ORATORIANI

 

ORATORIANI

Movimento spirituale-pedagogico francese - Movimento spirituale-pedagogico italiano.

1. Pierre de Bérulle (1575-1629, card. dal 1627) fonda nel 1611 (con approvazione pontificia del 1613), l’«Oratorio di Gesù Cristo», un’associazione di sacerdoti secolari che vivevano in comunità senza voti, dedicati alla formazione iniziale e permanente degli ecclesiastici. Accettano poi anche dei collegi, dove conducono in molte parti della Francia per quasi due secoli (vengono soppressi nel 1792) una esperienza di pedagogia cristiana con molti tratti originali. Il fondamento delle scuole è radicalmente religioso-spirituale, inteso a formare Gesù Cristo nel cuore degli allievi. L’istruzione letteraria è un mezzo a questo scopo. Vi è incluso l’insegnamento del fr., della storia, delle scienze (geografia, cartografia, matematica) e della filosofia moderna cartesiana, ma la base resta il trilinguismo (lat., gr., ebraico) che apre allo studio della Bibbia e dei Padri della Chiesa. Gli allievi appartengono alla piccola e media borghesia piuttosto che alla nobiltà. Si cerca di superare l’antitesi fra la pietà e lo studio, il metodo è quello della comprensione, dolcezza, riserbo, discrezione, fondati sulla carità, l’interiorità e una spiritualità teocentrica e cristocentrica.

2. Filippo Neri (1515-1595), sacerdote dal 1551 e proclamato santo nel 1622, trasferitosi da Firenze a Roma, vi promosse negli anni ’50 un movimento spirituale-educativo che prese il nome di​​ ​​ Oratorio e da cui scaturì nel 1575 una Congregazione di preti e chierici secolari viventi in comune, e dediti all’​​ ​​ educazione cristiana dei fedeli e in particolare dei giovani. L’Oratorio si presenta come un raggruppamento libero e diversificato di giovani e adulti, invitati a passare le ore pomeridiane in trattenimenti spirituali, nell’ascolto della Parola di Dio, esposta e commentata in modo familiare e in vista del perfezionamento della vita cristiana. Vi vengono promossi il culto eucaristico, la confessione e la direzione della coscienza, la musica e le arti figurative, e anche il gioco e il divertimento, in un’atmosfera di festosa cordialità. Alla pedagogia dell’Oratorio filippino si ispira il trattato di​​ ​​ Antoniano. La Congregazione si diffuse in Italia, in Europa, in America e in India. Ne furono membri, tra molti altri, il P. Faber e il card. Newman e i beati Giovenale Ancina, Antonio Grassi e Sebastiano Valfré, come pure i card.​​ Capecelatro e Giulio Bevilacqua.

Bibliografia

a) Su P. Bérulle: Dagens J.,​​ Bérulle et les origines de la restauration catholique (1575-1611),​​ Paris-Bruges, Desclée de Brouwer, 1952; Plongeron B., «Du modèle jésuite au modèle oratorien dans les collèges français à la fin du XVIIIe siècle», in J. Preaux (Ed.),​​ Église et enseignement,​​ Bruxelles, Éditions de l’Université de Bruxelles, 1977, 89-136;​​ Braido P. (Ed.),​​ Esperienze di pedagogia cristiana nella storia,​​ vol.​​ II, Roma, LAS, 1981, 9-64. b) Su F. Neri: Marciano G.,​​ Memorie historiche della Congregazione dell’Oratorio,​​ 5 voll., Napoli, De Bonis, 1693-1702; Capecelatro A.,​​ Vita di S. Filippo Neri,​​ Roma, Desclée et Lefebvre, 1901; Cistellini A.,​​ S.​​ Filippo Neri,​​ l’Oratorio e la Congregazione oratoriana. Storia e spiritualità,​​ Brescia, Morcelliana, 1989.

U. Gianetto

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ORATORIO

 

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1.​​ Il termine O. compare in Roma nel 1500 con san Filippo Neri, che inizia questo tipo di servizio pastorale “per avvicinare giovani e adulti lontani dalla pratica della vita cristiana, unendo all’insegnamento della dottrina momenti di svago, di canto e passeggiate” (P.​​ Pecchia!,​​ Roma nel cinquecento,​​ Bologna,​​ 1948, 393).​​ Nel 1537 a Roma Ignazio di Loyola e i compagni Lainez e Fabro “comenzaron​​ a​​ enseñar​​ la​​ doctrina​​ cristiana a​​ los niños”, riscuotendo grande successo tra la gente, e servendosi dell’insegnamento gratuito della grammatica e delle lettere per meglio raggiungere i ragazzi e istruirli nelle verità della fede (L. Battoli,​​ Vita di S. Ignazio,​​ Roma, 1650, 274). Nel 1592 è san Giuseppe Calasanzio che, a Roma, mostra il suo zelo per i fanciulli poveri e abbandonati raccogliendoli in luoghi di educazione detti “scuole pie”. Mentre a Milano sorgono le scuole della dottrina cristiana e gli​​ O.​​ di san Carlo, nel corso dei secoli seguenti altri cercarono di integrare l’insegnamento della dottrina cristiana con attività care ai fanciulli come il gioco, la vita di gruppo, il servizio di carità ai compagni... giungendo fino all’attuale formula degli O. che, se ha in D. Bosco l’ideatore per eccellenza, è però presente sotto diverse e svariate formule di attuazione (come la FOM [Federazione Oratori Milanesi], il COR [Centro Oratori Romani], l’ANSPI [Associazione Nazionale S. Paolo per gli Oratori], gli O. salesiani, orionini, guanelliani...) in Italia, i patronages in Francia e nel Belgio, ecc.

