NOMADELFIA

 

NOMADELFIA

Comunità educativa familiare di orientamento cristiano fondata da don Zeno Saltini (1900-1981) nel 1947. Il nome N. (dal gr.​​ nómos,​​ legge, e​​ adelfós,​​ fratello) esprime i tratti fondamentali dell’opera: un luogo «dove è legge la fratellanza».

1. Nato in una famiglia contadina, Zeno Saltini sentì molto presto l’urgenza di un rinnovamento della società nello spirito del Vangelo. Giovane studente, si impegnò nel ricupero di giovani delinquenti, creando per loro l’Opera Realina (1924-1927); conseguito il dottorato in diritto (1929), e ordinato sacerdote (1931) diede vita all’opera dei Piccoli Apostoli per l’accoglienza di ragazzi abbandonati (S. Giacomo Roncole), trasferitasi nel 1947 a Fossoli (Modena). Accanto alle giovani «mamme di vocazione», responsabili di piccoli gruppi di bambini, don Zeno chiamò a collaborare varie coppie di coniugi e alcuni sacerdoti. Il movimento apostolico-educativo si sviluppò con la creazione dell’Unione dei Padri di Famiglia. Il rifiuto della proposta di creare un «nuovo paese nel paese» (1946) mosse don Zeno a fondare N., nella cui​​ Costituzione​​ (1948) si stabiliva «come legge la fraternità cristiana vissuta sotto forma comunitaria».

2. Con il «Movimento della fraternità umana», don Zeno intendeva costruire una società radicalmente democratica e solidale come alternativa a quelle proposte dal comunismo e dal capitalismo. La fondazione destò però i sospetti e l’opposizione dei ceti conservatori. Ai contrasti e alle accuse degli ambienti esterni si aggiunsero pure le difficoltà interne di carattere economico e amministrativo. Nel 1957, le autorità vaticane del Santo Uffizio invitarono il fondatore ad allontanarsi da N., che fu dissolta dall’autorità civile. Pur di poter continuare la sua attività, don Zeno chiese e ottenne la «riduzione allo stato laicale» (1953), e con un gruppo rimastogli fedele, fondò una nuova comunità, con lo stesso nome di N., nella tenuta Rossellana di Grosseto, organizzandola secondo il sistema dei «gruppi famigliari», costituitisi nel 1961 come «libera associazione civile». Nel 1981 i nuclei familiari della comunità erano 81. Questi, dopo la morte del fondatore, chiamarono come guida don Ennio Tardini. Nel 1962 don Zeno, riammesso alle sue funzioni sacerdotali, era stato nominato parroco di N.

3. Il significato pedagogico di N. va visto nel contesto della proposta di rigenerare la società attraverso la solidarietà universale voluta dal Vangelo. Dalle poche pagine scritte da don Zeno, e soprattutto dalla sua esperienza educativa, emergono principi e orientamenti vigorosi: primato dell’amore e della fiducia nei giovani, collocati «sulle vie della libertà»; centralità della famiglia aperta e del clima familiare nell’ambiente educativo. L’impostazione di N. risponde alla convinzione che si impara attraverso la vita, e la vita nella comunità-famiglia è l’unica scuola in cui si impara a essere liberi dai condizionamenti di una società ingiusta per poter assumere l’impegno di farla solidale e giusta.

Bibliografia

Saltini Z.,​​ N. è una proposta,​​ Grosseto, Nomadelfia, 1965; Belotti G.,​​ La comunità familiare di N.,​​ Roma, LAS, 1976; Bogliancini R. G.,​​ N. Una comunità educante,​​ Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1980;​​ Costituzione della popolazione di N., Nomadelfia, [s.e.], 1995.​​ 

A. García-Verdugo

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NOMADELFIA

NON DIRETTIVITÀ

NON DIRETTIVITÀ

La “non direttività” non si riduce a quelle idee che circolano abitualmente nella “koiné” ecclesiastica o pedagogica. Non si tratta né di metodo, né di tecnica pedagogica, né di teoria psicologica, né di concetto, né di nuova pedagogia. La non direttività è una ispirazione, un fascio di atteggiamenti in vista di una certa igiene della relazione. Sarebbe quindi meglio parlarne come aggettivo anziché come sostantivo.

