HANDICAPPATI

 

HANDICAPPATI

Oltre agli → handicappati fisici, → sensoriali e → mentali, trattati separatamente, altre categorie di handicap meritano di essere segnalate.

I.​​ Emarginazione sociale e affettiva

1.​​ La C. speciale ha pure a che fare con ragazzi e ragazze provenienti da ambienti (famiglie) con forti carenze sociali ed affettive. La maggior parte di questi sono segnati da una fondamentale mancanza di fiducia nella vita e negli altri. Questa carenza si traduce in una diminuita vitalità, in scarsa motivazione, in una grande vulnerabilità dei modelli relazionali, in una difficoltosa formazione della personalità, e in una disturbata percezione delle norme. A queste difficoltà di ordine psicologico si aggiunge il basso livello sociale e culturale.

Questo insieme di fattori costituisce il quadro dei punti difficoltosi per la normale educazione della fede.

2.​​ Il catecheta dovrà anzitutto curare i fattori motivazionali. Inoltre dovrà sviluppare rapporti personali e prolungati con questi destinatari. Il nucleo della personalità va rinforzato. La percezione delle norme deve essere pazientemente cristianizzata.

La particolarità del metodo cat. verso questa categoria di persone è situata quasi unicamente sul piano relazionale. Il legame con l’educatore credente è una condizione fondamentale per ricuperare la suscettibilità religiosa di questa gioventù segnata dall’emarginazione sociale e affettiva, e motivarla verso l’accoglienza della fede e della vita cristiana.

II.​​ Disturbi psichici

1.​​ La C. speciale incontra anche fanciulli e giovani psicotici o nevrotici, con vari disturbi psichici. Tratti comuni a questa categoria sono: carenze nel modo in cui vivono la propria persona, disarmonie nella vita affettiva, difficoltà nelle relazioni con l’ambiente (con le persone e le cose). Inoltre, questi fenomeni sono spesso accompagnati da ansie e aggressività, che si manifestano in svariate forme.

2.​​ L’educazione religiosa di questa categoria è possibile nella misura in cui l’educatore religioso o il catechista riesce ad avere accesso a questi ragazzi e ragazze e a raggiungere il nucleo della loro personalità. Questo risulta assai difficile a causa della faticosa formazione delle relazioni. Più che negli altri settori della C. speciale, s’incontra con questa categoria un maggior numero di comportamenti fuori della norma, quali per es. ansie, senso di colpa, ossessioni, aggressività, scrupoli, ecc.

Si tratta di uno fra i settori più difficili della C. speciale, che generalmente richiede la consulenza e l’intervento di esperti.

Mieke Vandekerckhove

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HANDICAPPATI

HANDICAPPATI FISICI

 

HANDICAPPATI FISICI

1.​​ L’aspetto caratteristico dell’handicap fisico si può descrivere molto in generale come limitazione dell’autonomia personale. L’handicap corporeo conduce a un permanente confronto con il mondo in libero movimento.

In generale, l’handicap fisico è vissuto molto negativamente accompagnato da una grande dose di aggressività o di sarcasmo sublimato. L’intervento ortopedagogico mira all’accettazione di sé, ricercando anche nuove forme, necessariamente limitate, di partecipazione alla vita normale.

2.​​ La C. deve portare un messaggio di liberazione accentuando la liberazione spirituale per la forza dello Spirito di Gesù. Cercherà di interpretare gli sforzi terapeutici e i risultati che su questo piano si raggiungono quali segni di un movimento verso una esistenza integra. Non meno che per gli altri handicap, gli handicappati fisici sono confrontati con la loro figura frustrante. È importante che la C. faccia scoprire che Gesù non si fermò mai all’aspetto esteriore della diversità, ma che ha sempre coinvolto pienamente l’handicappato o il malato nella speranza della liberazione dal male. Gesù li situava su un piano più profondo rispetto a quello della corporeità. Li incontrava anche nel cuore e nello spirito creatore dell’uomo.

Anche gli interventi fisioterapeutici, che mirano alla liberazione corporea, possono offrire la prospettiva di liberazione spirituale attraverso la visione cristiana della vita e della morte.

Più che per le altre forme di handicap, la prospettiva della morte costituisce una realtà amara, e spesso si annuncia prematuramente. Inutile sottolineare che si tratta di un tema caratteristico della C. speciale.

Bibliografia

S. G. Dì​​ Michael,​​ Les​​ retentissements affectifs de ¡’handicap physique sur​​ les altitudes​​ religie​​ uses,​​ in «Lumen​​ Vitae»​​ 16 (1961) 319-333; R. F. Esposito,​​ La catechesi fra i poliomielitici dell’età giovanile,​​ in «Sussidi» 35 (1970) 43-48; H. Gray,​​ Religious Education of the Physically Handicapped,​​ in “The Sower» 6 (1982) 2, 17-18; M. H.​​ Mathieu,​​ Formazione religiosa del bambino ammalato,​​ Leumann-Torino, LDC, 1969; M.​​ Schultebraucks,​​ Religionsunterricht​​ bei​​ körperbehinderten Schülern. Ergebnisse einer empirischen Untersuchung,​​ in “Katechetische Blätter» 103 (1978) 781-785.

Ferdinand Devestel

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HANDICAPPATI FISICI

HANDICAPPATI MENTALI

 

HANDICAPPATI MENTALI

L’autorevole “American​​ Association​​ on Mental Deficiency”​​ (Grossman 1973)​​ definisce​​ HM​​ le persone che già nel periodo dello sviluppo, cioè prima dei 18 anni, funzionano a un livello sia intellettuale che sociale significativamente inferiore a quello delle persone della stessa età entro lo stesso ambito culturale. Sotto questo termine generale si nasconde però un gruppo molto eterogeneo, normalmente sottodiviso in HM leggeri, HM moderati, e HM gravi e profondi.

1.​​ É​​ possibile la C. agli HM?​​ A motivo della deficienza intellettuale di queste persone, i responsabili della pastorale, come pure altri esperti, hanno creduto per lungo tempo che una C. vera e propria agli HM fosse impossibile. Perciò l’educazione religiosa si limitava generalmente alla formazione di buone usanze, di alcune pratiche di preghiera e devozionali, e un po’ di “addestramento” morale.

Attorno agli anni 1950 si nota una svolta in questa situazione, dovuta a un duplice cambiamento di idee: una nuova visione della C. e un nuovo modo di interpretare l’handicap mentale. Precedentemente la C. era vista in prevalenza come questione intellettuale, consistente nella trasmissione di una serie di contenuti di fede e di prescrizioni etiche. Attualmente si preferisce vedere la C. come situarsi responsabilmente nella dimensione cristiana della vita. La fede non è vista primariamente come la conoscenza e la professione di un certo numero di dati cognitivi. La fede consiste anzitutto nel rivolgersi verso una persona, nel rivolgersi verso Dio. Da un altro lato lo sviluppo dell’ortopedagogia, nonché l’applicazione sistematica di alcuni principi della psicologia dell’apprendimento, hanno mostrato in modo convincente che gli HM sono capaci di raggiungere livelli di sviluppo assai superiori a quanto si credeva in precedenza. Di conseguenza l’approccio educativo agli HM è diventato assai più positivo. L’accento viene messo sulle possibilità che sono ancora realmente presenti, o su ciò che realmente ci si può aspettare, e non più in primo luogo sulle deficienze. Questa sfera di speranza e di attesa ha avuto ripercussioni anche sul terreno dell’educazione della fede, ed ha suscitato nuove iniziative: in diversi paesi ci sono stati seri tentativi per sviluppare una C. adatta agli HM.

2.​​ Panorama storico delle iniziative sul piano della C. agli HM.​​ Prima della​​ 2a​​ guerra mondiale si conoscono soltanto alcune rare pubblicazioni sull’educazione della fede degli HM: si tratta in tutti i casi di tentativi che attribuiscono molta importanza alle pratiche di preghiera e alla formazione di buone abitudini.

Il pioniere della C. speciale (= CS) contemporanea è il sac. francese H. Bissonnier. Iniziò il suo lavoro verso il 1950 lavorando con ragazze HM dei dintorni di Parigi. Le sue pubblicazioni​​ Pour une pédagogie catéchétique des enfants arriérés mentaux​​ (1955; trad. ital.:​​ Pedagogia catechistica dei fanciulli subnormali,​​ Leumann-Torino, LDC, 1966) e soprattutto​​ Pédagogie de​​ Résurrection​​ (1959; trad. ital.:​​ Pedagogia di risurrezione,​​ ivi, 1966) suscitarono grande interesse. Riuscì a radunare attorno a sé un certo gruppo di collaboratori, fra i quali J. P. Jung, B. Descouleurs e H. Hillairet, che più tardi produsse le guide cat.​​ Amis de Dieu​​ (1968) e​​ Dieu ma foie​​ (1971). Attraverso i corsi di formazione cat. Bissonnier e i suoi collaboratori parigini ebbero anche una irradiazione internazionale. Uno specifico tentativo di educazione della fede per fanciulli HM gravi è stato elaborato da Denise Rouquès (1969).