2.​​ Nella forma attuale 1’0. è spazio di accoglienza, di pastorale e di formazione dei fanciulli, dei ragazzi e dei giovani che, nella sua tipica popolarità crea una tensione dinamica tra dimensione personale e comunitaria, e attraverso una ben dosata azione pedagogico-pastorale ne sostiene la crescita integrale.

3.​​ La C. è nell’O. allo stesso tempo annuncio di un messaggio di salvezza liberante, risposta a un interrogativo di senso della vita e di fede, testimonianza degli adulti nella fede, iniziazione alla preghiera, alla vita sacramentale, al servizio di carità. I contenuti proposti, essendo la metodologia degli O. caratterizzata dalla spontaneità, dalla sincerità e dalla gioia, divengono motivazione delle scelte e sostegno ad una educazione concreta e globale. Nelle attività tipiche della vita oratoriana (teatro, canto, gioco, sport, musica, turismo...) il ragazzo incarnerà la propria esperienza di crescita nella fede, e nella vita comunitaria vissuta quotidianamente apprenderà ad essere “onesto cittadino e buon cristiano” (D. Bosco).

4.​​ Questo metodo di C. che privilegia l’esperienza di vita, non sempre fu sostenuto e apprezzato da coloro che ritenevano la C. come pura trasmissione di contenuti dottrinali. Sembrò per lungo tempo, ad alcuni, che il carattere popolare dell’ambiente oratoriano, il clima di spontaneità nelle relazioni facesse perdere credibilità e profondità all’insegnamento della dottrina cristiana, per cui gli stessi parroci trascurarono, o bandirono addirittura, gli O. dalle loro strutture di pastorale, con il conseguente abbandono da parte dei ragazzi e dei giovani dell’ambiente della parrocchia. La pastorale rimaneva limitata ai fanciulli in occasione della recezione dei sacramenti della prima comunione e cresima; prima e dopo, vuoto di presenze, o piccoli gruppi viventi in associazioni specifiche.

5.​​ Il provvidenziale movimento cat. postconciliare, l’assunzione dei principi delle scienze umane in ordine all’età evolutiva, l’affermazione (CT 51) che “la varietà nei metodi è segno di vita e di ricchezza”, hanno confermato e consacrato la formula della C. oratoriana fatta di trasmissione di solidi contenuti di fede in un ambiente vivo e vitale dove, attraverso interessi e impegni, vita di socialità e di comunione ecclesiale, si matura alla riflessione, all’incontro con Dio e con i fratelli, alla celebrazione della fede. Nell’O. tutto diviene spazio e occasione di evangelizzazione e di C. e rivela la sacramentalità del vissuto quotidiano. Assumendo nelle espressioni migliori la cultura dei giovani, si porta in essa la forza del Vangelo e la sua ricchezza in clima di fede e di carità, in proiezione di speranza, perché siano lucidi e coerenti nella loro fede (CT 57). La diversità delle programmazioni, la varietà dei metodi, la ricchezza delle attività che continuamente vengono proposte caratterizzano in modo peculiare la C. dell’O. e ne fanno la sua forza di attrattiva.

Bibliografia

P. Braido.​​ Esperienze di pedagogia cristiana nella storia,​​ Roma, LAS, 1981; G.​​ Franza,​​ Il Catechismo a Roma,​​ Roma, Ed. Paoline, 1958; G. Gatti,​​ La catechesi dei fanciulli,​​ Leumann-Torino, LDC, 1975; U. Gianetto – R. Giannatelli,​​ La catechesi dei ragazzi,​​ ivi, 1976; F. Pascucci,​​ L’insegnamento religioso in Roma dal Concilio di Trento ad oggi,​​ Roma, 1938; P. Ricaldone,​​ Oratorio festivo, catechismo...,​​ Torino, SEI, 1940; S. Riva,​​ La contestazione nella catechesi,​​ Brescia, La Scuola, 1971.

Lorenzina Golosi

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1.​​ Il termine O. compare in Roma nel 1500 con san Filippo Neri, che inizia questo tipo di servizio pastorale “per avvicinare giovani e adulti lontani dalla pratica della vita cristiana, unendo all’insegnamento della dottrina momenti di svago, di canto e passeggiate” (P.​​ Pecchia!,​​ Roma nel cinquecento,​​ Bologna,​​ 1948, 393).​​ Nel 1537 a Roma Ignazio di Loyola e i compagni Lainez e Fabro “comenzaron​​ a​​ enseñar​​ la​​ doctrina​​ cristiana a​​ los niños”, riscuotendo grande successo tra la gente, e servendosi dell’insegnamento gratuito della grammatica e delle lettere per meglio raggiungere i ragazzi e istruirli nelle verità della fede (L. Battoli,​​ Vita di S. Ignazio,​​ Roma, 1650, 274). Nel 1592 è san Giuseppe Calasanzio che, a Roma, mostra il suo zelo per i fanciulli poveri e abbandonati raccogliendoli in luoghi di educazione detti “scuole pie”. Mentre a Milano sorgono le scuole della dottrina cristiana e gli​​ O.​​ di san Carlo, nel corso dei secoli seguenti altri cercarono di integrare l’insegnamento della dottrina cristiana con attività care ai fanciulli come il gioco, la vita di gruppo, il servizio di carità ai compagni... giungendo fino all’attuale formula degli O. che, se ha in D. Bosco l’ideatore per eccellenza, è però presente sotto diverse e svariate formule di attuazione (come la FOM [Federazione Oratori Milanesi], il COR [Centro Oratori Romani], l’ANSPI [Associazione Nazionale S. Paolo per gli Oratori], gli O. salesiani, orionini, guanelliani...) in Italia, i patronages in Francia e nel Belgio, ecc.

