.
Atteggiamento di conversione significa anzitutto coscienza realistica e matura del peccato. Il sentimento del peccato è il risvolto negativo di una coscienza morale vigile e delicata: esso inizia con quella particolare forma di disagio psichico che si chiama rimorso. Il rimorso non si limita a procurare angoscia e bisogno di autopunizione, ma diventa uno stimolo al ripensamento della propria posizione di fronte a Dio e quindi una piattaforma di conversione. Per questo il senso di colpa è sempre stato valutato positivamente dalla tradizione pedagogica cristiana, ritenuto voce di Dio che chiama il peccatore alla conversione.
Ma da Freud in poi, la pedagogia morale cristiana ha dovuto rimettere in questione tale valutazione e calibrare meglio il suo discorso. Freud ha collegato anche il senso di colpa alle esorbitanti pretese del super-ego e ne ha fatto quindi l’espressione di una coscienza morale immatura. Non solo ha smascherato il carattere irrazionale e autopunitivo del “senso patologico di colpa”, ma ha gettato il sospetto dell’autodistruttività su tutto l’universo della colpabilità. Anche se non sempre ascritto al campo della psicopatologia e della nevrosi, il sentimento di colpa è guardato oggi con diffidenza; ci si vede più un pericolo che un’occasione educativa.
Va detto peraltro che la consapevolezza del carattere ambiguo del senso di colpa è presente da sempre alla riflessione di fede. Già san Paolo distingueva tra una tristezza che è secondo Dio, e perciò opera salvezza, e una tristezza che produce morte (2 Cor 7,9-10). Il senso di colpa è quindi soggetto a una educazione e a uno sviluppo graduale, che lo porta a una vera maturità umana e cristiana, ma è anche esposto al pericolo di deviazioni patologiche, o almeno di una fissazione a livelli infantili o adolescenziali. Immaturo è quel sentimento di colpa che è risvolto negativo di una coscienza infantile, cioè eteronoma e irrazionale, una coscienza che si identifica con il super-ego freudiano o con gli ideali narcisistici dell’adolescente.
4. La maturazione del senso di colpa si muove quindi dall’eteronomia, che lo nutre con la paura della punizione, verso un’autonoma sensibilità ai valori, in coerenza con le proprie scelte di vita. Va dall’irrazionalità e dalla fallacia delle valutazioni materialistiche del bambino, verso una valutazione realistica e attenta al valore dell’intenzione soggettiva e degli atteggiamenti interiori. Va infine dal carattere magico e autopunitivo dei riti di espiazione dell’immaturo, verso atteggiamenti di autentico autorinnovamento morale e di conversione vera.
Sentimenti immaturi di colpa e perfino una vera patologia del senso di colpa possono del resto coesistere con il sentimento religioso e con la fede (soprattutto se anch’essa caratterizzata da tratti di infantilismo e di inautenticità). Questo non esclude che la fede sia per sé un elemento educativo del senso di colpa e che il credente trovi nella maturazione di una fede autentica la base più idonea per la maturazione di un senso di colpa anche umanamente maturo.
La fede aiuta il credente a vivere la coscienza del peccato, non nella disperazione della solitudine, ma nella serena certezza del perdono e di una inesauribile possibilità di ripresa e di ricominciamento. Per questa maturazione uno strumento educativo prezioso è proprio il sacramento della riconciliazione: attraverso la verbalizzazione, il dialogo confidente, la certezza del perdono, esso opera nella direzione di rendere più razionale, meno narcisistico e più costruttivo il senso di colpa. Il dialogo penitenziale può svolgere un’opera preziosa di chiarificazione, coscientizzazione e rasserenamento, facendo del senso di colpa una forza di rinnovamento.
5. Ma la conversione include oltre alla coscienza del peccato la libera e profonda decisione di riorientare la totalità della persona al bene e a Dio. E una scelta di antipeccato. Non si può scegliere Dio senza scegliere contro il peccato: il convertirsi è contestuale al credere, e convertirsi è combattere contro il peccato una lotta che dura tutta la vita: nuovi cedimenti, debolezze, compromessi danno a questa lotta l’aspetto di un continuo ritorno a Dio.
