FRANCESCO DI SALES

S. FRANCESCO DI SALES

(1567-1622)

 

Jozef strus

 

1. L’uomo e il suo tempo

2. Idee base su cui poggiava la sua pastorale

3. Scopo e metodo della pastorale salesiana

4. Pastorale dei giovani in Francesco di Sales

4.1. La santità è anche per i giovani

4.2. La vita di Francesco di Sales: una concreta proposta

4.3. L'attività catechistica

4.4. Il progetto «Santa Casa»

1. L’uomo e il suo tempo

Francesco di Sales (1567-1622), sacerdote, missionario tra i calvinisti, vescovo, predicatore, direttore spirituale, fondatore dell’istituto di vita consacrata, scrittore è proclamato beato nel 1661, santo nel 1665, dottore della Chiesa nel 1877 e patrono dei giornalisti nel 1923.

L’umanità e la Chiesa, oltre al genio del suo spirito umano e cristiano e la santità di vita, hanno ereditato da lui un istituto di vita contemplativa ed i suoi numerosi scritti. Per la spiritualità cristiana, egli rimane una delle figure più importanti. Mentre si afferma che la sua presenza, per la società civile, culturale e religiosa, anzitutto della Francia, è stata carismatica, bisogna constatare che il suo ascendente non ha cessato d’essere forte anche dopo la sua morte. Ne sono prova le moltissime edizioni della «Filotea», vivente l’Autore e dopo; le molte pubblicazioni intorno alla sua dottrina spirituale; il consistente numero di vocazioni all’Ordine della Visitazione; le nuove fondazioni di monasteri della stessa Visitazione. Inoltre, il suo personale itinerario spirituale che conobbe l’entusiasmo degli inizi, il dolore delle crisi, la serenità della fede, rimane paradigma di una significativa esperienza che ancora oggi illumina e guida il cammino della fede. La sua vita e l’attività pastorale si collocano in un periodo storico interessante: sul piano culturale l’umanesimo rinascimentale ha provocato una nuova visione dell’uomo e del mondo; sul piano spirituale di vita cristiana fu forte la proposta avanzata dalla Riforma protestante da una parte e ugualmente forte il desiderio di rinnovamento spirituale promosso dal Concilio di Trento (1545-1563) dall’altra. Quanto all’influsso che tale complessa realtà storica esercitò sulla formazione culturale e teologica di Francesco di Sales, è da sottolineare che, mentre la riforma voluta dal Concilio di Trento nonché le idee suscitate dall’umanesimo rinascimentale sono diventate per lui sfida e impegno, egli rimase un avversario accanito della Riforma protestante. L’intolleranza verso i protestanti nasceva in lui dal dolore per la perduta unità della Chiesa cattolica e dalla preoccupazione per la salvezza eterna di tante persone. Egli si impegnò molto ed in vari modi per la conversione dei protestanti, credendo di poterli reintegrare nella Chiesa che è in comunione con il vescovo di Roma e secondo lui l’unica per essere strumento di salvezza.

 

2.​​ Idee base su cui poggiava la sua pastorale

Essendosi trovato negli anni di formazione intellettuale e spirituale nel cuore di una importante svolta antropologica che ha scosso molte coscienze, Francesco di Sales ha maturato in sé una concezione ottimista di Dio, dell’uomo e della vita. Ne deriva che la sua dottrina spirituale e l’azione pastorale resteranno in profonda sintonia con il Concilio di Trento e con la visione dell’uomo promossa dall’umanesimo cristiano. Più tardi, da vescovo, assumerà ancora in proprio l’esempio del pastore post-tridentino quale fu s. Carlo Borromeo.

L’uomo infatti, creato e redento da Dio-Amore, polarizza tutta l’attenzione della mente e del cuore, dell’intelligenza e della bontà di Francesco di Sales. Nella storia dell’umanesimo cristiano infatti, egli è uno dei suoi più rappresentativi fautori. Mentre l’umanesimo, come tale, concentra tutto il suo entusiasmo sull’uomo misura di tutte le cose, l’umanesimo cristiano tiene conto che la grandezza dell’uomo ha la sua origine in Dio. Di conseguenza esso è interessato a che si accorcino le distanze tra Dio e uomo. Ne consegue che nel Cristo-uomo perfetto, gli umanisti cristiani riconoscono il punto di incontro di Dio con l’uomo. Ecco perché nei giorni della sua dolorosa crisi, provocata tra l’altro dalle opinioni teologiche sulla predestinazione, Francesco di Sales rivede la sua immagine di Dio.

Tale crisi è stata per lui un’occasione per cristallizzare la sua visione ottimistica nei confronti di Dio. Alla luce dell’insegnamento offertogli dalla Bibbia e da alcuni teologi, egli fu sorpreso dall’abbondanza dei mezzi di salvezza che Dio offre all’uomo. Da quel momento rimase in lui la convinzione che Dio vuole salvare tutti gli uomini e che effettivamente c’è la possibilità di salvezza eterna per ciascun uomo.

L’ottimismo salesiano non trascura gli altri attributi di Dio come la giustizia e la potenza. Con questi egli mette in evidenza la misericordia, la bontà e l’amore di Dio. Questo modo di considerare Dio, l’uomo e il mondo dimostra che l’umanesimo cristiano secondo il Salesio non dispensa da nessuna verità di fede. Per evidenziare gli aspetti ottimistici della stessa fede, esso, ricorre al valore che ha nella storia dell’umanità l’opera compiuta da Cristo: «lo stato di redenzione vale cento volte più di quello dell’innocenza»​​ (Teotimo L.​​ II, C. V).

Allo stesso tempo ed in corrispondenza con tale stato di cose, le sue molteplici attività pastorali esprimono la doppia preoccupazione di rendere l’uomo pienamente uomo e di aiutarlo a raggiungere Dio. L’Introduzione alla vita devota,​​ talvolta più familiare sotto il nome di​​ Filotea​​ e il​​ Trattato dell’Amore di Dio​​ chiamato anche​​ Teotimo,​​ espongono con grande chiarezza le convinzioni dottrinali dell’Autore, illustrando le infinite possibilità di crescita e i mezzi di cui l’uomo dispone.

La sua concezione dell’uomo, ricco di potenzialità, valorizza prima di tutto le risorse naturali grazie alle quali l’uomo può prendere un orientamento verso Dio. «E [...] impossibile che un uomo, pensando attentamente a Dio anche con il solo raziocinio naturale, non senta un certo impulso d’amore, il quale, suscitato in fondo al cuore dalla segreta inclinazione della nostra natura, al primo contatto con questo primo e supremo oggetto, previene la volontà e la eccita a compiacersi»​​ (Teotimo,​​ L. l.,C. XVI). Giungere invece a Dio, non sarà possibile senza che intervenga Dio stesso: «... il cuore umano produce naturalmente certi principi di amore verso Dio, ma giungere ad amarlo sopra tutte le cose — ciò che forma la vera maturità dell’amore dovuto a quella suprema bontà — è cosa propria dei cuori animati e assistiti dalla grazia celeste e che sono nello stato della santa carità» (Ivi, C. XVII). Egli presenta queste due tappe di ascesa dell’uomo verso Dio, come unico movimento di continua salita dell’uomo bisognoso e aperto all’aiuto di Dio: «i’uomo è la perfezione dell’universo; lo spirito è la perfezione dell’uomo; l’amore è la perfezione dello spirito e la carità è la perfezione dell’amore: perciò l’amore di Dio è il fine, la perfezione e l’eccellenza dell’universo»​​ (Ivi,​​ L. X, C. I).

Il successo pastorale di Francesco di Sales sta nell’aver valorizzato l’unità della persona umana, superando vari dualismi che tante volte minacciano l’uomo. Per lui né il corpo né l’affettività umana infatti sono nemici da annientare. Al posto di una condanna, di una indulgente comprensione per le passioni dell’uomo o anche di un loro favoreggiamento, egli invita a sottopporle all’azione della grazia. L’umanità è bella perché è stata assunta da Cristo e riscattata dal peccato. Il legame che Dio ha stretto con l’uomo in Cristo costituisce il fondamento teologico di tutto il discorso sul progresso umano e spirituale dell’uomo. Da tale visione ottimistica dell’uomo scaturiscono in Francesco di Sales i suoi atteggiamenti e consigli pratici. La considerazione infatti della grandezza della dignità umana gli imponeva il rispetto per ogni persona, indipendentemente dall’età, posizione sociale, livello culturale, credo politico. Sul piano pastorale, tale rispetto lo obbligava a predicare anche a pochi e semplici ascoltatori con lo stesso impegno come se si trovasse davanti ad un’assemblea numerosa o illustre.