2.​​ Nella forma attuale 1’0. è spazio di accoglienza, di pastorale e di formazione dei fanciulli, dei ragazzi e dei giovani che, nella sua tipica popolarità crea una tensione dinamica tra dimensione personale e comunitaria, e attraverso una ben dosata azione pedagogico-pastorale ne sostiene la crescita integrale.

3.​​ La C. è nell’O. allo stesso tempo annuncio di un messaggio di salvezza liberante, risposta a un interrogativo di senso della vita e di fede, testimonianza degli adulti nella fede, iniziazione alla preghiera, alla vita sacramentale, al servizio di carità. I contenuti proposti, essendo la metodologia degli O. caratterizzata dalla spontaneità, dalla sincerità e dalla gioia, divengono motivazione delle scelte e sostegno ad una educazione concreta e globale. Nelle attività tipiche della vita oratoriana (teatro, canto, gioco, sport, musica, turismo...) il ragazzo incarnerà la propria esperienza di crescita nella fede, e nella vita comunitaria vissuta quotidianamente apprenderà ad essere “onesto cittadino e buon cristiano” (D. Bosco).

4.​​ Questo metodo di C. che privilegia l’esperienza di vita, non sempre fu sostenuto e apprezzato da coloro che ritenevano la C. come pura trasmissione di contenuti dottrinali. Sembrò per lungo tempo, ad alcuni, che il carattere popolare dell’ambiente oratoriano, il clima di spontaneità nelle relazioni facesse perdere credibilità e profondità all’insegnamento della dottrina cristiana, per cui gli stessi parroci trascurarono, o bandirono addirittura, gli O. dalle loro strutture di pastorale, con il conseguente abbandono da parte dei ragazzi e dei giovani dell’ambiente della parrocchia. La pastorale rimaneva limitata ai fanciulli in occasione della recezione dei sacramenti della prima comunione e cresima; prima e dopo, vuoto di presenze, o piccoli gruppi viventi in associazioni specifiche.

5.​​ Il provvidenziale movimento cat. postconciliare, l’assunzione dei principi delle scienze umane in ordine all’età evolutiva, l’affermazione (CT 51) che “la varietà nei metodi è segno di vita e di ricchezza”, hanno confermato e consacrato la formula della C. oratoriana fatta di trasmissione di solidi contenuti di fede in un ambiente vivo e vitale dove, attraverso interessi e impegni, vita di socialità e di comunione ecclesiale, si matura alla riflessione, all’incontro con Dio e con i fratelli, alla celebrazione della fede. Nell’O. tutto diviene spazio e occasione di evangelizzazione e di C. e rivela la sacramentalità del vissuto quotidiano. Assumendo nelle espressioni migliori la cultura dei giovani, si porta in essa la forza del Vangelo e la sua ricchezza in clima di fede e di carità, in proiezione di speranza, perché siano lucidi e coerenti nella loro fede (CT 57). La diversità delle programmazioni, la varietà dei metodi, la ricchezza delle attività che continuamente vengono proposte caratterizzano in modo peculiare la C. dell’O. e ne fanno la sua forza di attrattiva.

Bibliografia

P. Braido.​​ Esperienze di pedagogia cristiana nella storia,​​ Roma, LAS, 1981; G.​​ Franza,​​ Il Catechismo a Roma,​​ Roma, Ed. Paoline, 1958; G. Gatti,​​ La catechesi dei fanciulli,​​ Leumann-Torino, LDC, 1975; U. Gianetto – R. Giannatelli,​​ La catechesi dei ragazzi,​​ ivi, 1976; F. Pascucci,​​ L’insegnamento religioso in Roma dal Concilio di Trento ad oggi,​​ Roma, 1938; P. Ricaldone,​​ Oratorio festivo, catechismo...,​​ Torino, SEI, 1940; S. Riva,​​ La contestazione nella catechesi,​​ Brescia, La Scuola, 1971.

Lorenzina Golosi

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ORATORIO

Juan Edmundo Vecchi

 

1. Importanza e diffusione

2. Problemi che pone oggi l’istituzione oratoriana

3. Linee di evoluzione

3.1. L’oratorio, una missione aperta

3.2. Un ambiente di riferimento e irradiazione

3.3. Missione aperta e ambiente di riferimento si propongono la salvezza dei giovani

3.4. Un programma originale di espressione giovanile, evangelizzazione, animazione culturale

4. Conclusione

 

1.​​ Importanza e diffusione

Lo sviluppo della pastorale giovanile è segnato dall’esistenza delle istituzioni educative. Esse hanno il merito di organizzare tutti gli elementi di un progetto: obiettivi, metodo, linee di azione, ruoli di responsabilità, strutture funzionali ai fini. Nate alle volte come risposta germinale a urgenze immediate, si consolidarono nel tempo e si estesero oltre i luoghi di origine.

L’oratorio è una di queste istituzioni. La sua storia completa è ancora da scriversi e le sue origini remote sono ancora da definirsi. Vanno riposte nell’opera catechistica, di pedagogia cristiana e di assistenza caritativa che già dal secolo XV aveva prodotto, ad opera di insigni apostoli, interessanti forme di aggregazione.