Questa lotta contro il peccato include necessariamente quella forma di onesto riconoscimento della propria colpa che è la confessione dei peccati. Io non prendo veramente posizione contro il mio peccato fin che non ho il coraggio di chiamarlo per nome, di usare contro di esso l’arma della parola che dà corpo alla mia volontà di rinnegamento e di conversione. Naturalmente la conversione è principalmente un fatto interiore che mette in gioco gli strati più profondi della mia libertà. Detestare vuol dire revocare la decisione peccaminosa, operare una decisione altrettanto profonda ma in direzione opposta, dalla menzogna alla verità, dall’egoismo all’amore, dal male a Dio.
Poi c’è il proposito, cioè la progettazione della lotta futura contro il peccato, per sradicarlo totalmente dal nostro cuore e dalle strutture della nostra personalità; e questo esige naturalmente una certa ascesi, un autorinnegamento liberante.
6. L’educazione di questi atteggiamenti è qualcosa di difficile e di graduale, che l’educatore affronta mettendosi in sintonia con l’iniziativa educatrice di Dio. I dinamismi educativi in gioco sono in fondo gli stessi di ogni altra forma di educazione morale e di educazione della fede.
Il primo resta quello di un amore accogliente e incondizionato. La comunità ecclesiale è chiamata per questo a farsi sacramento dell’amore incondizionato di Dio, amore che è all’origine della consapevolezza della negatività del peccato ma anche della fiducia nel perdono. La comunità ecclesiale, in quanto educatrice della conversione, mentre annuncia questo amore lo deve rendere in qualche modo sperimentabile. La confessione e prima ancora la C. che la prepara devono essere perciò un incontro con l’amore del Padre visibile nell’amore dei fratelli di fede.
Un altro dinamismo educativo è la testimonianza leale della verità morale. L’educatore della fede deve avere il coraggio di testimoniare umilmente ma fedelmente quella verità da cui egli stesso è giudicato, naturalmente con la gradualità imposta non solo dai ritmi di crescita del soggetto, ma anche dal rispetto della gerarchia interna delle verità.
L’impegno di testimoniare fedelmente una verità di cui non è padrone non esime l’educatore dal dialogo. Un dialogo vero, creativo e non puramente rituale, un dialogo di natura educativa entra a far parte dell’essenza di questo solo sacramento, quasi a sottolineare il carattere specificamente educativo della grazia sacramentale della P. Naturalmente, dialogare vuol dire accostare senza prevenzioni, ascoltare, insegnare, ma anche imparare e lasciarsi mettere in questione. Un ultimo dinamismo educativo importante per l’educazione della conversione permanente e della penitenza interiore è quello della responsabilizzazione, intesa come il rendere consapevoli della oggettiva e ontologica negatività del peccato, della sua distruttività umana, personale e sociale. In ognuno di questi dinamismi, la gradualità e l’appello alle reali energie di bene dell’educando sono attenzioni generali assolutamente necessarie a una pedagogia della conversione che voglia ispirarsi alla pedagogia di Dio.
Bibliografia
F. Boeckle et al., Matrimonio, Penitenza e Unzione, Roma-Brescia, Herder-Morcelliana, 1971; B. Haering, Shalom, pace. Il sacramento della riconciliazione, Roma, Ed. Paoline, 1969; B. Haering et al., Pédagogie de la conjession, Mulhouse, Salvator, 1967; La Penitenza. Dottrina, storia, catechesi, pastorale, Leumann-Torino, LDC, 1967; J. Ramos-Regidor, Il sacramento della Penitenza, ivi, 1972; A. Snoeck, Confessione e Psicanalisi, Torino, Boria, 1965; A. von Speyr, La confessione, Milano, Jaca Book, 1977; K. Tilmann, La catechesi della confessione, Brescia, La Scuola, 1963; Verso una rinnovata prassi penitenziale, Brescia, Queriniana, 1983.
Guido Gatti