L’origine dell’ispirazione non-direttiva ci rimanda al nome di C. Rogers, nato l’8-l-1902 nella periferia di Chicago (USA). Dopo una iniziale formazione “teologica”, si orienta verso le scienze umane e specificamente verso la psicologia clinica; poi, a partire dal 1926, verso una pratica che per lui sarà decisiva, cioè quella di internista in un Istituto di psico-pedagogia. Il suo gusto personale, il suo itinerario e la sua esperienza psicopedagogica condurranno Rogers a focalizzare le sue ricerche e a interrogarsi sulle caratteristiche e le condizioni di miglioramento di una relazione ampiamente pratica, vale a dire la relazione di aiuto (consigliere pedagogico, consigliere di orientamento, psicoterapeuta, psichiatra...). Anche se le sue idee lo hanno ampiamente preceduto, Rogers non si deciderà a venire in Europa che nel 1966, e ancora dietro pressante invito. Il suo giro di conferenze lo porta in Francia, in Belgio e in Olanda.

La culla dell’orientamento non direttivo risiede nell’aiuto terapeutico e non nella pedagogia. Occorre non dimenticarlo mai. Diamo a Rogers stesso la parola per descrivere la sua intuizione fondamentale, espressa a partire dal 1942 in​​ Counseling and psychotherapy.​​ “Un counseling efficace consiste in un rapporto flessibile ma ben strutturato, che permette al soggetto di raggiungere un grado di autocomprensione tale da permettergli di adottare provvedimenti positivi, alla luce di questo suo nuovo orientamento. Questa ipotesi ha un corollario naturale, e cioè che tutte le tecniche impiegate dovrebbero cercare di sviluppare questo tipo di rapporto libero e flessibile, questa autocomprensione, anche in altri rapporti, e questa tendenza all’azione costruttiva dovrebbe essere messa in atto dal soggetto stesso” (trad. ital.:​​ Psicoterapia di consultazione,​​ Roma, Astrolabio, 1971, 22).

Tale intuizione non poteva non interessare anche i pedagogisti e i catecheti. Sfortunatamente, almeno in Francia, essa è sopraggiunta in un momento storico molto difficile per l’educazione; perciò il pensiero di Rogers è stato oggetto di reazioni passionali di rifiuto o di esaltazione che per molto tempo gli hanno reso un cattivo servizio. A distanza di una ventina d’anni che cosa può ritenere la C.? Certamente non le tecniche, né i metodi, né astuzie pedagogiche... L’essenziale si situa sul piano degli atteggiamenti educativi, vale a dire la capacità di incentrarsi sull’altro e sulla sua crescita personale o di gruppo, sulla maniera in cui vive la propria vita e l’esperienza passata. Il catechista che segue l’ispirazione non direttiva mette in secondo piano i programmi dellTR, la volontà di forzare le tappe di una sacramentalizzazione, il successo e l’accrescersi dell’istituzione ecclesiale, come pure una preoccupazione missionaria troppo invadente.

Lavorando su se stesso, talvolta con impegno oneroso, il catechista fa propri, con energica flessibilità, gli atteggiamenti non direttivi fondamentali: il rispetto assoluto dell’altro (considerazione positiva incondizionata), il distanziarsi da sé nell’atto cat. (congruenza) e la comprensione delle persone secondo il modo in cui queste sentono se stesse (empatia). Una C. di ispirazione non direttiva, incentrata sulla persona concreta, su un gruppo di persone e sulla loro valorizzazione, forse è ancora tutta da inventare? Trovandola, essa potrebbe forse essere un antidoto, fra altri, alla ideologicizzazione della fede cristiana.

 

Bibliografia

Soprattutto le opere di C. Rogers, in particolare quelle riguardanti i problemi dell’educazione e della società, per es.​​ Freeiom to learn,​​ New York, C. E. Merrill, 1969;​​ On personal power,​​ New York, Delacorte Press, 1977.

Una delle migliori opere su C. Rogers è tuttora A.​​ de Peretti,​​ Pensée et vérité de Cari Rogers,​​ Toulouse, Privat, 1974. Per la pedagogia di C. Rogers, cf M.-L.​​ Poeydomenge,​​ L'Éducation selon Rogers. Les enjeux de la non-directivité,​​ Paris, Dunod, 1984.

Gilbert Adler

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NON DIRETTIVITÀ

La “non direttività” non si riduce a quelle idee che circolano abitualmente nella “koiné” ecclesiastica o pedagogica. Non si tratta né di metodo, né di tecnica pedagogica, né di teoria psicologica, né di concetto, né di nuova pedagogia. La non direttività è una ispirazione, un fascio di atteggiamenti in vista di una certa igiene della relazione. Sarebbe quindi meglio parlarne come aggettivo anziché come sostantivo.