L’antenato più prossimo dell’odierno oratorio sono le scuole della dottrina cristiana e le compagnie, stabilite da san Carlo Borromeo per tutte le parrocchie dell’archidiocesi di Milano ed estese, in seguito, ad altre diocesi della Lombardia. Contemporanea, anche se di diverso genere, è l’iniziativa di san Filippo Neri a Roma, che contribuisce a consolidare il nome, la finalità e le caratteristiche dell’oratorio.

In Francia i Patronages e le «Ouvres de Jeunesse» risalgono al secolo XVIII e percorrono il secolo XIX con successivi adeguamenti e particolare attenzione alla gioventù lavoratrice.

Nello spirito e nella configurazione dell’oratorio moderno ebbe un influsso particolare l’opera di san Giovanni Bosco (1815-1888). Ma non sono mancati nuovi contributi di rinnovamento anche nel nostro secolo e fino agli ultimi anni.

Oggi l’oratorio, con modalità e nomi diversi (centro giovanile, patronage...), è ritenuto da molte chiese locali un elemento caratteristico della propria pastorale giovanile, integrato armonicamente con altre istituzioni e iniziative. Questa diffusione e l’efficacia educativa permanente, dovuta alla sua capacità di rinnovarsi di fronte a nuovi bisogni giovanili, danno ragione dell’attenzione che le dispensano i Pastori e delle raccomandazioni date dai Pontefici, comparabili soltanto con quelle che riguardano la scuola cattolica.

In molte parti inoltre gli oratori si sono collegati in organizzazioni diocesane e confederazioni regionali, creando un ambito pastorale con una prassi comune, che viene continuamente sottoposta a vaglio, approfondimento e adeguamento attraverso numerosi convegni e studi.

 

2. Problemi che pone oggi l’istituzione oratoriana

Molte speranze vengono poste oggi sull’oratorio. La pastorale cerca un aggancio con quei ragazzi e giovani che conservano ancora un certo riferimento alla chiesa o alla dimensione religiosa e scorge nell’oratorio uno spazio di convocazione più largo di quanto non lo siano il servizio religioso parrocchiale, la catechesi, i gruppi e le associazioni ecclesiali.

Le famiglie stesse, praticanti e non, sono alla ricerca di spazi di incontro umanamente e culturalmente affidabili, per far fronte al problema del tempo libero dei giovani. I giovani medesimi, giunti ad un certo punto di consapevolezza sociale, si orientano verso ambienti e attività che facilitino il loro inserimento nella vita della comunità umana. Questa, d’altra parte, di fronte ai nuovi fenomeni (frammentazione, disinteresse per il politico...) valorizza tutte le modalità di aggregazione, per favorire la partecipazione e soddisfare domande sentite nel territorio. C’è dunque un incrocio di attese ecclesiali, educative, sociali e giovanili. E le prime non vanno considerate più «religiose» delle ultime, dato il nuovo modo di concepire la presenza della chiesa nella comunità umana e la partecipazione dei cristiani nella vita sociale. La chiesa considera propri non soltanto i problemi e le domande interne alla comunità credente, ma «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce» (GS 1) degli uomini tra cui vive e agisce.

Il primo problema è dunque come considerare e impostare l’oratorio: come «opera catechistica» o ampiamente educativa, come «opera parrocchiale» o aperta più in là dei confini territoriali e umani della parrocchia; come istituzione per soli aderenti o ambiente «tra comunità cristiana e società civile». Collegati a questo sorgono interrogativi riguardanti i soggetti a cui rivolgersi: se principalmente ai ragazzi o anche ai giovani, se a coloro nei quali è maturata l’appartenenza o anche ai lontani e agli «ultimi». È evidente che la risposta a questi due interrogativi determina gli obiettivi, i contenuti e le modalità di evangelizzazione e di pratica cristiana dell’oratorio.

E dato che si tende a un’azione pastorale unitaria, si pone il problema del rapporto o collegamento da stabilire tra l’oratorio e le altre espressioni della pastorale giovanile come l’attenzione religiosa ordinaria, i gruppi e movimenti, le istituzioni educative con obiettivi propri, il movimento verso i lontani.

 

3. Linee di evoluzione

Alcune caratteristiche dell’oratorio sono state costantemente affermate e sembrano scontate. Paolo VI lo definì «ovile che accoglie la massa, si manifesta eminentemente popolare, assicura un lavoro pedagogico, per cui si fanno esperienze di tale natura che esso costituisce una riserva nella quale le altre associazioni possono pescare per dare una formazione specifica» (Discorso del 23.1.1964). Apertura alla massa, educazione alla fede intesa in senso ampio, carattere esperienziale sembrano tratti costanti in una lunga tradizione.

Ma ciò non dà ancora il codice per una realizzazione attuale. Ciascuno di questi termini infatti può essere variamente inteso. È necessario allora esplicitare ulteriormente alcuni orientamenti.

 

3.1. L’oratorio, una missione aperta

L’oratorio si presenta oggi in primo luogo come una «missione nel mondo giovanile». Ciò corrisponde a una visione di chiesa e a una concezione missionaria della parrocchia. Si apre a tutti i giovani del proprio territorio e oltre, con i quali intende agganciare un dialogo di crescita sulla loro misura. Il punto di riferimento, anche quando viene istituito da una parrocchia, è un ambito umano e sociale piuttosto che una giurisdizione canonica. È una scelta di determinati soggetti, prima che una programmazione a priori di contenuti e attività. Dall’incontro con questi soggetti nascono i programmi.