 

3.​​ Scopo e metodo​​ della pastorale salesiana

Mettendo in risalto l’uomo, di conseguenza Francesco di Sales contribuisce sia al progresso spirituale individuale sia sociale. In questo modo ne esce avvantaggiata non solo l’immagine del cristianesimo, ma anche l’ordine sociale che tende ad essere più umano. A questo punto si deve aggiungere che Francesco di Sales è tutto preso dalla dottrina cattolica sulla grazia che secondo lui permea tutto l’universo. Le conseguenze quindi della redenzione di Cristo raggiungono il cuore di ogni uomo perché lo Spirito Santo vi opera per mezzo delle sue ispirazioni. Tutti perciò: noncredenti, pagani, eretici, peccatori, se corrispondono all’opera dello Spirito Santo, possono imboccare la via che conduce a Dio. Mentre da una parte sorprende in Francesco di Sales il rispetto che egli ha per la gerarchia sociale e politica nella società di allora, non stupisce dall’altra che egli voglia tutti Filotee e Teotimi. Infatti, secondo lui, tali gerarchie dovrebbero rispettare la priorità della gerarchia di santità. Chi conta nella società sono Filotea e Teotimo, cioè l’uomo che ama Dio perché ha scoperto di essere da Lui amato. La visione che egli ha avuto dell’uomo, gli ha permesso di nutrire nei suoi confronti e del suo avvenire una fiducia sconfinata. Ispirandosi nella sua attività pastorale all’idea di Dio-Amore, Francesco di Sales mira ad orientare l’uomo e la società intera verso Cristo-uomo perfetto, per mezzo del quale Dio ha voluto rinnovare l’uomo stesso e il mondo.

Quanto al suo metodo formativo, che corrisponde alle idee di fondo della sua dottrina spirituale, non vi si trova niente che lo possa rassomigliare ad un pastore molle per le debolezze umane. «[...] non c’è nessuno, come credo, che amerebbe più cordialmente, più calorosamente di me; poiché è piaciuto a Dio di fare il mio cuore così. Tuttavia, amo le anime indipendenti, vigorose e che non sono femminucce; troppa tenerezza intenerisce il cuore, lo inquieta e lo distrae dall’orazione amorosa verso Dio, impedendogli la totale indifferenza e la perfetta morte dell’amore proprio» (Lettera alla Chantal 1620 o 1621, in​​ Opere​​ d’Annecy XX, 216). L’umanesimo cristiano di Francesco di Sales, chiamato senza necessità anche «devoto», evita il pericolo del ripiegamento autoesaltante dell’uomo, ricordandogli la chiamata a trascendere sé stesso.

Il carattere estatico che egli riconosce alla natura umana, spiega il dinamismo grazie al quale l’uomo situato tra Dio Creatore e il mondo creato, non rimane né inerte né giocato da forze fatalistiche. L’innata capacità estatica dell’uomo, nel senso etimologico della parola «estasi», fa sì che il naturale orientamento verso l’assoluto, lo spinge ad uscire da sé stesso. Avendo affermato che «l’uomo è di natura intermedia tra gli angeli e gli animali», sostiene che egli è naturalmente portato a liberarsi da quella posizione intermedia. Di conseguenza, se si lascia guidare dalle passioni viene portato verso il basso e se si lascia guidare dal bene viene portato verso l’alto. Nella tensione tra le due tendenze, sottolinea Francesco di Sales, prevale l’orientamento verso Dio (Teotimo, L. I, C. X). Tale movimento è reso possibile all’uomo grazie al fatto «che il suo intelletto ha unaTendenza illimitata a sapere sempre più e la sua volontà un appetito insaziabile d’amare e di trovare il bene...»​​ (Ivi,​​ L. I, C. XV).

 

4.​​ Pastorale dei giovani in Francesco di Sales

Chi conosce la storia di Francesco di Sales potrebbe reagire negativamente di fronte al tema messo a titolo. Francesco di Sales infatti non si è occupato in modo esclusivo dei giovani. La dimensione giovanile del suo apostolato potrebbe sfuggire anche allo sguardo più attento che normalmente scorge vari aspetti della sua attività pastorale.

Per costruire un quadro che ci interessa si dovrebbe intraprendere un lavoro finora non fatto. Gli elementi indispensabili per tale scopo tuttavia non sono numerosi; neppure sembra che si possa attendere di scoprire un progetto o un metodo particolare. Nondimeno una lettura della sua personalità e della sua pastorale sotto questo punto di vista rende ancor più completa la sua immagine.

Quando attraverso il suo epistolario si guarda chi sono le persone da lui dirette, bisogna ammettere che la fascia di giovani interessata, per esempio all’impegno per la vita cristiana e quindi alla scelta vocazionale, è quasi inesistente. Molti tra i suoi diretti sono persone giovani, che vivono però già la vita matrimoniale o religiosa. A volte si legge che gli vengono presentati casi di persone che sono diventate religiose o si sono sposate per volontà dei genitori. È in occasione di questa così diversificata direzione spirituale che vediamo come, attraverso i genitori, Francesco di Sales si interessò ai problemi specifici dei giovani. Qualche suo intervento sporadico è passato alla storia come dimostrazione del suo straordinario buon senso e del volto umano del cristianesimo. È il caso dei figli della sig.ra de Chantal e della cugina di Francesco di Sales, sig.ra de Charmoisy, la storica Filotea cui inizialmente aveva indirizzato i testi trovati poi nell’Introduzione alla vita devota.

Tutto questo ci dice che la pastorale di Francesco di Sales, lontana dal rimanere generica, aveva una sua articolazione che certamente le permise di coltivare l’interessamento per i giovani.

 

4.1. La santità è anche per i giovani

I termini «uomo» e «santità» adoperati dal linguaggio salesiano, sono le parole chiave secondo cui si deve leggere tutta la vita, la dottrina e l’azione di Francesco di Sales. Da eminente direttore spirituale, ricco di intuito pedagogico, sapeva teoricamente e praticamente che non si possono pretendere le stesse cose da un ragazzo, da un giovane, da un adulto, da un uomo o da una donna. Considerava però tutti, ognuno secondo le sue possibilità, soggetti al processo di crescita umana e spirituale. L’aspetto assoluto della santità da lui insegnata, era questo: essa è possibile a tutti e ciascuno deve progredire. Rivolgendosi al pubblico tramite il libro dell’Introduzione alla vita devota,​​ egli disapprova lo stile che prima di lui diversi autori avevano attribuito alla santità: «È un errore, anzi un’eresia, voler bandire la vita devota (= santità) dalla caserma dei soldati, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi e dalla vita familiare dei coniugati...» (P. I, C. III). In margine a queste considerazioni, è importante notare che malgrado Francesco di Sales abbia così esplicitamente evidenziato la possibilità di farsi santi in tutte le condizioni di vita, molte vocazioni all’Ordine della Visitazione sono nate sotto l’influsso della lettura della «Filotea» e della fama di santità del suo Autore.

 

4.2. La vita di Francesco di Sales: una concreta proposta

Dalla globalità delle idee che ispiravano la sua pastorale scaturiscono gli orientamenti che ci fanno intravedere la possibilità di uno spazio per i giovani.

Anzitutto, il discorso sulla pastorale giovanile deve partire dalla ricchissima e significativa esperienza giovanile dello stesso Francesco di Sales. I riferimenti autobiografici, mai troppi per conoscere tutto sulla sua vita, evidenziano la sua formazione umana e cristiana, la sua dolorosa crisi di identità cristiana e di chiarimento di idee teologiche, nonché il processo di purificazione dell’amore di Dio. All’interno di questo globale contesto personale appare la maturità della sua scelta vocazionale e del corrispondente impegno per la Chiesa e per la società civile. Tra l’altro, Francesco di Sales, crescendo a contatto con il mondo dei giovani, prima in Savoia, poi a Parigi e a Padova, si è confrontato con essi ed assieme a molti di essi si è messo alla ricerca della verità. Ne è maturato l’impegno nel servizio alla Verità. L’ambiente studentesco di Parigi e di Padova lo mise a dura prova anche per la decadenza dei costumi. Agli eccessi in tale genere di vita dei suoi compagni egli oppose la ricerca di idee valide per la vita, nonché la preghiera, i digiuni, le discipline. Accanto a queste espressioni della sua forza spirituale bisogna evidenziare il suo impegno nell’ambito della vita intellettuale e della cultura fisica. Diversamente, sarebbe facile considerarlo uno che si tenne in disparte da ogni contatto umano. Il padre era interessato a inviarlo a Parigi perché oltre agli studi scolastici egli frequentasse la corte e si facesse conoscere da tutti gli amici della famiglia. Portato allo studio e obbediente al padre, il figlio realizzò fedelmente il progetto paterno. Secondo l’usanza delle famiglie nobili del tempo, anch’egli studiò e imparò con successo l’equitazione, la scherma e la danza. Il desiderio di approfondire la vita spirituale lo spinse a studiare per conto proprio e all’insaputa della famiglia la teologia. Dirà più tardi: «a Parigi ho imparato parecchie cose per far piacere a mio padre e la teologia per far piacere a me stesso».

