IPERATTIVITÀ

 

IPERATTIVITÀ

Disturbo dell’​​ ​​ apprendimento caratterizzato da impulsività, difficoltà di attenzione (sindrome da deficit attentivi), alto livello di attività motoria (sindrome ipercinetica). In genere è associato ad alcuni, o molti, di questi altri sintomi: mancanza di coerenza, emotività, scarso coordinamento viso-motorio,​​ ​​ discalculia,​​ ​​ dislessia, deficit di memoria.

1. È difficile stabilire cause precise dell’i. Molto spesso si tratta solo di costituzione fisica particolarmente vitale ed esuberante alla quale è stata associata un’influenza negativa derivante da reazioni familiari inadeguate o, più comunemente, presenti nel contesto scolastico. Altre volte, nei casi più difficili e complessi, possono essere coinvolte cause biologiche e / o psicologiche. Poca fortuna ha oggi l’attribuzione di tali comportamenti a minimo danno cerebrale, cioè a minima lesione o mal funzionamento cerebrale non registrabile da strumenti diagnostici.

2. Nel tempo hanno avuto rilievo vari tipi di trattamento: farmacologico, cognitivo, cognitivo-comportamentale, comportamentale, didattico. Nel primo caso vengono utilizzati farmaci particolari che tendono a ridurre soprattutto l’impulsività e l’instabilità motoria. Non sempre si hanno risultati validi e spesso si hanno effetti negativi dal punto di vista attributivo, cioè si insinua la convinzione che solo per mezzo di questi farmaci è possibile controllare il proprio comportamento (dipendenza). I metodi cognitivi, all’opposto, suggeriscono lo sviluppo di forme di autocontrollo mediante l’interiorizzazione di istruzioni appropriate. Sono state anche sviluppate metodologie basate sulla modificazione del comportamento tramite opportuni programmi di rinforzo. I metodi didattici, spesso definiti anche metodi diagnostico-prescrittivi, valorizzano l’uso di esercizi progressivi di rilassamento, di sviluppo della capacità di attenzione e di concentrazione, di capacità di controllo dell’impulsività e del coordinamento motorio sulla base di una diagnosi accurata delle caratteristiche personali e di un programma individualizzato di interventi. Oggi la tendenza più diffusa considera la sindrome della difficoltà di attenzione e i. come derivante da cause multidimensionali e di conseguenza anche i metodi di intervento tendono ad assumere analoga impostazione. Occorre anche segnalare l’importanza di una diagnosi seria, soprattutto nei casi più difficili, e quella della collaborazione tra le varie istituzioni educative (scuola, famiglia, consultori, ecc.).

Bibliografia

Ross D. M. - S. A. Ross,​​ Hyperactivity,​​ current issues,​​ research,​​ and theory,​​ New York, Wiley,​​ 21982; Valett R. E.,​​ Il​​ bambino iperattivo a scuola,​​ Roma, Armando, 1983; Kirby E. A. - L. K. Grimley,​​ Disturbi dell’attenzione e i., Trento, Erickson, 1989; Cornoldi C. (Ed.),​​ I disturbi dell’apprendimento,​​ Bologna, Il Mulino, 1991; Cornoldi C.,​​ Le difficoltà di apprendimento a scuola, Ibid., 1999; Marzocchi G. M.,​​ Il bambino con i. e disattenzione,​​ Ibid., 2003; Cimbelli P. - M. Bertelli,​​ DDAI: Bambini difficili.​​ Un approccio multidimensionale alle difficoltà di attenzione e i., Firenze, Zenit, 2007.

M. Pellerey

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IPERATTIVITÀ

IPERTESTI

 

IPERTESTI

La tecnologia ipertestuale / ipermediale si è definita subito (alla prestigiosa conferenza tenutasi nell’Università del North Carolina, Chapel Hill, nel 1987) come una tecnologia per l’arricchimento di un ambiente didattico o autodidattico. Ha le caratteristiche di mettere il controllo nelle mani dell’utente e di offrire una grande quantità di informazioni a cui è possibile accedere rapidamente attraverso connessioni logiche. Legati a tanta offerta di i. ci sono però i problemi del sovraccarico cognitivo e del perdersi nell’iperspazio,​​ per cui è necessario porsi interrogativi sull’architettura del documento ipertestuale, sulle possibilità di​​ navigazione​​ offerte e, in generale, sull’usabilità del prodotto.