L’oratorio appare così come un’iniziativa missionaria senza confini, come un movimento verso i giovani per incontrarli dove essi si trovano fisicamente e psicologicamente.

Il movimento è sempre verso le frontiere e i margini religiosi, sociali e umani, con lo sguardo volto a coloro che le istituzioni regolari non prendono in considerazione, senza escludere, anzi invitando, gli altri. E per tutti, non rivolto agli speciali dal punto di vista della eccellenza o della devianza, ma al ragazzo comune «povero» nel quale sono vive le risorse per accogliere una proposta di ricupero e crescita di fede. Da questa scelta si apre a urgenze più particolari nella misura in cui l’ambiente lo consente e la comunità si è resa capace di dare soluzioni a questi bisogni attraverso iniziative specifiche e articolate.

La domanda sui soggetti riguarda anche il problema dell’età. L’oratorio nato per i ragazzi fino all’adolescenza, sente oggi la necessità di adeguare le sue proposte alla gioventù, non soltanto per la diminuzione demografica, ma soprattutto per l’allargamento dell’età giovanile e del periodo educativo. È infatti nell’età giovanile dove appaiono oggi i fenomeni più preoccupanti di abbandono, i rischi più gravi di emarginazione e anche le manifestazioni più interessanti di impegno e coinvolgimento.

Un’altra serie di riflessioni che scaturisce dalla «missionarietà» sia degli oratori parrocchiali che di quelli che servono a un’area più vasta, si riferisce al suo inserimento in una pastorale organica. Esso sembra non soltanto possibile, ma raccomandabile. Tuttavia come l’oratorio non può esaurire tutte le possibilità di pastorale giovanile di una o più parrocchie, così l’azione parrocchiale non potrà inquadrare tutte le possibilità di un oratorio. Questo sarà sempre un’iniziativa alle frontiere, nel punto d’incontro tra comunità cristiana e società civile: una presenza dei cristiani tra la gioventù e un’iniziativa di evangelizzazione della comunità ecclesiale.

Vanno quindi mantenuti i due poli della tensione: essere missionari oltre le parrocchie, operare entro la comunione ecclesiale, diventando sensibilizzatori delle comunità riguardo alla condizione giovanile e ai problemi che ne emergono. Il «territorio» diventa allora un riferimento obbligato e un punto di attenzione preferenziale come «campo di rilevamento» e come spazio di lavoro, ma anche come soggetto agente che ci permette di raggiungere i giovani e in forma più totale.

 

3.2. Un ambiente di riferimento e irradiazione

La missione aperta si esprime e si concentra in un ambiente, anche se non si limita ad esso. Se non ci fosse l’ambiente diventerebbe problematico, se non impossibile, sviluppare programmi consistenti di ricupero e crescita; ma se l’oratorio si rinchiudesse nel proprio ambiente, la sua missionarietà svanirebbe, diventando così un normale servizio di «mantenimento» religioso. L’ambiente è allora la base dove si opera, da dove si parte e verso cui si confluisce.

Il significato di ambiente è composito: in genere lo si intende come l’insieme completo ed equilibrato di fattori che favoriscono la qualità della vita.

Il primo riferimento per definire l’ambiente è quello umano: l’ambiente è costituito da una comunità e da un tessuto di rapporti personali in cui ci si riferisce perché ci si sente riconosciuti, accolti e valorizzati in quello che si è e per quello che si ha attualmente.

La comunità ha una fisionomia propria, un’organizzazione, delle finalità. Consiste nella comunicazione spontanea, nella corresponsabilità partecipata, nel coinvolgimento in obiettivi conosciuti, chiariti e accettati. Le persone con i loro ruoli sono i punti forti di questa trama. Il direttore, più che un organizzatore di cose, è colui che ha un’attenzione particolare per ogni persona, conosce i problemi giovanili e sa parlare «al cuore» dei giovani proprio sulla loro vita.

Insieme a lui ci sono gli adulti, qualificati per portare i giovani attraverso un itinerario di crescita mediante il contatto informale, l’amicizia, le attività (animatori, catechisti, assistenti, tecnici, cooperatori...).

La composizione, animazione e corresponsabilità della componente adulta sono indispensabili perché si riesca a lavorare senza un’eccessiva selezione iniziale. Il suo influsso infatti è superiore a quello dei «locali» e delle offerte di attività. La sua formazione è quindi uno dei primi punti di attenzione.

Si cercheranno laici che «siano testimoni autenticamente cristiani, motivati, consapevoli e adeguatamente preparati. Essi devono avere un vivo senso ecclesiale che si esprime nella comunione interiore e visibile con la chiesa e nella coralità dell’azione pastorale; una profonda convinzione di essere educatori missionari inviati da Cristo in un oratorio missionario» (cf​​ Direttive pastorali per gli oratori della diocesi di Bergamo, in NPG, 1987, n. 9, p. 43).

L’ambiente non si presenta dunque come risultato di un semplice affluire di giovani, un «porte aperte» in cui si mettono a disposizione spazi e cose; ma come un complesso di incontri significativi e un assumere qualche cosa in comune.

In questa comunità i giovani, piuttosto che invitati a fruire delle iniziative preparate dagli incaricati dell’opera, sono componente principale. La loro partecipazione dà il volto alla comunità: è un elemento della sua identità.

Proprio per questo parliamo di un ambiente giovanile: non soltanto destinato ai giovani, quanto costruito da loro con l’aiuto degli educatori. La comunità viene ad essere così quello spazio umano in cui circolano le proposte elaborate con il contributo proprio di ciascuna età ed esperienza di vita.