Considerando oggi la figura di Francesco di Sales si può affermare che egli fu un uomo che prima sul piano spirituale personale e poi su quello pastorale ebbe idee chiare. Specializzato​​ in utroque iure,​​ possedeva un’ottima preparazione teologica e con convinzione e gusto assunse il progetto della propria vita spirituale. Per questo fatto la sintesi di umanesimo e di cristianesimo non rimase in lui una felice conclusione di un problema teorico, ma divenne sia per lui che per gli altri un originale stile per tendere alla santità. Egli infatti valuta persone, cose, situazioni alla luce della volontà di Dio che vuole tutti santi. La motivazione della preoccupazione pastorale specifica per i giovani, dovrebbe essere cercata sia nell’umanesimo alla scuola del quale egli è cresciuto, sia nella carità pastorale che lo spinse a lavorare per la formazione spirituale cristiana. Essendo stato vescovo, impegnato pastoralmente, egli non potè evitare il problema dei giovani della sua diocesi. Di fronte tuttavia alle conseguenze dolorose che la sua Chiesa particolare aveva subito dopo la nascita del protestantesimo, la sua preoccupazione si orientò con priorità a favore dei sacerdoti. Nello spirito del Concilio di Trento e di fronte a una frequente e spesso totale impreparazione culturale, teologica e spirituale, egli intraprese la pastorale dei pastori. Un altro ambito di impegno di vita cristiana che richiese il suo intervento fu la restaurazione di case di religiosi, numerose nella sua diocesi che, quasi di regola, oscuravano l’ideale di vita evangelica. Tale specificazione nell’ambito della pastorale di Francesco di Sales non vuole dire né esclusività né preferenza. Egli è convinto che la profondità delle ferite spirituali inferte alla sua Chiesa, sono dovute in gran parte alla situazione in cui si trovano clero e religiosi. In essi egli cerca dei collaboratori per il bene di tutta la sua Chiesa. Egli infatti si è votato al bene spirituale del popolo di Dio per il quale celebra la liturgia, predica, fa visite pastorali nelle parrocchie.

 

4.3. L’attività catechistica

Tra gli scritti di Francesco di Sales se ne riscontrano alcuni che, sotto la richiesta esplicita del Concilio di Trento, si riferiscono all’insegnamento del catechismo. I più importanti a questo riguardo sono gli atti del sinodo diocesano che nella sua diocesi si celebrava quasi ogni anno. Dai contenuti si constata che da vescovo il catechismo era uno dei suoi impegni pastorali prioritari. Le rispettive norme, oltre agli interessanti dettagli, dimostrano che per assicurare in ogni parrocchia a ragazzi e a giovani una buona formazione dottrinale in materia di religione, egli richiese da diverse persone una collaborazione articolata. A noi oggi tali incontri di catechesi domenicale e festiva possono sembrare troppo carichi di superflua coreografia, ma nell’intenzione pastorale del Vescovo c’era il desiderio di svolgere questo ministero con la massima cura.

È importante notare che le disposizioni sinodali parlano prima dell’insegnamento della catechesi da farsi nella città in cui risiede il Vescovo e poi nel resto della diocesi.

Nel contesto di questo specifico impegno pastorale nella sua Chiesa, risulta interessante il suo esempio personale. Le Opere del Santo riportano la parte di un incontro di catechismo che egli faceva tra i protestanti nello Chiablese. Interessante è la circostanza che servì al missionario per attirare i giovani che per l’attività protestante vivevano lontano dalla Chiesa cattolica. A tale proposito Francesco di Sales coglie l’occasione della visita di uno dei suoi fratelli, più giovane di lui. Il catechismo che si svolse in forma di dialogo, evidenziò una forte preoccupazione del missionario per l’integrità della dottrina cattolica e per l’identità propria del cristiano cattolico.

Più tardi, da vescovo, come leggiamo in alcune sue lettere, continuò a fare catechismo. Accanto alla costante preoccupazione per l’insegnamento della dottrina, si deve sottolineare il suo rapporto con l’uditorio, nonché il clima che a seconda delle circostanze, trasformava tale incontro di natura scolastica in un incontro di amicizia. «Ho terminato or ora la scuola di catechismo — scrisse alla De Chantal — dove mi sono abbandonato un poco all’allegria, mettendo alla berlina le maschere e i balli per far ridere l’uditorio; ero in un momento di buon umore, e un grande uditorio mi invitava coi suoi applausi a continuare a fare il bambino coi bambini. Mi si dice che, in questo, riesco bene, e io ci credo [...]» (11 febbraio 1607). Notiamo infatti nei suoi scritti che il ministero della catechesi gli è veramente congeniale. Egli si dedicherà a questi incontri anche durante le visite pastorali alle parrocchie e durante le quaresime che trascorrerà predicandole interamente.

 

4.4. Il progetto «Santa Casa»

Merita d’essere ricordata un’altra sua iniziativa pastorale, tralasciata di seguito per mancanza di fondi finanziari. Fu un interessante progetto, concepito nello Chiablese da Francesco di Sales e p. Cherubino suo collaboratore simile all’oratorio di san Filippo Neri a Roma. Avendo riflettuto sulla situazione delle persone in via di conversione al cattolicesimo o già convertite, essi ritennero necessario istituzionalizzare un aiuto che andando incontro alle necessità dei nuovi convertiti, impedisse ai giovani di cercare scuola o lavoro tra i protestanti.

Gli ideatori di questo progetto, chiamato «Santa Casa», pensarono di istituire una comunità di sacerdoti diocesani per il lavoro parrocchiale e per le missioni tra i protestanti, con un collegio, una tipografia e una scuola professionale.

L’iniziativa, appoggiata moralmente dal papa e da autorità ecclesiastiche e civili, non ebbe la fortuna dello sviluppo. Francesco di Sales se ne occupò direttamente e per molto tempo anche da vescovo.

Concludendo è giusto rilevare che la vita e l’attività di Francesco di Sales si distinsero per un significativo dinamismo apostolico. Dall’insieme risulta chiaro che ogni sua iniziativa pastorale, ogni sua particolare attenzione apostolica era intesa come contributo per una pastorale d’insieme di cui la Chiesa di Ginevra aveva tanto bisogno.

 

Bibliografia

Fonti

Oeuvres de Saint Francois de Sales, Evéque de Genève et Docteur de l’Eglise. Edition complète​​ (Annecy, Monastère de la Visitation 1892-1932) 26 vol.;​​ Table anaìytique​​ (1964).

Studi

Lajeunie E. J.,​​ Saint Francois de Sales. L’homine, la pense, l’action,​​ Ed. Guy Victor, Paris 1966. Repertori bibliografici: Brasier V. - Morganti E. - Durica M. St.,​​ Bibliografia Salesiana. Opere e Scritti riguardanti S. Francesco di Sales (1623-1955),​​ SEI, Torino 1956; Strus J., S. Francesco di Sales 1567-1622. Rassegna Bibliografica dal 1956,​​ in «Salesianum» 45 (1983) 635-671.

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FRANCESCO DI SALES

FRANCIA

 

FRANCIA

Non è facile comprendere lo sviluppo della C. in Francia dal 1945 a oggi, se non si conosce il suo punto di partenza. Descriveremo perciò, in una prima parte, la situazione iniziale. La seconda parte presenterà la prima fase del rinnovamento cat. (1945-1975). La terza parte sarà consacrata alla seconda fase del rinnovamento. Le date indicate richiamano momenti in cui l’episcopato francese fa propri i nuovi dati della C. È ovvio che i catecheti “sul campo” precedono di molti anni le prese di posizione ufficiali. In Francia questo sviluppo viene chiamato​​ Mouvement​​ catéchétique.​​ S’intende con questo termine un insieme di avvenimenti, di persone, di iniziative, di documenti, di lavori che formano una corrente di azione e di pensiero, e che ha indotto la Chiesa a interrogarsi sulla sua politica cat. e a modificarla più o meno profondamente.

I. Situazione iniziale, ossia il catechismo del sapere

Occorre tener presente che da un lato il movimento cat. francese si iscrive in un quadro preciso e “originale”, e da un altro lato mira a riformare un modello cat. inventato nel sec. XVI e “pietrificatosi” nella seconda metà del sec. XIX.