L’origine dell’ispirazione non-direttiva ci rimanda al nome di C. Rogers, nato 1’8-1-1902 nella periferia di Chicago (USA). Dopo una iniziale formazione “teologica”, si orienta verso le scienze umane e specificamente verso la psicologia clinica; poi, a partire dal 1926, verso una pratica che per lui sarà decisiva, cioè quella di internista in un Istituto di psico-pedagogia. Il suo gusto personale, il suo itinerario e la sua esperienza psicopedagogica condurranno Rogers a focalizzare le sue ricerche e a interrogarsi sulle caratteristiche e le condizioni di miglioramento di una relazione ampiamente pratica, vale a dire la relazione di aiuto (consigliere pedagogico, consigliere di orientamento, psicoterapeuta, psichiatra...). Anche se le sue idee lo hanno ampiamente preceduto, Rogers non si deciderà a venire in Europa che nel 1966, e ancora dietro pressante invito. Il suo giro di conferenze lo porta in Francia, in Belgio e in Olanda.

La culla dell’orientamento non direttivo risiede nell’aiuto terapeutico e non nella pedagogia. Occorre non dimenticarlo mai. Diamo a Rogers stesso la parola per descrivere la sua intuizione fondamentale, espressa a partire dal 1942 in​​ Counseling and​​ psychotherapy.​​ “Un counseling efficace consiste in un rapporto flessibile ma ben strutturato, che permette al soggetto di raggiungere un grado di autocomprensione tale da permettergli di adottare provvedimenti positivi, alla luce di questo suo nuovo orientamento. Questa ipotesi ha un corollario naturale, e cioè che tutte le tecniche impiegate dovrebbero cercare di sviluppare questo tipo di rapporto libero e flessibile, questa autocomprensione, anche in altri rapporti, e questa tendenza all’azione costruttiva dovrebbe essere messa in atto dal soggetto stesso» (trad. ital.:​​ Psicoterapia di consultazione,​​ Roma, Astrolabio, 1971, 22).

Tale intuizione non poteva non interessare anche i pedagogisti e i catecheti. Sfortunatamente, almeno in Francia, essa è sopraggiunta in un momento storico molto difficile per l’educazione; perciò il pensiero di Rogers è stato oggetto di reazioni passionali di rifiuto o di esaltazione che per molto tempo gli hanno reso un cattivo servizio. A distanza di una ventina d’anni che cosa può ritenere la C.? Certamente non le tecniche, né i metodi, né astuzie pedagogiche... L’essenziale si situa sul piano degli atteggiamenti educativi, vale a dire la capacità di incentrarsi sull’altro e sulla sua crescita personale o di gruppo, sulla maniera in cui vive la propria vita e l’esperienza passata. Il catechista che segue l’ispirazione non direttiva mette in secondo piano i programmi dell’IR, la volontà di forzare le tappe di una sacramentalizzazione, il successo e l’accrescersi dell’istituzione ecclesiale, come pure una preoccupazione missionaria troppo invadente.

Lavorando su se stesso, talvolta con impegno oneroso, il catechista fa propri, con energica flessibilità, gli atteggiamenti non direttivi fondamentali: il rispetto assoluto dell’altro (considerazione positiva incondizionata), il distanziarsi da sé nell’atto cat. (congruenza) e la comprensione delle persone secondo il modo in cui queste sentono se stesse (empatia). Una C. di ispirazione non direttiva, incentrata sulla persona concreta, su un gruppo di persone e sulla loro valorizzazione, forse è ancora tutta da inventare? Trovandola, essa potrebbe forse essere un antidoto, fra altri, alla ideologicizzazione della fede cristiana.

Bibliografia

Soprattutto le opere di C. Rogers, in particolare quelle riguardanti i problemi dell’educazione e della società, per es.​​ Freedom to learn,​​ New York, C. E. Merrill, 1969;​​ On personal power,​​ New York, Delacorte Press, 1977.

Una delle migliori opere su C. Rogers è tuttora A. de Peretti,​​ Pensée et vérité de Cari Rogers,​​ Toulouse, Privai, 1974. Per la pedagogia di C. Rogers, cf M.-L. Poeydomenge,​​ L'Éducation selon Rogers. Les enjeux de la non-directivité,​​ Paris, Dunod, 1984.