Alcuni anni più tardi, pure sotto l’influsso di H. Bissonnier, è nato a Lione (Francia) un altro nucleo di attività pastorale attorno alla persona di J. Mesny e collaboratori. In collaborazione con M. Orban (Belgio) pubblicò il metodo​​ Vivre​​ (1968), largamente basato sull’uso di simboli. Questo metodo ebbe una grande diffusione, grazie anche all’impegno di un exallievo e collaboratore del centro di Lione, il sac. canadese E. Paulhus, il quale ottenne il dottorato con uno scritto su​​ L’éducabilité religieuse des enfants déficients mentaux​​ (1962). Più tardi divenne professore all’Université Catholique de Sherbrooke (Canada), e vi fece conoscere il metodo​​ Vivre.

Nel 1967 il sac. americano Joseph Mc​​ Carthy,​​ fratello di un ragazzo HM, cercò a lungo e inutilmente pubblicazioni sulla C. agli handicappati mentali. Infine fu indirizzato verso E. Paulhus e l’università di Sherbrooke. Poco tempo dopo Me Carthy divenne responsabile diocesano della diocesi di Chicago per la cura pastorale agli handicappati mentali. Fece tradurre in inglese il metodo​​ Vivre​​ e fondò il centro SPRED (Special Religious Education Divisioni, che più tardi divenne istituto di formazione per catecheti specializzati in C. agli HM. Il centro è aperto a tutti coloro che, inviati da qualche parrocchia, desiderano specializzarsi nell’assistenza pastorale degli HM.

Anche in Inghilterra il metodo​​ Vivre​​ è stato accolto nelle diocesi di Londra e di​​ Liverpool,​​ da catecheti che hanno frequentato il corso SPRED a Chicago. L’attività nel campo della CS nelle due diocesi è interamente ispirata al modello americano. Se ne trova una descrizione nel vol.​​ I am with you,​​ di D. G. Wilson (1975).

Anche la scuola di Parigi ha avuto la sua irradiazione a livello mondiale. Padre J. Kijm SJ, olandese, si è fortemente interessato a questa iniziativa ed ha pubblicato diversi scritti importanti sull’argomento (1961). Purtroppo alcuni anni dopo interruppe bruscamente il lavoro in questo settore, quando assunse una cattedra di filosofia nello studentato dell’ordine. In Olanda, da parte cattolica, va pure menzionato il contributo dell’Istituto Superiore di Catechetica di Nimega, specie attraverso l’apporto di alcuni giovani sacerdoti. Va menzionato l’interessante lavoro di De Wit (Zwakzinnigenzorg en pastoraal,​​ Nijmegen 1971, tesi) e di H. Verbeek (Een beker koud water,​​ Bilthoven, Ambo, 1971). Quest’ultimo organizzò per la durata di un anno, in modo molto creativo, la partecipazione di tutti i residenti di una istituzione psichiatrica per HM ad alcuni momenti culminanti dell’anno liturgico. In Olanda anche le Chiese protestanti hanno dato un contributo specifico all’assistenza pastorale degli HM, di cui testimoniano, fra l’altro, le meritevoli pubblicazioni di L. Brezet-Brouwer (leder in zijn eigen taal,​​ 3 vol., Nijkerk, Callenbach, 1977-78), L. Stilma (Wuiven naar de dominee,​​ ivi, 1979) e P. Vreugdenhil (Ik heb een vriend,​​ Goes, Oosterbaan, 1982). L’educazione della fede si realizza principalmente durante i servizi religiosi settimanali.

In Belgio, nella regione di lingua francese, è stato introdotto il metodo​​ Vivre​​ per opera di M. Orban, co-autore di questo metodo. Nelle Fiandre va menzionata l’attività del “Werkgroep voor Gespecialiseerde Catechese”, il cui nucleo era costituito da F.​​ Devestel,​​ M. Vandekerckhove e M.​​ Van​​ Walleghem. Questo Gruppo di lavoro pubblicò​​ Samen,​​ una guida per i primi due anni della scuola elementare speciale​​ (Van​​ Walleghem e Vandekerckhove, 1976-1978; trad. ital.:​​ Insieme. Guida per la catechesi degli handicappati mentali,​​ Leumann-Torino, LDC, 1980. F. Devestel sviluppò nella sua tesi dottorale un progetto per l’assistenza pastorale degli HM adulti ricoverati in istituzioni psichiatriche [1981], Questo progetto, pubblicato originalmente in francese, fu presto tradotto in inglese e in italiano, trovando in Italia, specie nelle istituzioni del Cottolengo, un’ampia applicazione).

In Germania infine — paese con una ricchissima tradizione di insegnamento cat. — il periodo dopo la seconda guerra mondiale rivela una grande attenzione al problema della CS per HM. Le realizzazioni concrete riguardano soprattutto la C. scolastica e sono basate sul “Rahmenplan” (1967), redatto su incarico dei vescovi tedeschi. Più tardi furono pubblicati diversi manuali per la C. agli HM, fra l’altro Weber​​ (Das​​ lernbehinderte Kind und der Glaube,​​ Donauwòrth, Auer, 1967), Schilling (1974), Krenzer & Rogge (1978).

Questo panorama permette di vedere come nei diversi paesi molte persone si siano occupate della C. agli HM, come siano reciprocamente interdipendenti, e la grande varietà di iniziative che hanno sviluppato. Va segnalata anzitutto la diversità dei luoghi o ambienti in cui si realizza la CS: spesso la scuola (Belgio, Germania), ma anche la parrocchia o la comunità ecclesiale (Francia, protestanti olandesi, USA), oppure le istituzioni psichiatriche (Fiandre, Olanda, Italia). Vi è inoltre la varietà nell’età dei destinatari: inizialmente la CS riguardava soltanto fanciulli o giovani delle scuole speciali (elementari e secondarie); gradualmente si svilupparono anche iniziative per adulti. Infine c’è la variazione nel livello dell’handicap mentale: la C. scolastica è elaborata soprattutto in vista degli HM leggeri; mentre diverse iniziative parrocchiali o all’interno delle istituzioni psichiatriche riguardano pure HM di secondo grado o talvolta anche HM gravi.

3.​​ In che cosa consiste lo specifico della CS agli HM?​​ Lo specifico della CS è determinato dal mondo particolare degli HM. Questo mondo, pur non essendo radicalmente diverso dal mondo umano di tutti, presenta tuttavia caratteristiche particolari. Dal punto di vista cognitivo l’HM vive in un mondo molto concreto, superficiale e poco elastico, con scarsa articolazione e connessione logica, e uno scarso sviluppo verbale. Dal punto di vista dinamico-affettivo, l’HM è fortemente legato alla situazione, spesso dominato da essa; il suo concetto di sé è generalmente negativo e poco realistico; psichicamente è molto vulnerabile, e dimostra una tendenza verso la rigidità.

Come risposta a questa situazione la CS cercherà di allargare e di approfondire il mondo esperienziale dell’HM. In questo modo cercherà di sviluppare la sua sensibilità per i simboli; lo aiuterà a distinguere tra cose principali e cose secondarie; ripeterà con sempre nuove varianti le sole cose essenziali; ne rinforzerà e sosterrà la scarsa fiducia in se stesso e la resistenza psichica; cercherà di superare la sua tendenza verso un comportamento rigido. Tutte queste finalità vengono anche perseguite dalla ortopedagogia. Nella CS la realizzazione di questi obiettivi sarà ispirata dalla preoccupazione di suscitare, di sviluppare e di nutrire in loro l’atteggiamento di fede.

Questo carattere specifico si concretizzerà nella CS in diversi modi: anzitutto per mezzo di un programma didattico fortemente strutturato e incentrato sul nucleo del messaggio cristiano; inoltre per mezzo di alcune caratteristiche metodologiche.