1.​​ Definizione e struttura degli i.​​ L’i., definito già da T. Nelson come scrittura non sequenziale (Nelson, 1974), è descritto da Conklin come​​ «medium​​ per pensare e comunicare basato sul computer» (Conklin, 1987, 32), da Marchionini come «rappresentazione elettronica del testo che si avvantaggia delle capacità di accesso casuale che ha il computer per superare il mezzo strettamente sequenziale della stampa su carta». Nell’ambito del rapporto utente-computer l’i. viene visto come rispondente all’esigenza di favorire nettamente il controllo del primo sul secondo. Nella definizione dell’i. intervengono gli elementi: base di dati, metodologia di programmazione che offre attività relazionali sofisticate in un insieme di dati, non-linearità / non-sequenzialità, tridimensionalità (nel senso che l’informazione può essere percorsa avanti, indietro e in profondità visualizzando, a comando, testi al momento invisibili ma connessi al testo in primo piano), dinamicità e assenza di schema. La struttura dell’i. e dell’ipermedia (un i. arricchito di immagini fisse, di immagini in movimento, di grafici e del suono) ha due elementi fondamentali: i nodi e i legami (link).​​ È possibile suddividere le informazioni segmentandole in modo tale che ad ogni concetto corrisponda una serie di altri concetti, anche se, per non affaticare il lettore, di solito vengono forniti dei «pezzi» d’informazione (chunks)​​ significativamente consistenti. I​​ link,​​ simili agli archi nei grafi orientati, si possono definire come strumenti di trasporto da un nodo ad un altro dell’i.; essi legano dei punti-sorgente a punti-destinazione e, in questo caso, sono legami referenziali, oppure vanno a formare un grafo ad albero nel quale da un nodo-genitore si accede a nodi-figli percorrendo una rigida gerarchia stabilita dall’autore dell’i. Il valore principale del​​ link​​ sta nella sua connettività e la vera portata di un’applicazione ipertestuale è espressa dalla topologia o organizzazione della rete determinata dai​​ link.​​ In molti casi l’organizzazione può essere relativamente semplice: una foresta di gerarchie (dette alberi) sono sporadiche connessioni trasversali.

2.​​ Il quadro di riferimento teorico degli i.​​ La necessità di teorizzazioni e quadri di riferimento convincenti è stata sentita fin dall’inizio dell’applicazione della tecnologia ipertestuale alla didattica. Jonassen (1989) propone un quadro di riferimento che si richiama alla teoria dello schema, più precisamente, al modello delle «reti strutturali attive» di Quillian e agli schemi di apprendimento e di rappresentazione della memoria di Norman, Gentner e Stevens e ai principi dell’istruzione «a rete» (web learning)​​ che offrono la base concettuale per la teoria dell’istruzione cosiddetta «dell’elaborazione». Secondo Jonassen, l’applicazione dei principi dell’insegnamento-apprendimento a rete va un passo più in là permettendo di far combaciare la struttura a rete del campo di conoscenza con la rete semantica del soggetto che apprende.

3.​​ Il potenziale educativo degli i.​​ La tecnologia ipertestuale permette, in primo luogo, di personalizzare il processo di acquisizione della conoscenza facendo interagire gli utenti con le nuove informazioni nel modo per loro più significativo e venendo poi incontro all’esigenza degli stessi di controllare, con il contenuto, anche il processo dell’apprendimento. Le applicazioni didattiche coprono tutti i campi della conoscenza: dallo studio delle lingue antiche, materne e moderne alle scienze biologiche e fisiche e alla geografia.

4.​​ Gli i. alla base di Internet. http è l’acronimo di​​ Hypertext Transfer Protocol, o protocollo di trasferimento di un i., usato come principale sistema per la trasmissione di informazioni e dati sul web. In pratica, quando da un testo viene attivato un collegamento ad un altro testo, caratteristica tipica dell’i., interviene questo particolare protocollo che gestisce i vari collegamenti attivati. Si parla anche di collegamento ipertestuale interno ad un sito quando si indirizzano parole di un documento a parti del medesimo. In generale si seleziona con il mouse la parola sottolineata dal​​ tag​​ di rimando o collegamento. Il grandioso i. che è Internet può costituire un pericolo maggiore di entropia cognitiva e di perdita nell’iperspazio.

