GABELLI Aristide

 

GABELLI Aristide

n. a Belluno nel 1830 - m. a Padova nel 1891, pedagogista italiano.

1. Dopo i primi studi a Venezia e aver partecipato nella Guardia nazionale alla difesa della repubblica veneziana di Manin (1848-1849), segue studi di giurisprudenza a Padova, interrompendoli per esigenze familiari e ottenendo una semplice «assolutoria» nel 1854. Comincia allora a far praticantato presso il tribunale e poi a lavorare in uno studio di avvocato, iniziando la collaborazione a periodici giuridici, come «L’Eco dei Tribunali», la «Gazzetta dei Tribunali» e il «Monitore dei Tribunali» da lui fondato. Per sfuggire al servizio militare sotto l’Austria si avvale di un posto di perfezionamento all’Università di Vienna, ricavandone un forte entusiasmo per la riforma protestante, ed è quindi costretto a farsi esule, trasferendosi a Firenze, a Torino, poi a Milano. Divenuto direttore di una scuola tecnica e nel 1865 direttore del Convitto Longone di Milano, si occupa nel 1866 di problemi dell’educazione sul «Politecnico», poi soprattutto sulla «Nuova Antologia» e su «Il Risveglio Educativo». Nominato Provveditore centrale a Firenze nel 1869, Provveditore a Roma dal 1874 al 1881.

2. G. prende parte, con viva attenzione per le scuole straniere, a numerose indagini, inchieste e commissioni ministeriali, preparando nel 1888 gli importanti programmi della scuola elementare, ispirati alla promozione dello «strumento testa» e alla capacità concreta di valorizzazione dei sensi e dell’osservazione. Nel 1886 e poi nel 1891 è eletto deputato della Destra in posizioni socialmente conservatrici, ma rimane sempre in posizioni avanzate in campo culturale, civile e pedagogico. Nel 1869 G. pubblica​​ L’uomo e le scienze morali​​ (Milano, Brigola), opera filosofica divulgativa di stampo empiristico e utilitaristico che propone lo sviluppo del motivo dell’«amor di sé» in quello dell’amore dell’umanità e dell’etica universale, esaltando lo spirito scientifico e il collegamento delle scienze morali, utilizzando la statistica e collegando e società, nell’ispirazione sperimentalistica di un galileismo applicato alle scienze morali stesse.

3. G. è un positivista «metodologico» o «temperato» che si collega alle posizioni di Cattaneo e dell’amico Villari, con ascendenze illuministiche. Al centro è il suo metodo critico e antiaprioristico d’indagine e d’insegnamento, ben distinto dall’impostazione naturalistica e metafisica del pretenzioso positivismo sistematico di fine Ottocento, come è ben lumeggiato nel suo fondamentale saggio​​ Il positivismo naturalistico in filosofia​​ (in «Nuova Antologia», febbraio 1891). In analogia col​​ ​​ Dewey (certo di ben maggiore forza teoretica), G. propone un metodo d’insegnamento critico, sperimentale, antidogmatico di grande modernità, e tutto questo in uno stile chiaro, aperto e divulgativo, che fa dello studioso veneto il maggiore scrittore italiano di cose pedagogiche e scolastiche della seconda metà del secolo scorso, con particolare competenza nel settore della scuola primaria.

4. Apprezzato nel suo tempo, è stato esaltato dagli idealisti, da Gentile in poi, che vedevano in lui un inconsapevole precorritore dell’idealismo, anziché il positivista critico che era realmente. È dopo la seconda guerra mondiale che G. è stato apprezzato nella sua peculiarità di rilevante positivista metodologico, in una ricerca che è tuttora aperta.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ G.A.,​​ Il metodo d’insegnamento nelle scuole elementari d’Italia,​​ Relazione per l’XI Congresso pedagogico italiano, Roma, 1880, Torino, Paravia, 1880 (più volte riedito: cfr. ad es. di recente, a cura di G. Genovesi, Firenze, La Nuova Italia, 1992);​​ L’istruzione in Italia,​​ con introd. di P. Villari, 2 voll., Bologna, Zanichelli, 1891. b)​​ Studi:​​ Lombardi F. V.,​​ G.,​​ Brescia, La Scuola, 1964; Tomasi T.,​​ Società e scuola in A.G.,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1965; Bonetta G. (Ed.),​​ A.G. e il metodo critico in educazione,​​ L’Aquila, Japadre Editore, 1994; Cives G.,​​ La pedagogia scomoda. Da Pasquale Villari a Maria Montessori,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1994; De Vivo F. - P. Zamperlin (Edd.),​​ Nuovi contributi allo studio di A.G.,​​ Padova, Alfa 60 Editrice / Università degli Studi di Padova / Dip. di Scienze dell’Educazione, [1995].

G. Cives

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GABELLI Aristide

GALATEO

 

GALATEO

Nel linguaggio comune il termine evoca il complesso di buone maniere che regolano le relazioni interpersonali e sociali. In tal senso è sinonimo di buona creanza, di garbo, di urbanità, di civiltà, di cortesia, di buona educazione, di proprietà, di correttezza, di gentilezza o, come si dice, di «bon ton» relazionale.​​ 

1. Il termine deriva dalla nota opera di mons. Giovanni Della Casa, intitolata appunto​​ G.,​​ ovvero de’ costumi​​ e uscita postuma nel 1558, dove, ad un giovane «all’inizio del viaggio della vita» si indica «cosa convenga di fare [...] in comunicando ed in usando con le genti». Il titolo, latinizzazione di Galeazzo (Galateus),​​ dice probabilmente la destinazione del libro al giovane Galeazzo Florimonte, vescovo di Sessa. A motivo di questa referenza letteraria, il termine g. è applicato anche ad ogni libro che contenga norme di buona educazione e condotta.

2. La contestazione giovanile e progressista della fine degli anni sessanta del sec. XX, ha stigmatizzato il g. come formalismo vuoto, «bon ton» piccolo borghese, falsità istituzionalizzata, ipocrisia e doppiezza in guanti bianchi; o, nella migliore ipotesi, l’ha visto come gentilezza di facciata, distanza vellutata, distinzione sofistica, senso di superiorità sprezzante. Ma il logorarsi delle procedure del sistema sociale e il manifestarsi vistoso delle patologie di esso, il montare del disagio diffuso e l’allargarsi delle forme di violenza verbale e della volgarità aggressiva, il bullismo giovanile telematizzato, sembrano in questi ultimi anni aver reso cospicua una riemergente e diffusa «voglia di gentilezza» come pure il desiderio di una vita e di una convivenza sociale umanamente serena e dignitosa. La proprietà del linguaggio e la civiltà del comportamento, la ricerca di modi gentili e delicati di essere con sé e con gli altri, sono ricompresi da parte di molti come segno di un vasto bisogno di difesa e di promozione della dignità personale o anche come una forma di rispetto dell’alterità personale e sociale; o ancora come una concreta strategia per modi di essere cittadini all’insegna della correttezza, della trasparenza e della democrazia.

3. In sede propriamente educativa il g. potrebbe non solo aiutare lo sviluppo delle capacità di​​ ​​ comunicazione interpersonale e di efficacia comportamentale nella vita sociale, ma potrebbe dare nuovo senso all’autodisciplina di mente, di cuore e di volontà che una vasta tradizione pedagogica crede di poter indicare come mèta educativa e come strategia alternativa ad una disciplina eteronoma, autoritaria e costrittiva. Un’azione educativa in proposito avrà da dispiegarsi nella direzione dell’istruzione, della motivazione e dell’addestramento, in modo da coniugare l’informazione con la significatività e il «tirocinio» pratico di qualcosa che si mostra come desiderabile ed umanamente degno. Un efficace rinforzo e stimolo potrà venire dalla chiara e significativa testimonianza delle figure educative, dei gruppi sociali e della collettività nella sua globalità. Peraltro l’amara costatazione di prassi contrarie in proposito insinua come tutta la questione assuma una sua dimensione etica, diventi cioè un aspetto di quella «questione morale» che si pone in maniera forte alla convivenza civile del nostro tempo.

Bibliografia

a) Per il testo di G. Della Casa:​​ G.,​​ Torino, Einaudi, 2006. b) Studi: Sotis L.,​​ Bon ton. Il nuovo dizionario delle buone maniere,​​ Milano, Mondadori, 1989; Lerario A.,​​ G. 2000. Garbo,​​ cortesia e buone maniere nella società moderna,​​ Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1991; Cremonese A.,​​ Il​​ libro della buona creanza,​​ Milano, Rizzoli, 1992; Cremaschi M.,​​ Sì grazie,​​ no grazie. Il g. oggi, Milano, Xenia, 1997; Bellinzaghi R.,​​ Il g. oggi, La Spezia, De Vecchi, 2005.​​ 

C. Nanni

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GALATEO

GALTON Francis

 

GALTON Francis

n. nel 1822 a Duddeston - m. ad Haslemere nel 1911, scienziato, naturalista e statistico inglese.

1. Opponendosi all’associazionismo di​​ ​​ Locke e Mill e reagendo a​​ ​​ Wundt (interessato a stabilire le leggi psicologiche universalmente valide), G. dà origine alla psicologia differenziale; fonda un laboratorio antropometrico operando un certo numero di misure su migliaia di soggetti e stabilendo dei rapporti fra tali variabili. Nella rilevazione dei dati G. è estremamente preciso e preferisce la valutazione quantitativa dei fenomeni rispetto a quella qualitativa («Whenever you can, count»). Elabora il primo questionario della​​ ​​ personalità per rilevare le abitudini quotidiane e le preferenze della gente.

2. Adottando la teoria evoluzionistica del cugino Darwin, fonda la genetica comportamentale. Si rende conto del forte peso dei fattori genetici nello sviluppo e nella formazione della personalità come anche della stabilità culturale. Un viaggio in Africa lo convince della superiorità della razza bianca su quella di colore e nota il lento progresso culturale dei diversi popoli. Nello stesso tempo osserva l’interazione tra «natura e cultura», optando però per una maggiore efficacia dei fattori genetici rispetto a quelli ambientali. Su queste osservazioni fonda il suo determinismo biologico. Trova la conferma della sua teoria nella continuità delle caratteristiche straordinarie degli uomini geniali, documentandola con gli «alberi genealogici» di varie famiglie (come quella di Bach). Confrontando le varie caratteristiche dei gemelli mono- e di-zigoti e quelle dei loro fratelli e notando la maggiore somiglianza tra i primi trae ulteriore conferma alle sue ipotesi. In base alla supposta predominanza dei fattori genetici propende per l’eugenetica positiva: scoprire giovani dotati, farli sposare e far procreare loro dei figli ancora più dotati. Su tale proposta Darwin si è mostrato critico in quanto la teoria gli appariva in contrasto con la selezione naturale. G., con il determinismo biologico e con le sue osservazioni sulle persone geniali riportate nell’opera​​ Hereditary genius​​ inculca nell’opinione pubblica la convinzione che l’​​ ​​ intelligenza sia determinata geneticamente e che quindi sia fissa per tutta l’esistenza. In collaborazione con K. Pearson elabora il metodo correlazionale e il metodo della regressione multipla (​​ statistica), mentre per poter confrontare i dati delle molteplici variabili ottenute in misure differenti (chili, centimetri) inventa con lo stesso Pearson i​​ punti z.

