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I.​​ La situazione alla fine della guerra

2.​​ Aspetti negativi.​​ Ad uno sguardo non sufficientemente approfondito l’aspetto della C. (qui per C. intendiamo tutte le iniziative pastorali connesse con l’evangelizzazione) nel 1945 in Italia assomigliava alla situazione disastrosa della guerra che stava per concludersi.

L’attività cat. era lasciata completamente in mano, salvo rarissimi casi, a iniziative individuali delle singole parrocchie, delle singole diocesi, dei singoli gruppi di ricerca. Le indicazioni del decreto​​ Provido sane​​ non impedivano che, attorno al 1950, più dei due terzi delle Diocesi non avessero un efficiente ufficio cat. La preparazione dei fanciulli ai sacramenti dell’iniziazione cristiana si svolgeva in poco più d’un mese, e consisteva quasi sempre nell’imparare a memoria i “Primi Elementi” del catechismo di Pio X. L’IR nelle scuole era visto molte volte come sostitutivo della C. parrocchiale, ingenerando confusione fra insegnamento scolastico ed educazione alla fede, e come un mezzo comodo e provvidenziale per il sostentamento del clero, senza troppe preoccupazioni sull’idoneità degli insegnanti.

3.​​ Aspetti positivi. A​​ livello quasi artigianale, si notavano i primi tentativi di un linguaggio nuovo, per immagini: illustrazioni, scene a fumetti, “filmini” in bianco e nero. Un respiro a livello meno individualistico venne introdotto dalle “campagne” dell’Azione Cattolica: “Vivere il Battesimo”, “Vivere la Cresima”, “Puri e forti”, ecc. Servirono anche a superare il rigido schematismo del catechismo in uso, raggruppando argomenti e domande attorno a “centri d’interesse”. Questa parola fu introdotta dal gruppo pedagogico dell’Università Cattolica (Mario Casotti, Gesualdo → Nosengo, Silvio → Riva) per diffondere i metodi attivi del Decroly e del Ferrière nell’IR. Le incomprensioni di alcuni ambienti responsabili bloccarono l’iniziativa (1944), ma il gruppo dei Fratelli delle Scuole Cristiane, attorno alla rivista “Sussidi per la Catechesi» (1936-1977), ne avevano adottato le metodologie, e la diffuse nei vari ambienti.

La Congregazione Salesiana collabora alla fondazione di “Catechesi” (1932) e fa sorgere, nella sua Facoltà di Filosofia, un → Istituto di Pedagogia con specializzazione in Catechetica, dando origine a una serietà di ricerca nel campo cat. (nel 1954 sorgerà la rivista “Orientamenti Pedagogici”).

II. Prima del Concilio (1945-1959)

1.​​ Questo periodo fu contrassegnato da una frenetica attività di ricerca. Forse in nessun altro momento furono tradotte e pubblicate tante opere di sussidi e metodologia, di spiritualità e liturgia connessi con la C., di psicologia dell’età evolutiva.

Appaiono nuove riviste: “Rivista del Catechismo” (1952) che divenne poi un organo di ricerca e collegamento tra alcuni Uffici Catechistici Diocesani (continua dal 1973 in “Evangelizzare”); nello stesso anno inizia “Via, Verità e Vita”, che dal 1965 si articola in numeri monografici; abbiamo già ricordato «Orientamenti Pedagogici» (1954) e poi, a Bologna, “Il Regno” (da ricordare per le sue documentazioni pastorali, anche se non solo cat., e per un certo periodo criticamente parziali).

2.​​ Sul versante dell’IR nella scuola, c’è invece l’inflazione dei testi di religione. Purtroppo la qualità è quasi sempre scadente: l’imposizione e il controllo di un programma troppo rigido, l’avidità degli editori che preferiscono un facile successo tra insegnanti ripetitivi e poco preparati, la mancanza quasi assoluta di ricerca e di una solida sperimentazione innescano già quei pericolosi fermenti che scoppieranno nella crisi del ’68. La pubblicazione italiana del catechismo dei Vescovi tedeschi non potè far breccia, perché i contenuti furono presto superati dai documenti del Concilio.