Gilbert Adler

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NORMALITÀ

 

NORMALITÀ

1. Nel tentare di definire il concetto di n. ci si imbatte nella difficoltà di trovare una descrizione che sia condivisa dalla maggior parte degli studiosi. Esistono, infatti, notevoli divergenze nell’interpretare la n. che riflettono differenti prospettive. D’altra parte, quando si vuole intervenire per favorire il superamento di disturbi psicologici o per promuovere lo sviluppo della personalità, è necessario far riferimento a determinati parametri che permettono di analizzare, secondo il criterio della n., l’agire psichico dell’individuo consentendo di valutare tanto lo stato psichico attuale quanto lo stato psichico ideale al fine di comprendere verso quali obiettivi debba essere orientato l’intervento.

2. Offer e Sabshin (1974) nell’analizzare le diverse definizioni di n. tratte dalla letteratura clinica e dalle scienze umane e sociali, arrivano a sistematizzarle in quattro categorie, che riflettono quattro differenti prospettive nel concepire la n. Nella prima categoria rientrano le definizioni della n.​​ come salute.​​ La n., cioè, viene concettualizzata in negativo come assenza di malattia; lo stato psichico dell’individuo viene considerato normale quando, dall’esame clinico, non emergono sintomi di interesse psicopatologico (approccio medico-psichiatrico). Nella seconda categoria rientrano le definizioni della​​ n. come utopia.​​ La n. viene a coincidere con il funzionamento ideale o ottimale, di fatto non riscontrabile in realtà. I parametri di riferimento sono sviluppati sul modello di persone eccellenti che si distinguono per le loro qualità personali o in base al punto ideale o finale di promozione terapeutica (teoria psicoanalitica e teoria umanistica). Nella terza categoria rientrano le definizioni della​​ n. come media statistica.​​ La n. fa riferimento a ciò che statisticamente si colloca al centro di una distribuzione della curva normale; la persona, cioè, è considerata normale se, oltre all’assenza di sintomi patologici possiede caratteristiche tipiche di un soggetto medio del gruppo di appartenenza. Il concetto di n. è in questo caso intrinsecamente connesso al valore medio della distribuzione delle caratteristiche individuali del gruppo di riferimento (studi sociologici e comportamentisti). Nella quarta ed ultima categoria rientrano le definizioni della​​ n. come processo.​​ La n. è concepita come un processo che si svolge nel tempo. In tale interpretazione dinamica del concetto di n. assumono particolare rilievo i processi che garantiscono alla persona un funzionamento ottimale nel rapportarsi al mondo e nel gestire le diverse situazioni di vita (Erikson, 1959). Nonostante le diverse interpretazioni ed accezioni di n., nella cultura occidentale si possono registrare alcuni parametri comuni che consentono di stimare il funzionamento normale di un individuo. Tra questi: buona immagine di sé ed autostima positiva e realistica; capacità di stabilire e mantenere relazioni profonde e durevoli; presenza di motivi di crescita piuttosto che di motivi di deficienza; adattabilità, flessibilità e tolleranza allo stress; empatia e rispetto nei confronti degli altri; abilità di funzionamento psicologico (percezione, memoria, problem solving); buone strategie di coping; saldo senso della vita e dei valori.

Bibliografia

Erikson E. H.,​​ Identity and the life circle: psychological issues,​​ New York, International Universities Press, 1959; Offer D. - M. Sabshin,​​ Normality: theoretical and clinical concepts of mental health,​​ New York, Basic Books,​​ 21974; Kenneth Wing J.,​​ N. e dissenso: psichiatria,​​ psicoanalisi,​​ medicina,​​ società, Roma, Il Pensiero Scientifico, 1983; Denes G. - L. Pizzamiglio (Edd.),​​ Manuale di neuropsicologia: n. e patologia dei processi cognitivi, Bologna, Zanichelli, 1990; Fromm E.,​​ I cosiddetti sani: la patologia della n., Milano, Mondadori, 1996; Andreoli V.,​​ La fatica della n., in «Quaderni Italiani di Psichiatria» 20 (2001) 1, 25-35; Belardinelli S.,​​ La n. e l’eccezione: il ritorno della natura nella cultura contemporanea, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2002; Liverta Sempio O. - A. Marchetti - F. Leccio (Edd.),​​ Teoria della mente: tra n. e patologia, Milano, Cortina, 2005.

A. R. Colasanti

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NORMALITÀ

NOSENGO Gesualdo

 

NOSENGO Gesualdo

Nacque a S. Damiano (Asti) il 20-7-1906. Si laureò in pedagogia nel 1934 presso l’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, dove fu anche, per qualche tempo, assistente del prof. Mario Casotti. Per venti anni, a Milano e a Roma, insegnò religione nelle scuole statali, passando poi all’insegnamento della pedagogia presso il Pont. Ateneo Urbaniano de Propaganda Fide. Fondò nel 1944 e diresse fino alla morte l’Unione Catt. Italiana degli Insegnanti Medi (UCIIM) e influì in modo incisivo sul rinnovamento scolastico in Italia. Morì a Roma il 13-5-1968.