3. G., bambino prodigio (a tre anni legge, scrive e studia lat. e fr.), da adulto riesce a liberarsi dai condizionamenti del suo tempo, fonda nuove aree di ricerca e promuove nuovi metodi di indagine; molte sue proposte teoriche sono attuali ancora oggi: si pensi al complesso e tanto discusso rapporto tra natura e cultura (Rogers, 1995).

Bibliografia

G.F.,​​ Hereditary genius: an inquiry into its laws and consequences,​​ London, Collins, 1868 / 1962; in sp.:​​ Herencia y eugenesia, trad., introducción y notas de R. Álvarez Peláez, Madrid,​​ Alianza, 1988; Rogers T. B.,​​ The psychological testing enterprise: an introduction,​​ Pacific Grove, Brooks / Cole, 1995.

K. Poláček

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GALTON Francis

GANDHI Mohandas Karamchand

 

GANDHI Mohandas Karamchand

n. nel 1869 a Porbandar - m. assassinato nel 1948 a Nuova Delhi, uomo politico, filosofo, educatore indiano.

1.​​ Vita e opera.​​ G. nacque in una famiglia indù della casta​​ Vaisya.​​ A​​ 13 anni si sposò; nel 1891 si laureò in giurisprudenza a Londra; andò nel 1893 in Sudafrica in cerca di lavoro. Vedendo la discriminazione razziale, fondò il Congresso Indiano del Natal nel 1894; sfidò la legge discriminativa del governo sudafricano e diede vita al movimento​​ Satyagraha​​ (lotta di non violenza). Al suo ritorno in India nel 1915 fondò la sua​​ Satyagraha Ashram​​ presso Ahmedabad; organizzò lotte politiche non violente contro il governo britannico in India; nel 1919 fondò il settimanale «Young India». Già dal 1920 G. venne chiamato​​ Mahatma​​ (Grande Anima). Tra il 1922 e il 1947, fu coinvolto attivamente nella lotta politica e nella riforma sociale, per creare unità e pace tra i musulmani e indù, e si impegnò per l’abolizione della casta degli​​ intoccabili.

2.​​ Teoria e pratica dell’educazione.​​ Lo scopo ultimo dell’esistenza è l’autorealizzazione, che consiste nel raggiungere la Verità (Dio) o​​ moksha.​​ Per G. non violenza o​​ ahimsa,​​ che non significa mera passività ma forza morale e spirituale, è l’unica via per trovare la Verità. L’ambizione di G. era creare un ordine sociale attraverso le​​ Sarvodaya Samaj,​​ cioè delle comunità di servizio caratterizzate dalla semplicità, rinuncia, uguaglianza, libertà, servizio e sacrifici: una società senza classi e senza stato. Per la realizzazione di questo nuovo ordine G. indicò alcuni programmi concreti, tra cui​​ The Hindustani Talimi Sangh​​ (associazione per l’educazione) considerata la più importante in quanto l’educazione è il mezzo più potente e indispensabile per la creazione del nuovo ordine sociale. Per G. educazione è la formazione totale (del corpo, mente e spirito) dell’educando. L’educazione gandhiana si basa su tre H:​​ Hand​​ - mano,​​ Heart​​ - cuore,​​ Head​​ - testa. Il lavoro manuale, anche il più umile, fa parte essenziale del processo educativo, insegna la dignità di ogni tipo di lavoro, mette lo studente in rapporto diretto col mondo, lo aiuta ad imparare un mestiere per il futuro e a diventare un buon cittadino. A questo riguardo G. era il primo a dare l’esempio facendo egli stesso ogni tipo di lavoro manuale. G. propose un’«educazione di base», obbligatoria, fra i sette e i quattordici anni. Questo schema di «educazione di base» fu accettato e messo in pratica dal Congresso nazionale indiano dal 1938. Alcuni punti salienti di questo schema sono: coeducazione, lavoro manuale obbligatorio per tutti, conoscenza generale che deve precedere l’educazione letteraria; lo studente inoltre deve conoscere le motivazioni di ogni studio e imparare a leggere prima di sapere scrivere. Il gioco ha un ruolo essenziale nel processo di apprendimento e l’istruzione deve essere impartita nella lingua materna, mentre ogni studente deve imparare la lingua nazionale (Hindi);​​ l’educazione religiosa è ritenuta necessaria; ognuno dev’essere aiutato e incoraggiato a vivere nella sua propria religione; lo studente deve imparare un mestiere per la vita futura e gli insegnanti debbono essere animati da uno spirito di servizio e amore. G. considerò il suo schema come l’ultimo e il migliore dono alla nazione; egli fu un vero maestro dell’uomo, di ogni classe o fede, casta o colore, sesso o razza; il suo messaggio educativo ha un valore perenne e universale.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ G. M. K.,​​ Basic education, Ahmedabad, Navajivan Publishing House, 1951;​​ Id.,​​ Towards new education,​​ Ibid., 1953.​​ b)​​ Studi: Patel M. S.,​​ The educational philosophy of M.G., Ibid., 1953; Capitini A., «Introduzione alla pedagogia di G.», in​​ Educazione aperta,​​ vol.​​ I, Firenze, La Nuova Italia, 1967, 171-184; Piatti M.,​​ G. e l’educazione,​​ Bologna, EMI, 1983.

S. Thuruthiyil

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GANDHI Mohandas Karamchand

GEMELLI Agostino

 

GEMELLI Agostino

n. a Milano nel 1878 - m. ivi nel 1959, francescano, psicologo, fondatore dell’Università Cattolica del S. Cuore.

1. Proveniente da un’agiata famiglia lombarda di agricoltori e registrato all’anagrafe con il nome di Edoardo, si laureò in medicina e, in seguito a una profonda conversione, entrò a far parte dell’Ordine francescano, assumendo il nome di Agostino. Ordinato sacerdote nel 1907, prese ad approfondire con impegno e solerzia gli studi di biologia e quelli di psicologia, sottolineando, attraverso la creazione della «Rivista di Filosofia Neoscolastica» nel 1909 e della rivista «Vita e Pensiero» nel 1914, il ruolo fondamentale della riflessione filosofica cristiana per rispondere al riduttivismo positivista e idealista.

2. Particolare attenzione G. riservò allo studio delle condotte delinquenziali, opponendosi fermamente agli studi di antropologia criminale di C. Lombroso, secondo il quale i condizionamenti sarebbero dovuti non solo a componenti ambientali socioeconomiche, ma anche a fattori indipendenti dalla volontà, come l’ereditarietà e le malattie nervose. Una tale prospettiva, a suo parere, annullava del tutto la responsabilità individuale e toglieva ogni spazio significativo al libero arbitrio nell’esperienza di maturazione e di crescita personale.

3. Analizzando l’esperienza religiosa, G. sottolineò la necessità di immedesimarsi profondamente nel vissuto altrui, di guardare con simpatia ad alcuni modelli particolarmente significativi (ad es. s. Francesco d’Assisi, s. Bernardo, s. Giovanna d’Arco), e di evitare di confondere i fenomeni mistici con alcune manifestazioni patologiche. Rispettoso dell’individualità e dell’originalità di ogni persona, G. riconobbe anche l’utilità della scienza psicologica per un discernimento vocazionale, nella consapevolezza che la grazia non prescinde dalla natura umana. A tale scopo, si impegnò perché i direttori spirituali e i responsabili della formazione nei seminari e nelle comunità religiose avessero un’adeguata formazione psicologica, suggerendo anche concreti strumenti diagnostici con i quali individuare eventuali patologie da sottoporre a più approfondito esame da parte di tecnici.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ G.A.,​​ Idee e battaglie per la cultura cattolica,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1933;​​ La personalità del delinquente nei suoi fondamenti biologici e psicologici,​​ Milano, Giuffrè, 1946;​​ La psicologia al servizio del discernimento delle vocazioni e della direzione spirituale dei seminaristi,​​ Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1957;​​ Il francescanesimo, Assisi, Porziuncola, 2000. b)​​ Studi:​​ Sticco M.,​​ Padre G.,​​ Milano, O.R., 1975; Preto E.,​​ Bibliografia di padre A.G.,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1981; Bocci M.,​​ A.G. rettore e francescano. Chiesa,​​ regime,​​ democrazia, Brescia, Morcelliana, 2003; Picicco A.,​​ Padre A.G., Padova, EMP, 2005.

E. Fizzotti​​ 

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GEMELLI Agostino

GENETICA

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GENETICA

È la scienza che studia la trasmissione dei caratteri da una generazione all’altra (detti perciò: ereditari), i meccanismi e i processi che attuano tale trasmissione e le leggi che li governano.

1. In quanto scienza sperimentale, la g. riconosce come fondatore l’abate agostiniano Gregorius Mendel (1822-1884), che coltivò con metodi selettivi e con incroci mirati piante di piselli ed elaborò in termini matematici i risultati delle sue ricerche. Riuscì così a formulare due leggi che governano i fenomeni essenziali della trasmissione dei caratteri e che vengono così enunciate: «legge della disgiunzione o segregazione dei fattori che determinano i caratteri» e «legge della indipendenza degli alleli». Una terza legge definita da Mendel «legge della dominanza» non ha trovato successivo riscontro giacché esistono casi in cui nessuno dei due fattori prevale sull’altro. Questi risultati furono pubblicati da Mendel nel 1866, ma non furono presi in considerazione forse perché in quel tempo egli non era conosciuto come un’autorità scientifica. Successivamente (1900) tre studiosi (H. De Vries, C. Correns e Von Tschermak) riscoprirono indipendentemente le stesse leggi, però con grande lealtà riconobbero la precedenza a Mendel.

2. Numerosi altri scienziati di alto valore si sono succeduti e continuano a succedersi nell’ambito di questi studi che diventano sempre più complessi e più interessanti anche per le numerose applicazioni pratiche che si possono fare. Ricordiamo fra i più notevoli i nomi di W. Johannsen che coniò i termini:​​ gene,​​ genotipo e fenotipo;​​ di W. Bateson che collaborò in modo decisivo allo studio delle variazioni e coniò i termini:​​ allelomorfo,​​ omozigote​​ ed​​ eterozigote;​​ di Th. Morgan con la sua scuola, celebre per gli esperimenti sul moscerino «drosophila melanogaster» e la produzione delle mutazioni.​​ 

3. Oggi si tende a denominare la g. mendeliana come​​ g. formale​​ in quanto prevale in essa l’osservazione e l’interpretazione dei fenomeni più il calcolo matematico, mentre si definisce​​ g. molecolare​​ quella attuale in quanto prevalentemente lavora sulla molecola degli acidi nucleici (DNA ed RNA). Celebri a questo proposito i nomi di F. Crick e J. D. Watson. Attualmente gli apporti di studiosi, soprattutto giapponesi, statunitensi, inglesi e francesi stanno facendo progredire questa scienza in modo vistoso.