I gruppi giovanili con finalità specifiche danno un tono all’ambiente. Essi favoriscono la corresponsabilità e la partecipazione, arricchiscono l’ambiente con molteplici espressioni e attività e «personalizzano» i rapporti tra i giovani e tra questi e gli adulti. L’ambiente richiede una sede, un luogo fisico adeguato in cui dare volto alla comunità giovanile. Esso sta alla comunità come la casa sta alla famiglia. L’ambiente così costituito, comunità-organizzazione-spazio-programma-struttura, ha una caratterizzazione: è cristiano. Lo si sa collegato alla comunità ecclesiale, di cui è mediazione. Lo dicono i segni, i gesti della comunità e alcune esigenze ragionevoli di comportamento.

Ma esso non si presenta solo come luogo religioso. L’ambiente è onnicomprensivo. Assume la totalità della vita del giovane, più che nella materialità delle sue molteplici manifestazioni, negli aspetti che determinano la sua qualità e che lui sente come più urgenti e meno soddisfatti.

A chi vi si inserisce si chiede, come minimo, la disponibilità a fare un cammino, non importa quali siano i ritmi e gli esiti. Si chiede anche la volontà di costruire assieme e non soltanto di adoperare in maniera «anonima» impianti e attrezzature.

L’accenno all’ambiente fa sorgere un interrogativo: la qualità da ottenere e i requisiti per crearlo e mantenerlo in un mondo «aperto» in cui le protezioni, i limiti e le norme hanno efficacia relativa.

Per alcuni il problema va risolto attraverso la «selezione», anche soltanto indiretta, dei soggetti. È un punto che può far parte di una soluzione globale, ma non può essere l’unico. Se ci si ispira al criterio «missionario», si tenderà a potenziare la capacità della comunità ad assimilare elementi ancora non identificati totalmente con l’ambiente. Questo cercherà di essere a tal punto propositivo da attirare e «vincere» piuttosto che allontanare. Ma tale capacità risiede proprio nella convergenza studiata, non casuale, di svariati elementi che, separati, sono insufficienti. Nella misura in cui ciò non accade, l’indice di incidenza e quindi di tolleranza dell’ambiente scende e bisogna procedere per «tagli».

 

3.3. Missione aperta e ambiente di riferimento si propongono la salvezza dei giovani

La parola «salvezza» è forse inattesa. Pur essendo ricca di significati, può apparire troppo comprensiva e quindi generica per esprimere le finalità concrete da proporre in una iniziativa particolare.

È utile però al nostro scopo approfondire il suo significato di evento oggettivo e di esperienza soggettiva. Come evento oggettivo la salvezza è liberazione reale dai rischi che possono compromettere lo sviluppo di una esistenza conforme alla vocazione dell’uomo, l’apertura a possibilità nuove di vita, l’offerta di opportunità e aiuto per realizzare queste possibilità intraviste.

In quanto esperienza soggettiva, è consapevolezza, vissuta gioiosamente dal soggetto, del proprio ricupero, dell’allontanamento dalle condizioni negative di esistenza e della scoperta di orizzonti di vita, incarnati in persone, proposte e ambienti.

All’oratorio non corrisponde come prima e principale definizione quella di «catechismo», né quella di istituzione «educativa» in senso formale, né quella di iniziativa per il «tempo libero». È tutto ciò insieme in una «miscela» conveniente per aprire alla vita soggetti di un determinato contesto, mediante l’accoglienza e la valorizzazione di quello che essi già portano in sé come desiderio, tensio ni, patrimonio acquisito, prospettive e mediante proposte che spingono ad andare oltre. Per operare la salvezza, l’oratorio, tra le molte possibili, preferisce la via «educativa». Essa viene intesa come capacità di affrontare la vita nelle sue attuali sfide e di prepararsi al futuro, piuttosto che come sviluppo di programmi formali e sistematici.

Si approda così a una formula totale man mano che si prende contatto con le condizioni di vita dei ragazzi. La forte connotazione catechistica rimane come un tratto fondamentale, non unico e nemmeno isolato dagli altri che conformano la risposta globale.

Agli oratori di oggi si pone il problema del come essere evento di salvezza e come farla diventare esperienza soggettiva per i giovani. L’oratorio si colloca nel tempo che lasciano libero gli altri impegni, ma non necessariamente si limita ad esso, né si propone di risolvere soltanto i problemi che esso pone. Il riferimento non è al «tempo», ma alla vita. Per molti giovani e famiglie il tempo libero si riduce ad attività che si esauriscono in sé stesse, quasi fossero soddisfazione di un bisogno marginale, da consumare all’insegna dell’effimero. Il tempo libero, piuttosto che integrato nella vita, viene considerato a sé stante, «staccato», vissuto in maniera individualistica, non progettuale.

Può darsi, dunque, che i giovani e le loro famiglie presentino domande povere. E coloro che orientano l’oratorio possono essere esposti, per mancanza di attenzione o per rassegnazione di fronte alla mentalità corrente, ad attribuire senz’altro carattere educativo al tempo libero trascorso «senza pericoli». L’oratorio si colloca nel tempo libero e oltre come momento di sintesi tra gratuito e funzionale, tra obbligo e distensione, con un certo progetto, per aiutare ad elaborare una visione e un senso che salvi la qualità della vita. Si inserisce nel processo di formazione dell’identità che il giovane percorre. Questa richiede di sperimentare valori, criteri e visioni della realtà e, attraverso una disanima e interiorizzazione, approdare a scelte personali. Più che di contenuti sistematici alternativi o aggiunti, il giovane ha bisogno di radicare nella vita quello che va ricevendo in altri momenti, inclusi quelli catechistici. Ed è questo che intende fare l’oratorio.