Consideriamo, in questo breve articolo, solo l’opera di Nosengo come catechista, catecheta ed educatore religioso. Attuando, in campo religioso, la lezione didattico-attivistica del prof. Casotti, Nosengo esordì con​​ Libertà e vita nell’educazione religiosa dei piccoli​​ (Milano, IPL, 1936, pp. 246),​​ L’attivismo nell’insegnamento religioso della scuola media​​ (Milano, IPL, 1937, pp. 284),​​ La formazione del fanciullo alla pietà​​ (Milano, IPL, 1938, pp. 48),​​ Così come siamo.​​ Diario di un anno di scuola e di vita di sei adolescenti (Milano, IPL, 1939, pp. 260),​​ Il lavoro a squadre, nell’insegnamento e nell’educazione​​ (Milano, IPL, 1939, pp. 248),​​ Sette lezioni di attivismo catechistico​​ (Milano, IPL, 1940, pp. 56). Nello stesso tempo fondò il SIPAR (Segretariato Informativo per l’Attivismo Religioso). Pubblicò, ancora nel periodo milanese, il suo primo testo di religione:​​ Cristo Re​​ (in 4 vol., per l’Istituto Tecnico e l’Istituto Magistrale Superiore, e in 5 vol. per il ginnasio; Milano, IPL, 1938-1939). Con queste opere, nate in gran parte dalla pratica della scuola, condotta con creatività e originalità, egli divenne il pioniere dell’introduzione dell’attivismo nell’insegnamento religioso in Italia. Anche le prime opere del periodo romano riflettono le sue esperienze di scuola:​​ La nuova Scuola Media e l’insegnamento della Religione​​ (Roma, Ferrari, 1941, pp. 55) e soprattutto​​ Formazione cristocentrica​​ (Roma, AVE, 1942, pp. 153), che lancia anche il tema del cristoccntrismo in Italia. N. vi sostiene in teoria e in pratica l’idea di incentrare tutto l’insegnamento in Cristo e nella sua persona, e di avviare i ragazzi e i giovani all’amicizia con Cristo, con metodi adatti alla loro età. Nel volume successivo:​​ La vita religiosa dell’adolescente​​ (Roma, AVE, 1944, pp. 383) sostiene, documentandola con molte testimonianze, l’idea che 1’”esperienza” che il giovane fa di Dio è molto importante per il suo sviluppo religioso, e che l’educatore deve ridestarla, farvi riflettere sopra, fissarla nella memoria e nella storia personale del ragazzo. Egli riprende le stesse idee nel volume:​​ L’adolescente e Dio​​ (Roma, UCIIM, 1953, pp. 120), a cui farà seguire:​​ L’educazione morale del giovane​​ (Brescia, La Scuola, 1955, pp. 264) e​​ L’educazione sociale del giovane​​ (Roma, AVE-UCIIM, 1964, pp. 306), raccogliendo poi l’essenza di tutta la sua esperienza di educatore religioso nel suo ultimo volume:​​ L’educazione alla fede nell’età evolutiva​​ (Roma, AVE-UCIIM, 1967, pp. 222).

Fulcro della sua riflessione religiosa ed educativa fu sempre la meditazione sul Vangelo e sulla persona e azione di Gesù, come appare dalle opere:​​ La pietà nel Vangelo​​ (Roma, SALES, 1947, pp. 64),​​ La pedagogia di Gesù​​ (Roma, AVE, 1947, pp. 368),​​ La vocazione di Gesù​​ (Roma, UCIIM, 1963, pp. 96),​​ L’arte educativa di Gesù Maestro​​ (Roma, AVE, 1967, vol. I, pp. 262; vol. II, pp. 268). Si aprì con naturalezza ai nuovi indirizzi di catechesi biblico-liturgica, come appare dal volumetto:​​ Didattica della religione nella nuova scuola media​​ (Roma, UCIIM, 1963, pp. 112).

Pur con qualche limite, dovuto a carenze di approfondimento teologico o filosofico, la sua forte insistenza sul → cristoccntrismo, sulla persona di Gesù Maestro, sulla vocazione dell’educatore religioso laico, sull’adozione dei metodi attivi e sulla necessità di rivolgersi a tutta l’esperienza e a tutta la persona del ragazzo e del giovane cristiano fanno di lui un precursore e un trascinatore nel movimento catechistico italiano, la cui lezione benefica avrebbe meritato uno studio e una accoglienza più vasta.