4. L’applicazione della g. alla coltivazione delle piante e all’allevamento degli animali è molto diffusa e si possono ottenere nuove varietà nell’ambito della stessa specie. Nell’uomo serve a dare spiegazioni dei fenomeni ereditari e a prevenire molti errori dovuti a matrimoni non compatibili. La g., studiando inoltre l’​​ ​​ ereditarietà di alcune strutture essenziali dell’organismo (il sistema nervoso, il sistema muscolare, il sistema endocrino, il sistema immunitario e l’apparato digerente) indica anche quali saranno i modi fondamentali di reazione dell’individuo per quanto riguarda le forme innate dei riflessi sia semplici che complessi; su questi poi si instaurano forme acquisite di risposta o modalità creative originali che però risentiranno inevitabilmente delle condizioni innate delle strutture di base. Si denomina​​ ingegneria g.​​ lo studio della localizzazione topografica dei genidi nella molecola del DNA e la possibilità di intervenire per correggere eventuali errori naturali. È chiaro che in tal senso bisogna tener conto non solo delle grandi difficoltà che si interpongono al raggiungimento dei singoli genidi, ma anche dell’equilibrio che si deve mantenere nell’insieme dei genidi del patrimonio cromosomico per non determinare scompensi o sconvolgimenti.

Bibliografia

Mintz B.,​​ Genetic engineering in laboratory mammals,​​ Città del Vaticano, Pontificia Accademia delle Scienze, 1984; Serra A. et al.,​​ Medicina e g. verso il futuro,​​ L’Aquila / Roma, Japadre Editore, 1986; Cherfas J.,​​ Ingegneria g.,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1986; Dulbecco R.,​​ Il progetto della vita,​​ Milano, CDE, 1987; Mangia M.,​​ G. e uomo,​​ Bologna, Zanichelli, 1994; Plomin R.,​​ Genetics and experience.​​ The interplay between nature and nurture,​​ London. Sage, 1994; Gallori E.,​​ G., Firenze, Giunti, 2007.

V. Polizzi

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GENETICA

GENITORI

 

GENITORI

1.​​ Dal “principio” l’amore e la vita non cessano di unirsi e fecondarsi, sotto l’azione dello Spirito. Lo stesso amore sponsale è primordiale vocazione dell’uomo e della donna alla comunione e alla generatività. Genitori: essere coautori della genesi di una nuova esistenza. Pertanto da​​ sorgente​​ di vita, l’amore dei G. diventa​​ anima​​ (missione) e perciò​​ norma​​ (responsabilità) che qualifica tutta la loro opera educativa, anche nella fede.

2.​​ Viene così a costituirsi per​​ natura e​​ per​​ sacramento​​ un diritto-dovere dei G.:​​ essenziale,​​ inerente alla trasmissione della vita;​​ originale e primario,​​ nei confronti di altre realtà e responsabilità educative;​​ insostituibile e inalienabile​​ da non poter essere​​ delegabile​​ né​​ usurpabile​​ (va difeso).

3.​​ La Chiesa, alla scuola di Gesù, riconosce valore alla famiglia e alle premure di coloro che sono costituiti con autorità come G. Al tempo stesso la Chiesa ripudia una realtà di famiglia chiusa nella propria autosufficienza e che non sappia aprirsi, oltre la cerchia esclusiva dei propri privati affetti e interessi, alla realizzazione del Regno. Le esigenze del Regno possono infatti richiedere anche il superamento degli stessi vincoli familiari (Mt​​ 10,34-36.37-38).

4.​​ La Chiesa, nello Spirito, riconosce pure che il Signore Gesù continua a compiere oggi la sua opera di profeta e di maestro nelle​​ case,​​ mediante il servizio educativo dei G. (ministero).​​ La stessa grazia e i doni connessi con il sacramento del matrimonio sono effusi sugli sposi perché nel migliore dei modi possano portare a compimento il “ministero” al quale Cristo li ha consacrati, chiamandoli allo stato di vita coniugale. Essi infatti sono “praecones” (LG 11), cioè gioiosi annunciatori con la vita e le parole delle meraviglie di Dio (cf​​ 1 Tm​​ 1,5).

5.​​ Il loro annuncio non è soltanto premessa o supplenza di ciò che altri potranno fare in seguito. Ha una sua efficacia e una sua originalità perché in loro il “magistero della parola” si unisce al “magistero della vita”​​ (cf RdC 152). Così i figli, fin da bambini, possono riconoscere nella loro famiglia, la “Famiglia di Dio” pellegrina in terra, e senza esserne consapevoli, fanno nelle loro case la prima esperienza di Chiesa.

6.​​ È necessario e urgente che, a guisa dei discepoli (At​​ 5,42), i pastori e i loro collaboratori, visitino le case e lì incontrino le persone sia per la C.​​ pre-battesimale, prenuziale,​​ sia per incontri sul Vangelo.

7.​​ Oggi, più di ieri, è difficile e complesso essere G., e assolvere con autorevolezza, competenza e serenità il proprio compito e ministero di paternità e maternità, specie in ordine alla fede dei figli. I G. vanno aiutati, sostenuti, incoraggiati, formati e responsabilizzati dando loro fiducia. Le esperienze più significative e profetiche, oggi, sono quelle che coinvolgono, direttamente e con responsabilità, i G. nella organizzazione, conduzione e impostazione della scuola parrocchiale di catechismo,​​ neWiniziazione cristiana​​ dei loro figli. Essi hanno diritto di conoscere​​ le persone​​ nelle cui mani affidano la fede dei loro figli, i contenuti della C., i modi e l’ambiente che viene a costituirsi in parrocchia.

8.​​ Oggi, più di ieri, si avverte il problema del G. senza partner, che deve provvedere da solo all’educazione cristiana del figlio pur non avendo una vita religiosa piena; o del G. che deve provvedere da solo all’educazione cristiana del figlio in contrasto col proprio coniuge. Nei casi poi, così frequenti, di “paternità separate”, perciò di G. “parttime”, si richiede da parte della comunità cristiana molto amore per i bambini, rispetto per le persone dei loro G., sapienza e comprensione perché i sacramenti dell’iniziazione siano eventi di salvezza, annuncio di buona novella, e non si trasformino in occasioni di rottura o di umiliazione per i bambini. Situazioni del genere possono portare all’emarginazione. Siano invece occasione in cui il pastore e il catechista si fanno epifania e immagine storicizzata del “Pastore buono”.

9.​​ Gli enunciati teologico-pastorali del dopo Vaticano II possono creare attese nei pastori e nelle comunità ecclesiali, che vanno oltre le capacità reali dei G. Nel progetto di Dio la casa è il luogo privilegiato per ricevere la comunicazione della buona novella (cf​​ Dt​​ 6,4-9.20-25). Dire privilegiato non significa esclusivo. Altrimenti la trasmissione della fede apparirebbe come una faccenda “di famiglia”, privata, perciò privilegio di pochi. Non è corretto neppure enfatizzare oggi l’aspettativa che, rivalutando il compito educativo delle famiglie, ritiene che esse siano automaticamente capaci di farsi tramite della comunicazione della fede. I pastori dovranno registrare molte delusioni se si mettono in questa prospettiva. Affermiamo piuttosto che le famiglie sono “dei ministri” (cf​​ 1 Cor​​ 3,5-9).

I G. possono favorire le condizioni affettive e psicosociali che sollecitano e sostengono la crescita nella fede; possono partecipare alla prassi religiosa dei figli, portarli e introdurli nella più ampia comunità ecclesiale, cercando per loro un gruppo, l’oratorio, l’associazione. Non pochi G. riescono anche a intrattenere direttamente dialoghi di tipo cat.; alcuni di loro sono i primi iniziatori dei figli al libro di Dio. Ma tutte queste possibilità sono in concreto realizzabili a patto che le famiglie dispongano di una certa collaborazione, di un più ampio contesto di quello della propria famiglia e cerchia di amici. Abbisognano di un tessuto comunitario che costituisca un insieme di rapporti interpersonali e comunitari, simili a quelli delle​​ comunità di base​​ e dei​​ gruppi familiari.​​ La forza cat. dei G. e della famiglia dipende dalla comunità. E il compito della pastorale nei prossimi anni resterà la formazione di comunità centrate sulle famiglie, ma più ampie delle famiglie parentali.

Bibliografia

CEI,​​ Il Rinnovamento della catechesi,​​ Roma, 1970, 151-152;​​ Codice di diritto canonico,​​ cann. 774 § 2; 867; 914; 798;​​ L’educazione religiosa in famiglia,​​ Brescia, La Scuola, 1975; G. Gatti,​​ Il ministero catechistico della famiglia,​​ Bologna, EDB, 1978; Giovanni Paolo II,​​ Familiaris consortio,​​ Roma, 1981, 36-41;​​ Parrocchia e famiglie. Atti della XXX settimana nazionale del COP,​​ Napoli, Dehoniane, 1980.

Gianfranco Pregni

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GENITORI

Un g. è un padre o una madre; una persona che genera e dà la vita. Oltre alla genitorialità biologica esiste la genitorialità adottiva nella quale il g. non è stato partecipe alla procreazione del figlio, ma, sia in termini giuridici che in termini sociali ed affettivi, viene considerato alla stessa stregua del g. biologico. Diventare g. implica il passaggio da una situazione di coppia ad un’altra realtà molto diversa dalla precedente, in quanto l’interazione non è più solo diadica, ma allargata ad altri membri, i figli, che vengono a far parte della famiglia. Nella nuova concezione della vita matrimoniale si è fatto strada il concetto che il figlio che nascerà sarà il frutto di una decisione consapevolmente presa, almeno il più delle volte, da entrambi i coniugi. Questo costituisce per essi l’inizio del cammino che li porterà a diventare g.

1.​​ Divenire madre.​​ Non è una cosa semplice ed automatica come di solito si crede; non bisogna infatti dimenticare che una madre, prima di assumere questo ruolo, è soprattutto una donna con una propria vita e con un proprio particolare modo di essere e di sentire che dovrà subire un cambiamento nel momento in cui avrà un figlio. Perciò la maternità si presenta come uno dei più importanti momenti che la donna può vivere in quanto, pur essendo un evento naturale e fisiologico, esso rappresenta per lei un periodo critico che mette a dura prova le sue capacità di adattamento, a causa degli importanti mutamenti che avvengono nel suo corpo, nella sua psiche e nelle relazioni sia sessuali che interpersonali. Infatti la donna vive dentro di sé una molteplicità di sentimenti che possono andare dalla paura alla gioia, dall’entusiasmo all’incertezza, dall’accettazione al rifiuto di questo suo nuovo stato che la porterà ad una diversa realizzazione di sé. Si può dire che, sotto certi aspetti, l’amore materno è qualcosa che si forma, e che si apprende, tranne casi particolari, un giorno dopo l’altro; è qualcosa che la futura madre sente nascere dentro di sé, e che si rivolge ad un essere che sente formarsi e crescere pian piano, per nove lunghi mesi.