5.​​ Applicazioni attuali degli i.​​ La possibilità di essere connessi sia con piccole reti sia con Internet permette di attivare scambi, in tempo reale, su ricerche in via di realizzazione e di navigare in maniera ipertestuale nel ciberspazio. Ciò ha consentito lezioni in ambienti di teledidattica, con la trasmissione di materiali testuali arricchiti da immagini, da suoni e da filmati. Oggi l’i. diventa significativamente più ricco grazie a tecnologie quali il​​ podcasting, sistema che permette di scaricare in modo automatico documenti utilizzando un​​ feeder.

Bibliografia

Nelson T.H.,​​ Computer lib / dream machines,​​ South Bend, The Distributors, 1974; Conklin J.,​​ Hypertext: an introduction and survey,​​ in «IREE Computer» 20 (1987) 20-62; Jonassen D. H. - H. Mandl (Edd.),​​ Designing hypermedia for learning,​​ Heidelberg, Springer, 1990; Chakrabarti S.,​​ Mining the Web: discovering knowledge from hypertext data, Amsterdam, Morgan-Kaufmann Publishers (ora Elsevier), 2000; Bromme R. - E. Stahl,​​ Writing hypertext and learning, New York, Pergamon / Elsevier Science, 2002; Modiano R. - L. F. Searle - P. L. Shillingsburg (Edd.),​​ Voice,​​ text,​​ hypertext: emerging practices in textual studies, Seattle, University of Washington Press, 2004; Landow G. P.,​​ Hypertext 3.0: critical theory and new media in an era of globalization, Baltimore, John Hopkins UP, 2006.

C. Cangià

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IPERTESTI

IPPOLITO

 

IPPOLITO

Una delicata operazione filologica, dovuta soprattutto a Dollinger (1853), ha portato alla ricostruzione della personalità storica e letteraria di I. di Roma. A tal fine sono stati identificati fra loro tre personaggi: lo scrittore greco di nome I., collocabile fra la fine del II e gl’inizi del III secolo, autore di un blocco omogeneo di opere soprattutto di carattere esegetico; l’autore anonimo della​​ Confutazione di tutte le eresie​​ (vulgo​​ Philosophoumena'),​​ attivo a Roma intorno al 220-230, nemico di papa Callisto per motivi dottrinali e disciplinari; il personaggio rappresentato in una statua mutila trovata nel 1551 nell’ager Veranus, che l’umanista Pirro Ligorio, sulla base dei titoli di opere incisi sul trono sul quale sedeva il personaggio, identificò con lo scrittore I., di cui parla Eusebio (Star. Eccl.,​​ 6,22), e in conformità di tale identificazione fece restaurare la statua. Questa ricostruzione di I. non è stata seriamente contestata fino al 1947, anno in cui P. Nautin ha avanzato contro di essa motivate obiezioni. La ripresa delle discussioni ha messo in luce quanto fosse precaria l’ipotesi di Dòllinger; fra l’altro è stato dimostrato che la statua considerata d’I. e in tal senso restaurata rappresentava in realtà un personaggio femminile. Dato che la questione è tuttora dibattuta, preferisco prendere in considerazione le opere attribuite al., che interessano il nostro argomento, separatamente una dall’altra.

Un blocco omogeneo è rappresentato da quattro scritti di argomento esegetico:​​ Davide e Golia, Commento a Daniele, Commento al Cantico, Benedizioni di Giacobbe e Mosè.​​ Queste opere, molto importanti dal punto di vista storico culturale, in quanto sono le prime di carattere specificamente esegetico composte, a nostra conoscenza, in ambiente cattolico, presentano un modo di interpretare che, inizialmente aperto anche all’interpretazione letterale, nelle ultime due diventa esclusivamente allegorico. Sulla traccia di Paolo, Giustino, Ireneo, l’autore interpreta figure e fatti dell’AT come​​ typoi,​​ cioè come prefigurazioni simboliche, dei fatti di Cristo e della Chiesa, dilatando e sistemando in modo organico e coerente le anticipazioni rapsodiche dei suoi predecessori. L’interesse preminente, quasi esclusivo, è per la vicenda storica del Cristo incarnato che si prolunga nella storia della Chiesa, depositaria della promessa divina in luogo dei Giudei e perciò da questi perseguitata.