Bibliografia

1.​​ Opere

Oltre a quelli citati, N. scrisse libri sulla professionalità dell’insegnante, sulla scuola, sulla persona umana e l’educazione, e tutta una serie di testi di religione, spesso in collaborazione con G. Nebiolo. Scrisse pure qualche centinaio di articoli, particolarmente sui periodici da lui fondati e diretti, quali “La Scuola e l’Uomo”, “Ricerche Didattiche”, “Fede e Scuola”.

2.​​ Studi

M. Pagella,​​ Gesualdo Nosengo: una vita per la scuola,​​ Roma, UCIIM, 1969; S. Riva,​​ La pedagogia religiosa del novecento in Italia,​​ Roma-Brescia, Antonianum-La Scuola, 1972, 145-163; C. Santonocito,​​ Pensiero educativo e pedagogico di Gesualdo Nosengo,​​ Roma, UCIIM, 1974; V. Sinistrerò,​​ Gesualdo Nosengo educatore e animatore. 1906-1968,​​ in “Orientamenti Pedagogici” 15 (1968) 4,​​ 804816;​​ UCIIM (ed.),​​ Gesualdo Nosengo​​ (1906-1968),​​ Firenze, Le Monnier, 1969 (raccolta di interventi e articoli, tra cui quello di V. Sinistrerò).

Ubaldo Gianetto

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NOSENGO Gesualdo

NOSENGO Gesualdo

 

NOSENGO Gesualdo

Nacque a S. Damiano (Asti) il 20-7-1906. Si laureò in pedagogia nel 1934 presso l’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, dove fu anche, per qualche tempo, assistente del prof. Mario Casotti. Per venti anni, a Milano e a Roma, insegnò religione nelle scuole statali, passando poi all’insegnamento della pedagogia presso il Pont. Ateneo Urbaniano de Propaganda Fide. Fondò nel 1944 e diresse fino alla morte l’Unione Catt. Italiana degli Insegnanti Medi (UCIIM) e influì in modo incisivo sul rinnovamento scolastico in Italia. Morì a Roma il 13-5-1968.

Consideriamo, in questo breve articolo, solo l’opera di Nosengo come catechista, catecheta ed educatore religioso. Attuando, in campo religioso, la lezione didattico-attivistica del prof. Casotti, Nosengo esordì con​​ Libertà e vita nell’educazione religiosa dei piccoli​​ (Milano, IPL, 1936, pp. 246),​​ L’attivismo nell’insegnamento religioso della scuola media​​ (Milano, IPL, 1937, pp. 284),​​ La formazione del fanciullo alla pietà​​ (Milano, IPL, 1938, pp. 48),​​ Così come siamo.​​ Diario di un anno di scuola e di vita di sei adolescenti (Milano, IPL, 1939, pp. 260),​​ Il lavoro a squadre, nell’insegnamento e nell’educazione​​ (Milano, IPL, 1939, pp. 248),​​ Sette lezioni di attivismo catechistico​​ (Milano, IPL, 1940, pp. 56). Nello stesso tempo fondò il SIPAR (Segretariato Informativo per l’Attivismo Religioso). Pubblicò, ancora nel periodo milanese, il suo primo testo di religione:​​ Cristo Re​​ (in 4 vol., per l’Istituto Tecnico e l’Istituto Magistrale Superiore, e in 5 vol. per il ginnasio; Milano, IPL, 1938-1939). Con queste opere, nate in gran parte dalla pratica della scuola, condotta con creatività e originalità, egli divenne il pioniere dell’introduzione dell’attivismo nell’insegnamento religioso in Italia. Anche le prime opere del periodo romano riflettono le sue esperienze di scuola:​​ La nuova Scuola Media e l’insegnamento della Religione​​ (Roma, Ferrari, 1941, pp. 55) e soprattutto​​ Formazione cristocentrica​​ (Roma, AVE, 1942, pp. 153), che lancia anche il tema del cristoccntrismo in Italia. N. vi sostiene in teoria e in pratica l’idea di incentrare tutto l’insegnamento in Cristo e nella sua persona, e di avviare i ragazzi e i giovani all’amicizia con Cristo, con metodi adatti alla loro età. Nel volume successivo:​​ La vita religiosa dell’adolescente​​ (Roma, AVE, 1944, pp. 383) sostiene, documentandola con molte testimonianze, l’idea che 1’”esperienza” che il giovane fa di Dio è molto importante per il suo sviluppo religioso, e che l’educatore deve ridestarla, farvi riflettere sopra, fissarla nella memoria e nella storia personale del ragazzo. Egli riprende le stesse idee nel volume:​​ L’adolescente e Dio​​ (Roma, UCIIM, 1953, pp. 120), a cui farà seguire:​​ L’educazione morale del giovane​​ (Brescia, La Scuola, 1955, pp. 264) e​​ L’educazione sociale del giovane​​ (Roma, AVE-UCIIM, 1964, pp. 306), raccogliendo poi l’essenza di tutta la sua esperienza di educatore religioso nel suo ultimo volume:​​ L’educazione alla fede nell’età evolutiva​​ (Roma, AVE-UCIIM, 1967, pp. 222).