2.​​ Divenire padre.​​ È un’esperienza simile per quel che riguarda i dubbi e le incertezze, ma di tipo diverso da quella della madre, in quanto un padre sente che con il divenire g. chiude la sua vita di ragazzo ed inizia quella di uomo in cui vi sono nuove e più specifiche responsabilità. Infatti la paternità porta con sé nuove preoccupazioni: il​​ padre ha un accresciuto senso di responsabilità sia dal punto di vista economico che da quello educativo, acquista la sensazione dell’importanza della sua esistenza divenuta necessaria per poter provvedere alla famiglia che si è formata; nasce in lui la paura di essere meno importante per la moglie a causa del figlio e di non poter più avere con lei la calda ed esclusiva intimità dei primi tempi. Tutto, o quasi, si ridimensiona con la nascita del figlio. L’idea del ruolo paterno che si aveva un tempo sta lentamente modificandosi, ed al concetto del «buon padre» che provvedendo al sostegno economico della famiglia si estrania da essa impegnandosi in un lavoro che diventa quasi un alibi per evadere dalla situazione familiare, si va sostituendo quello di un padre presente con i suoi figli, con un nuovo ruolo, una presenza non più autoritaria, ma autorevole ed affettuosa. Si tratta certamente di un compito che implica una ristrutturazione del concetto culturale di uomo, un tempo cristallizzato nelle formule che indicavano il padre come il capo famiglia, la cui autorità era indiscussa e che costituiva la sola indicazione di apertura alla vita sociale. Inoltre, essere g. comporta anche il compito di potenziare la propria capacità di amare.

3.​​ Cambiamenti nella vita di coppia.​​ Sono molte le difficoltà che si presentano alla coppia con la nascita del figlio, e fra queste è da ricordare quella di saper affrontare il cambiamento che subisce la situazione diadica nella quale fino adesso la coppia è vissuta. Infatti uno dei compiti dei g. consiste nel ridefinire i propri ruoli all’interno della vita di coppia e nel riorganizzare la loro relazione. Ciò può essere vissuto come un periodo critico, anche se prevedibile in quanto fa parte dello sviluppo di gran parte delle famiglie, ma non per questo meno difficile a viversi. Infatti il divenire g. rompe anche l’equilibrio della diade coniugale, creando un momento di disorganizzazione, che va superato attraverso l’attuazione di alcuni compiti che porteranno ad un buon adattamento e ad un adeguato funzionamento familiare. Tra questi compiti vi sono quelli di saper far posto al figlio all’interno della vita di coppia, sia dal punto di vista affettivo che per quel che riguarda l’andamento familiare e le cure fisiche che debbono essere prestate al bambino; di definire la comunicazione in modo da poter entrambi esprimere i propri dubbi, le difficoltà e le gioie cosicché nessuno dei due si senta tagliato fuori dalla relazione col figlio; di imparare a risolvere le difficoltà in modo costruttivo ed arricchente senza giungere ad un conflitto più o meno palese; di ridefinire la relazione con la propria famiglia di origine in quanto il ruolo di coniugi è cambiato con l’essere divenuti, a loro volta, g. L’aver scelto di avere un figlio è una decisione importante per entrambi i coniugi, e la nascita del bambino, sia esso maschio o femmina, conferma pubblicamente il loro amore e richiede una loro crescita interiore. Quindi, essere padre e madre vuol dire oggi avere una relazione personale in cui il ruolo dell’uno non si può dissociare da quello dell’altro, e in cui ciascuno è corresponsabile dell’atteggiamento dell’altro nella vita familiare. Questa interdipendenza, non priva di conflitti, dà maggiore responsabilità ai g. nel loro compito di educatori.

4.​​ Comportamento genitoriale.​​ La caratteristica più importante di un adeguato comportamento genitoriale sta nel fornire al figlio stabilità, sicurezza ed affetto, ma a causa di una serie di eventi di carattere psichico, fisico o sociale, può manifestarsi in un g., od in entrambi, la presenza di un’organizzazione cognitiva problematica che può influire sul comportamento parentale ed arrecare danni di varia entità al figlio. Infatti, va tenuto presente che oltre alla modalità di comportamento adottato dai g. verso il figlio, è importante anche il modo in cui questi percepisce ed assimila i loro atteggiamenti e le loro intenzioni. Infatti è attraverso questo processo che giunge a costruire una propria realtà genitoriale che, se positiva, facilita il raggiungimento di una soddisfacente salute psichica.

5.​​ G. di un figlio adottato.​​ È infine necessario fare cenno ad una realtà che diviene sempre più comune, ossia quella di essere g. di un figlio adottato (​​ adozione). Di solito si ritiene che le esperienze vissute da un bambino adottato siano diverse da quelle di un bambino che vive con i g. naturali, come pure si crede che vi siano difficoltà diverse da superare quando si è g. adottivi. In realtà i g. adottivi incontrano difficoltà educative non più grandi, bensì diverse, da quelle che avrebbero con un loro bambino, forse perché può accadere che le caratteristiche insite nella loro famiglia si conformino con qualche difficoltà a quelle di un bambino di diversa provenienza. Alcune volte, poi, può essere difficile per loro rinunciare a veder realizzate, in quel figlio che non è stato da loro generato, i propri sogni e le proprie aspirazioni. Altre volte ancora essi rimangono incerti su quale modalità educativa usare con questo figlio poiché si chiedono se si sarebbero comportati nello stesso modo se fosse stato proprio un loro figlio. Questi ed altri problemi rendono perciò più difficile allevare un bambino adottato, anche se indubbiamente la scelta dell’adozione è stata dettata da un grande ed altruistico amore.

6.​​ La «cura» educativa.​​ Il divenire e l’essere g. comporta dunque, in tutti i casi, una notevole maturità personale e di coppia che deve procedere continuamente verso un arricchimento ed un rinnovamento, avendo come base una grande capacità d’amare. In questo senso si evidenzia la necessità di una particolare «cura» educativa per diventare e per essere g.: sia a livello personale, sia a livello di coppia, sia a livello intra e interfamiliare. In risposta a tale esigenza, negli ultimi anni sono stati pubblicati numerosi libri in cui vengono proposti itinerari per g., allo scopo di sostenerli nel loro agire educativo.

Bibliografia

Binda W., «Dalla diade coniugale alla triade familiare», in E. Scabini (Ed.),​​ L’organizzazione famiglia tra crisi e sviluppo,​​ Milano, Angeli, 1985, 175-201; Guidano V. F.,​​ La complessità del sé. Un approccio sistemico-processuale alla psicopatologia e alla terapia cognitiva,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1988; Cattabeni G.,​​ G. non si nasce,​​ si diventa,​​ in «Famiglia Oggi» 44 (1990) 30-37; Guiducci P. L.,​​ Accogliere la vita nascente. Una scelta totale,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1990; Mastromarino R.,​​ Prendersi cura di sé per prendersi cura dei figli, Ibid., 1995; Bellantoni D.,​​ Ascoltare i figli. Un percorso di formazione per i g., Trento, Erickson, 2007; Bavarese G.,​​ Dal divenire coppia al divenire g., Roma, Aracne, 2007.

W. Visconti

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GENITORI

GENTILE Giovanni

 

GENTILE Giovanni

n. a Castelvetrano (Trapani) nel 1875 - m. a Firenze nel 1944, filosofo italiano.​​ 

1.​​ Vita e opere.​​ Compiuti gli studi liceali a Trapani, s’iscrive alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove ha come professore di filosofia Donato Jaia, suo primo maestro d’​​ ​​ Idealismo, che lo incoraggia ad approfondire anche lo studio della pedagogia. Nei quattro anni di università G. legge i classici della filosofia, gli autori italiani dell’Ottocento, Hegel. Nella tesi di laurea approfondisce il pensiero di​​ Rosmini e Gioberti​​ (1897). Il tema della dissertazione al termine del corso di perfezionamento a Firenze è​​ Dal Genovesi al Galluppi​​ (1898). Studia il pensiero di C. Marx, intervenendo al dibattito che si svolge in Italia dal 1895 al 1900 sul valore del marxismo. Frutto di queste letture e discussioni è lo scritto​​ La filosofia di Marx​​ (1899). L’opera di filosofo e di scrittore fecondo si coniuga, in G., con un forte impegno personale nella scuola: professore di filosofia nei licei di Campobasso e di Napoli e nelle università di Palermo, di Pisa e di Roma; ministro della Pubblica Istruzione (1922-1924). È di questo periodo la riforma scolastica del 1923, nota come «Riforma G.». Aderisce al​​ ​​ fascismo e occupa posti nevralgici nell’ambito culturale: membro del Gran Consiglio, presidente dell’Istituto Treccani, commissario per la Scuola Normale di Pisa, presidente del Consiglio Superiore della P.I. (1926-1928). Dopo il delitto Matteotti, G. rimane fedele al fascismo e aderisce alla Repubblica Sociale Italiana. Viene ucciso da un gruppo di partigiani a Firenze davanti al cancello di casa.

2.​​ Pensiero.​​ La pedagogia di G. è strettamente connessa alla sua concezione filosofica (che egli chiama «attualismo»). Bisogna perciò richiamarne alcuni concetti chiave: la sola realtà solida, che sia dato affermare, e «con la quale deve perciò legarsi ogni realtà che io possa pensare, è quella stessa che pensa; la quale si realizza ed è così una realtà soltanto nell’atto che si pensa. Quindi l’immanenza di tutto il pensabile all’atto del pensare; o,​​ tout court,​​ all’atto; poiché di attuale, per quel che s’è detto, non c’è se non il pensare in atto; e tutto quello che si può pensare come diverso da questo atto, in tanto si attua concretamente in quanto è immanente all’atto stesso. [...] L’atto della filosofia attualistica coincide appunto col nostro pensiero» (G., 1933, 21-22). Non esiste, per G., una realtà che è data e si pone come oggetto di fronte al soggetto. Per lui questo modo di pensare è tipico del realismo che, se ha ragione nel dire che esiste una certa indipendenza degli oggetti d’esperienza dal pensiero, tuttavia non può rivendicarne una totale indipendenza. Tutto, anche la nostra esperienza, non è altro che la realtà stessa del pensiero, cioè la realtà che viene posta in atto o in essere dall’attività pensante. L’attività pensante, d’altra parte, non è condizionata da nulla, neppure dallo spazio e dal tempo; anzi l’universo diventa immanente al pensiero, che lo pensa e si esaurisce in esso senza alcun residuo: ogni realismo e intellettualismo è superato; la libertà dell’io è assoluta perché viene negata l’esistenza di ogni limite esterno. La realtà è spirito, assoluta attività pensante, Atto puro, soggetto trascendentale in cui viene meno ogni contrapposizione e dualità di atto e fatto, oggetto e soggetto, essere e dover essere, pensare e pensato. Lo spirito è autocoscienza che si conquista, riconoscendosi come unica realtà. Perciò legge fondamentale del pensiero e dell’essere è la legge dell’unità.