Cadono le grandi manifestazioni di massa, caratteristiche dell’immediato dopo guerra: la “Madonna pellegrina”, le prediche all’aperto dei gesuiti di P. Riccardo Lombardi, le celebrazioni giubilati del 1950, i raduni giovanili a Roma. Molto era dovuto al clima politico del tempo. Dopo il disgelo (1956), la grande missione di Milano (novembre 1957) aveva già assunto un tono profondamente religioso, ma non presentò sviluppi duraturi.

3.​​ Una nota positiva: i grandi pionieri di una C. nuova sono oramai circondati da un numero sempre maggiore di simpatizzanti. Nascono i primi centri cat.: quello dell’ → Azione Cattolica (CENAC, 1947) incomincia la pubblicazione di guide per la C. agli adulti (dal 1954), che vengono adottate da molte diocesi; il → Centro Cat. Paolino sceglie la strada dei mezzi di comunicazione sociale; il → Centro Cat. Salesiano cura soprattutto la C. giovanile. A Vallombrosa si iniziano i corsi per operatori cat. (1954) e alla Gazzada quelli per i catechisti di base (1958).

In sintesi, si formano qua e là delle isole sempre più vivaci che si innestano in alcuni degli uffici cat. più attivi: sono un arcipelago che tende a diventare un continente.

III.​​ Il decennio del Concilio

1.​​ È un periodo che presenta aspetti contraddittori. La prima parte è stata vissuta nell’euforia, la seconda nell’angoscia della contestazione.

È il momento del “boom” economico, della scelta consumistica, del diffondersi della televisione (iniziata alla fine del 1954). La prosperità economica favorisce l’evasione del week-end e limita paurosamente la pastorale ancorata ai giorni festivi. Dalle regioni più povere l’immigrazione verso il triangolo industriale del Nord fa perdere cultura e tradizioni religiose, senza una integrazione in quelle delle regioni d’arrivo.

Nella scuola, l’estendersi della Scuola Media dell’obbligo (nuovi programmi del ’62) e delle Superiori (nuovi programmi di religione del ’67, isolati dal contesto) impone il reperimento di nuovi insegnanti e l’aggiornamento degli altri, proprio nel periodo di crisi della classe giovanile che colpirà soprattutto i giovani di estrazione cristiana. Nelle grandi città l’IR viene osteggiato anche da molti insegnanti favorevoli alle nuove ideologie.

2.​​ Nel campo più strettamente religioso i gesti e le scelte di Giovanni XXIII, dopo la rigidezza del suo predecessore, e la celebrazione del Concilio Vaticano II non furono da moltissimi (anche del clero) sufficientemente valutati. Molti elusero gli impegni e arrivarono a posizioni che rasentarono lo scisma, altri si accontentarono della parte più esteriore delle riforme. L’aver perseverato nel mettere in pratica i principi conciliari fu un atto di grande coraggio: ne derivò, anche per la C., una sintesi valida e viva di quanto si stava già delineando, creando nella Chiesa un senso di unità e collaborazione prima impensabile.

Così potè iniziare 1’ → Ufficio Catechistico Nazionale (8-8-1961), e si propose, a poco a poco, una pastorale cat. comune a tutta l’Italia, attraverso i membri del suo Consiglio (uno per ogni regione e per ogni centro cat.) e per mezzo dei Convegni annuali dei Direttori degli Uffici Catechistici Diocesani. Uno dei primi problemi fu la preparazione dei nuovi catechismi (cf → catechismi italiani). Il contrasto tra chi voleva tutto e subito (soprattutto tra i giovani) e chi era restio ai cambiamenti spinsero la contestazione anche all’interno della Chiesa italiana. Ne furono episodi salienti il catechismo dell’Isolotto di Firenze (prototipo di alcuni altri), le grandi discussioni sul nuovo catechismo olandese, una certa “moda” cat. latino-americana (che pretendeva di agganciarsi a Medellin), il proliferare di “comunità di base” dallo spirito ipercritico stigmatizzato poi da Paolo VI (EN 58).

IV.​​ La chiarificazione

1.​​ In mezzo a tale tempesta apparve (2-2-1970) il primo volume del nuovo catechismo:​​ Il rinnovamento della catechesi,​​ approvato quasi all’unanimità dai vescovi italiani. Tutti capirono che non si trattava di rivedere solo alcuni contenuti, ma di operare, secondo il Concilio, una ben più profonda e radicale conversione.