Fulcro della sua riflessione religiosa ed educativa fu sempre la meditazione sul Vangelo e sulla persona e azione di Gesù, come appare dalle opere:​​ La pietà nel Vangelo​​ (Roma, SALES, 1947, pp. 64),​​ La pedagogia di Gesù​​ (Roma, AVE, 1947, pp. 368),​​ La vocazione di Gesù​​ (Roma, UCIIM, 1963, pp. 96),​​ L’arte educativa di Gesù Maestro​​ (Roma, AVE, 1967, vol. I, pp. 262; vol. II, pp. 268). Si aprì con naturalezza ai nuovi indirizzi di catechesi biblico-liturgica, come appare dal volumetto:​​ Didattica della religione nella nuova scuola media​​ (Roma, UCIIM, 1963, pp. 112).

Pur con qualche limite, dovuto a carenze di approfondimento teologico o filosofico, la sua forte insistenza sul → cristoccntrismo, sulla persona di Gesù Maestro, sulla vocazione dell’educatore religioso laico, sull’adozione dei metodi attivi e sulla necessità di rivolgersi a tutta l’esperienza e a tutta la persona del ragazzo e del giovane cristiano fanno di lui un precursore e un trascinatore nel movimento catechistico italiano, la cui lezione benefica avrebbe meritato uno studio e una accoglienza più vasta.

Bibliografia

1.​​ Opere

Oltre a quelli citati, N. scrisse libri sulla professionalità dell’insegnante, sulla scuola, sulla persona umana e l’educazione, e tutta una serie di testi di religione, spesso in collaborazione con G. Nebiolo. Scrisse pure qualche centinaio di articoli, particolarmente sui periodici da lui fondati e diretti, quali “La Scuola e l’Uomo”, “Ricerche Didattiche”, “Fede e Scuola”.

2.​​ Studi

M. Pagella,​​ Gesualdo Nosengo: una vita per la scuola,​​ Roma, UCIIM, 1969; S. Riva,​​ La pedagogia religiosa del novecento in Italia,​​ Roma-Brescia, Antonianum-La Scuola, 1972, 145-163; C. Santonocito,​​ Pensiero educativo e pedagogico di Gesualdo Nosengo,​​ Roma, UCIIM, 1974; V. Sinistrerò,​​ Gesualdo Nosengo educatore e animatore. 1906-1968,​​ in “Orientamenti Pedagogici” 15 (1968) 4,​​ 804816;​​ UCIIM (ed.),​​ Gesualdo Nosengo​​ (1906-1968),​​ Firenze, Le Monnier, 1969 (raccolta di interventi e articoli, tra cui quello di V. Sinistrerò).

Ubaldo Gianetto

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NOSENGO Gesualdo

NOVIZIATO

 

NOVIZIATO

È la fase iniziale della​​ ​​ formazione consacrata intenzionale e sistematica.

1. La sua prassi accompagna l’intera storia della vita consacrata. Riguarda soggetti che hanno già maturato una chiara e forte opzione vocazionale e che ne chiedono sia la verifica, sia la maturazione verso la identità teologale, spirituale, comunitaria, missionaria apostolica e verso la appartenenza e la partecipazione qualificata, generale e particolare in un istituto o gruppo ecclesiale, secondo i carismi di fondazione e di tradizione e secondo l’attuale collocazione nella Chiesa e per il mondo. Dal punto di vista personale, il n. è l’esperienza educativa che corona l’apertura a Dio con la vocazione-missione nella Chiesa e nel mondo, secondo uno stile di vita caratterizzato da un impegno totale di povertà evangelica, di dedizione a Dio, di carità verso la condizione umana: come Abramo, Mosè, Maria, gli Apostoli, i discepoli e discepole di Cristo che ricercano prima di e sopra ogni cosa il Regno di Dio e la sua giustizia.