3.​​ Pedagogia e filosofia.​​ Nel​​ Sommario di pedagogia come scienza filosofica,​​ G. sviluppa in modo sistematico le idee già contenute nello scritto​​ Il​​ concetto scientifico di pedagogia,​​ nel quale l’educazione è definita «formazione dell’uomo secondo il suo concetto». E l’uomo, per G., «non è anima e corpo; ma, poiché è anima, è anima sola; e il suo corpo non esiste se non come un momento dell’anima, nella quale non sussiste se non idealmente» (G., 1908, 23). Educare è quindi formare l’uomo in quanto spirito, cioè soggetto che esiste nell’atto stesso che si pensa, vale a dire che ha coscienza di sé, che è autocoscienza. Si può allora dire che se la pedagogia è scienza dell’educazione e se l’educazione è il farsi dell’uomo secondo il proprio concetto, ne consegue che la pedagogia è scienza dello spirito e in quanto tale coincide con la filosofia. Quindi, qualora sussista una distinzione tra filosofia e pedagogia, ciò dipende dal non saper individuare correttamente i loro oggetti. L’identificazione della pedagogia con la filosofia è, per G., totale. «La distinzione, in verità, regge finché non si veda che lo spirito, oggetto della filosofia è appunto quella formazione dello spirito, che è oggetto della pedagogia. Ma quando per spirito non s’intende se non appunto lo svolgimento, la formazione, l’educazione, insomma, dello spirito, la filosofia stessa (tutta la filosofia, quando la realtà sia concepita assolutamente come spirito) diventa pedagogia, e la forma scientifica dei singoli problemi pedagogici diventa la filosofia» (G., 1914, 14). Perciò tutte le antinomie dell’educazione – essere e dover essere, educatore e educando, autorità e libertà, eteroeducazione e autoeducazione – non hanno più ragion d’essere, perché nella concezione idealistica i due spiriti – educatore e educando – si fondono nell’atto educativo, cioè nel momento in cui c’è o si fa educazione.

4.​​ Influsso e risonanza.​​ L’influsso dell’attualismo sulla cultura italiana nella prima metà del Novecento è stato forte e durevole. L’azione e il pensiero di G., a loro modo, hanno dato sostegno all’attivismo nazionalistico dell’Italia al suo primo decollo industriale, contribuendo allo svecchiamento della cultura e all’apertura internazionale. Ciò è collegabile: a una sua prima collaborazione con Croce nella rivista «Critica»; all’insegnamento universitario; alle molte iniziative culturali da lui avviate («Giornale Critico della Filosofia»,​​ Enciclopedia Italiana,​​ collana di classici di filosofia e di storia); ai legami che l’attualismo stabilisce con il fascismo; alla scuola gentiliana, che annovera tra i primi seguaci G. Saitta, V. Fazio Allmayer,​​ ​​ Lombardo Radice; alla sua spiccata personalità, che lo rende maestro dallo stile inconfondibile, capace di entusiasmare per gli ideali di un umanesimo culturale, personale e sociale. La concezione educativa di G. contribuisce a ridare vitalità e dignità ai valori spirituali, religiosi e umanistici della scuola, liberandola dallo scientismo positivista; a fare del maestro una persona professionalmente preparata, spiritualmente ricca, che utilizza, ma non si lascia irretire nei metodi e nelle tecniche didattiche ben sapendo che il vero insegnamento va oltre e più in profondità. Nella seconda metà del sec. si assiste a un declino dell’attualismo pedagogico, dovuto anche a limiti reali della sua impostazione. La riduzione della pedagogia a filosofia può innescare in ambito pedagogico il mal vezzo dei discorsi retorici e inconcludenti; l’esclusione di ogni dualità o antinomia emargina i soggetti reali dell’educazione e riduce oltremisura la complessità educativa. D’altra parte, in tempi recenti sono valutati positivamente aspetti rilevanti e ancora fecondi dell’opera di G., in particolare «il grande sforzo di elevare ai più alti livelli scientifici e formativi le istituzioni culturali. Per tali aspetti, che vanno al di là delle particolarità di azione didattica e di scelta di contenuti scolastici, il pensiero e l’opera di G.G. sono tuttora vitali e presenti nella cultura italiana del Novecento» (Cavallera, 1995, 51).

Bibliografia

a)​​ Fonti: G.G.,​​ Preliminari allo studio del bambino,​​ Firenze, Sansoni,​​ 91969;​​ Opere filosofiche, Milano, Garzanti, 1991;​​ Lezioni di pedagogia, Firenze, Le Lettere, 2001;​​ Sommario di pedagogia come scienza filosofica. 1. Pedagogia generale.​​ 2. Didattica, Ibid., 2003;​​ La nuova scuola media,​​ Ibid., 2003;​​ La riforma della scuola in Italia,​​ Ibid., 2003;​​ Educazione e scuola laica, Ibid., 2003. b)​​ Studi:​​ Hessen S.,​​ L’idealismo pedagogico in Italia. G.G. e G. Lombardo-Radice,​​ Roma, Armando, 1966; Chiosso G. et al.,​​ Opposizione alla riforma G.,​​ Torino, Quaderni del Centro Studi «Carlo Trabucchi», 1985;​​ G.G. e l’educazione degli italiani,​​ in «Nuova Secondaria» (1988 / 1989) 7, 25-39; Gaudio A.,​​ Educazione e fascismo in alcuni studi recenti,​​ in «Annali di Storia dell’educazione» 1 (1994) 295-302; Cavallera H.,​​ La pedagogia di G.G.,​​ in «Pedagogia e Vita» 53 (1995) 25-51; Colombo K.,​​ La pedagogia filosofica di G.G., Milano, Angeli, 2004.

R. Lanfranchi

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GENTILE Giovanni

GERMANIA

 

GERMANIA

I.​​ Chiesa cattolica

A partire dalla fine della 2a​​ guerra mondiale la Germania è divisa in due stati separati. A causa della diversa struttura sociale e politica, anche la C. e l’IR hanno seguito uno sviluppo diverso. Occorre presentarli separatamente.

I. IR e C. nella ReP. FeD. della germania a partire dal 1945

1.​​ Storia dell’IR scolastico a partire dal 1945.

a) Nello stato nazista l’IR fu tolto dalla scuola e venne sostituito da ore di pastorale dei fanciulli nell’ambito delle parrocchie. Dopo il 1945 l’IR è nuovamente in tutte le scuole. Giuridicamente l’IR è fondato nell’art. 7 della Costituzione (23-5-1949): “L’intera istituzione scolastica è sotto il controllo dello Stato” (7.1). “I responsabili dell’educazione hanno il diritto di decidere la partecipazione del fanciullo all’IR” (7.2). “In tutte le scuole pubbliche, ad eccezione di quelle aconfessionali, l’IR è materia ordinaria. Nel rispetto del controllo da parte dello Stato, l’IR è secondo i principi delle comunità religiose. Nessun insegnante può essere costretto contro la propria volontà all’IR” (7.3). Anche se l’IR, in continuità con la Costituzione di Weimar del 1919, è considerato materia ordinaria, lo studente, tramite i genitori se è sotto i 14 anni, ha il diritto dell’esonero. L’IR può determinare il passaggio a un’altra classe e può perfino essere scelto come materia per la maturità. Nelle scuole pubbliche l’IR è integrato nella struttura scolastica statale. Le Chiese però rimangono corresponsabili per i contenuti e le finalità dell’IR. Esse concedono il nulla osta per l’introduzione di programmi e per la pubblicazione di mezzi didattici. L’insegnante di religione può insegnare tale materia solamente quando ha ottenuto dal vescovo competente la “missio canonica”, vale a dire “l’incarico di un insegnamento ufficiale in nome della Chiesa”. Sulla base del cit. art. 7.3 della Costituzione, l’IR ha carattere confessionale. L’interpretazione di questo art. da parte dei giuristi non è però univoca, ed ha portato a diverse concezioni dell’IR. Il punto di vista cattolico è formulato nel Decreto del Sinodo di Wiirzburg:​​ L’insegnamento della religione nella scuola​​ (1974). Secondo questo documento occorre che “nell’IR nella scuola pubblica gli insegnanti, la dottrina e, normalmente, anche gli allievi appartengano a una confessione” (2.7.4). Nella prassi della scuola non è più possibile sostenere i tre punti richiesti, per es. nel liceo oppure nella diaspora.

b) La fase della ricostruzione dell’IR confessionale dopo il 1945 si è svolta totalmente nel segno del “rinnovamento kerygmatico dei contenuti”. Gli impulsi determinanti vennero dalla teologia dell’annuncio (H. Rahner et al.). Il libro di J. A. Jungmann,​​ Die Frohbotschaft und unsere Glaubensver kündigung,​​ pubblicato nel 1936, è stata la scintilla iniziale per mettere in moto il rinnovamento kerygmatico dei contenuti della pedagogia religiosa In questo contesto l’IR è concepito come C. o come insegnamento della fede. Al centro non si trovano più, come era ancora nei primi vent’anni di questo secolo, i metodi, bensì i contenuti. Gesù Cristo come salvatore e la storia della salvezza funzionano come principi di concentrazione dell’insegnamento religioso.

Questa concezione della pedagogia religiosa si è condensata in nuove → Bibbie scolastiche (p. es. il​​ Reich-Gottes-Bibel​​ del 1957), nel →​​ Catechismo Cattolico​​ del 1955, nel​​ Rahmenplan​​ (programma-quadro) per l’insegnamento della fede del 1967. Questo programma concepisce l’IR come annuncio e come iniziazione alla Chiesa; esso costituisce il punto culminante, e nello stesso tempo l’ultimo atto della C. kerygmatica. A causa di questa concezione, l’IR è venuto a trovarsi in una profonda crisi nell’ambito di una scuola pluralistica: era sentito come Chiesa nella scuola e quindi come corpo estraneo nel canone delle materie scolastiche.

c) Verso la fine degli anni ’50, al tradizionale “insegnamento della storia sacra”, con il suo metodo di strumentalizzazione cat., subentra l’insegnamento della Bibbia, che attribuisce anche una importanza decisiva alla figura linguistica della Scrittura. I metodi e i risultati della esegesi critica vengono sempre più introdotti nell’IR; si tiene comunque conto del punto di maturazione in cui gli studenti si trovano. La spiegazione della Bibbia a partire da testi biblici è proclamata in forma così esclusiva come principio didattico fondamentale, che H.​​ Halbfas poté​​ caratterizzare l’IR cristiano come essenzialmente biblico​​ LFundamentalkatechetik).​​ Il dilemma dell’IR ermeneutico consiste nel fatto che, da un lato, intende essere un insegnamento impostato secondo i principi didattici generali, da un altro lato postula comunque come finalità dell’IR “l’iniziazione all’incontro credente con la Parola di Dio” (G.​​ Stachel).

Verso la fine degli anni ’60 si fece sempre più insistente la critica all’indirizzo del “katechetischer Exegetismus”. Già nel 1966 H. B.​​ Kaufmann​​ (evangelico, prof, di pedagogia religiosa ) formulò la domanda critica: “La Bibbia deve essere al centro dell’IR?”. In questo modo si introdusse una nuova epoca nella concezione dell’IR, che sarà nel segno del cosiddetto “Problemorientierter Religionsunterricht”​​ (IR a partire da problemi).

d) Dal Concilio Vaticano II viene accolta l’apertura antropologica, già preparata da K. Rahner ed altri teologi. Assai presto essa fu accolta anche dalla pedagogia religiosa e dalla catechetica. In tal modo è l’uomo in quanto destinatario della rivelazione che viene a trovarsi al centro dei processi di apprendimento religioso. La fede viene ora concepita come offerta di umanità nel nostro mondo contemporaneo. L’educazione religiosa può dare un contributo decisivo al raggiungimento di questo fine (A. Exeler). La svolta antropologica applicata all’IR fa sì che si presti maggiore attenzione all’allievo; viene ora richiesto uno “Schülerorientierter Religionsunterricht”​​ (IR orientato verso l’allievo). Nella teoria curricolare, proveniente dall’ambito anglosassone, presto accolta anche nell’IR, il punto di partenza non sono più i contenuti, ma le situazioni di vita dell’allievo. L’insegnamento deve qualificare l’allievo per confrontarsi con le situazioni attuali e future della vita. Gli obiettivi diventano prioritari rispetto a contenuti e metodi. Se finora i contenuti venivano desunti dalle corrispondenti discipline scientifiche, adesso invece vengono determinati prioritariamente in riferimento al mondo vitale dell’allievo.