1.​​ Quadro organizzativo.​​ A differenza di altri paesi europei, il quadro francese offre due caratteristiche essenziali che determinano una modalità cat. specifica. Dopo la separazione tra Chiesa e Stato, la Chiesa si è vista costretta a pensare anzitutto a una organizzazione cat. e al personale di tipo parrocchiale. Infatti, TIR è possibile nelle scuole libere (cattoliche) e in quelle pubbliche della regione Alsazia-Lorena, ma non nelle scuole pubbliche statali. In secondo luogo, l’importanza attribuita alla Comunione solenne, celebrata tra 12 e 14 anni a seconda delle regioni, ha sovraccentuato la C. nei due o tre anni di preparazione a questo atto, che fino a un tempo molto recente appariva il coronamento, anzi l’atto finale del catechismo. Questa duplice constatazione giustifica la nostra scelta metodologica di presentare lo sviluppo della C. attraverso documenti dedicati ai fanciulli da 8 a 12-14 anni circa. Non si deve quindi dimenticare che gli operatori del rinnovamento della C. di Francia, anche quando attingono a esperienze straniere, pensano in termini di C. parrocchiale piuttosto che scolastica, e inoltre che questa C. ha una colorazione più sacramentale-iniziatica che sistematico-didattica. Infine, la sopravvalutazione della Comunione solenne, come pure la riluttanza, tanto da parte laica che da parte religiosa, a penetrare nei licei e nei collegi, fanno sì che occorre aspettare gli anni cinquanta prima che il rinnovamento raggiunga il livello dell’adolescenza (P. Babin, A. Brien, P. Bagot, J. Le Du). La C. degli adulti in Francia meriterebbe da sola un articolo: piuttosto che presentare una immagine deformata della realtà, sarà meglio non parlarne affatto.

2.​​ Il modello cat. iniziale​​ è costituito dal catechismo nazionale del 1937, modificato nel 1947. Questo catechismo, composto di domande e risposte, presenta un compendio della fede in tre parti: le verità da credere, i sacramenti da ricevere, i comandamenti da osservare. Il suo linguaggio è quello della scolastica decadente, razionalista e astratto. Questo catechismo mira a lottare contro l’ignoranza religiosa; il suo fine è di insegnare la “scienza della religione” (can. Quinet).

Parlando della fede, il catechismo accentua l’aspetto di sottomissione all’autorità di Dio e dei suoi rappresentanti ecclesiastici, ricorrendo a un metodo pedagogico assai rigido e autoritario (Metodo di → Saint-Sulpice). A poco a poco, a partire dagli anni 1920, i catechisti prendono coscienza di un divorzio tra la fede (= insegnamento religioso) e la vita quotidiana, divorzio caratterizzato da M. → Fargues nei seguenti termini: “Questo catechismo non fa cento metri insieme con il fanciullo nella strada”. Ma per quanto in disgrazia e abbandonato dai catechisti, resterà il catechismo “nazionale” fino al 1967.

II. Prima tappa del rinnovamento, ossia il catechismo dell’esperienza

1.​​ Il movimento cat. e i suoi pionieri, i suoi fondatori.​​ Per moltissimo tempo il movimento cat. fu portato avanti da uomini e donne che erano semplici catechisti. La gerarchia ha tardato molto ad ascoltare le loro timide contestazioni. Le prime luci del rinnovamento appaiono presso alcuni “pedagogisti”: si può dire che la culla di questo rinnovamento fu modellata nell’effervescenza pedagogica dell’inizio del secolo. Più tardi una corrente più ecclesiale richiederà di ritornare al linguaggio biblico (mons. Landrieux, mons. Charles) o liturgico (→ F. Derkenne). Occorre aspettare l’immediato dopo guerra per incontrare l’uomo che dia al movimento cat. francese (e universale) le credenziali di nobiltà e gli imprima una spinta decisiva. La originalità di → Joseph Colomb risiede nel fatto di aver riunito in Una sintesi originale e profonda, teorica e pratica, le correnti di rinnovamento che precedentemente seguivano una propria traiettoria: corrente biblica, liturgica, e psicopedagogica. La genialità di quest’uomo sta nell’aver ripensato la concezione della C. spostandone il centro da una pura trasmissione di conoscenze verso un atto globale della comunità ecclesiale.

Bisogna ricordare che nel 1946 l’Assemblea dei Cardinali e Arcivescovi fondò il​​ Centre​​ national du Catechismo​​ (diventato poi, nel 1955,​​ Centre​​ National de l’Enseignement​​ Religieux),​​ con l’incarico di animare e di promuovere la C., e di sostenere il compito dell’insegnamento religioso dei Direttori diocesani, la cui creazione risale a Pio XI (Decreto​​ Provido sane consilio​​ del 12 genn. 1935). Infine, nel 1950 si apre →​​ l’Institut​​ Supérieur​​ de Pastorale Catéchétique.

2.​​ Il materiale cat. ufficiale 1966-1968.​​ Nel 1957 vennero condannate dalla Curia romana le idee di J. Colomb sul catechismo “progressivo”. L’episcopato francese nel 1964 pubblicò allora il​​ Directoire de Pastorale catéchétique à l’usage​​ des​​ diocèses de Prance​​ (trad. ital.:​​ Direttorio di pastorale catechistica ad uso delle diocesi di Francia,​​ Leumann-Torino, LDC, 1965) e mise in cantiere un nuovo catechismo. In quell’epoca il termine “Nouveau Catéchisme”, usato in senso stretto (= documenti approvati dall’episcopato), ricopre un insieme assai complesso e ampio di opere (42 libri, 7127 pagine). Esso comprende due sotto-insiemi: il primo destinato ai fanciulli di 9-11 anni; il secondo per i fanciulli di 11-13 anni. Ogni sotto-insieme è composto da un testo principale, chiamato​​ Fonds obligatoire​​ per i 9-11 anni e​​ Document​​ de base​​ per gli 11-13 anni; e poi da adattamenti di questo testo fondamentale, redatti da diversi autori secondo le diverse situazioni dei destinatari nei confronti della proposta cristiana (situazione = ambiente sociale e scristianizzazione più o meno grande). Vi sono 6 adattamenti per i 9-11 anni e 4 per gli 11-13 anni; ogni adattamento comprende almeno due libri, il primo destinato all’animatore, l’altro destinato al catechizzando. Il​​ Fonds obligatoire​​ è adottato dall’episcopato nel 1966, i manuali corrispondenti vengono pubblicati nel 1968. Il​​ Document de base​​ è adottato nel 1969, i manuali vengono pubblicati a partire dal 1970.

Il contenuto, trinitario e cristocentrico, di questa C. sposa il movimento simbolico del battesimo, unificando nel suo svolgimento e nel suo dinamismo la storia della salvezza e la sua riattualizzazione liturgica. La pedagogia che viene seguita è detta “pedagogia dei segni”. Con segno s’intende una realtà concreta, esteriore, percettibile dai fanciulli, realtà di cui bisogna liberare il significato appoggiandosi sui documenti della fede che sono la Scrittura e la Tradizione. “I diversi segni utilizzati sono quelli proposti da qualsiasi C.: eventi e parole biblici, liturgia, tradizione e vita della Chiesa, eventi e situazioni della vita umana, in particolare della vita dei fanciulli” (Fonds obligatoire).

III.​​ Seconda tappa del rinnovamento: C. della comunità, per la comunità, fatta dalla comunità

La prima tappa del rinnovamento era nata nella scia di una certa euforia conciliare, e quindi era ancora troppo segnata dalla valorizzazione dei rapporti Chiesa-mondo concepiti secondo il modello dei rapporti stabiliti in una situazione di cristianità. La Chiesa è stimata come la sola istituzione che possieda il senso ultimo per tutti gli uomini. Ben presto però ci saranno alcune prese di coscienza: per es., quella della massiccia indifferenza, di fronte alla quale il rinnovamento del linguaggio operato dal rinnovamento del 1966-1968 si rivelava insufficiente. Inoltre l’enorme importanza in Francia degli avvenimenti del 1968, la contestazione dell’università e della scuola che attiravano bruscamente l’attenzione sulla natura profonda della crisi, vale a dire un profondo cambiamento culturale. L’uomo contemporaneo non dà più alla propria esistenza lo stesso senso dei suoi predecessori. Perciò a partire dal 1975 l’episcopato decide di riaprire il cantiere cat.

1.​​ Il materiale cat. attuale​​ è un insieme di 4 elementi:

— Il est grand le Mystère de la Foi​​ (trad. ital.:​​ Mistero della fede. Preghiera e fede della Chiesa cattolica,​​ Leumann-Torino, LDC, 1979). Questo testo, adottato dall’episcopato nel 1978, presenta la preghiera e la fede della Chiesa cattolica, come le hanno voluto esprimere i vescovi della Francia.