4.​​ Alcuni principi metodologici.

a)​​ Arricchimento del mondo esperienziale del fanciullo.​​ Una prima preoccupazione del catechista consisterà nell’arricchimento dei significati presenti nelle esperienze del fanciullo HM; insegnerà al fanciullo a scoprire “di più” nelle proprie esperienze. Ciò significa in concreto sviluppare la sensibilità per la ricchezza di significati e di valori umani che possono nascondersi anche in azioni umane molto semplici. Il catechista si sforzerà di illuminare queste esperienze, arricchite anche alla luce del messaggio cristiano.

b)​​ La relazione personale tra il catechista e il fanciullo.​​ Nella CS è indispensabile una buona relazione pedagogica, in cui nasce una sfera di fiducia. Dal lato del catechista questa relazione deve essere caratterizzata da rispetto e da pazienza: rispetto per la persona del fanciullo handicappato, pazienza di fronte allo sviluppo rallentato che coinvolge anche la nascita della vita di fede. I fanciulli HM sono generalmente più dipendenti, più affettuosi, più suggestionabili da una determinata atmosfera. Il catechista starà attento a non imporsi e a non “manipolare” questi fanciulli.

c)​​ La testimonianza del catechista.​​ Come credente il catechista è personalmente coinvolto nell’annuncio della fede. Pur avendo problemi e difficoltà, dovrà stare con autenticità dietro il messaggio che annuncia. Nell’annuncio è fondamentale l’atteggiamento di umiltà. Come i profeti dell’AT, il catechista non è annunciatore sulla base di meriti personali; egli parla come annunciatore, come inviato.

d)​​ Un programma didattico fortemente strutturato.​​ È importante che il nucleo del messaggio cristiano sia concretizzato con chiarezza e con forte strutturazione nel programma didattico. Attraverso una grande varietà di forme bisognerà sempre tornare su questo contenuto centrale.

e)​​ Grande attenzione al linguaggio.​​ La lingua è un mezzo cat. fondamentale. Soprattutto per mezzo della parola si giunge a illuminare religiosamente l’esperienza del fanciullo. La carenza nello sviluppo verbale dell’HM, più accentuata nella misura in cui l’handicap è più grave, costituisce una seria difficoltà. È indispensabile un linguaggio estremamente semplice e corrispondente al livello di sviluppo del fanciullo. Questo comporta anche grandi limitazioni per l’uso della​​ narrazione​​ nella C.: narrazioni con “doppio fondo” normalmente non vengono comprese.

Il catechista userà abbondantemente il​​ dialogo​​ con i fanciulli: questo permette di coinvolgerli direttamente nella C. e li incoraggia ad esprimere le proprie esperienze. Con preadolescenti e adolescenti occorrerà usare questo mezzo con maggiore abbondanza e sistematicità.

Il linguaggio biblico e liturgico, spesso poco comprensibile in se stesso, dovrà necessariamente essere “tradotto” e calato a livello degli handicappati, cioè dovrà essere semplificato. Si cercherà comunque, con gradualità, di iniziarli al linguaggio ecclesiastico, per favorire in questo modo il loro inserimento nella grande comunità della Chiesa.

f)​​ Prudenza nell’uso dei simboli.​​ Il linguaggio religioso ricorre volentieri e abbondantemente all’uso di simboli. I simboli infatti permettono di schiudere gli aspetti profondi della realtà. Alcuni autori hanno espresso l’ipotesi che negli HM ci sia una particolare sensibilità per i simboli, il che permetterebbe di supplire felicemente alla carenza di sviluppo linguistico. Questa ipotesi però non trova alcuna conferma nell’osservazione critica o nelle ricerche empiriche. Infatti la forza espressiva dei simboli è fondamentalmente determinata dall’esperienza della persona. Dal punto di vista pedagogico sarà quindi indispensabile un impegno sistematico per arricchire il mondo esperienziale del fanciullo, affinché alcuni segni cristiani, quali acqua, fuoco, luce, pane, ecc., acquistino un maggiore significato e possano diventare simboli più ricchi.

g)​​ Uso responsabile dei mezzi audiovisivi.​​ I mezzi audiovisivi possono essere utili per introdurre, rinforzare e completare l’annuncio verbale. Possono avere una funzione evocativa oppure semplicemente informativa; devono essere adatti al livello mentale del fanciullo e alla sua età. È importante nella CS che i mezzi audiovisivi esprimano chiaramente le proprie finalità. Un quadro, per​​ es.,​​ deve essere sufficientemente grande e non comprendere troppi elementi. La visione di diapositive deve seguire un ritmo piuttosto lento, le sequenze non devono cambiare troppo velocemente e contenere soltanto pochi personaggi.

h)​​ Tecniche e attività espressive.​​ Tenendo conto del livello mentale e dell’età dei fanciulli HM, si possono adoperare con successo diverse tecniche espressive. Per​​ es.​​ i fanciulli possono raccontare, disegnare, dipingere, modellare, cantare, muoversi ritmicamente sulla musica. Queste attività mirano all’interiorizzazione e all’espressione personale dei contenuti della C. Per preadolescenti e adolescenti si userà abbondantemente la discussione e il colloquio guidato.

Una forma particolare di attività è la celebrazione cat. Essa si situa sul confine tra C. e liturgia, e presenta le caratteristiche di ambedue: si tratta di annuncio per mezzo di azioni. La celebrazione è importante nella C. agli HM, perché permette il coinvolgimento diretto e personale nell’azione.

Bibliografia

H. Bissonnier,​​ Pedagogia catechistica dei fanciulli subnormali,​​ Leumann-Torino, LDC, 1966; Io.,​​ Pedagogia di risurrezione,​​ ivi, 1966; J. M. Kijm,​​ Plansten voor het geloofsonderricht aan​​ debiele​​ hinderen,​​ Den Haag, Katholiek Paedagogisch Bureau voor het L. O., 1961; R. Krenzer – R. Rogge,​​ Methodik der religiösen Erziehung Geistigbehinderten,​​ Lahr, Kaufmann, 1978; D.​​ Rouquès,​​ Catechesi e iniziazione cristiana degli​​ insuficienti​​ mentali,​​ Leumann-Torino, LDC, 1971; K. Schilling,​​ Religionsunterricht bei Geistigbehinderten. Theoretische Grundlegung,​​ Limburg, Lahn-Verlag, 1974.

Marcel Van Walleghem

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HANDICAPPATI MENTALI

HANDICAPPATI SENSORIALI

 

HANDICAPPATI SENSORIALI

Distinguiamo due grandi gruppi di handicappati sensoriali: soggetti con disturbi dell’udito, e soggetti con disturbi della vista. Anche se nei due casi l’handicap scaturisce da difetti sensoriali, dell’udito o della vista, i due gruppi sono molti diversi sul piano ortopedagogico. Lo spazio limitato di questo art. non permette di indicare i molti gradi di sordità e di cecità e le rispettive possibilità di intervento ortopedagogico. Ci limitiamo alle principali caratteristiche e agli atteggiamenti di fondo che caratterizzano i soggetti con disturbi uditivi e visivi.

1.​​ Disturbi dell'udito.​​ A causa della mancanza di percezione uditiva, l’inserimento spontaneo nel mondo dell’uomo verbale, sulla base dell’acquisizione linguistica, è estremamente difficoltoso. A causa della loro condizione, i soggetti con disturbi uditivi sono maggiormente dipendenti dalla vista, e di conseguenza la dinamica interiore dell’uomo con disturbi uditivi si differenzia sostanzialmente dall’uomo con l’udito normale. Il sordo è l’uomo visivo, che difficilmente penetra nella connessione profonda dei segni e faticosamente percepisce i valori ai quali i segni rimandano. Al contrario, la persona con l’udito normale penetra assai più spontaneamente verso i valori interiori che si nascondono dietro il mondo delle impressioni visive.

Il sordo è privo di quello strumento fondamentale di penetrazione che è il linguaggio. Il linguaggio dell’uomo è basato sull’udito, sulla parola verbale. Una conseguenza immediata di questo fatto è che la mancanza di linguaggio implica una diminuita capacità di attribuire significati alla realtà circostante. Questa brevissima caratterizzazione ci permette ora di indicare le esigenze specifiche della C. a soggetti con disturbi dell’udito. Prima di pensare alla C. ci vuole, come prerequisito, un minimo di → linguaggio. Già la Scrittura fa riflettere in questa linea. Dio si è manifestato nel modo più abbondante ed esplicito mandando suo Figlio Gesù Cristo. Ora, in modo caratteristico egli viene chiamato da Giovanni “il Verbo”.

Di conseguenza alcune esperienze fondamentali collegate con l’esperienza linguistica sono da considerarsi preparativi diretti per poter accedere al contenuto del mistero rivelato. L’esperienza fondamentale del linguaggio può essere estesa all’esperienza del mistero di Dio. Attraverso la parola l’uomo si appropria spiritualmente della realtà che lo circonda nella creazione. Socializzandosi nella Parola di Dio, l’uomo acquisisce una visione maggiormente spirituale dei valori della creazione.