— Una prima chiarificazione si ebbe nel concetto stesso di C., passata da semplice “dottrina” alla ricerca di una educazione permanente verso la maturità cristiana, intesa come integrazione tra fede e vita.

— Conseguente a questa, la distinzione e il rapporto tra C. e teologia. Le Facoltà teologiche, piuttosto evasive all’inizio della compilazione del catechismo, parteciparono poi a diversi convegni (Milano, feb. 1977; Roma, die. 1977; Frascati, apr. 1978) per approfondire l’argomento, anche su richiesta del → Gruppo Italiano Catecheti (nato nel giugno 1976). Questo servì pure a chiarire l’attività dei molti gruppi di ricerca biblica, delle scuole di teologia per laici (più di trecento, in Italia) che venivano usate per i fini più svariati.

— Partendo dai nn. 154-155 del RdC, si cercò anche la specifica caratteristica dell’ → IR nella scuola in confronto alla formazione cat. nella comunità ecclesiale. Una​​ Nota sull’insegnamento della religione nella scuola,​​ diramata dall’U.C.N., allargò la riflessione, in cui ebbe larga parte anche la rivista “Religione e Scuola”, fondata nel 1972. Ma i moltissimi fattori che vi sono coinvolti non hanno ancora trovato un sicuro equilibrio, neppure dopo il nuovo Concordato (18-2-1984). Sembra definitivamente superata l’idea di affidare all’IR nella scuola competenze proprie della comunità ecclesiale. Anche la nomina di numerosi laici all’IR (in talune grandi città si va oltre il 40%) ha contribuito a far vedere il problema sotto aspetti fino a quel tempo trascurati.

— Il documento pastorale della CEI​​ Evangelizzazione e Sacramenti​​ (12-7-1972), la​​ Evangelii nuntiandi​​ (Paolo VI, 8-12-1975) e i convegni ecclesiali​​ Evangelizzazione e promozione umana​​ (1976) e​​ Riconciliazione e comunità degli uomini​​ (1985) chiarirono il posto preminente della C. nella pastorale italiana, tutta tesa ancora alla celebrazione dei sacramenti.

2.​​ I mezzi​​ con cui si compirono queste chiarificazioni furono:

— La valanga di documenti, lettere pastorali e indicazioni di ogni genere dati dall’autorità ecclesiastica. Nonostante la buona volontà nessuno poteva tener dietro a tutto quanto veniva suggerito, anche perché talvolta i documenti erano in contrasto tra loro. Ma

questo lavoro fu di grande utilità per studiare i documenti conciliari e capirne l’immensa portata.

— I bienni per la formazione di operatori pastorali a livello intermedio (dal 1965). Prepararono esperti diocesani, con una serie organica di pubblicazioni che trattavano il problema cat. con serietà e competenza.

— I moltissimi convegni e corsi per la presentazione dei volumi del nuovo catechismo, e le scuole di formazione dei catechisti. Vennero incontro alla richiesta dei laici che desideravano qualificarsi in questo campo: una fioritura inattesa di duecentomila catechisti volontari, e forse più.

3.​​ Le vicende​​ di questo periodo si possono schematizzare così:

— All’inizio una certa timidezza, per la difficoltà di trovare la via giusta, nella stesura del catechismo, nelle varie “mode” in cui si dibatteva la teologia, nella interpretazione dei fenomeni della contestazione e del secolarismo.

— Ci fu poi il momento dell’entusiasmo: i nuovi testi, con innumerevoli sussidi (talvolta affrettati...), la diffusione di riviste specializzate diedero l’impressione che tutto fosse facile.

— Seguì il momento del riflusso. La superficialità dei primi anni impedì una seria preparazione. I duri risultati del referendum sul divorzio e sull’aborto spinsero molti a ritornare alla sicurezza delle formule passate, senza pensare che una delle cause della sconfitta era il non averle rinnovate in tempo. La ristampa di catechismi del passato, talvolta con il testo arbitrariamente modificato, diede l’impressione che tutto il lavoro fosse stato inutile.