— Il​​ Texte de référence​​ (trad. ital.:​​ Direttive per l’iniziazione cristiana dei Fanciulli,​​ Leumann-Torino, LDC, 1981), adottato nel 1979 per uso degli “autori di pubblicazioni cat. e dei responsabili della pastorale”, definisce e traccia le direttrici di una C. per l’oggi.

— Pierres vivantes,​​ adottato nel 1980 (2a​​ ediz. rinnovata 1985), è un libro offerto dai vescovi ai fanciulli in età di catechismo, ai loro catechisti e ai loro genitori. Non è un catechismo, ma una “miniera” di testi, di immagini, di vocabolario, ricavati dalle tre grandi fonti di ogni C.: la Scrittura, la storia della Chiesa, e la vita liturgica. Si presenta come una “biblioteca”, “una banca di dati” che può essere consultata in ogni momento.

— Parcours catéchétiques:​​ sono strumenti di lavoro diversificati secondo le situazioni pastorali. Come una specie di “carta della strada”, essi tracciano delle piste per esplorare il paese della fede, e per imparare insieme a credere.

2.​​ Linee principali.​​ Se la strutturazione cat. del periodo 1937-1947 scaturiva da una logica razionale, quella del 1966-1968 metteva in opera una logica esistenziale. La proposta attuale si iscrive in una logica del divenire della fede. In altre parole, occorre lasciare alla fede il tempo per diventare fede. La comunità cristiana occupa un posto centrale in questo divenire. La C. parte dalla professione di fede di una comunità, si radica in essa e si mette in cammino verso la professione di fede nella Chiesa. È consapevole di creare la comunità almeno nella misura in cui essa stessa viene prodotta dalla comunità. E consapevole di “fare Chiesa”, poiché ogni fede cristiana esiste in forma di Chiesa.

In reazione contro una concezione troppo razionale della fede, i cristiani fanno l’esperienza di non aver più tanta fiducia in ciò che possiedono o nelle convinzioni, ma nella comunicazione. Si preferisce considerare la C. come un esercizio della fede. Ci si esercita ad essere credente in un gruppo, in un → “lieu catéchétique”, piccola cellula di Chiesa, in cui la fede impara a esprimersi, a celebrarsi, ad essere vissuta nel quotidiano, in una parola, ad “articolarsi”. In questo senso la C. è un luogo in cui viene enunciato un senso cristiano, in cui si elabora criticamente un linguaggio della fede nella situazione storica presente.

Questa nuova proposta funziona senza sollevare problemi? Certamente no! La diversità di professioni della fede che essa può suscitare in un gruppo e la creatività pedagogica che essa mette in opera sollevano la terribile questione dell’unità ecclesiale nel rispetto delle diversità. Sarebbe un peccato se questo problema venisse regolato dall’autorità romana sulla base di una criteriologia di unità uniformizzante.

Bibliografia

G.​​ Adler –​​ G.​​ Vogeleisen,​​ Un​​ siècle​​ de​​ catéchèse en France​​ (1893-1980).​​ Histoire, déplacements, enjeux, Paris, Beauchesne, 1981; A. Boyer,​​ Un demisiècle au sein du mouvement catéchistique français,​​ Paris, L’École, 1966; Conférence Épiscopale Française,​​ La catéchèse des enfants.​​ Texte de référence, Paris, Centurion, 1979. Trad. ital.:​​ Direttive per l’iniziazione cristiana dei fanciulli dagli 8 ai 12 anni,​​ Leumann-Torino, LDC, 1981; E.​​ Germain,​​ 2000​​ ans d’éducation​​ de la​​ foi,​​ Paris, Desclée, 1983; Id.,​​ Parler​​ du salut?​​ Aux origines d’une mentalité religieuse. La catéchèse du salut dans la France de la Restauration, Paris, Beauchesne, 1968; R. Macé,​​ Francia,​​ in​​ Scuola e religione,​​ vol. I:​​ Una ricerca internazionale,​​ Leumann-Torino, LDC, 1971, 163-190;​​ Ch.​​ Wackenheim,​​ La​​ catéchèse,​​ Paris, PUF, 1983.

→​​ Aumônerie.

Gilbert Adler

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FRANCIA

FRANCKE August Hermann

 

FRANCKE August Hermann

n. a Lubecca nel 1663 - m. a Halle nel 1727, professore universitario, teologo e pedagogista del​​ ​​ pietismo.

1. Accostatosi a P. J. Spener e contrastato dai luterani ortodossi, trovò la sua strada, nel 1687, fondando una scuola per poveri ad Amburgo. Nel 1691 ottenne una cattedra a Halle, ove si trasferì, creando molteplici istituzioni: una scuola per poveri, un orfanotrofio, una scuola per la borghesia (divenuta, con la prima,​​ Deutsche Schule),​​ un internato per nobili (Paedagogium),​​ un semiconvitto per professori e alunni e un seminario per maestri. Il complesso, tuttora esistente, prevedeva altri istituti e comprendeva una farmacia, una stamperia e una biblioteca. Tra gli scritti di pedagogia:​​ Kurtzen und einfältigen Unterricht​​ (Insegnamento breve e semplice) del 1702 e​​ Der grosse Aufsatz​​ (Il grande saggio), edito solo nel 1962.​​ 

2. F., stimolato dal pietismo, che interiorizzò dopo una fase intellettualistica, sottolinea l’apporto dell’esperienza, in quanto derivata dal cuore, dall’intelletto e dall’azione. Fine ultimo di tutto era, da un lato, l’onore e gloria di Dio​​ e, dall’altro, l’acquisizione e promozione di una saggezza pratica​​ («Klugheit»):​​ un insieme di sapere e di esperienza, che richiama idee di Alsted e di​​ ​​ Comenio. Voleva un’impostazione severa degli studi e della disciplina, con castighi anche corporali, eliminando vacanze e ricreazioni. Esigeva precisione, pur con l’aiuto di adeguati sussidi, dando centralità alla Bibbia, rispetto alle scienze e alla matematica. Nel seminario per maestri puntava a una formazione sia teorica che pratica e per le ragazze richiedeva un avviamento ai lavori casalinghi.

3. Le istituzioni di F., più che gli scritti, intrisi di utopia, ebbero un grande influsso, sebbene ne sia stata attenuata l’impostazione religiosa e siano stati accentuati gli obiettivi didattico-educativi.

Bibliografia

Menck P.,​​ Die Erziehung der Jugend zur Ehre Gottes und zur Nützen der Nächsten,​​ Wüppertal, A. Henn, 1969.

B. A. Bellerate

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FRANCKE August Hermann

FRANKL Viktor Emil

 

FRANKL Viktor Emil

n. a Vienna nel 1905 - ivi morto nel 1997, psichiatra austriaco, fondatore della logoterapia e analisi esistenziale.

1. Figlio di un impiegato ministeriale, F. fin dal liceo fu in relazione epistolare con​​ ​​ S. Freud, che incontrò nel 1924 e che nello stesso anno ne pubblicò un saggio nell’Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse. Come membro della Società di Psicologia Individuale di​​ ​​ A. Adler, F. tenne conferenze a studenti e operai su tematiche esistenziali e nel 1927 fondò e diresse la rivista​​ Der Mensch im Alltag,​​ in cui propugnò la fondazione di Centri di Consulenza per giovani bisognosi di aiuto psichico e morale. Laureato in medicina nel 1930 e specializzato in neurologia e psichiatria, dal 1939 al 1942 diresse il reparto di neurologia del​​ Rotschildspital, riservato a pazienti ebrei.

2. Deportato nel 1942 a Theresienstadt (Böhmen), F. fu nel 1944 prima ad Auschwitz e poi a Kaufering III e a Türkheim (filiali di Dachau). Liberato il 27 aprile 1945, fece ritorno a Vienna, dove ricevette la notizia della morte della moglie e della mamma. Nominato primario del Policlinico neurologico, ruolo che svolse per 25 anni, F. nel 1946 diede alle stampe prima​​ Ärztliche Seelsorge​​ e poi​​ Ein Psychologe erlebt das Konzentrationslager, in cui descrisse con fine sensibilità le impressioni e le esperienze dei tre anni trascorsi nei Lager e testimoniò che solo coloro che percepivano di avere un compito da portare a termine superavano le più degradanti situazioni.​​ 

3. Membro onorario di società mediche e psicoterapeutiche, dottore​​ honoris causa​​ in decine di Università, alpinista provetto, F. ha affrontato scottanti problematiche esistenziali, convinto che tutti sono in grado di dire sì alla vita, nonostante tutto. Nel 1992 personalità del mondo accademico internazionale (H. Hunger, G. Guttmann, F. Vesely, E. Fizzotti) hanno fondato il​​ V.-F.-Institut, che cura la bibliografia internazionale e pubblica testi inediti, assieme a testi editi, nelle​​ Gesammelte Werke, presso l’editrice Böhlau di Vienna, a cura di A. Batthyany, K. Biller e E. Fizzotti. In Italia, presso l’Università Salesiana di Roma, l’Associazione di Logoterapia e Analisi Esistenziale Frankliana (A.L.Æ.F.) organizza seminari, convegni, corsi di formazione e laboratori, e pubblica la rivista quadrimestrale​​ Ricerca di senso, alla quale collaborano i migliori specialisti in logoterapia sia italiani che esteri.