Attraverso la parola, il linguaggio fa nascere la comunità. Anche la Chiesa fa nascere la comunità attorno alla Parola. Il linguaggio verbale mette l’uomo in movimento, lo cambia, lo inserisce nello spazio e nel tempo. Anche la Parola di Dio mette l’uomo in movimento, lo chiama a seguire la via del Vangelo.

Queste esperienze fondamentali costituiscono immediatamente l’oggetto di una prassi ortopedagogica connessa con l’acquisizione del linguaggio da parte dei sordi. Si vede chiaramente che la C. è una parte integrale di questo processo.

Didattica.​​ La via più appropriata è la presentazione concentrica del contenuto rivelato della fede. È ovvio che non esiste un contenuto rivelato specifico per i sordi. Sarà tuttavia necessario mettere alcuni accenti ed evitare alcune deviazioni.

Un’attenzione particolare merita il progressivo inserimento nella comunità della Chiesa. A motivo del loro handicap, i sordi sono assai più concentrati sul rapporto lo-Tu che sul rapporto Noi-Insieme.

La → didattica deve inoltre tenere in conto che il sordo ha scarse capacità di astrazione. Concetti quali → grazia, incontro sacramentale con Cristo, redenzione, nascere dallo → Spirito Santo... sono molto ardui per lui. Per la stessa ragione si dovrà evitare con cura di accentuare l’aspetto magico. I → miracoli di Gesù richiedono una presentazione prudente, sottolineando soprattutto i contenuti rivelati dei segni miracolosi.

La traduzione del → contenuto della fede pone esigenze linguistiche particolari sul piano della didattica.

Infine merita una particolare attenzione la caratteristica esperienza esistenziale della sordità. Cercare la ragione per cui i sordi non sono come gli altri conduce quasi spontaneamente a domandarsi quale senso possa avere questa particolare sofferenza nell’ambito di una esistenza difficoltosa. Questa situazione esistenziale evoca una particolare sensibilità per la comprensione del mistero della sofferenza. Certo non è facile dare una risposta a tale problema.

Anche l’integrazione nella → Chiesa richiede una particolare attenzione. La grande comunità della Chiesa, come pure la comunità parrocchiale, hanno difficoltà a venir incontro alle necessità particolari dei fedeli. La sordità, con la sua barriera linguistica, rende oltremodo difficile la partecipazione alla vita della Chiesa, e ostacola il sentimento di “appartenenza”.

Di conseguenza si rende necessaria, nell’insieme della pastorale, una cura particolare verso i sordi. Ne segue anche la necessità di formare operatori pastorali specializzati.

2.​​ Disturbi della vista.​​ Per quanto la cecità possa segnare in profondità la persona, lascia tuttavia maggiori possibilità per il suo sviluppo.

In forza del proprio handicap il cieco è limitato nello spazio. Inoltre, assai più che l’uomo normale,​​ si riferisce alla propria corporeità per comprendere gli altri e il mondo circostante. Ne scaturisce quasi spontaneamente un maggiore egocentrismo.

L’intervento ortopedagogico mira anzitutto ad allargare la partecipazione ai diversi aspetti della realtà, per arrivare, attraverso acquisizioni progressive, a una maggiore autonomia nel gestire la propria vita.

Forme alternative della “vista”, per​​ es.​​ la via tattile, come pure la rieducazione psicomotoria, possono spezzare l’orientamento egocentrico. La maggior parte dei contenuti rivelati possono essere trasmessi senza particolari difficoltà. A causa della maggiore tendenza verso l’egocentrismo, la C. e la carità della comunità ecclesiale richiedono una più forte accentuazione.

Come già segnalato nel caso dei sordi, anche per i ciechi le guarigioni miracolose costituiscono un punto delicato. Se nella C. si trascura di penetrare verso il valore di segno che è presente nel → miracolo, esse suscitano soltanto attese incolmabili.

Anche la trattazione rispettosa della sofferenza merita un posto particolare.

Le esigenze didattiche portano ad una forte accentuazione della parola verbale. Non è però immaginario il pericolo del verbalismo, che conduce a oscurare il contenuto del messaggio. Inutile dire che​​ tutti​​ i sussidi uditivi hanno grande rilievo. Inoltre bisognerà cercare di sfruttare la via tattile per allargare la loro capacità di rappresentazione spaziale.

Bibliografia

Sr.​​ Bridget,​​ Teaching​​ Religion​​ io the Deaf,​​ Baltimore,​​ Md., Mission​​ Helpers of the Sacred Heart, 1962; L. Coduri,​​ Pastorale e catechesi degli handicappati,​​ in “Catechesi” 52 (1983) 5, 23-40; ,T. Van Eindhove,​​ Religfous Education of the Deaf,​​ Rotterdam, University Press, 1973; P. McNicholas,​​ Planning Children’s Liturgies for the Deaf,​​ in “The Living​​ Light»​​ 13 (1976) 101-117;​​ Menschen mit einer Behinderung – Anfragen an die Katechese,​​ in “Katechetische Blätter” 105 (1980) Heft 5; M. L. Nass,​​ Development of Conscience:​​ A​​ Comparison​​ of the Moral Judgments of Deaf and Hearing Children.​​ in «Child Development» 35 (1964)​​ 10731080;​​ W. Paukowitsch – E. Schmid,​​ Die Katechese bei Blinden,​​ in “Christlich-pädagogische Blätter” 93 (1980) 240-243; C. Robert,​​ Jeunes et adultes Sourds dans​​ ¡'Assemblèe​​ Liturgigue,​​ in “Catéchèse” 4 (1964) 15, 203-206; Id.,​​ Pour​​ la catéchèse​​ des sourds, les images ne sont-elles qu’un pis-aller?,​​ ibid. 5 (1965) 18, 61-68; W. B.​​ Rose,​​ R.E.A.C.H.:​​ Religioni​​ Education with the Handicapped,​​ in “The Living Light» 19 (1982) 140-143; M. Schwendenwein,​​ Was der Gehörlosenseelsorger im Umgang mit den Gehörlosen beachten sollte,​​ in “Christlichpädagogische Blätter” 93 (1980) 244-251.

Ferdinand Devestel

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HANDICAPPATI SENSORIALI

HARDWARE DIDATTICO

 

HARDWARE DIDATTICO

Il termine h. indica tutta la parte visibile e tangibile di un sistema, di una macchina, in particolare di un computer (​​ mezzi didattici). Viene usato in contrapposizione o in modo associato con il termine​​ ​​ software​​ per indicare una delle due parti in cui normalmente si distingue la macchina computer: quella fisica costituita da elementi meccanici ed elettronici che viene chiamata​​ hard​​ (duro). Quando si parla di​​ hard​​ di un computer, normalmente si intende quella parte della macchina che comprende l’unità centrale di elaborazione (CPU - Central Processing Unit)​​ con la sua memoria interna, le periferiche (monitor, tastiera, stampanti), la o le memorie esterne di massa (dischi rigidi o flessibili, dischi ottici, CD-Rom), tutte parti fisiche, toccabili, diverse da quella meno visibile costituita da adeguati programmi e indicazioni chiamata​​ software​​ ugualmente indispensabile al funzionamento. Per rendere un computer operativo è necessario avere un h. con caratteristiche conosciute e un adeguato​​ software.​​ Solo l’insieme delle due parti permette alla macchina di «vivere». A volte in senso esteso si utilizza il termine h. con il significato dato sopra anche per strumenti diversi dal computer, come una lavagna luminosa o un sistema televisivo: in questo senso il termine indica tutto ciò che rende una macchina allo stato potenziale di funzionamento.

Bibliografia

Corsi G.,​​ A scuola con il personal computer,​​ Firenze, Giunti e Lisciani, 1991;​​ Scalisi R.,​​ Users: storia dell’interazione uomo-macchina dai mainframe ai computer indossabili,​​ Milano, Guerini, 2001;​​ Rathbone A.,​​ PC H. e software. Il manuale che mancava,​​ Milano, Unwired Media, 2006; Congiu S.,​​ Architettura degli elaboratori. Organizzazione dell’h. e programmazione in linguaggio assembly,​​ Bologna, Patron, 2007.

N. Zanni

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HARDWARE DIDATTICO

HERBART Johann Friedrich

 

HERBART Johann Friedrich

n. a Oldenburg nel 1776 - m. a Gottinga nel 1841, filosofo e pedagogista tedesco.