La domanda fondamentale suona: Come ricollegare le esperienze dell’allievo di oggi con le esperienze di fede della tradizione cristiana? (Didattica della → correlazione). In questo contesto il Decreto del Sinodo di Wiirzburg sull’IR (1974) assume una posizione chiave. L’IR è concepito come materia scolastica, fondata sia dal punto di vista pedagogico che teologico, corrispondente ai comuni interessi della scuola e della Chiesa. La gamma degli obiettivi dell’IR prospettati in questo documento deve servire “per dare una più chiara identità dell’allievo e offrire orientamenti per decidersi di fronte alla fede e per impostare la propria vita” (2.5.2). Il modello della convergenza proposto dal Sinodo (IR nel punto d’incontro tra fondazione antropologico-pedagogica e teologico-critica) ha contribuito in modo determinante al consolidamento dell’IR nella scuola e ad una crescente stima nella vita pubblica.

Anche i due → “Zielfelderplàne” (programmi di aree di obiettivi), pubblicati dal DKV rispettivamente per la secondaria inferiore (1973) e per la scuola elementare (1977) hanno dato un contributo non indifferente alla rinnovata stima dell’IR. Questi programmi seguono il metodo degli obiettivi didattici e prendono sul serio le esperienze degli studenti. Sulla base di questi programmi sono stati realizzati negli anni successivi altri programmi-quadro regionali. Così pure materiali didattici, in parte anche di alto livello didattico. Per l’insegnamento della Bibbia la Conferenza episcopale tedesca ha pubblicato a partire dal 1979 una​​ Bibbia per la scuola elementare​​ (→ Bibbia per la scuola) e una​​ Bibbia per ragazzi​​ dai 10 ai 14 anni. Va però notato che la loro funzione didattica è molto discussa. L’insegnante di religione dispone attualmente di una offerta di materiali didattici enormemente estesa, che gli rende difficile la scelta. È vero che tutti i materiali recenti per l’IR si preoccupano dei “rapporti reciproci, critici e produttivi, tra la tradizione della fede e le nuove esperienze” (F. J. Nocke), occorre però aggiungere che finora praticamente non vi sono modelli di una correlazione didattica veramente riuscita. Questo vale anche per il​​ Grundlagenplan​​ (Programma di base) pubblicato nel 1984 per l’IR dalla 5a​​ alla 10a​​ classe, in sostituzione del Zielfelderplan del 1973. L’attuale IR nella scuola continua a soffrire sotto un flusso di parole e una grande quantità di testi. Perciò la richiesta di un maggiore uso di elementi non verbali nell’IR diventa sempre più forte.

Più decisivo ancora è l’insegnante di religione in quanto persona. A lui si attribuisce la funzione di testimone; anzi, la sua attività viene interpretata come “servizio pastorale”. Attualmente si delinea con sempre maggiore chiarezza la tendenza ad invertire la marcia rispetto allo sviluppo che l’IR ha conosciuto negli ultimi 10-15 anni. Appellandosi ai recenti documenti romani, si insiste nuovamente sulla completezza della dottrina, e viene richiesta una struttura sistematica della C. L’IR deve ricuperare la sua funzione cat., vale a dire deve iniziare alla fede e introdurre alla Chiesa. I contenuti devono nuovamente essere prioritari rispetto agli obiettivi; occorre di nuovo imparare, e perfino imparare a memoria, poiché il sapere religioso dello studente al termine della scuola è spaventosamente basso. E così la richiesta di un Catechismo diventa sempre più forte anche se le esperienze con i due catechismi (Botschait des Glaubens,​​ del 1978, e​​ Grundriss des Glaubens,​​ del 1980) nell’ambito della scuola sono tutt’altro che positive. Il problema più grave con il quale si vede attualmente confrontato l’insegnante di religione è la crescente indifferenza religiosa della maggior parte degli studenti. Rompere questa indifferenza sarà il compito più urgente dell’insegnamento religioso.

e) Per la trasmissione della fede nell’ambito della scuola l’IR deve fare i conti con la composizione eterogenea degli allievi e con i limiti didattici inerenti all’apprendimento religioso. I limiti sono tali da rendere indispensabile una offerta integrativa rispetto all’IR. Già il Sinodo di Wiirzburg aveva constatato: “L’IR nella scuola pubblica non è in grado di fare tutto ciò che è richiesto dall’educazione della fede. Esso deve essere integrato da strutture extrascolastiche per studenti interessati” (3.9). In alcune scuole pubbliche, ma soprattutto nelle scuole cattoliche, i responsabili della pastorale della scuola offrono, fuori dell’orario scolastico, agli studenti, ai genitori e agli insegnanti alcune altre iniziative: gruppi di discussione, gruppi di lavoro; giornate di ritiro, celebrazioni liturgiche. La funzione del pastore scolastico non è legata inseparabilmente alla persona dell’ecclesiastico; anche laici possono assumere questa funzione. L’organizzazione della pastorale della scuola nella Rep. Fed. della Germania è ancora agli inizi, e la maggior parte delle scuole non conoscono questa istituzione.

2.​​ L'origine della C. parrocchiale nella R.F.G. a partire dal 1945.​​ Per C. parrocchiale intendiamo l’insegnamento della fede affidato alla parrocchia e rivolto a tutte le fasce di età. Infatti l’apprendimento religioso costituisce un processo che dura tutta la vita. Impulsi significativi per il lavoro cat. nelle parrocchie sono scaturiti, contrariamente alle aspettative, dal documento di lavoro del Sinodo​​ Das​​ katechetische Wirken der Kirche​​ (L’azione cat. della Chiesa). In questo documento di lavoro la C. è caratterizzata come funzione dell’intera parrocchia. Quest’ultima non è soltanto destinataria ma anche soggetto del servizio cat. Fine supremo della C. nella prospettiva del Sinodo è “aiutare l’uomo affinché, ascoltando Dio e rispondendo al suo appello, riesca nella sua vita. Colui che è desideroso di credere deve trovare nella C. un mezzo per giungere a una fede riflessa, capace di modellare la sua esistenza” (3. e 3.1).

Al centro delle attività cat. deve trovarsi la formazione degli adulti. Un’attenzione particolare merita la C. dei genitori. Finora però non si è riusciti a coinvolgere adeguatamente i genitori in una C. sistematica. Anche le offerte di formazione teologica degli adulti non hanno trovato finora la ampia risonanza che si sperava. Il punto gravitazionale della C. parrocchiale è ancora l’iniziazione dei fanciulli alla penitenza, all’eucaristia e alla confermazione. Nella maggior parte delle parrocchie vi sono inoltre messe per fanciulli e messe per famiglie; la loro organizzazione è in larga misura nelle mani di collaboratori laici (catecheti). La riscoperta della comunità come vero luogo della C. ha fatto nascere molti carismi cat. tra i membri della parrocchia, il che ha conferito una nuova vitalità alla medesima. Finora non è soddisfacente la collaborazione tra IR e C. parrocchiale. I due luoghi dell’apprendimento religioso esistono in larga misura l’uno accanto all’altro, senza che si giunga a fruttuosa collaborazione; da ambedue le parti c’è troppa paura del contatto. C’è però il rischio che la parrocchia spenda tutte le forze ed energie nella organizzazione della C. parrocchiale e non si senta corresponsabile anche per l’IR nella scuola.

II. Sviluppo della C. e dell’IR nella DDR a partire dal 1945

Un andamento molto diverso ha seguito l’insegnamento della fede nella Chiesa cattolica della Germania dell’Est, alle prese con uno stato socialista e ateo, il quale ha scritto nella sua bandiera: “Lotta senza compromessi contro tutte le manifestazioni di ideologia borghese” (Statuì der Sozial. Einheitspartei Deutschlands. Praambel, Berlin, 19763, 5). Questa ideologia borghese comprende soprattutto la religione, che il marxismo intende superare, per superare l’alienazione dell’uomo. Teoricamente la Costituzione garantisce “libertà di fede e libertà di coscienza” (Verfassung der DDR, art. 20), ma la Chiesa nella parte orientale della Germania non gode le stesse libertà democratiche che sono presenti in Occidente. Di conseguenza essa è costretta a costruire un proprio sistema di educazione religiosa Poiché la scuola nella DDR considera quale finalità degli interventi pedagogici “l’educazione comunista della gioventù”, è ovvio che non ci può e non ci deve essere alcun IR nella scuola. Perciò tutti i processi di educazione religiosa si sono trasferiti nell’ambito delle circa 1000 parrocchie e centri pastorali delle sei circoscrizioni giuridiche della DDR, e quindi la distinzione corrente nella Rep. Fed. della Germania tra IR e C. parrocchiale viene meno.

L’IR organizzato dalle parrocchie ha nello stesso tempo finalità cat., vale a dire: insegnamento e annuncio coincidono. La C. parrocchiale si fa una volta la settimana ed è divisa secondo anni scolastici fino alla​​ 10a​​ classe. Si orienta su un programma-quadro comune e obbligatorio. I materiali per realizzarlo sono però molto scarsi e vengono pubblicati presso il St. Benno-Verlag, Leipzig. Esiste una antologia biblica​​ Gotteswort​​ (Parola di Dio) per la C. biblica. Per il primo anno della scuola elementare c’è un testo di religione con il titolo​​ Kinder Gottes​​ (Figli di Dio), al quale dovranno seguirne altri. Per la C. della fede nella scuola secondaria è uscito nel 1984 una redazione adattata del catechismo​​ Grundriss des Glaubens, e​​ per la​​ 9a​​ e​​ 10a​​ classe ci si serve del libro​​ Glaube aktuell​​ (Fede oggi).

In molte parrocchie c’è un’attività cat. per i bambini della scuola materna; essa è affidata a una educatrice, una assistente pastorale o una madre di famiglia; la​​ Caritas​​ ha messo a disposizione materiali didattici per questa C.

Di grande rilievo per la educazione religiosa sono le cosiddette Settimane religiose per fanciulli (RKW), organizzate praticamente in tutte le parrocchie della DDR durante le vacanze estive. Esse sono una componente stabile della pastorale dei fanciulli, ed offrono la possibilità di incontrare una volta all’anno i fanciulli fino alla​​ 7a​​ classe, e di fare con loro un discorso religioso molto intensivo. Per l’organizzazione di queste settimane vi sono ampie guide, seguite in tutte le parrocchie, con riflessioni, stimoli metodici, abbozzi di celebrazioni liturgiche in riferimento alla tematica globale della settimana. Mamme senza professione, studenti di teologia, tirocinanti della scuola materna collaborano per la realizzazione di queste settimane.