Bibliografia

Opere di F.V.E. in it.:​​ Le radici della logoterapia. Scritti giovanili 1923-1942, Roma, LAS, 2000;​​ Teoria e terapia delle nevrosi, Brescia, Morcelliana,​​ 32001;​​ Dio nell’inconscio. Psicoterapia e religione, Ibid.,​​ 52002;​​ Alla ricerca di un significato della vita, Milano, Mursia,​​ 42005;​​ La sfida del significato. Analisi esistenziale e ricerca di senso, Trento, Erickson, 2005;​​ Logoterapia e analisi esistenziale, Brescia, Morcelliana,​​ 62005;​​ Uno psicologo nei lager, Milano, Ares,​​ 172005;​​ Homo patiens. Soffrire con dignità, Brescia, Queriniana,​​ 32007; F.V.E. - P. Lapide,​​ Ricerca di Dio e domanda di senso. Dialogo tra un teologo e uno psicologo, Torino, Claudiana, 2006.

E. Fizzotti

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FRANKL Viktor Emil

FRANTA Herbert

 

FRANTA Herbert

n. a Tuschkau (Cecoslovacchia) nel 1936 - m. a Benediktbeuern (Germania) nel 1995, psicologo tedesco.

1. Professore di psicologia all’Università Pontificia Salesiana (UPS) di Roma e alla​​ Philosophisch-Theologische Hochschule der Salesianer Don Boscos a Benediktbeuern​​ (Germania). Costretta a lasciare il Paese (1945), la famiglia F. si trasferisce a​​ Scheinfeld-Germania (1949). Completata la scuola superiore, diviene salesiano (1957) e sacerdote (1966), lavorando poi per alcuni anni in Brasile. Consegue nel 1970, presso il Pontificio Ateneo Salesiano (Roma), la licenza in Filosofia-Pedagogia; nel 1971, il diploma di qualificazione professionale in Psicologia e nel 1972 il dottorato in Filosofia-Pedagogia con indirizzo psicologico. Frequenta a Bonn (Germania) i seminari di Hans Thomae, al cui metodo psicobiografico dedicherà il suo dottorato. Dal 1973 approfondisce il campo della psicoterapia.​​ 

2. I suoi interessi scientifici sono rivolti primariamente a quella che amava chiamare la​​ psicologia applicata, ossia una psicologia finalizzata a trasmettere, tra le persone comuni, concetti e strumenti propri della psicologia, con lo scopo di sviluppare capacità e competenze idonee ad affrontare i problemi della vita. Sostenitore di molti aspetti della visione adleriana dell’uomo e della funzionalità psichica, ribadisce non solo negli scritti, ma anche nei suoi insegnamenti, l’importanza del decentramento dall’Io, dell’interesse sociale, dell’incoraggiamento. Dal punto di vista più strettamente terapeutico si orienta soprattutto nell’ultimo periodo della sua vita verso l’approccio cognitivo-comportamentale del quale apprezza la scientificità e il rigore metodologico. Le sue idee al riguardo hanno dato vita al programma della Scuola Superiore di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’UPS, all’ideazione e all’attuazione della quale ha attivamente collaborato. Si deve menzionare, infine, il suo interesse per la prevenzione e, in tempi più recenti, per la psicologia della salute. Il pericolo del​​ ​​ relativismo etico, dell’immanentismo, della visione epicurea che possono permeare in modo più implicito che esplicito alcune prassi psicoterapiche costituiscono per F. un aspetto di notevole importanza non sufficientemente approfondito e problematizzato. Tuttavia, le sue idee al riguardo, che non fa in tempo a pubblicare (a causa della prematura morte), rimangono come viva testimonianza, tra gli allievi, che hanno avuto il privilegio dei suoi insegnamenti.​​ 

Bibliografia

Tra le opere principali di H. F.:​​ Psicologia della personalità. Individualità e formazione integrale, Roma, LAS, 1982;​​ Atteggiamenti dell’educatore,​​ Ibid., 1988;​​ Relazioni sociali nella scuola,​​ Torino, SEI, 1988;​​ Comunicazione interpersonale,​​ Roma, LAS, 1990;​​ L’arte dell’incoraggiamento,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1991.

A. R. Colasanti

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FRANTA Herbert

FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE

 

FRATELLI DELLE SCUOLE​​ CRISTIANE

Congregazione insegnante composta esclusivamente di religiosi laici, che vivono canonicamente in comunità e operano professionalmente «in associazione» con gli educatori che collaborano nelle loro istituzioni. Fondata in Francia alla fine del Seicento da s. Jean-Baptiste de​​ ​​ La Salle, la congregazione si è estesa a livello internazionale specialmente durante il XIX sec. e gli inizi del XX.​​ 

1. L’intuizione originaria del fondatore è che l’educazione è un vero e proprio​​ ministero evangelico​​ non «ordinato»,​​ che esige: a) un uomo «completo» (di qui la scelta dello stato religioso laicale, libero da incombenze pastorali tipiche della vita clericale); b) una persona indivisa tra impegno educativo-secolare e tensione ascetico-religiosa («non fate differenza tra i vostri compiti professionali e la ricerca della perfezione», ingiunge il La Salle ai suoi religiosi); c) un educatore formato spiritualmente e preparato professionalmente, capace di dedicarsi di preferenza agli alunni poveri, dotato di robuste qualità umane come: «contegno, semplicità, ponderazione, saggezza, pazienza, equanimità, zelo, vigilanza, pietà, generosità».

2. Mediante le loro istituzioni scolastiche – spesso innovative nei programmi e nei metodi oltre che attente alla centralità della persona dell’alunno – i f. hanno dapprima (sec. XVIII) anticipato lo Stato moderno nel fornire ai ceti meno abbienti i rudimenti della cultura popolare; poi (sec. XIX) hanno piuttosto assecondato lo Stato borghese nel suo sforzo di democratizzare la scuola e di orientarla verso le nuove professioni indotte dalla crescente industrializzazione; oggi, si orientano in prevalenza verso l’​​ ​​ alfabetizzazione nelle aree critiche del terzo mondo, verso iniziative socio-educative a favore di giovani a rischio, o verso creazioni scolastiche e post-scolastiche di tipo alternativo. Attenzioni prioritarie della congregazione fin dall’origine sono state quella della formazione dei maestri (​​ «scuole normali» o istituti magistrali), della sussidiazione didattica (​​ editoria scolastica,​​ ​​ riviste pedagogiche), e ultimamente anche della​​ ​​ ricerca e sperimentazione educativa a livello di insegnamento primario, secondario e superiore (​​ congregazioni insegnanti maschili).

Bibliografia

Rigault G.,​​ Histoire générale de l’Institut des Frères des écoles chrétiennes,​​ 9 voll., Paris, Plon, 1938-1954;​​ Gil P. M.,​​ Tres siglos de identidad lasaliana,​​ Roma, Études Lasalliennes, 1994; Bédel H.,​​ Initiation à l’histoire de l’Institut des FSC,​​ 3 voll., Ibid., 2001-2007.

F. Pajer

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FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE

FREINET Célestin

 

FREINET Célestin

n. a Gars nel 1896 - m. a Vence nel 1966, educatore francese.

1.​​ Vita e opere.​​ Fin da piccolo F. aiuta i genitori nel lavoro dei campi. Nel 1915 si diploma maestro elementare e subito dopo partecipa alla prima guerra mondiale. Nel 1916 viene ferito ad un polmone, ma preferisce rinunciare alla massima pensione di invalidità per insegnare nella scuola elementare e, insoddisfatto della metodologia tradizionale, apre la scuola alla «vita», collegando la cultura con le esperienze dei fanciulli. Per rendere più interessante l’apprendimento mette a punto le tecniche didattiche che lo renderanno famoso:​​ il testo libero,​​ la tipografia,​​ la corrispondenza interscolastica e lo schedario.​​ Decide di esplorare con la scolaresca la campagna e di visitare le botteghe degli artigiani, dando agli alunni la possibilità di scrivere i «testi liberi» sulle cose osservate e sui sentimenti provati. I «testi» vengono successivamente stampati con un complesso tipografico molto semplice. L’insieme dei testi costituisce il «libro della vita», strumento didattico alternativo ai libri di testo ufficiali che F. rifiuta di adottare, perché espressioni del​​ ​​ capitalismo. Attraverso il rinnovamento scolastico egli intende cambiare la società in senso marxista. Avvertendo il limite dell’innovazione isolata, si fa promotore di un​​ Movimento Cooperativistico,​​ nel quale coinvolge molti insegnanti, che simpatizzano per le sue idee politiche e per le sue tecniche didattiche. Dopo aver dato le dimissioni dalla scuola pubblica per contrasti con le autorità scolastiche, si stabilisce con la famiglia a Vence, dove fonda una scuola sperimentale, attiva ancora oggi. Con altri insegnanti istituisce a​​ Cannes l’Institut Cooperatif de l’École Moderne​​ per produrre i sussidi didattici collegati con le tecniche, che si diffondono anche in Italia e nel mondo.