1.​​ Biografia e opere.​​ Figlio unico di una madre brillante e di un padre burocrate, ebbe la prima educazione in famiglia da precettori e dimostrò notevoli doti musicali. Studiò poi nel locale ginnasio e nel 1794 intraprese gli studi di filosofia a Jena, in contrasto con il padre. Fu discepolo prediletto di Fichte e si iscrisse a una società studentesca sotto la sua guida. Nel 1796 ebbe una crisi intellettuale e maturò il distacco da Fichte, alla ricerca di una via personale, appoggiandosi ai presocratici e a​​ ​​ Platone. Accettò, in questa situazione, l’invito a fare il precettore nella casa di K. F. Steiger, in Svizzera, occupandosi dei tre figli maggiori (di 14, 9 e 7 anni) fino al 1800. Qui mise a punto le sue idee pedagogiche, grazie agli incontri con​​ ​​ Pestalozzi e alla sua stessa esperienza, giungendo, al tempo stesso, a una prima organica formulazione del suo pensiero filosofico. Tornato in patria, continuò la sua riflessione in questa doppia direzione, mentre terminava gli studi. Dal 1802 al 1808 fu professore universitario a Gottinga; dal 1808 al 1831 lo fu a Königsberg, ricoprendo la cattedra che fu di​​ ​​ Kant; ampliò i suoi interessi ed esperienze pedagogiche, soprattutto con l’apporto di studi psicologici, con la creazione di un «seminario», cui volle affiancare una scuola modello, e con il consolidarsi, attorno a lui, di una «Società pedagogica». Fallito il tentativo di sostituire Hegel a Berlino, tornò a Gottinga, anche per ragioni climatiche, dove insegnò fino alla morte, accelerata, forse, dalle incomprensioni, a livello politico, dopo la bufera scatenatasi con le purghe all’università del 1837, quando era decano della facoltà. Il suo comportamento, di fatto remissivo di fronte all’imposizione governativa, gli valse allora un quasi totale isolamento e giudizi assai negativi, da parte di critici posteriori. Si sposò con una sua studentessa (1811), ma non ebbe figli propri; adottò praticamente, con il consenso e l’aiuto della moglie, l’orfano di un suo allievo, Otto Stiemer, debole di mente, dal quale, nonostante i relativi successi, non ebbe particolari gratificazioni. La vita di H., apparentemente piana, è stata irta di difficoltà: dalla salute cagionevole, alle incomprensioni del padre, al distacco da Fichte, ai problemi economici (che gli imposero, tra l’altro, di tenere lezioni private), all’assenza di attesi apprezzamenti, fino agli scontri aperti del 1837. Ciononostante la sua produzione «scientifica», che portò all’affermarsi di una sua «scuola», più pedagogica che filosofica, è stata abbondante e innovativa. A prescindere dai​​ Berichte​​ allo Steiger, e da scritti pedagogici minori del 1801-3, tra cui anche gli incompiuti​​ Diktate zur Pädagogik, il primo saggio più organico e ampio fu:​​ Pestalozzis Idee eines ABC der Anschauung, seguito da un’interessante appendice sulla​​ «Rappresentazione estetica del mondo»​​ (1804). Nel 1806 vi fecero seguito la sua opera pedagogica più nota:​​ Allgemeine Pädagogik aus dem Zweck der Erziehung abgeleitet,​​ le incompiute​​ Pädagogische Briefe​​ (1830-1832) e, nel 1835 e 1841, le due edizioni dell’Umriss pädagogischer Vorlesungen. Per gli altri scritti filosofici e psicologici, che pure hanno spesso attinenza con la pedagogia, si vedano le​​ Sämtliche Werke.

2.​​ Il pensiero pedagogico.​​ È inscindibilmente collegato a quello filosofico (al cui interno H. colloca la pedagogia, come anche altri faranno), che è il risultato di influssi kantiani, da lui riconosciuti, di resti razionalistici e dell’idealismo, che invece decisamente rigetta. La sua filosofia, denominata​​ realismo,​​ rilancia il ruolo e il senso dell’esperienza,​​ della quale va resa condivisibile la conoscenza (la cui validità egli giustifica criticamente) e che sarà collocata a fondamento di tutta la sua concezione, anche pedagogica. Affrontato per tempo e con serietà il problema epistemologico, giunge alla conclusione che la​​ filosofia​​ è​​ «elaborazione di concetti»​​ e si articola in logica, metafisica e estetica, che, a sua volta, comprende l’estetica in senso stretto e l’etica. Ognuna di loro può essere «pura» o «applicata», cosicché la​​ pedagogia​​ nel sistema herbartiano trova precisamente il suo posto nell’etica applicata (unitamente alla politica, che riguarda il sociale anziché il singolo) e dunque è​​ scienza filosofica,​​ sostanzialmente subordinata alla sola​​ ​​ etica, da cui deriva il suo​​ fine ultimo:​​ la​​ virtù.​​ L’apporto della psicologia invece, da cui pure dipende, è solo di carattere strumentale. Tuttavia H. riconosce un’autonomia alla pedagogia, in quanto «punto centrale di una sfera di ricerche», che può quindi elaborare «un proprio pensiero indipendente», servendosi di un​​ metodo​​ preferibilmente​​ deduttivo.​​ È pertanto una​​ scienza pratica e applicata,​​ che si articola, come le altre, in un​​ momento sintetico​​ (esposto nella​​ Pedagogia generale)​​ e uno​​ analitico​​ (di cui dovevano trattare le​​ Lettere pedagogiche).​​ A tale scienza, di cui H. è comunemente ritenuto il fondatore, fa riscontro un’«arte dell’educazione»,​​ ispirata dalla teoria e all’origine del​​ «tatto pedagogico»,​​ che caratterizza un buon educatore. a) Dalla​​ psicologia,​​ che H. ha esposto a livello più popolare in un’apposita enciclopedia e a livello scientifico in due volumi (Psychologie als Wissenschaft),​​ derivano tuttavia alcuni concetti rilevanti per la sua pedagogia. In particolare: la​​ cerchia delle idee​​ (elaborazione soggettiva delle masse di «rappresentazioni» o di atti psichici, che contribuirà alla formazione del​​ carattere),​​ i​​ gradi formali​​ (molto strumentalizzati in funzione didattica dai seguaci di H., i quali intervengono nella formazione e nel consolidamento della cerchia di idee) e, soprattutto, la​​ plasmabilità​​ (Bildsamkeit),​​ «il concetto fondamentale della pedagogia», in quanto permette e giustifica, al tempo stesso, l’intervento educativo sia del soggetto, che dall’esterno. La plasmabilità tuttavia non ammette manipolazione, poiché il soggetto è sempre attivo e libero; è invece collegata e dipendente dall’individualità, come dalla cerchia delle idee, dalle circostanze di luogo e di tempo, nonché dall’ambiente umano (Umgang),​​ in cui il soggetto stesso vive e da cui trae le sue prime esperienze. Troppo spesso si sono dimenticati questi fondamenti teorici delle tesi herbartiane. b) Anche l’articolazione dell’intervento educativo, esposta soprattutto nella​​ Pedagogia generale,​​ nei tre momenti del​​ governo,​​ dell’insegnamento​​ e della​​ coltura​​ morale si ricollega alla psicologia, pur consentendo da parte della riflessione pedagogica un’elaborazione autonoma. D’altronde, dice H., «la separazione di questi concetti serve per la riflessione dell’educatore», poiché in realtà non sono sempre disgiungibili. Il​​ governo​​ è il meno importante, con una funzione preparatoria, e il meno duraturo: riguarda specialmente i primi anni di vita e vi hanno parte soprattutto l’amore e l’autorità dei genitori, come anche le occupazioni, ma non va impostato sulla sorveglianza. Il suo fine sta nel creare l’ordine, che permette la fruibilità degli interventi educativi. L’insegnamento​​ (Unterricht)​​ invece ha un ruolo preminente, benché in chiave educativa più che intellettualistico-istruttiva. Suoi obiettivi sono, da una parte, l’interesse.​​ dall’altra, la​​ multilateralità​​ del medesimo. Ora l’interesse,​​ concetto su cui H. ha riflettuto a partire dal 1800, lo identifica tardivamente con l’«autoattività»​​ e si suddivide in diversi tipi, di cui quelli suaccennati sono i principali, in quanto riguardano i due aspetti fondamentali della vita: il conoscere e il rapportarsi agli altri, pur con diverse modalità. La​​ multilateralità dell’interesse,​​ fine peculiare dell’insegnamento educativo e sua condizione, punta a un equilibrio e, al tempo stesso, a un progressivo ampliamento dei due filoni principali (conoscenza e partecipazione), che accrescono e moltiplicano le possibilità umane, superando, al tempo stesso, i difetti dell’unilateralità e della superficialità. In questa funzione compaiono i «gradi formali», che s’inseriscono nel gioco delle masse di rappresentazioni e dunque della cerchia delle idee. La​​ coltura​​ (Zucht)​​ infine, che sotto il profilo educativo si qualifica come «morale», perché tesa appunto alla moralità, cui garantisce stabilità ed efficienza, ha come fine la «fortezza del carattere nella moralità». Il concetto di​​ carattere,​​ variamente chiarito da H., ha, in ogni caso, una connotazione di neutralità etica, che è superata invece con la «coltura», che aiuta a vincere la «lotta interiore», presente in ognuno. La formazione del carattere è dunque importante, dal momento che consente il miglior utilizzo delle proprie possibilità, ma è indispensabile, dal punto di vista educativo, la «fortezza del carattere nella moralità», che assicura l’orientamento etico nell’agire. c) In questo quadro H. inserisce riflessioni didattiche di rilievo, sul significato e sulla sequenzialità delle discipline scolastiche, per es., in rapporto alle finalità dell’insegnamento. Così, superando precedenti posizioni, dà un posto qualificante e di guida alle​​ scienze,​​ in rapporto all’interesse di conoscenza, e alla​​ storia,​​ in rapporto a quello di partecipazione. Nell’attività didattica è comunque imprescindibile un’attenzione al passato dell’allievo, all’esperienza acquisita a livello tanto conoscitivo quanto di partecipazione. In essa inoltre riconosce un ruolo particolare, da un lato, all’intuizione,​​ di eredità pestalozziana, pur intendendola diversamente; e dall’altro alla​​ concentrazione, che comporterebbe non solo la non dispersione frammentata dei singoli insegnamenti, all’interno dell’orario scolastico settimanale, ma soprattutto la possibilità di organizzarlo per qualsiasi materia in​​ «episodi».​​ In tal modo, mentre gli allievi più dotati possono intrattenervisi con approfondimenti, ci sarà una possibilità di recupero per i meno dotati. Nella sua difesa del singolo soggetto e delle sue peculiarità, H. richiede classi poco numerose e si oppone alla determinazione dei programmi a livello statale, perché o non adatti ai singoli o molto generici. Si può vedere in ciò un tentativo di conciliazione tra le esigenze a lui contemporanee dei filantropisti, centrati sulla didattica, e dei neoumanisti, cui premeva più la qualità del soggetto. Quanto all’organizzazione della​​ scuola​​ H. ne ha difeso un​​ duplice orientamento,​​ che si potrebbe dire​​ tecnico e classico,​​ entrando però anche nel merito della struttura delle classi e degli esami, con osservazioni d’avanguardia. Infine ha offerto un chiaro contributo, per l’epoca, alla​​ pedagogia emendativa​​ (prendendo in considerazione le anormalità), a quella​​ evolutiva,​​ specie in chiave psicopedagogica, e si è anche occupato di​​ orientamento,​​ rigettando l’interferenza allora decisiva dei genitori nella scelta della scuola. Tuttavia ha chiaramente sostenuto che l’educazione «è un affare della famiglia», proprio in contrapposizione a intrusioni ancora più esterne e impositive. La​​ scuola​​ è stata riconosciuta da lui come un​​ male necessario,​​ inevitabile, date le situazioni sociali, più che come un’istituzione positiva; e in tutto ciò sembra indiscutibile anche l’apporto della sua esperienza personale.