V. I problemi di oggi

1.​​ Questo decennio si apre all’insegna di un minore entusiasmo, ma di maggiore consapevolezza. Il decennale del​​ Rinnovamento della Catechesi​​ ha dato l’occasione a un primo bilancio, presentandolo come “Progetto cat. della Chiesa italiana”. Inchieste di largo respiro (sulla religiosità degli italiani di Burgalassi, sull’IR nelle scuole di Milanesi, sui catechisti [UPS, 1982], sulla C. agli adulti [Milano 1984]) mostrano uno spostamento dall’impegno dei singoli al coinvolgimento della comunità, e da una prevalente C. dell’iniziazione a quella delle famiglie e degli adulti.

2.​​ Le ricerche rimaste aperte sono però di notevole importanza:

— Il rapporto C.-comunità, proposto dal programma pastorale della CEI (“Comunione e comunità», 1-10-1981; “Eucaristia, Comunione e Comunità”, 22-5-1983) coinvolge delicati problemi sulla connessione con la liturgia e altre forme di attività pastorale.

3.​​ La verifica sulla sperimentazione dei nuovi catechismi pone interrogativi sul “genere letterario” adoperato, sul concetto stesso di “sperimentazione” e sulla convergenza di metodologia e di contenuti, non sempre rispettata.

— Il rapporto C.-cultura è stato solo sfiorato, e comprende tutti gli interrogativi della politica, del lavoro, della morale familiare, delle tecnologie. Urgenti sono i nodi presentati dalla situazione della donna; dalla ricerca della pace; dal mondo dell’emarginazione.

— Una riflessione approfondita sulla maturità cristiana, sui fattori che la fondano, sugli itinerari per conseguirla.

— La struttura dell’IR nella scuola e le intese necessarie tra la CEI e le autorità scolastiche.

 

VI. Considerazioni conclusive

1.​​ Il periodo studiato è uno dei più felici per la C. in Italia: si è passati da tentativi generosi, ma isolati, a una fusione, attraverso il Concilio, dei diversi elementi, così da far nascere una C. “italiana” dalle caratteristiche proprie, anche se talvolta un po’ incerte ed inesperte.

2.​​ C’è anche una forte dimensione quantitativa: le riviste specializzate sono parecchie, e di notevole impegno; così i Centri Cat., attivi nella ricerca e nelle pubblicazioni. Il notevole numero degli operatori offre la possibilità di un notevole consumo di materiale cat., anche se non sempre fatto con avvedutezza.

3.​​ Tra le carenze, la più forte è l’inadeguatezza di una ricerca a livello scientifico: anche le pubblicazioni relative sono piuttosto trascurate. Si domandano non soluzioni affrettate, ma strutture adeguate nell’insegnamento della catechetica nelle facoltà teologiche e nei seminari; nella promozione di serie ricerche nel campo storico, giuridico, teologico; nella pubblicazione di opere che non siano semplici manuali.

Bibliografia

1.​​ Oltre alle annate delle​​ Riviste​​ citate in questa voce, che dedicano articoli e studi ai principali avvenimenti, ricordiamo almeno il “Notiziario dell’UCN”, un ciclostilato che dal 15.1.1972 sottolinea lavoro e direttive dell’Ufficio Catechistico Nazionale. Nel 1967 si era tentata la pubblicazione di “Quaderni dell’Ufficio Catechistico Nazionale”, ma non ebbe seguito.

2.​​ Per il periodo anteriore al Concilio, molte notizie sono offerte da S. Riva,​​ La pedagogia religiosa nel Novecento in Italia,​​ Brescia, La Scuola, 1972; per la parte giuridica, Balocco, Caporello, Cappelli,​​ La religione nelle Scuole italiane,​​ Roma, CENAC, 1962; per le vicende delle scuole cattoliche: V. Sinistrerò,​​ La Scuola Cattolica, diritti e cifre,​​ Torino, SEI, 1961.

3.​​ La situazione intorno agli anni ’70 è puntualizzata da​​ La catechesi in Italia​​ (Leumann-Torino, LDC, 1971) con l’indicazione completa (nei limiti del possibile) di tutto quanto concerne la C. in quegli anni. Le stesse notizie, in forma più sintetica, sono alle pp. 64-88 della​​ Guida alla Catechesi nel mondo​​ (Roma, 1971) pubblicata dalla Sacra Congregazione per il Clero, a cura di N. Suffi.