2.​​ Il pensiero pedagogico.​​ F. oppone il carattere «pratico» della sua pedagogia «popolare», rivolta ai lavoratori sfruttati dal capitalismo, all’astrattezza di certe pedagogie «senza basi sufficientemente solide» (L’éducation du travail,​​ Gap, Ophyris, 1949, 88-89). È esemplare il suo impegno nell’attuazione di una scuola attiva (​​ Scuole Nuove), che superi la «scuola-caserma» e la «classe-tempio», a vantaggio della «scuola-comunità» e della «classe-laboratorio». La pedagogia freinetiana presenta un carattere cooperativistico, poiché è l’espressione del Movimento degli insegnanti. Assume insieme, nella pratica educativa, un carattere sperimentale e un ancoraggio alla saggezza popolare.

3.​​ Bilancio critico.​​ F. è uno dei rappresentanti più significativi dell’attivismo pedagogico francese. Egli ha avuto il merito di aver dimostrato che l’azione educativa non può essere affidata al caso, né svolgersi in modo isolato rispetto alla famiglia e alla comunità. La sua proposta pedagogica ci sembra inconsistente sul piano teorico, perché procede su basi molto semplicistiche a causa della preoccupazione di aderire al «buon senso popolare» per evitare ogni forma di astrattismo. Il suo contributo più originale e ancora oggi molto attuale è costituito dalle tecniche didattiche che vengono usate al di là della ideologia e della stretta sequenzialità da lui voluta.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ principali opere di F.:​​ L’école moderne française,​​ Gap, Ophyris, 1946;​​ Les dits de Mathieu. Une pédagogie moderne de bon sens,​​ Cannes, B.E.N.P., 1949;​​ Les techniques F. de l’École Moderne,​​ Paris, Bourrelier, 1964. b)​​ Studi:​​ Eynard R.,​​ C.F. e le tecniche cooperativistiche,​​ Roma, Armando, 1968; Caporale V.,​​ La scuola attiva. F.,​​ Bari, Cacucci, 2006.​​ 

V. Caporale

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FREINET Célestin

FREIRE Paulo

 

FREIRE Paulo

n. a Recife il 19 settembre 1921 - m. a São Paulo il 2 maggio 1997, educatore e pedagogista brasiliano, massimo esponente della pedagogia della liberazione.

1. Figlio di un ufficiale di polizia e di una maestra e cattolica praticante, imparò da essi il dialogo. Laureato in Diritto, fu sensibilizzato alla pedagogia dalla moglie Costa Oliveira, maestra elementare e direttrice didattica. Nel 1961 fonda a Recife il Movimento di Cultura Popolare per l’educazione degli adulti. Il colpo di stato militare del 1964 lo costrinse all’esilio in Cile e negli Stati Uniti. Il Consiglio Mondiale delle Chiese, lo inviò in Guinea Bissau. Ritornato definitivamente in Brasile nel 1985, promosse la scuola pubblica dello Stato di São Paulo.​​ 

2. Partita come alfabetizzazione coscientizzante delle popolazioni adulte rurali brasiliane, la pedagogia freireana arriva a una impostazione pedagogica globale. Azione educativa e liberazione socio-politica sono congiunte. L’utilizzo dell’approccio marxista gli costò l’accusa di comunismo. La prospettiva è quella dell’umanesimo cristiano di E.​​ ​​ Mounier e J.​​ ​​ Maritain e della linguistica generativa di N. Chomsky. La condizione di oppressione è letta con la categoria dialettica hegeliana di oppressi e oppressori: gli oppressori non possono essere tali senza la dominazione «oggettiva» degli oppressi; questi, a loro volta, espropriati della loro coscienza e della loro parola, pensano come l’oppressore avendone introiettato l’ideologia e leggono fatalisticamente la loro condizione. Convinto che «nessuno libera nessuno, nessuno è liberato da nessuno, ma ci si libera insieme», oppone a una educazione «depositaria» o «bancaria» (in cui l’educando è come un deposito bancario di nozioni e tecniche) una educazione «problematizzante». Il fine di essa è stimolare a prendere coscienza della propria situazione e coglierne i «temi generatori» e le «prospettive inedite di azione», attraverso il dialogo comunitario, nella prospettiva di una civiltà dell’amore. Nell’ultimo periodo ha proposto come integrazione una «pedagogia dell’autonomia» e una «pedagogia della speranza».

3. Oltre le critiche antitetiche di comunismo (da parte della destra liberal-conservatrice) e di borghesismo (da parte della sinistra popolar-rivoluzionaria) o di scarsa attenzione all’emergenza della donna e all’innovazione comunicativa dei mass-media (e dei new media), fatte a F. negli ultimi suoi anni di vita, permangono interrogativi circa l’adeguatezza del metodo freireano a fronte della complessificazione e globalizzazione dell’esistenza sociale attuale e dell’educazione contemporanea; e, più specificamente, circa la consistenza teorica intrinseca del modello e la composizione organica dei riferimenti di cui fa uso.

Bibliografia

a) Principali opere di F.:​​ La pedagogia degli oppressi, Torino, EGA,​​ 22002 (orig.: 1970);​​ Pedagogia dell’autonomia, Ibid., 2004;​​ Pedagogia da esperança, Rio de Janeiro, Paz e Terra,​​ 1992. b)​​ Studi: Gadotti M.,​​ Leggendo P.F., Torino, SEI, 1995; Nanni C.,​​ Coscientizzazione,​​ liberazione,​​ democratizzazione. L’azione educativa e la pedagogia di P.F., in «Orientamenti Pedagogici» 45 (1998) 210-225.

C. Nanni​​ 

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FREIRE Paulo

FREUD Anna

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FREUD Anna

n. a Vienna nel 1895 - m. a Londra nel 1981, psicoanalista austriaca.

1. Ritenuta uno dei precursori e dei fautori più entusiasti della psicoanalisi dei bambini, alla quale ha dato un notevole impulso, F.A. nasce a Vienna nel dicembre del 1895. Ultimogenita dei sei figli di S.​​ ​​ Freud, diviene membro della Società Psicoanalitica di Vienna nel 1922, dopo aver completato gli studi magistrali e l’addestramento psicoanalitico. Nel 1938 si trasferisce a Londra. La sua opera ha ampiamente influenzato la teoria, la tecnica e la ricerca psicoanalitiche.

2. Il suo contributo teorico più significativo, che costituisce una lettura d’obbligo per chiunque si accosti alla psicoanalisi, è rappresentata dallo scritto​​ L’Io e i meccanismi di difesa​​ (1936). Esso prende avvio dal lavoro di S. Freud (1926)​​ Inibizione,​​ sintomo e angoscia​​ in cui l’angoscia viene concepita non più come la trasformazione di energia libidica non scaricata, come voleva la teoria tossicologica precedente, ma come reazione dell’Io allo stato di pericolo, assumendo il carattere di un segnale con cui si invoca difesa. Ne​​ L’Io​​ e i meccanismi di difesa​​ F.A. riprende il paradigma teorizzato dal padre dell’Io-conflitto-difesa, incentrando lo studio dell’Io ancora essenzialmente sulla funzione difensiva di tale istanza, tuttavia lascia intravedere in esso i prodromi della nozione dell’Io-adattamento. Tale scritto rappresenta, quindi, un ponte dallo studio della patologia allo studio della normalità e, storicamente, l’anello di congiunzione tra l’Io teorizzato dall’ultimo Freud e quello delineato dalla più recente psicologia dell’Io. Dopo​​ L’Io e i meccanismi di difesa​​ la maggior parte degli scritti di F.A. appaiono più clinici e pratici che teorici; gran parte del suo lavoro è dedicato a mantenere la peculiarità dell’approccio psicoanalitico, pur integrandolo con i progressi ottenuti nel campo della psicologia dell’Io e con le scoperte derivanti dalla psicoanalisi e dall’osservazione diretta dei bambini. Come lei stessa afferma (1966, 985s), nel suo lavoro ha avuto «l’opportunità di mantenere uno stretto collegamento fra teoria e pratica, di verificare costantemente le idee teoriche con l’applicazione pratica e di ampliare l’operare pratico e le misure pratiche con la crescita delle conoscenze teoriche». La possibilità di questa proficua interazione teoria-prassi è offerta in prima istanza dalle attività svolte presso la Clinica Hampstead di terapia infantile che lei stessa fonda a Londra, dopo la prima guerra mondiale, assumendone la direzione.