3.​​ Valutazione.​​ L’influsso delle tesi herbartiane è stato molto esteso (dall’Europa, agli USA, al Giappone) e significativo, tanto da costituire in alcuni Paesi vere e proprie «scuole». Alla luce degli studi più recenti s’impone tuttavia un ridimensionamento dei giudizi più comunemente espressi su H., in senso sia elogiativo-apologetico, da parte di suoi discepoli, sia critico-negativo, da parte di chi non ne ha compreso adeguatamente il pensiero. Da un lato, non si può negare un certo​​ razionalismo,​​ da cui una relativa artificiosità, e un​​ disimpegno politico,​​ collegato alla sua attenzione prevalente per il singolo, sebbene abbia affermato che «l’uomo non è nulla fuori della società» (K., VI,16). Dall’altro, vanno invece respinte le accuse di intellettualismo, di moralismo o di «magistrocentrismo» (​​ Dewey), che contrastano con la sua visione antropologica di uno​​ sviluppo solidale,​​ sia intellettuale che operativo, confermato anche dal rigetto delle classiche «facoltà» umane, tra loro realmente distinte, se non indipendenti. Tra i meriti sta anche l’attenzione al singolo​​ con le sue peculiarità, ma soprattutto l’educatività dell’insegnamento,​​ che non può prescindere, proprio per questo, dal collegamento con l’esperienza e con le conoscenze già acquisite e che perciò richiede grande flessibilità, persino a livello istituzionale.

Bibliografia

una bibliografia pressoché completa in Pettoello R.,​​ Idealismo e realismo. La formazione filosofica di J.F.H.,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1986, 256-288;​​ Sämtliche Werke. In chronologischer Reihenfolge,​​ a cura di K. Kehrbach - O. Flügel, 15 voll. + 4 voll. di​​ Briefe von und an H., a cura di Th. Fritzsch, Aachen, Scientia, 1989 (in it.:​​ Pedagogia generale derivata dal fine dell’educazione, a cura di I. Volpicelli, Firenze, La Nuova Italia, 1997); Asmus W.,​​ J.F.H. - Eine pädagogische Biographie, 2​​ voll., Heidelberg, Quelle & Meyer, 1967-1970; Bellerate B.,​​ La pedagogia in J.F.H. Studio storico-introduttivo,​​ Roma, LAS, 1970;​​ Geissler E.,​​ H.s Lehre vom erziehenden Unterricht,​​ Heidelberg, Quelle & Meyer, 1970; Blass J. L.,​​ Pädagogische Theoriebildung bei J.F.H.,​​ Meisenheim a. Glan, Hain, 1972; Bellerate B.,​​ J.F.H. und die Begründung der wissenschaftlicher Pädagogik in Deutschland,​​ Hannover, Schrödel, 1980; Klafkowski M.,​​ Die philosophische Grundlegung des erziehenden Unterricht bei H.,​​ Aalen, Scientia Verlag,​​ 1982; Pettoello R. (Ed.),​​ J.F.H. - 1841-1991,​​ Settimo Milanese, Marzorati, 1992; Volpicelli I.,​​ H. e i suoi epigoni. Genesi e sviluppo di una filosofia dell’educazione, Torino, UTET, 2003.

B. A. Bellerate

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HERBART Johann Friedrich

HESSEN Sergei Ossipovic

 

HESSEN Sergei Ossipovic

n. a Ist-Sijssolsk in Siberia nel 1887 - m. a Lodz in Polonia nel 1950, pedagogista russo di cultura mitteleuropea.

1. Vissuto in Russia, in Germania, in Cecoslovacchia, in Polonia, conoscitore di sette lingue tra le quali l’it., H. è stato un tipico rappresentante della cultura mitteleuropea germanico-slava della prima metà del Novecento. Studente ad Heidelberg ed a Freiburg dove si laureò, fu allievo di H. Rickert e di​​ ​​ Weber. Insegnò alle università di Pietroburgo, di Praga, di Varsavia e di Lodz.

2. La sua concezione filosofica deriva dalla teoria rickertiana dei valori intesi come un «dover essere» che supera la stessa vita sociale, e quindi rientra in senso lato nel trascendentalismo neokantiano. L’educazione (Erziehung)​​ come ausilio al processo di sviluppo psicofisico non esaurisce pertanto la promozione della persona umana, che si attua appieno solo nella cultura (Bildung)​​ come assimilazione dei valori nella formazione interiore della libertà creativa. Secondo la teoria dei valori, le scienze naturali tendono a leggi di tipo generalizzante, mentre le scienze storiche tendono alla comprensione dell’individuale. L’educazione mira alla personalità del singolo, anche se in rapporto storico con la cultura del suo tempo.

3. La sua concezione pedagogica si ricava soprattutto dal libro​​ Fondamenti della pedagogia come filosofia applicata​​ scritto prima del 1936, che illustra come l’uomo possa svolgere la sua cultura​​ morale​​ attraverso un’iniziale​​ anomia​​ ed​​ eteronomia​​ (assenza di legge e assunzione di legge esterna) verso il traguardo dell’autonomia (attuazione di legge interna); e la sua cultura​​ intellettuale​​ attraverso la conquista di una sempre più intima unità del sapere, dapprima solo​​ episodico,​​ poi​​ sistematico​​ e infine​​ scientifico;​​ questa successione, come H. illustra nel libro​​ Struttura e contenuto della scuola moderna,​​ corrisponde anche ai gradi della scuola e alla prevalenza di un metodo corrispondente (globale, complessivo, correlato, concentrato).