4.​​ Per questi ultimi anni, molte indicazioni bibliografiche sono rintracciabili alla fine di ogni capitolo nel volume di E. Alberich,​​ Catechesi e prassi ecclesiale,​​ Leumann-Torino, LDC, 1982.

Angelo Giuliani

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ITALIA sistema di istruzione e di formazione

 

ITALIA:​​ sistema di istruzione e di formazione

Il tema è affrontato in una prospettiva​​ sistemica:​​ in altre parole, lo si è analizzato nell’ottica dei modelli di sviluppo dell’educazione a livello internazionale e nazionale.

1.​​ Un cammino lento e faticoso.​​ Il punto di partenza è la L.​​ Casati​​ del 1859 che rappresenta il primo progetto globale di​​ ​​ sistema di educazione e di formazione. Essa prevedeva una scuola elementare di 4 anni e un obbligo di 2 in tutti i comuni e di 4 in quelli con più di 4000 abitanti (una norma che per lungo tempo ha trovato grosse difficoltà di attuazione a causa dei problemi finanziari dei Comuni stessi), mentre l’educazione secondaria era organizzata sulla base della dicotomia tra scuole umanistiche, centrate sulla cultura classica e aperte all’università, per la formazione della classe dirigente, e scuole tecnico-professionali senza sbocchi o con sbocchi ristretti sull’educazione superiore, per preparare la piccola borghesia agli impieghi medi e bassi e alle mansioni esecutive specializzate. Un’altra tappa fondamentale è costituita dalla Riforma​​ ​​ Gentile (1923). La grave crisi economica successiva alla prima guerra mondiale aveva provocato un aumento notevole della disoccupazione intellettuale; pertanto, uno degli obiettivi principali del provvedimento fu l’istituzione di meccanismi per la difesa dell’educazione secondaria e superiore dall’affollamento. Inoltre, nelle elementari vennero introdotti i metodi attivi e nella secondaria fu potenziata la dimensione storico-letteraria, artistica e filosofica rispetto agli indirizzi scientifici e tecnici. Contemporaneamente la riforma assicurava un’estesa esposizione delle masse giovanili alla socializzazione politica a servizio del regime fascista nelle scuole complementari, poi trasformate in avviamento professionale. Un vero salto di qualità venne compiuto dalla​​ Costituzione repubblicana​​ (1947) che inserì il sistema di educazione e di formazione in un quadro nuovo di principi. L’ordinamento scolastico è finalizzato al pieno sviluppo della persona umana all’interno di una concezione pluralista della società e svolge la sua funzione in connessione inscindibile con l’attività delle comunità naturali e delle formazioni sociali in cui avviene la maturazione della persona, soprattutto con la famiglia. Inoltre, esso va organizzato secondo i principi di libertà, di eguaglianza sociale e di democrazia; tuttavia, la loro attuazione è avvenuta lentamente e tra vari ostacoli. Negli anni ’50-’70 è prevalso un modello lineare e semplice di educazione fondato su presupposti di​​ quantità,​​ unicità,​​ centralizzazione.​​ Durante il periodo accennato si è assistito a un’esplosione della domanda di scolarizzazione, si è passati da una scuola elitaria a una di massa in particolare attraverso l’introduzione della media unica (1962) e lo Stato si è sforzato di adeguare il sistema formativo alle richieste del paese, dando priorità alle fasce giovanili, senza però riuscire a soddisfare pienamente e in modo tempestivo le esigenze emergenti. Le tendenze che sono emerse durante gli anni ’80 puntano verso un modello complesso, ispirato ai principi della​​ qualità,​​ della​​ differenziazione e personalizzazione​​ dei servizi, della molteplicità delle risorse formative, del​​ decentramento.​​ Tali orientamenti hanno trovato attuazione prevalentemente attraverso iniziative poco appariscenti e limitate, però fattibili, avviate dal basso e dal centro nella forma della​​ sperimentazione.​​ Nel periodo considerato non sono tuttavia mancate le​​ grandi riforme:​​ è sufficiente pensare all’approvazione dei nuovi programmi (1985) e del nuovo ordinamento (1990) delle elementari, all’introduzione nel 1991 dei nuovi orientamenti della scuola materna statale.