In alcune parrocchie si cerca una continuazione delle RKW realizzando settimane religiose per ragazze e ragazzi della​​ 9a​​ e​​ 10a​​ classe. Anche le messe per fanciulli ogni domenica e/oppure le messe per famiglie rivestono una importante funzione cat.; accanto all’IR settimanale e le settimane estive costituiscono un valido contributo aU’insieme della educazione della fede nella Chiesa cattolica della DDR. Rispetto alla Germania occidentale la partecipazione dei laici è piuttosto scarsa; alcune madri di famiglia sono occasionalmente coinvolte nella preparazione alla prima comunione; per la C. della confermazione in molti posti vi sono giovani e adulti che aiutano come animatori di gruppi della confermazione (cf A.​​ Althammer,​​ La trasmissione della fede nella Repubblica democratica tedesca,​​ in “Concilium” 20 [1984] 4, 161-173 [711-723]).

Bibliografia

G. Baudier,​​ Germania​​ R.​​ F.,​​ in​​ Scuola e religione,​​ vol. 1:​​ Una ricerca internazionale,​​ Leumann-Torino, LDC, 1971, 191-263;​​ Das​​ katechetische​​ Wirken der Kirche,​​ in​​ Gemeinsame Synode der Bistümer in der BRD. Offizielle Gesamtausgabe,​​ vol.​​ 2, Freiburg, Herder, 1977, 31-97;​​ Der Religionsunterricht in der Schule,​​ ibid.,​​ vol.​​ 1, 19762, 113-152 (trad. ital.:​​ Scuola e insegnamento​​ della​​ religione,​​ Leumann-Torino, LDC, 1977);​​ D.​​ Emeis – K. H. Schmitt,​​ Grundkurs Gemeindekatechese,​​ Freiburg, Herder, 19832; W. G. Esser (ed.),​​ Zum Religionsunterricht morgen,​​ 5​​ vol.,​​ München-Wuppertal, 1970-1975; E. Feifel et al. (ed.),​​ Handbuch der Religionspädagogik,​​ 3​​ vol.,​​ Gütersloh, G. Mohn, 1973-1975;​​ Grundlagenplan für den katholischen Religionsunterricht im 5. bis 10. Schuljahr.​​ Revidierter Zielfelderplan, München, DKV, 1984; H. Halbfas,​​ Fundamentalkatechetik,​​ Düsseldorf, Patmos, 1968 (trad. it.​​ parziale​​ della prima ediz.:​​ Linguaggio​​ ed​​ esperienza nell’insegnamento​​ della​​ religione,​​ Roma-Brescia, Herder-Morcelliana, 1970); W. Nastainczyk,​​ Katechetik. Grundfragen und Grundformen,​​ UTB 1245, Paderborn 1983; K. Wegenast,​​ Religionspädagogik,​​ vol.​​ 2:​​ Der katholische Weg,​​ Darmstadt 1983;​​ Zielfelderplan für den katholischen Religionsunterricht der Schuljahre 5-10​​ (Sek. I).​​ Grundlegung,​​ München, DKV, 1973;​​ Zielfelderplan für den katholischen Religionsunterricht in der Grundschule. Grundlegung,​​ München, DKV, 1977.

3.​​ Deutscher Katecheten Verein.

Ralph Sauer

II.​​ Chiesa evangelica

1.​​ La politica della RFG prevede, accanto alla C. in senso stretto, organizzata dalla Chiesa (per es. sotto forma di C. in vista della confermazione o di servizio religioso per fanciulli), anche l’IR scolastico. L’IR, “materia ordinaria” nella scuola pubblica, è separato secondo le confessioni e gestito in collaborazione fra Stato e Chiesa. Per quanto riguarda i contenuti e i metodi, molti concepiscono (in modo piuttosto pragmatico) la C. in riferimento alla dottrina della Chiesa e alla vita parrocchiale, mentre l’IR viene visto in riferimento al compito formativo della scuola.

2.​​ In pratica però si verificano a volte delle sovrapposizioni. Dal 1945 al 1965, sia la C. che l’IR sono stati caratterizzati soprattutto dalla “Evangelische Unterweisung” (insegnamento evangelico) che aveva un orientamento prevalentemente biblico ed ecclesiastico. Questo avveniva già nel 1900 circa, nella pedagogia religiosa del “protestantesimo culturale” col suo tentativo di trasmettere la religione attraverso la formazione scolastica e la cultura. Anche il cosiddetto “Hermeneutischer​​ RU” (IR ermeneutico) degli anni ’60, che si interessava maggiormente alla “comprensione” della tradizione biblica e si voleva prudentemente distanziare dalla Chiesa, non fece una distinzione di principio tra C. e IR.

3.​​ A metà degli anni ’60, più per motivi derivanti dalla politica dell’istruzione e dalla filosofia sociale e meno per motivi di natura pedagogica e teologica, si cercò di distinguere maggiormente tra C. e IR. Si voleva che nell’ → IR di una “scuola per tutti”, al posto di una interpretazione della religione a partire da una teologia confessionale, subentrasse un concetto di religione piuttosto antropologico e sociologico (“religione” come fenomeno “generale”, che riguarda tutti gli esseri umani). Invece di un orientamento basato sulla Bibbia o eventualmente sulla tradizione, l’IR doveva avere “un orientamento basato su problemi”. Con ciò si intendeva dire che si sarebbe dovuto partire soprattutto dai problemi socio-politici: la “fede cristiana” era quindi considerata soltanto come “potenziale di soluzioni” accanto ai contributi delle altre religioni e alle concezioni del mondo. Insieme a idee dell’illuminismo dei sec. XVIII e XIX, impulsi derivanti dal neomarxismo determinavano queste concezioni “emancipatone”, che poi si ripercuotevano anche sulla C.

Comunque, sia per la C., sia per l’IR, l’educazione religiosa non doveva più essere un inserimento vitale nella tradizione cristiana, ma soprattutto elaborazione critica della “socializzazione religiosa” finora ricevuta (per es. il “Therapeutischer RU”, IR terapeutico), una critica alla tradizione religiosa come tale e in ultima analisi alla stessa società. L’”emancipazione” come categoria centrale accostava sia la C. che l’IR ad un insegnamento politico critico verso la società. Se una volta erano principalmente la teologia, la filosofia e la psicologia le “scienze-guida” dell’IR e della C., ora invece subentrano la sociologia (soprattutto nel suo aspetto socio-filosofico) e la politologia. L’”educazione” è intesa come → “socializzazione”.

4.​​ Negli anni ’70 ci si accorse che un “concetto generale di religione”, che prescindeva dalla tradizione cristiano-confessionale, era una costruzione antistorica. Nell’ambito della nostra cultura la “religione” è inseparabile dalla tradizione cristiana. Si dovette anche riconoscere che una “teoria della socializzazione” con carattere universale e vincolante non esiste. Vi è soltanto una quantità di concezioni e di programmi dipendenti dalle diverse scienze di riferimento (per es. → sociologia, psicologia, psicologia sociale, psicanalisi, ecc.).

Per uscire da queste aporie si fece sempre più uso, negli anni ’70, anche nella C. protestante, del concetto di → “esperienza”. Il termine “esperienza” ha però diversi significati. Per questo è decisivo sapere a partire da quale scienza l’esperienza viene compresa. Non è per nulla chiaro quale rapporto hanno fra loro l’esperienza umana, l’esperienza religiosa, l’esperienza biblica. Si constata per es. che nella teologia e nella C. dei cattolici romani e degli anglosassoni vi è un passaggio continuo dall’antropologia alla teologia e dalla religione alla rivelazione cristiana. Nel protestantesimo invece si trovano modelli che preferibilmente insistono sulla differenza (per es., una più netta distinzione tra rivelazione ed esperienza).

5.​​ Fra i tentativi di trovare mediazioni fra rivelazione ed esperienza va segnalato anche il ritorno, nella C. e nell’IR, a modelli ricavati dalla psicologia dell’ → età evolutiva. La psicologia evolutiva, costruita sulla falsariga dello sviluppo biologico (teoria delle fasi) e rifiutata soprattutto dalla pedagogia di matrice sociologica, si è ulteriormente sviluppata nella cosiddetta “analisi biografica”. Teorie molto complesse si fanno strada. Per es., si cerca di mettere in collegamento una psicologia evolutiva di tendenza psicanalitica, che si ispira a Freud, con concetti di psicologia cognitiva (per es. Jean Piaget), costruendo su questa base modelli di apprendimento morale utili per l’IR. Finora però non si è giunti a progettare una teoria dell’IR o della C. basata su questa psicologia evolutiva, che abbia ottenuto un riconoscimento universale. Ci si può chiedere se a questo fine sia utile per es. l’interpretazione della religione come “ricerca di senso”.

6.​​ In non poche concezioni della C. e dell’IR la categoria → “senso” non appare soltanto come un semplice concetto appartenente all’antropologia, alla psicologia o alla teoria sistematica ma come “cifra” per indicare Dio. È probabile che questo uso linguistico risalga alla filosofia della religione di Paul Tillich. Per lo meno si può dire che in questo modo si cerca (fra l’altro anche per motivi di legittimazione) di usare la ricerca di senso come mediazione fra tradizione e mondo contemporaneo, e di fondare un concetto di “religione” che non coincida necessariamente con quello tradizionale cristiano. Il termine “senso”, come “cifra” per indicare Dio o il problema di Dio, deriva in primo luogo dall’”illuminismo sociologico”, secondo il quale il “senso” non è immanente al mondo, né gli è stato dato da Dio fin dal principio, ma deve primariamente essere creato dall’azione umana. È anche noto che la ricerca di senso è connessa con la problematica del nichilismo tematizzata per es. da F. Nietzsche.

7.​​ Il “Konfirmandenunterricht” (KU, preparazione in vista della → confermazione) è una delle componenti principali dell’educazione religiosa evangelica. Ha dietro di sé una storia tormentata: ogni epoca ha proiettato su di essa valori e norme teologici, pedagogici e sociali, come pure il suo modo di sentire e le sue forme di pietà e di vita. Nella prospettiva storica troviamo diversi filoni tradizionali che si sono mescolati fra loro: il modello dottrinale del KU (insegnamento del catechismo), il modello ecclesiologico (iniziazione pratica alla dottrina e alla vita della Chiesa e della comunità), il modello personale (cura d’anime e rinnovamento delle promesse battesimali) e il modello confessionale (confermare la propria appartenenza alla Chiesa). Oggi si presentano ulteriori forme: il modello socio-pedagogico (sostegno nella socializzazione, orientamento negli stati di bisogno), il modello pastorale, nel senso di una cura d’anime che consiglia e accoglie (esperienza di sé, identità personale) e il modello parrocchiale (la comunità locale come luogo di esperienza e di apprendimento).

Tutte queste tendenze accostano il KU allo Jugendarbeit (movimenti-attività giovanili) della Chiesa. Proprio in questo il KU si deve distinguere dall’IR. Molto spesso però si dimentica in tutto ciò che IR, KU e movimenti giovanili sono determinati da condizionamenti sociali, da strutture di comunicazione e da forme organizzative diverse che non possono essere confuse tra loro. Il KU non potrà rinunciare all’insegnamento nel senso stretto del termine con la sua accentuazione dell’aspetto cognitivo (dottrina): introduzione alla Bibbia, catechismo, innario, nozioni ecclesiastiche, liturgia e diakonia ne sono componenti centrali. Non è possibile sostituirli arbitrariamente con altri elementi. A differenza dell’IR, il KU ha la possibilità, per es. attraverso giornate di ritiro, preparazione comunitaria del Servizio religioso e attività pratiche, di avviare più intensamente alla vita della comunità cristiana. Questo praticamente non è possibile nell’IR scolastico.