4. Attento alla pedagogia del suo tempo, H. ha svolto penetranti studi su Tolstoj, Dewey, Montessori, Gentile, Lombardo Radice, Kerschensteiner; è stato un pioniere dei primi studi di​​ pedagogia comparata.​​ Si è anche occupato di educazione fisica, musicale, artistica, ambientale. H. ha esercitato una notevole influenza sulla pedagogia italiana attraverso le traduzioni dei suoi scritti e l’insegnamento di Lombardo Radice e di L. Volpicelli.

Bibliografia

Baroni A.,​​ H.,​​ Brescia, La Scuola, 1959; H.S.I.,​​ Difesa della pedagogia, Roma, Avio, 1950; Mazzetti R.,​​ S.H. ricercatore tra due civiltà,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1965; Neri R.,​​ Esame critico della pedagogia di S.H., Roma, E. De Sanctis, 1968; Angle I. C. - C. Lasorsa (Edd.),​​ Il bene e il male in Fëdor M. Dostoevskij / S.H., Roma, Armando, 1980.​​ 

M. Laeng

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HESSEN Sergei Ossipovic

HIRSCHER Johann Baptist von

 

HIRSCHER Johann Baptist von

H.​​ nacque a​​ Bodnegg (Ravensburg)​​ il​​ 20-1-1788​​ e morì il​​ 4-9-1865,​​ come decano del duomo di Friburgo. Fu molto elogiato e molto combattuto. Durante gli studi di teologia, e come giovane sacerdote e “ripetitore” (assistente) per la teologia morale e pastorale presso il seminario maggiore di​​ Ellwangen,​​ imparò a conoscere l’→ illuminismo e anche il suo ulteriore sviluppo nello spirito di →​​ Sailer.​​ All’età di appena 29 anni (1817) insegnava già queste materie come professore all’università di​​ Tübingen.​​ La sua teologia morale, come quella pastorale, era concepita alla luce dell’idea di → “Regno di Dio”.

La sua concezione cat. prende i propri lineamenti in una discussione polemica con la C. neoscolastica. In tale discussione diventa chiaro che il problema di una feconda C. è sempre e nello stesso tempo il problema di una teologia al servizio della​​ vita​​ di fede​​ (Über das Verhältnis des Evangeliums zu der theologischen Scholastik der neuesten Zeit im katholischen Deutschland,​​ Tübingen, 1823). Nella​​ Katechetik​​ (Tübingen, 1831, 18404)​​ le sue idee raggiungono una espressione matura. Merita osservare anzitutto che H., in contrasto con la tradizione, intende con “Katechetik”​​ l’intera pastorale dei fanciulli e dei giovani (quindi, per​​ es.,​​ anche la pastorale del tempo libero e la liturgia). Infatti egli non pensa soltanto​​ a&’istruzione,​​ ma anche​​ all’educazione​​ nella fede cristiana. Più specificamente si tratta del momento cognitivo, affettivo e operativo della vita cristiana; si tratta della fede operante nell’amore, concepita come realizzazione del Regno di Dio, della “comunità di Dio e di Gesù Cristo nello Spirito Santo”.

Questo fine può essere raggiunto soltanto alle seguenti condizioni: 1) che la fede sia presentata come un tutto organico; 2) riferita all’esperienza e fonte di esperienza cristiana; 3) offerta secondo il metodo della Bibbia e della storia della salvezza (vale a dire, in analogia con la Rivelazione di Dio, il quale non è venuto verso di noi come un sistema dottrinale, ma​​ storicamente')-,​​ 4) accompagnata da una corrispondente prassi di vita. Questo comporta che la “capacità di comprensione” e il “bisogno” degli allievi sono determinanti. Conseguentemente il metodo va scelto in conformità con i contenuti e i destinatari della C. (in opposizione al monopolio del “metodo socratico”).

Paragonando le diverse edizioni della​​ Kate-chetik​​ si può constatare che questi principi fondamentali vengono applicati in maniera sempre più conseguente: per la C. dai 7 ai 10 anni H. finisce col chiedere soltanto l’insegnamento della Bibbia; solo a partire da 11 anni è appropriato un catechismo (di impostazione biblica). In pratica però H. non potè realizzare questi princìpi nella loro integralità. A partire dal 1837 fu professore a Friburgo e poco dopo divenne anche canonico del duomo. Compose anzitutto il​​ Katechismus der christkatholischen Religion​​ (Karlsruhe und Freiburg 1842) per​​ ragazzi e ragazze a partire​​ da 11​​ anni (il commento fu scritto da A. Stolz). Ma poi (sotto la pressione della prassi tradizionale) dovette pure scrivere il​​ Kleiner Katechismus der christkatholischen Religion​​ (Freiburg 1845), per i​​ più piccoli.​​ Nella​​ pratica però ambedue si rivelarono troppo impegnativi per i catecheti (e per gli allievi?). H. si è pure reso meritevole con la introduzione e la fondazione di case del fanciullo (orfanotrofi: “il Don Bosco del​​ Baden”).

Subito dopo la sua morte i suoi catechismi, utilizzati unicamente nell’arcidiocesi di Friburgo, vennero sostituiti con quello di → Deharbe. È merito di H. aver dato un ulteriore sviluppo alle migliori acquisizioni dell’illuminismo (cf anche​​ Haupstücke des christkatholischen Glaubens für Schule und Haus,​​ Tübingen, 1857, e​​ Die Geschichte Jesu Christi,​​ Tübingen, 1839, 18422​​ “per​​ tutti, soprattutto​​ per i​​ giovani più maturi”). H.​​ dovette aspettare l’era kerygmatica degli anni ’30 del nostro secolo per essere nuovamente valorizzato.

Bibliografia

P. Balestro,​​ Dialogo o ideologia?​​ J.​​ B.​​ Hirscher:​​ l’idea del “Regno di Dio” ira Illuminismo e Romanticismo,​​ Torino, Boria, 1971; A.​​ Berz,​​ Geschichte des Katechismus im Bistum Basel,​​ Fribourg, 1959; F.​​ Blacker,​​ J.​​ B. Hirscher und seine Katechismen,​​ Freiburg, 1953; Tu. Filthaut,​​ Il Regno​​ di Dio​​ nell'insegnamento catechistico,​​ Alba,​​ Ed. Paoline, 1963; E. Keller,​​ J. B.​​ Hirscher,​​ Graz, 1969; H. Loduchowski,​​ Biblische Verkündigung nach​​ J. B.​​ von Hirscher,​​ Regensburg, 1970; W. Nastainczyk,​​ J. B.​​ Hirschers Beitrag zur Heilpädagogik,​​ Freiburg, 1957.

Eugen Paul

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HIRSCHER Johann Baptist von

HOFINGER Johannes

 

HOFINGER Johannes

Nato​​ a​​ St. Johann,​​ nel Titolo​​ (Austria)​​ il​​ 21-3-1905,​​ morì a New Orleans (USA) il 14-2-1984. Gesuita dal 1927, studiò teologia all’Università di Innsbruck e difese nel 1937 una tesi di dottorato sulla storia dei catechismi in Austria e nei paesi di lingua tedesca. Ordinato sacerdote nel 1935, partì nel 1937 per la Cina come missionario. Espulso nel 1949, si stabilì a Manila (Filippine), dove fondò nel 1954 l’Istituto di Apologetica Missionaria, divenuto poi l’East Asian Pastoral Institute. Dal 1953 in poi iniziò una serie di viaggi e di corsi di studio che lo portarono in tutti i continenti, per circa vent’anni. Dagli anni ’70 si stabilì negli USA dove aveva introdotto il movimento kerygmatico. Successivamente si occupò del “rinnovamento nello Spirito” e della formazione spirituale dei catechisti.

1.​​ La sua tesi dottorale, scritta sotto la direzione di J. A. → Jungmann, e i suoi studi ulteriori ne fecero un assertore convinto e originale del movimento kerygmatico e del rinnovamento liturgico, fin dal periodo trascorso in Cina (1937-1949). Appartengono a quest’epoca articoli e opuscoli in latino, tedesco e cinese sulla situazione cat. in Cina, sulla formazione cat. dei seminaristi, sui requisiti di un buon catechismo elementare e sul contenuto essenziale della C. e della predicazione, viste come “buona novella”, e cioè come un sistema di valori e non come un insieme di obblighi.