Sa di offrire qualcosa che famiglia, scuola e parrocchia non possono assicurare e di non doverle sostituire. Perciò le completa. Tale completamento non consiste tanto nell’inserire «pezzi mancanti», quanto nel fondere la totalità delle esperienze in un cammino educativo tipico, fortemente sociale e partecipativo.

L’oratorio dunque ricicla, ridimensiona, integra e ristruttura messaggi ed esperienze per aiutare a farne una sintesi che è vitale, prima ancora che mentale, per l’incidenza degli incontri (persone significative), per l’influsso del clima, per le attività e per il sistema totale di comunicazione.

 

3.4. Un programma originale di espressione giovanile, evangelizzazione, animazione culturale

I tre elementi su cui si fondava l’oratorio nel passato erano: giuoco, catechismo, promozione (in seguito «dopo-scuola»). Ciascuno di essi sembra aver trovato oggi luoghi propri, per cui l’insieme non serve più come legittimazione per l’esistenza dell’oratorio. Da questo spunto emerge il bisogno di una verifica accurata di ciascuna delle aree di attività dell’oratorio e del loro insieme, proprio in rapporto alla sua identità e alle domande educative attuali dei giovani.

Problema importante è il contenuto materiale di ciascuno di questi aspetti, ma più ancora la loro qualità. E questo ci porta ad approfondirne il versante educativo e pastorale, anziché quello «tecnico».

Il primo elemento a porre problemi è il giuoco-espressione. Da esso, più che da qualunque altro elemento, l’oratorio trae la sua originalità. Non che sia il più importante; ma costituisce il segno dell’accoglienza della vitalità giovanile.

Si sa che in un’eventuale dissoluzione degli elementi che compongono il «sistema» oratorio, il giuoco-sport è l’ultimo ad affondare, anzi sovente fagocita gli altri. In quale misura e con quale modalità gli si deve fare spazio perché risponda alle finalità dell’oratorio: il giuoco passatempo e svago, il giuoco-sport a livello di competitività e professionalismo, i giuoco attrazione e strumento di evangelizzazione, lo sport-agonismo e palestra di educazione fisica?

Un quadro di suggerimenti a battute rapide possono fornire l’immagine del giuoco «oratoriano».

Il giuoco è incontro: l’oratorio non è in primo luogo «giuochi», ma cortile: giuocare per stare insieme. Quello che più vale nel giuoco è la sua condivisione. Il giuoco è uno strumento di socializzazione.

II giuoco forma un clima. Perché tutti partecipano e perché nell’ambiente emerge la gioia e la gratuità, tutto diventa «ludico». Il giuoco, come espressione libera e gioiosa, impregna tutti gli impegni. Raggiunge il livello di celebrazione come forma di rito e festa che accompagna gli eventi più importanti e sottolinea il senso dei misteri più profondi.

E dunque un aiuto alla normalità e alla crescita. Diventa espressione di vita: sviluppa e fa affiorare le risorse di immaginazione che non trovano posto nella vita «regolata». Ciò comporta che sia spontaneo, svariato, creativo secondo le caratteristiche delle diverse età... e abbia a disposizione molteplici ambienti e attività.

Il giuoco viene ad essere un’esperienza educativa. Il ragazzo cresce nella percezione e assunzione di alcuni valori e nella conoscenza di sé. Allo stesso tempo va maturando una cultura. Acquisisce la capacità critica per giudicare i fenomeni che hanno luogo nella società attorno all’esperienza del giuoco. Coglie il suo carattere subalterno rispetto agli altri problemi e desideri dell’uomo, spogliandolo di una certa autosufficienza anche riguardo alle proprie finalità, e supera la dipendenza da esso per includerlo in un progetto più ampio.

Per alcuni allora diventa impegno sociale e apostolico, perché offrono gratuitamente le proprie capacità e tempo per aiutare i «più poveri» ad accedere ai beni della convivenza attraverso il giuoco. Sono gli animatori che l’oratorio va formando.

Da ultimo il giuoco è elemento e occasione di evangelizzazione: scoperta progressiva e forse «occasionale» del problema del senso, della «qualità deliavita», della rilevanza della fede con risposte da parte dell’ambiente e degli educatori.

Ma l’oratorio si caratterizza dal fatto che la vitalità giovanile è lievitata dell’annuncio del Vangelo, dal suo approfondimento attraverso un cammino «catechistico» e dalla proposta di una spiritualità da vivere, che si ispira alle beatitudini. Questo annuncio dà ragione dell’accoglienza della gioia giovanile spontanea fino a farla diventare programma.

L’oratorio fu dall’inizio un luogo di insegnamento della dottrina e di pratica religiosa personale e comunitaria.

Anche riguardo all’evangelizzazione si pone l’interrogativo sulla qualità e sulle modalità possibili e desiderabili nell’oratorio. Infatti ci sono diversi modelli di comunicazione della fede: c’è il modello «familiare», quello «scolastico», quello «parrocchiale», quello «associazionistico», quello «secolare».

Qual è il modello oratoriano che non sostituisce gli altri ma li ricicla in una nuova sintesi?

L’oratorio si propone di fare un’evangelizzazione «missionaria»: parte dall’annuncio essenziale e lo riprende continuamente per collocarsi a livello degli «ultimi» e per ancorare ogni nuovo progresso cognitivo e pratico all’esperienza fondamentale.