2.​​ La recente stagione delle riforme. A partire dalla metà degli anni ’90 la riforma del sistema di educazione e di formazione è divenuta assolutamente necessaria e urgente non solo per le carenze interne della nostra scuola, ma anche per lo scenario radicalmente diverso in cui esse vengono a operare, quello cioè della​​ ​​ società della conoscenza. Nelle L. di riforma, la 30 / 00 e la 53 / 03 rispettivamente dei ministri Berlinguer e Moratti, si possono cogliere alcuni​​ orientamenti​​ da tutte e due​​ condivisi. In primo luogo, viene fornita una definizione alta delle​​ mete​​ da perseguire che si fonda sulla centralità delle persona che apprende. La L. «Moratti» perfeziona tale dettato, aggiungendo che la riforma dovrà rispettare le scelte educative della​​ ​​ famiglia e soprattutto che andranno favorite la formazione spirituale e morale. Inoltre, tutte le ipotesi di cambiamento avanzate tendono a ridisegnare l’architettura complessiva del sistema, conferendogli una nuova organicità e unitarietà. Va anche notato lo sforzo comune di allineare la nostra scuola e la nostra formazione a quelle degli altri Paesi dell’Europa. Tra le due L. si osservano anche delle interessanti​​ linee evolutive. Così non si può non evidenziare che solo nella L. 53 / 03 si viene incontro in maniera adeguata alle esigenze di sviluppo dei giovani: infatti, con il ripristino della durata ottennale del primo ciclo si valorizza pienamente la specificità delle età evolutive della fanciullezza e della preadolescenza e, prevedendo un percorso graduale e continuo di formazione professionale parallelo a quello scolastico e universitario dai 14 ai 21 anni, si risponde per la prima volta in modo soddisfacente alle esigenze di formazione degli adolescenti e dei giovani che hanno l’intelligenza nelle mani. La L. 53 / 03 porta in primo piano il principio della personale responsabilità educativa degli alunni e delle famiglie mediante l’introduzione dei piani di studio personalizzati. Inoltre, essa recepisce il passaggio da un modello fondato sulle esclusive prerogative dello Stato ad uno che fa interagire in maniera integrata tre diverse​​ ​​ competenze: quella dello Stato, quella delle Regioni e degli enti territoriali e quella delle istituzioni scolastiche autonome.​​ L’evoluzione​​ però​​ non è completa​​ per quanto riguarda il riconoscimento effettivo del diritto alla​​ ​​ libertà di educazione. In discontinuità con il recente passato, il Ministro della Pubblica Istruzione del governo di centro-sinistra del 2006 ha dichiarato di non avere in animo di elaborare una riforma complessiva del sistema. Questo significa che il quadro generale di riferimento rimane la riforma Moratti, anche se è intenzione dell’esecutivo di apportare il massimo di innovazioni consentite dal fatto di procedere mediante i decreti attuativi di una legge delega. In particolare per il secondo ciclo, è stata bloccata la sperimentazione del disegno delineato dalla L. 53 / 03 e sono stati prorogati di 18 mesi i decreti legislativi non scaduti della riforma Moratti. Con un accordo contrattuale è stata disapplicata l’attuazione del tutor e il portfolio,​​ là ove si prevede di adottarlo, lo si realizzerà solo per i suoi aspetti formativi, didattici e di supporto ai processi di apprendimento degli allievi. Inoltre, è stato elevato di due anni l’obbligo di educazione, cioè fino ai 16, sono stati ripristinati gli istituti tecnici e gli istituti professionali sono stati riportati all’interno del sistema dell’educazione secondaria superiore. Sul lato positivo vanno ricordate sia l’introduzione dei poli tecnico-professionali, sia l’agevolazione delle donazioni in favore delle istituzioni scolastiche statali. In conclusione, se alla riforma Moratti si poteva rimproverare di aver avviato innovazioni senza coinvolgere in maniera soddisfacente le componenti della scuola e senza preparare in modo adeguato gli operatori, gli interventi del governo di centro-sinistra si presentano come una specie di controriforma strisciante tendente ad eliminare alcune tra le innovazioni più significative della L. 53 / 03 come la parità tra il sottosistema dell’istruzione e quello dell’istruzione e della formazione professionale.