2. Il metodo educativo è originale: pratica essenziale delle forme della nuova scelta di vita; e, nel tempo stabilito di uno o due anni, sviluppo del piano formativo di istruzione, motivazione, interiorizzazione e integrazione crescente dei valori consacranti della carità perfetta, fino alla maturità per il segno-rito di professione o impegno analogo (temporanei nella regolazione canonica, ma permanenti nella intenzione teologica e spirituale). La maggiore età, oggi richiesta, e la accertata preparazione umana e cristiana, la decisione, la domanda accettata al termine di un cammino di prenoviziato, garantiscono l’attitudine al lavoro di formazione. Ne sono agenti la realtà di Chiesa e istituto, la comunità formatrice di n. con maestro / a, gruppo formatore, la vita comune e l’azione dialogante degli stessi novizi che insieme assimilano i nuovi valori. I ritmi del n. sono l’introduzione consapevole e partecipante, il tempo centrale di identificazione e formazione, la preparazione dell’atto conclusivo, l’avvio della fase di ulteriore formazione, base di una vita intera di fedeltà crescente e creatrice.

Bibliografia

Barea E.,​​ El noviciado. Directorio y plan formativo,​​ Madrid, Publicaciones Claretianas, 1993; Llanos M.,​​ Servire le vocazioni nella Chiesa. Pastorale vocazionale e pedagogia della vocazione, Roma, LAS, 2006.

P. Gianola

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NOVIZIATO

NOZIONISMO

 

NOZIONISMO

Il termine n. non va confuso con quello di​​ nozione​​ (dal lat.​​ notio,​​ deriv. da​​ noscere,​​ conoscere) che designa l’elemento di qualunque contenuto del sapere, per cui viene usato come sinonimo di concetto, idea la cui assimilazione è la base indispensabile di ogni conoscenza più ampia ed elaborata.

1. Il n., invece, è da intendere come tendenza didattica che favorisce il formarsi di una cultura basata su nozioni soltanto mnemoniche, sia misurando il valore intellettuale con l’accumulazione e memorizzazione delle nozioni, sia ponendo l’accento esclusivo sull’informazione – pericolo in crescita nella nostra infosocietà –, e di conseguenza utilizzando principalmente, per non dire esclusivamente, la​​ ​​ lezione intesa come tecnica di trasmissione di nozioni fatte apprendere atomisticamente. In questo modo il n. trasforma la nozione da strumento necessario (ma non sufficiente) in fine dell’apprendimento, della cultura e dell’educazione.

2. In tale tendenza si è ben lungi dal concepire l’alunno come agente principale del suo apprendimento e l’apprendimento come conquista personale dello stesso. Per essa è importante adeguare l’alunno al programma anziché il programma all’alunno. In realtà anche lo stesso programma viene concepito in modo astratto, centrato sull’oggetto della conoscenza, ancorato al passato statico senza tener presenti le esigenze formative dell’alunno che viene ritenuto una tabula rasa da riempire di nozioni.

3. Per il n. l’insegnamento non può essere che verbale, collettivo, libresco, spesso e facilmente impositivo, riducendosi tutto a travaso di notizie, senza favorire quindi un’elaborazione personale e critica da parte dell’alunno, rendendo l’apprendimento staccato dalla vita, riducendolo alla memoria di formule già fatte e non prodotte dall’allievo stesso. Per il n. scompare praticamente la libertà, la vera attività dell’alunno. Il n., perciò, facilmente può portare alla passività, alla ricezione meccanica, all’intellettualismo, all’​​ ​​ individualismo, al culto dei bei concetti, all’erudizione, allo studio fine a se stesso, al dogmatismo, da una parte, e all’autoritarismo, all’​​ ​​ adultismo dall’altra, ragion per cui la scuola impropriamente detta «tradizionale» è stata fortemente criticata di pedantismo. Oggi con la sottolineatura dell’unitarietà e organicità del sapere (​​ interdisciplinarità) e del metodo di studio e di ricerca, così pure con gli studi dell’apprendimento scolastico, il n. dovrebbe essere debellato anche dalla prassi.

Bibliografia

Volpicelli L. (Ed.),​​ Lessico delle scienze dell’educazione,​​ vol. 2, Firenze, Vallardi, 1978, 772 (voci: «Nozione»; «N.»); Ausubel D. P.,​​ Educazione e processi cognitivi: guida psicologica per gli insegnanti, Milano, Angeli, 1978; Novak J.,​​ L’apprendimento significativo. Le mappe concettuali per creare e usare la conoscenza, Trento, Erickson, 2001.

H.-C. A. Chang​​ 

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