Inoltre, è importante lo stretto collegamento fra KU e pastorale dei genitori: sostegno del KU suscitando l’interesse dei genitori, confrontandoli nuovamente con i problemi della fede cristiana e usando la pastorale della Confermazione come mezzo di sviluppo della comunità. Nuovi regolamenti per il KU prevedono anche l’attiva partecipazione di altri collaboratori della comunità che non sia il pastore (per es. anche dei genitori). Questo dovrebbe permettere di controbilanciare la tradizionale tendenza del pastore ad accentrare a sé il KU. In questo sviluppo vi sono interessanti paralleli con la preparazione alla prima Comunione e alla C. per la → confermazione nella Chiesa cattolica romana.

Per quanto riguarda il “Servizio religioso per fanciulli”, va notato che esso fra l’altro risale alla tradizione dell’insegnamento del catechismo e della cosiddetta → scuola domenicale, avendo come fine un’opera missionario-cat. della Chiesa verso i fanciulli. Nel corso del tempo il Servizio religioso per fanciulli ha subito diverse trasformazioni. L’arco va dall’iniziazione al Servizio religioso per adulti, da un insegnamento a gruppi secondo l’età del fanciullo, da una predicazione per fanciulli, fino a tentativi di introdurre certe forme di lavoro fra i giovani (per es. giochi e attività manuali) nel Servizio religioso per fanciulli. Nel frattempo sembra che l’elemento cultuale guadagni terreno. Non soltanto nella Chiesa evangelica tedesca si sta diffondendo la “Santa Cena con i fanciulli”. A differenza della “Santa Cena per i fanciulli”, si tratta del fatto che i fanciulli insieme ai genitori e ai padrini partecipano alla Santa Cena già prima della Confermazione, che finora era il presupposto per l’ammissione alla Santa Cena. Ad ogni modo la partecipazione al Sacramento dell’altare presuppone “conoscenza e intendimento”. In che modo tale preparazione debba farsi non è ancora chiarito.

Una forma ulteriore di C. è costituita dal “Servizio religioso per famiglie”, nel quale si cerca di introdurre elementi del Servizio religioso per fanciulli in quello per adulti, per giungere in tal modo ad una celebrazione in comune.

8.​​ La discussione riguardante la riforma della C., nel senso più ampio della parola, ha messo in luce che l’educazione cristiana non può essere un compito limitato ad alcune occasioni. I processi di apprendimento religioso richiedono un lungo periodo di tempo. Accanto all’apprendimento cognitivo è importante l’avvio alla sua messa in pratica. Una siffatta educazione dipende sempre dalla collaborazione di diverse istituzioni educative e di diversi luoghi di apprendimento. Famiglia, scuola materna, IR, Servizio religioso per fanciulli, KU, attività giovanili e formazione per adulti sono chiamati tutti a collaborare per raggiungere il fine della C. cristiana evangelica. In tutto ciò sono importanti collaboratori convinti del messaggio di Cristo e disposti a trasmetterlo ai giovani, tenendo conto dei principi fondamentali della pedagogia e della psicologia. Importanti sono le comunità cristiane viventi, nelle quali è possibile sperimentare nella pratica ciò che viene appreso nella C.

Bibliografia

Chr.​​ Bäumler –​​ H. Luther (ed.),​​ Konfirma:denunterricht und Konfirmation,​​ München, 1982; K. Dienst,​​ Moderne Formen des Konfirmandenunterrichts,​​ Gütersloh, 1973; In.,​​ Religions und Konfirmandenunterricht,​​ in “Der Evangelische Erzieher” 26 (1974) 1-10; In.,​​ Die lehrbare Religion. Theologie und Pädagogik: Eine Zwischenbilanz,​​ Gütersloh, 1976, 19782; Id.,​​ Glaube – Religiöse Erfahrung – Erziehung,​​ Gütersloh, 1979; H. – J. Fraas,​​ Glaube und Identität. Grundlegung einer Didaktik religioser Lernprozesse,​​ Göttingen, 1983; K. Frör,​​ Grundriss der Religionspädagogik,​​ Konstanz, 1975, 19832; H. Grosch,​​ Religionspädagogik am Scheideweg,​​ Gütersloh, 1974; W. F. Kasch (ed.),​​ Ökumenische Bibliographie,​​ Paderborn, 1976; Id. (ed.),​​ Entchristlichung und religiöse Desozialisation,​​ Paderborn, 1978;​​ K.​​ E. Nipkow,​​ Grundfragen der Religionspädagogik,​​ 3​​ vol.,​​ Gütersloh, 1975-1982; R. Preul,​​ Religion – Bildung – Sozialisation,​​ Gütersloh, 1980; H. Schmidt,​​ Religionsdidaktik,​​ vol.​​ I, Stuttgart, 1982; Id.,​​ Didaktik des Ethikunterrichts,​​ vol.​​ I, Stuttgart, 1983; D. Stoodt,​​ Einführung in das Studium der evangelischen Religionspädagogik,​​ Göttingen, 1980; K. Wegenast,​​ Religionspädagogik.​​ Vol.​​ I:​​ Der evangelische Weg,​​ Darmstadt, 1981.

Karl Dienst

GERSONE Giovanni

Jean Charlier nacque il 14-12-1363 nel villaggio di Gerson (Champagne), da cui prese il nome, e morì a Lione il 12-7-1429. Fu teologo, politico, mistico. Della sua opera educativa e cat. ricordiamo​​ l’Opus tripartitum de praeceptis decalagi, de confessione et de arte moriendi,​​ e il trattatello​​ De pueris ad Christum trahendis​​ (1402), considerato il più importante scritto di pedagogia religiosa della fine della tarda Scolastica e del periodo mistico.

IdOpus tripartitum​​ (1400-1403) ebbe grandissima diffusione; fu una delle prime opere stampate in francese, e influenzò la C. nei secoli successivi. Il primo libro tratta della fede (che comprende, dopo il Credo, i sacramenti) e del decalogo. Il secondo parla della confessione e offre un ampio esame di coscienza sulla linea dei peccati capitali. Il terzo espone la “scienza del ben morire”. Spesso veniva aggiunto, come quarto, il “Libro di Gesù”, raccolta di preghiere e formule (tra cui quella dei “Precetti della Chiesa”, una delle più antiche formulazioni esistenti). Lo stile era espositivo-narrativo, più vicino al →​​ Catechismo Romano​​ del 1565 che ai catechismi a domande e risposte che si diffusero in Francia dopo quelli di → Calvino e Auger. Offriva (come quello Romano) un modello diverso di fare catechismo, di tipo fondamentalmente orale; il libro è in mano al catechista e non al catechizzando; il catechismo è cosa viva e non testo da imparare a memoria.

Il​​ De pueris...​​ comprendeva quattro capitoli, animati da una appassionata esortazione a occuparsi dell’educazione religiosa dei fanciulli, iniziandoli alla vita cristiana e alla confessione. Le “metodologie” cat., fino al sec. XIX, riprenderanno questo libretto, ponendolo accanto al​​ De catechizandis rudibus​​ di sant’Agostino (per la dottrina e la spiritualità) e completandolo con le disposizioni organizzative di san Carlo Borromeo.

Bibliografia

1.​​ Opere

Oeuvres​​ complètes.​​ Introduction, texte et notes par Mgr. Glorieux, Tournai, Desclée & Cie, 1960ss, 11 vol.;​​ Del​​ dovere di attrarre​​ i​​ fanciulli​​ a​​ Gesù,​​ trad, ital.​​ e commento a cura​​ di L. Locatelli​​ e​​ G. Allegranza, Milano,​​ Ancora,​​ 1945.

2.​​ Studi

J. Combes – L. Mourin –​​ F.​​ Simone, voce​​ Gerson”,​​ in​​ Enciclopedia Cattolica,​​ vol.​​ VI, Città​​ del​​ Vaticano,​​ 1951, 185-191; J.​​ C. Dhôtel,​​ Les origines du catéchisme moderne,​​ Paris,​​ Aubier,​​ 1967, 29-32, 119.

Ubaldo​​ Gianetto

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GERMANIA

GERSONE Giovanni

GERSONE Giovanni

Jean Charlier nacque il 14-12-1363 nel villaggio di Gerson (Champagne), da cui prese il nome, e morì a Lione il 12-7-1429. Fu teologo, politico, mistico. Della sua opera educativa e cat. ricordiamo​​ l’Opus tripartitum de praeceptis decalogi, de confessione et de arte moriendi,​​ e il trattatello​​ De pueris ad Christum trahendis​​ (1402), considerato il più importante scritto di pedagogia religiosa della fine della tarda Scolastica e del periodo mistico.

L’Opus tripartitum​​ (1400-1403) ebbe grandissima diffusione; fu una delle prime opere stampate in francese, e influenzò la C. nei secoli successivi. Il primo libro tratta della fede (che comprende, dopo il Credo, i sacramenti) e del decalogo. Il secondo parla della confessione e offre un ampio esame di coscienza sulla linea dei peccati capitali. Il terzo espone la “scienza del ben morire”. Spesso veniva aggiunto, come quarto, il “Libro di Gesù”, raccolta di preghiere e formule (tra cui quella dei “Precetti della Chiesa”, una delle più antiche formulazioni esistenti). Lo stile era espositivo-narrativo, più vicino al →​​ Catechismo Romano​​ del 1565 che ai catechismi a domande e risposte che si diffusero in Francia dopo quelli di → Calvino e Auger. Offriva (come quello Romano) un modello diverso di fare catechismo, di tipo fondamentalmente orale; il libro è in mano al catechista e non al catechizzando; il catechismo è cosa viva e non testo da imparare a memoria.

Il​​ De pueris...​​ comprendeva quattro capitoli, animati da una appassionata esortazione a occuparsi dell’educazione religiosa dei fanciulli, iniziandoli alla vita cristiana e alla confessione. Le “metodologie” cat., fino al sec. XIX, riprenderanno questo libretto, ponendolo accanto al​​ De catechizandis rudibus​​ di sant’Agostino (per la dottrina e la spiritualità) e completandolo con le disposizioni organizzative di san Carlo Borromeo.

 

Bibliografia

1.​​ Opere

Oeuvres complètes.​​ Introduction, texte et notes par Mgr. Glorieux, Tournai, Desclée & Cie, 1960ss, 11 voi.;​​ Del dovere di attrarre i fanciulli a Gesù,​​ trad. ital. e commento a cura di L.​​ Locatelli​​ e G.​​ Allegranza,​​ Milano, Ancora, 1945.

2.​​ Studi

J. Combes -​​ L.​​ Mourin -​​ F.​​ Simone,​​ voce “Gerson”, in​​ Enciclopedia Cattolica,​​ vol. VI, Città del Vaticano, 1951, 185-191; J. C.​​ Dhótel,​​ Les origines du catéchisme moderne,​​ Paris, Aubier, 1967, 29-32, 119.

Ubaldo Gianetto

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GERSONE Giovanni
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