2.​​ Negli anni di Manila fondò due riviste: “Good Tidings” e “Teaching All Nations”, scrisse numerosissimi articoli, su “Lumen Vitae” e altre riviste, su temi riguardanti il rinnovamento liturgico e cat. soprattutto nelle missioni. Insistevano sulla viva partecipazione a una liturgia adattata e rinnovata, sul valore cat. e missionario della liturgia, sul carattere missionario del rinnovamento cat. nella sua fase kerygmatica, e sulla formazione cat.-kerygmatica dei sacerdoti, delle suore e dei laici, particolarmente nei territori di missione. Dal 1959 divenne il promotore di Settimane di Studi Internazionali, di cui la prima (Nimega 1959) ebbe per oggetto la liturgia, e le successive la C. La Settimana di Eichstàtt (1960, presso Monaco di Baviera) fu come un lancio ufficiale del movimento kerygmatico nei territori di missione. In quella di Bangkok (1962) inziò una svolta di impronta antropologica, con l’insistenza sui momenti della pre-evangelizzazione e della evangelizzazione, che precedono la C. A Katigondo (Uganda 1964) prevalse l’attenzione all’incarnazione del cristianesimo nella cultura e mentalità africana. A Manila (1967) l’accento sulla dimensione antropologico-culturale nella liturgia e nella C. raggiunse il punto culminante, e a Medellin (1968, Colombia) si aprì la via verso una fase di “impegno politico” anche nella C.

3.​​ Scosso dalla Settimana di Medellin, in cui si era venuto a trovare piuttosto ai margini perché non conosceva la lingua, J.H. si diede allo studio dello spagnolo in modo da poter tenere corsi e conferenze in quella lingua nel Messico e in altri paesi dell’America Latina. Si stabilì quindi negli USA, dedicandosi con zelo soprattutto alla formazione spirituale dei catechisti.

4.​​ Come catecheta di indirizzo kerygmatico, J.H. fu debitore della propria iniziazione al suo maestro J.A. Jungmann, ma egli ne sviluppò il pensiero in esemplificazioni concrete, soprattutto per il mondo missionario, e poi anche per la C. negli USA e in altri paesi. I suoi studi storici, eccettuata la parte centrale della tesi di dottorato, spesso non oltrepassano l’analisi teologico-contenutistica. Tuttavia gli permisero di farsi delle convinzioni profonde sulla natura di messaggio gioioso di salvezza propria del cristianesimo, di cui divenne propagatore convinto e spesso efficace, influendo anche su diversi documenti del Concilio Vaticano II, e in particolare sul DCG. Non aderì sempre pienamente agli sviluppi antropologici del movimento che lui stesso aveva creato, sembrandogli che costruissero un altro edificio a sé stante, quasi privo di fondamento, invece di completare la solida base kerygmatica già esistente.

Bibliografia

Per una bibliografia completa di J.H. cf “Orientamenti Pedagogici» 32 (1985) 3, 441-446.

1.​​ Opere​​ (libri principali e alcuni articoli)​​ Geschichte des Katechismus​​ in​​ Österreich von Canisius bis zur Gegenwart, mit besonderer Berücksichtigung der gleichzeitigen gesamtdeutschen Katechismusgeschichte,​​ Innsbruck-Leipzig, Rauch, 1937;​​ De​​ apta​​ divisione​​ materiae Catecheticae,​​ in “Collectanea​​ Commissionis Synodalis” 13 (Peking 1940) 583-599; 729-749; 845-859; 950-965;​​ In via ad bonum catechismum elementarem,​​ in “Catecheticum” 1 (Tatungfu 1941-42) 94-107; 190-216; 343-356; 427-436;​​ Lebensvolle Glaubensverkündigung,​​ in “Missionskorrespondenz” 8 (1945) 143-203;​​ Nuntius noster.​​ Themata principalia praedicationis christianae, Tientsin, Seminarium Regionale, Kinghsien, 1946;​​ Bausteine zu einer Missionskatechetik.​​ Im Anschluss an Jungmanns “Katechetik”, in “Zeitschrift für Missionswissenschaft und Religionswissenschaft” 38 ( 1954) 343-353;​​ La catéchèse​​ moderne au​​ service​​ des​​ missions,​​ in “Lumen Vitae» 11 (1956) 268-288;​​ The​​ Art​​ of Teaching​​ Christian​​ Doctrine: The Good News and Its Proclamation,​​ Notre Dame, University of Notre Dame Press, 1957​​ (altre edizioni nel​​ 1962​​ e 1967-1968);​​ Evangelization and Catechesis.​​ Aie​​ we really proclaiming the Gospel?, New York,​​ Paulist​​ Press, 1976;​​ Living in the Spirit of Christ,​​ Pecos (New Mexico), Dove Publications, 1977;​​ You Are My Witnesses.​​ Spirituality for Religion Teachers, Huntington, Our Sunday Visitor, 1977;​​ Pastoral Life in the Power of the Spirit,​​ New York, Alba House, 1982;​​ The Catechetical Sputnik​​ (An Autobiography), in M. Mayr (ed.),​​ Modern Masters of Religious Education,​​ Birmingham (Ala.), REP, 1983, 9-32.

2.​​ Studi su​​ Hofinger

L. S. Desai,​​ John Hofinger’s Basic Approach to Catechetics,​​ Rome, Pontifical Salesian University, 1983​​ (tesi);​​ M. C. Ezeokoli,​​ Critical Study of Missionary Catechesis in the Thought of Johannes Hofinger S. J. and of the International Study Weeks on Mission Catechetics organized by him,​​ ivi,​​ 1984​​ (tesi).

Ubaldo​​ Gianetto

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HOFINGER Johannes

HORNEY Karen

 

HORNEY Karen

n. ad Amburgo nel 1885 - m. a New York nel 1952, psicologa tedesca.

1. Dopo la laurea in medicina e la specializzazione in psichiatria porta a termine, presso l’Istituto Psicoanalitico di Berlino, il training psicoanalitico con K. Abraham e H. Sachs. Nel 1919 inizia l’attività privata e diventa membro ordinario dell’Istituto Psicoanalitico di Berlino. Pubblica, fino al 1932 (anno in cui si trasferisce negli Stati Uniti come condirettore dell’Istituto Psicoanalitico di Chicago), diversi lavori in cui è già evidente il suo profondo interesse per problemi di tecnica analitica e per le determinanti culturali della personalità nonché l’insoddisfazione per la teoria psicoanalitica classica. In particolare la H. discute la teoria pulsionale e l’universalità del complesso edipico. Considera inoltre​​ l’angoscia di base,​​ concettualizzata come «il sentimento del bambino di essere isolato e impotente in un mondo ostile» e derivante da fattori sociali e culturali, la condizione primaria per i successivi disturbi di personalità. Nel 1927 sottolinea, nel dibattito sviluppatosi nell’Istituto di Berlino sull’«analisi laica», la necessità di una preparazione medica e psichiatrica.

2. Nel 1935 è lettrice presso la School for Social Research e porta avanti la critica alla teoria pulsionale freudiana attribuendo un’importanza sempre più rilevante all’ambiente e ai fattori socio-culturali nella formazione della personalità. Nel 1941, per le sue tesi sempre più esplicitamente in contrasto con il pensiero psicoanalitico classico, viene sospesa dall’incarico di didatta presso il New York Psychoanalytic Institute: la H. presenta quindi le proprie dimissioni dall’istituto newyorchese e insieme a W. Silverberg e C. Thompson aderisce al gruppo dei cosiddetti «neofreudiani» o culturalisti. Nelle sue ultime pubblicazioni sottolinea l’importanza dell’interazione tra i bisogni fondamentali (il bisogno di avvicinarsi agli altri, di autoaffermarsi e di mantenere la distanza) e le richieste sociali nella formazione della personalità e propone, utilizzando il concetto di immagine idealizzata (definita come una immagine di sé fittizia e illusoria e che indica la distanza o discrepanza tra l’immagine che una persona ha di se stessa e il sé reale della persona) una serie di importanti considerazioni sullo sviluppo del Sé.

Bibliografia

tra le opere di H.:​​ Die Technik der psychoanalytischen Therapie​​ (1917),​​ Maternal conflicts​​ (1933),​​ Psychogenetic factors in functional female disorders​​ (1933),​​ Self-analysis​​ (1942) (Autoanalisi,​​ Roma, Astrolabio, 1971),​​ Feminine psychology​​ (1967) (Psicologia femminile,​​ Roma, Armando, 1973); Bres Y.,​​ Freud et la psychanalyste américaine K.H.,​​ Paris, Vrin, 1970.

F. Ortu - N. Dazzi

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HORNEY Karen
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