Aperture occasionali di carattere dottrinale trovano più ampia corrispondenza nel​​ Contro Noeta:​​ in polemica con questo eretico, il quale affermava che Cristo era stato solo un modo di manifestarsi e operare del Padre (monarchianismo), il nostro autore propone una C. dottrinale imperniata sul concetto di Cristo, Logos divino preesistente all’incarnazione e distinto dal Padre in modo personale, realizzatore del disegno divino in ordine al mondo e agli uomini (creazione, redenzione, giudizio). Accanto al Padre e a Cristo trova posto anche lo Spirito Santo in una concezione trinitaria di Dio, già abbastanza evidente anche se non priva di sfasature.

La​​ Confutazione di tutte le eresie,​​ che contiene un’ampia presentazione e confutazione delle eresie che fino allora avevano travagliato la vita della Chiesa, soprattutto eresie gnostiche, ci interessa specialmente per la chiusa dell’opera in cui l’autore, dopo aver confutato le dottrine degli altri, presenta la propria C. in merito al rapporto Dio-Cristo. Il concetto fondamentale è lo stesso del​​ Contro Noeto:​​ posizione intermediaria del Logos divino, distinto personalmente dal Padre, fra Dio e il mondo, e sua azione onnicomprensiva che si estende dalla creazione al giudizio. Ma a differenza dell’altra opera, in questa è del tutto ignorata la persona e la funzione dello Spirito Santo, sì che a rigor di termini non si può parlare qui di concezione trinitaria di Dio.

Uno dei titoli di opere inciso sul trono della statua reca:​​ Tradizione apostolica sui carismi.​​ Fondandosi sulla ricostruzione di I. operata da Dòllinger, agl’inizi di questo secolo Schwartz e Connolly hanno proposto di ravvisare questa opera di I. alla base di una serie di opere di carattere canonistico, giunteci per lo più in traduzione latina e in lingua orientale: 1. VIII delle​​ Costituzioni apostoliche, Costituzione della Chiesa egiziana, Canoni di S. Ippolito,​​ ecc. Sviluppando questa ipotesi, mediante il sistematico confronto di tutte queste fonti, è stato ricostruito il testo della​​ Tradizione apostolica​​ di I. (Dix, Botte), che ormai viene utilizzato comunemente dagli studiosi come fonte primaria per decifrare l’organizzazione della Chiesa nel II sec. e la sua liturgia. Ma a tal proposito sarebbe opportuno rammentare che ci troviamo di fronte a un’opera che è frutto di una operazione filologica senza dubbio abile ma che potrebbe anche non essere mai esistita nella forma in cui oggi viene proposta.

L’opera si può ripartire in tre sezioni. La prima è dedicata all’organizzazione e alla disciplina del clero: norme sull’elezione e consacrazione del vescovo, sull’ordinazione di preti e diaconi, sulla condizione di confessori, vedove, lettori, ecc. In questa sezione è contenuta la più antica versione del canone eucaristico giunta a noi. La seconda sezione dell’opera ha come oggetto la presenza dei laici nella Chiesa, con norme sui catecumeni, sul battesimo ed eucaristia, sulle professioni interdette ai cristiani. In questo specifico ambito il testo è molto restrittivo: sono proibite ai cristiani professioni come pittura, scultura, insegnamento scolastico, in quanto tali da mettere a contatto i cristiani con la religione idolatrica. È dubbio che queste norme siano state mai realmente osservate. La terza sezione dà norme diverse su varie pratiche religiose: digiuno, agape, benedizione dell’olio, ecc.

Al di là della questione relativa alla validità della ricostruzione filologica di quest’opera, non v’è dubbio che la normativa in essa proposta presenti quasi sempre caratteri arcaici, che ne fanno perciò testimonianza importante della primitiva organizzazione ecclesiale.

Bibliografia

Per ragguagli e bibliografia sulla questione ippolitiana si vedano:​​ Ricerche su Ippolito,​​ Roma, 1977. Sull’esegesi di Ippolito cf Ippolito,​​ Le benedizioni di Giacobbe​​ (a cura di M. Simonetti), Roma, 1982, p. 24ss. Sulla​​ Tradizione apostolica​​ si veda B. Botte,​​ La​​ Tradition​​ apostolique​​ de​​ saint​​ Hippolyte.​​ Essai de​​ reconstitution,​​ Münster,​​ 1963.

Mario Simonetti

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