L’oratorio fa un’evangelizzazione esperienziale. In esso i «fatti» che coinvolgono i giovani diventano evento e annuncio di salvezza. Valorizza ciò che i giovani si portano dentro come desideri e ideali e raccoglie le domande che provengono dal vissuto. Il vangelo lo si vive nell’ambiente prima ancora che proporlo con spiegazioni verbali. Perciò parla dalla vita e sulla vita dei giovani e degli animatori.

L’oratorio fa un’evangelizzazione che è più ricerca provocata e accompagnata che «lezione» anche didatticamente pregevole. Il grande mistero da esplorare è la vita dei cristiani e di Gesù Cristo che cammina con loro. Il catechista si presenta più come amicoanimatore che «maestro». Le vie sono molteplici. Tutto porta un messaggio di salvezza: giuoco, incontro personale, gruppo, celebrazione, comunità. Sono vie complementari e convergenti. Il criterio fondamentale: riuscire a dire ciò che i giovani sono capaci di vivere e vivere ciò che hanno potuto dire: percepire, imparare e riesprimere la fede. L’evangelizzazione dell’oratorio sa anche essere «sistematica» senza staccarsi dal vissuto. La sua sistematicità può ricopiare quella della catechesi ordinaria o selezionare alcuni nuclei in cui l’esperienza vita-salvezza-Gesù Cristo viene meglio illuminata. I punti di riferimento per la scelta di questi nuclei sono l’età dei ragazzi (ciclo scolastico), il ritmo liturgico, i problemi culturali, gli eventi più significativi vissuti all’oratorio e nel contesto.

L’evangelizzazione nell’oratorio si propone anche traguardi «qualificanti» e cerca di raggiungerli seguendo il ritmo dei ragazzi: partendo dalla formazione cristiana di base, che è sua caratteristica, vuole arrivare a una conoscenza matura dei contenuti della fede, all’elaborazione di una «cultura» ispirata ad essa, a una proposta di spiritualità cristiana e a una presenza impegnata nell’area professionale e sociale. Infine il programma dell’oratorio ha un terzo elemento: l’animazione culturale. L’espressione richiama alcune realtà la cui conoscenza diamo per scontata. Ricordiamo soltanto che la cultura comprende l’allargamento dell’esperienza personale, la percezione di nuove dimensioni della vita e della storia, la ricerca e l’elaborazione di un senso per resistenza, l’incontro creativo con lo sforzo che persone e comunità fanno per la qualità della vita personale e sociale. L’animazione culturale mette in evidenza una modalità di approfondire la fede attraverso il confronto con i problemi della cultura e della convivenza, e di chiarire questi cercando il loro senso nella fede.

Quale l’animazione culturale che si fa nell’oratorio?

Un’animazione culturale che parte dai «frammenti» o «semi» che i soggetti portano; accoglie per quello che si è e inserisce nella dinamica comunitaria di partecipazione e di crescita, svegliando l’aspirazione profonda di vivere e di crescere.

Ma cerca di essere propositiva. Senza cedere a richieste riduttive e andando oltre le attività funzionali all’ambiente, aiuta i giovani a maturare quadri di riferimento, visioni della vita, impegni. Si preoccupa di ricondurre le esperienze particolari e le riflessioni occasionali verso una sintesi ancorata ad alcuni nuclei catalizzatori: il valore della persona, il bisogno di senso, la fecondità delle risposte etiche ai problemi che la vita e la cultura pongono, la solidarietà e la comunione, l’apertura al mistero che la vita si porta dentro. Per questo è aperta ai confronti e decentrata da istituzioni e famiglia. La socializzazione dell’oratorio introduce in un cerchio più ampio di rapporti e di idee.

L’oratorio è specialmente per i giovani luogo di incontro di persone e tendenze significative, laboratorio di iniziative da cui si irradiano proposte e interventi alla comunità umana ed ecclesiale, spazio dove si vanno plasmando visioni e scelte attraverso l’esercizio della razionalità.

Si tratta dunque di un’animazione culturale «critica» che prepara a vivere e intervenire in un contesto pluralista, secolare, deideologizzato, complesso e frammentato. Sviluppa la capacità di imparare dalla vita piuttosto che fissare posizioni definitive o comportamenti immodificabili.

 

4. Conclusione

Nell’oratorio tutto è progressivo e in apparenza «povero»: l’appartenenza e la identificazione, la crescita umana, la maturazione della fede, il coinvolgimento attivo. L’oratorio è «quantitativo»: è per tutti. Potrebbe sembrare una «formula» subalterna, una «fase» che prepara semplicemente alla pratica cristiana e che finisce dove cominciano le espressioni adulte di chiesa: associazioni, movimenti, ecc.

Se la si approfondisce bene però si scorgerà che possiede tutti gli elementi per rispondere ai bisogni giovanili in svariate situazioni e per rinnovarsi di fronte a nuove sfide.

Bibliografia

Barzaghi G.,​​ Tre secoli di storia e pastorale degli Oratori milanesi, LDC, Leumann 1985; Centro Salesiano Pastorale Giovanile,​​ Ragazzi all’Oratorio, LDC, Leumann 1977; CISI,​​ Oratorio tra società civile e comunità ecclesiale, Atti della Conferenza Nazionale CISI, Roma 14-18 dicembre 1987; Dicastero per la Pastorale Giovanile,​​ Progetto Educativo-Pastorale negli Oratori e Centri Giovanili Salesiani, Roma 1980.

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ORATORIO
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