Bibliografia

De Vivo F.,​​ Linee di storia della scuola italiana,​​ Brescia, La Scuola, 1983; Bertoni Jovine D.,​​ La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri,​​ Roma, Editori Riuniti,​​ 21987;​​ Nanni C.,​​ La riforma della scuola: le idee,​​ le leggi, Roma, LAS, 2003; Malizia G., «La L. 53 / 2003 nel quadro della storia della riforma scolastica in Italia», in R. Franchini - R. Cerri (Edd.),​​ Per​​ una istruzione e formazione professionale di eccellenza, Milano, Angeli, 2005, 42-63;​​ Audizione del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni. VII Commissione Cultura,​​ Scienza e Istruzione. Camera dei Deputati​​ (29 giugno 2006), Roma, 2006; Tonini M.,​​ Editoriale, in «Rassegna CNOS» 22 (2006) 3-16.

G. Malizia

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ITARD Jean Marc Gaspard

 

ITARD Jean Marc Gaspard

n. a Oraison, Provenza, nel 1775 - m. a Parigi nel 1838, psicologo francese.

1. Allievo di Pinel e seguace di Condillac, I., considerato uno dei primi autori a dare inizio allo studio scientifico dell’orecchio, dopo aver lavorato all’Ospedale militare di Parigi e successivamente alla scuola militare di Val-de-Grâce, redige nel 1821 un​​ Trattato di malattie dell’orecchio e dell’udito​​ ricco di casi clinici accuratamente studiati che rappresenta il primo testo veramente completo di otologia. Il suo interesse per i disturbi dell’udito e della parola, nonché per la reducazione dei deboli mentali, fu risvegliato nel 1789 dal ritrovamento nei boschi di Aveyron di un «bambino selvaggio».

2. I. si dedica così alla reducazione del bambino di Aveyron, considerato da Pinel un «idiota incurabile». Dopo 5 anni, I. che aveva attribuito lo stato del bambino selvaggio alla totale mancanza di azione educativa e che si era riproposto di offrirgli un’educazione e di condurlo alla vita sociale abbandonò il suo compito considerando insufficienti e deludenti i risultati ottenuti. Nonostante i suoi sforzi non era infatti riuscito a promuovere nel bambino di Aveyron i progressi sperati che si limitavano essenzialmente alla acquisizione di alcune semplici discriminazioni sensoriali, al riconoscimento degli oggetti, alla comprensione del significato di alcune parole, alla capacità di collegare nomi a oggetti, nonché a quella di scrivere qualche parola e soprattutto alla tendenza a preferire il contatto sociale all’isolamento. Il bambino, raggiunta la pubertà, non sembrava inoltre ulteriormente educabile. Da questo momento in poi I. si dedicherà, come medico dell’Istituto per i sordomuti di Parigi, all’educazione e istruzione dei sordomuti.

3. I suoi scritti, e i procedimenti adottati nella reducazione del «bambino selvaggio», esercitarono una forte influenza sul suo allievo Séguin e in particolare su​​ ​​ Montessori, che proprio da I. riprenderà gran parte del suo materiale didattico e dei suoi giochi educativi.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ I.J.,​​ Les premiers développements du sauvage de l’Aveyron​​ (1801); Id.,​​ Traité des maladies de l’oreille et de l’audition​​ (1821). b)​​ Studi: Massimi P. (Ed.),​​ Il fanciullo selvaggio dell’Aveyron, Roma, Armando, 1980; Moravia S.,​​ Il ragazzo selvaggio dell’Aveyron: pedagogia e psichiatria nei testi di J. I.,​​ Ph. Pinel e dell’anonimo della «Décade», Bari, Laterza, 1972; Genovesi G. (Ed.),​​ Rileggendo I. Problemi educativi e prospettive pedagogiche dei Memories, Milano, Adda, 2001; Annacontini G.,​​ Victor e I. tra natura e cultura,​​ Ibid., 2002.

F. Ortu - N. Dazzi

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