3. La determinazione del tipo di sofferenza che ogni singolo bambino subisce, richiede considerazioni diagnostiche alle quali F.A. (1965) dedica gran parte del suo secondo scritto fondamentale:​​ Normalità e patologia nell’età infantile.​​ In esso spiega l’impossibilità di assumere i parametri della patologia mentale degli adulti per lo studio della patologia infantile e propone tre modalità per valutare il grado di normalità o patologia presenti in un bambino, basati rispettivamente sullo sviluppo delle pulsioni, dell’Io e del Super Io, sul tipo di angoscia e di conflitto e su alcune caratteristiche generali dell’Io ritenute fattori di stabilità. Introduce, inoltre, il profilo diagnostico in cui i dati raccolti secondo le tre modalità vengono organizzati sinteticamente tenendo presenti gli aspetti dinamici, genetici, economici, strutturali e adattivi della personalità.

4. Un altro contributo particolarmente significativo è offerto dal concetto di linee evolutive lungo le quali si organizza progressivamente la personalità del bambino. Rappresentano le sequenze interattive tra Es, Io e Ambiente che tracciano l’intero cammino percorso dal bambino dall’immaturità alla maturità. Rivestono un alto valore pratico, in quanto forniscono la base indispensabile per ogni valutazione della maturità o immaturità emotiva del bambino, dando inoltre la possibilità di stabilire in quali circostanze evolutive egli è pronto per affrontare determinate esperienze. Per questo trovano immediata applicabilità in campo educativo, costituendo uno dei maggiori apporti di F.A. alla teoria psicoanalitica dello sviluppo.

Bibliografia

Lustman S. L.,​​ The scientific leadership of A.F.,​​ in «Journal of American Psychoanal.​​ Ass.» 15 (1967) 810-827; Kris E., «Recensione di: A.F., “L’Io e i meccanismi di difesa”», in E. Kris,​​ Scritti di psicoanalisi,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1977, 281-291; F.A.,​​ Opere,​​ 3 voll., Ibid., 1978; Freud S.,​​ Opere,​​ vol. 10, Ibid., 1978, 231-317; F. A.,​​ Conferenze per insegnanti e genitori, Ibid., 1986; Id.,​​ L’aiuto al bambino malato, Ibid., 1987; Peltzman B. R.,​​ A. F.: A guide to research, New York, Garland, 1990; F.A.,​​ Lezioni ad Harvard.​​ Il bambino malato,​​ il suo ambiente,​​ il suo sviluppo, Milano, Cortina, 1991; Young-Bruehl E.,​​ A.F.: una bibliografia, Milano, Bompiani, 1993; F. A.,​​ Normalità e patologia del bambino. Valutazione dello sviluppo, Milano, Feltrinelli, 2003.

A. R. Colasanti

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FREUD Anna

FREUD Sigmund

 

FREUD Sigmund

n. a Freiberg (Moravia) nel 1856 - m. a Londra nel 1939, medico e psicoanalista austriaco.

1.​​ Vita e opere.​​ Nato da una famiglia ebraica, dopo gli studi secondari si iscrive nel 1873 alla Facoltà di medicina di Vienna. Frequenta il laboratorio di anatomia comparata diretto da C. Claus e successivamente l’istituto di fisiologia di Ernest von Brücke, dove entra in contatto con Breuer, già noto per le sue ricerche neurofisiologiche e che avrà una parte rilevante nella nascita della psicoanalisi. Conseguita nel 1881 la laurea in medicina, pressato da esigenze economiche, abbandona la carriera di ricercatore e inizia a esercitare privatamente la medicina. Ottenuta nel 1885 la nomina a​​ Privatdozent,​​ si reca per 6 mesi a Parigi dove, alla Salpètrière segue le lezioni di​​ ​​ Charcot sull’isteria e le malattie del sistema nervoso. Colpito dalla sua personalità e dalle sue teorie, riprende l’attività e dirige il reparto neurologico dell’Istituto Pediatrico di Vienna. Nel settembre del 1886 sposa Marta Bernays. Nel 1895, pubblica, in collaborazione con J. Breuer,​​ Gli studi sull’isteria,​​ considerato il punto di partenza della psicoanalisi. In questo stesso anno, subito dopo la rottura con Breuer, si immerge nella stesura de​​ Il progetto di una psicologia,​​ saggio rimasto incompiuto e pubblicato postumo solo nel 1950. Pur dedicandosi all’attività privata, continua ad essere attratto dalla ricerca e nel 1884 pubblica un articolo sulle proprietà analgesiche della cocaina. Nel 1896, dopo la morte del padre, concentra sempre di più il proprio interesse sul problema della etiologia dell’isteria e delle nevrosi in genere. Negli anni successivi, in diversi saggi, F. sostiene l’applicabilità del modello proposto ne​​ L’interpretazione dei sogni​​ alla spiegazione di diverse manifestazioni psichiche della vita normale (Psicopatologia della vita quotidiana,​​ 1901;​​ Il metodo psicoanalitico freudiano,​​ 1903). Con i​​ Tre saggi sulla teoria sessuale​​ (1905) alcuni concetti ricevono una formulazione più dettagliata, in particolare per quanto riguarda il rapporto tra sessualità infantile e adulta. Ottiene intanto, nel 1902 il titolo di professore straordinario titolare all’Università di Vienna e in diversi scritti ribadisce l’importanza centrale della sessualità (Le mie opinioni sul ruolo della sessualità nell’etiologia delle nevrosi,​​ 1905). Dopo il 1906, con il primo gruppo di allievi, pone le basi del movimento psicoanalitico. Nel 1909 viene invitato negli Stati Uniti da S. Hall. Nel 1920 F. è nominato professore ordinario dell’Università di Vienna e pubblica​​ Al di là del principio del piacere,​​ saggio in cui introducendo il concetto di pulsione di morte propone un’ulteriore riformulazione della sua teoria. Nel 1923 gli viene diagnosticato un cancro al palato e alla mascella. Nonostante la malattia e la perdita della figlia Sophie e del nipote H. Halberstadt, a cui era particolarmente legato, F. continua a lavorare:​​ L’Io e l’Es​​ (1923),​​ Il problema dell’analisi condotta da non medici​​ (1926). Nel 1927 pubblica​​ L’avvenire di un’illusione​​ e nel 1929​​ Il disagio della civiltà​​ che, assieme a​​ Totem e tabù​​ (1913), e a​​ Psicologia delle masse e analisi dell’Io​​ (1921) possono essere considerati come un tassello fondamentale nella costruzione della visione antropologica freudiana, visione essenzialmente pessimistica e riassumibile nell’ipotesi della stretta relazione fra una parziale rinuncia al soddisfacimento degli istinti e la nascita della civiltà. Gli ultimi anni della vita di F. sono dedicati a definire lo statuto epistemologico della psicoanalisi (Costruzione nell’analisi,​​ 1937). Nel 1938, in seguito alle persecuzioni antiebraiche, è costretto a rifugiarsi a Londra. Poco prima della sua morte viene eletto membro della Royal Society.

2.​​ F. e la psicoanalisi.​​ Il termine psicoanalisi compare negli scritti freudiani nel 1896 (Nuove osservazioni sulle neuropsicosi da difesa)​​ e sostituisce i termini precedentemente usati di «analisi psichica» e «analisi psicologica». Sulla base della definizione data nel 1922 dallo stesso F. si possono identificare nella psicoanalisi tre livelli strettamente interrelati. La psicoanalisi può cioè essere considerata: «1) un procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe praticamente impossibile accedere; 2) un metodo terapeutico basato su tale indagine per il trattamento dei disturbi nevrotici; 3) una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica» (Psicoanalisi,​​ 1922). Nella costruzione della teoria psicoanalitica, sono schematicamente individuabili tre fasi.​​ La prima fase​​ (1887-1897), segnata dalla collaborazione e dal successivo distacco di F. da Breuer, trova il suo momento conclusivo nella scoperta che il ricordo delle esperienze traumatiche non rappresenta il ricordo di avvenimenti reali ma di fantasie che soddisfanno un desiderio infantile. A partire dalla collaborazione con J. Breuer e dalla riflessione sul caso di Anna O. – che costituirà il primo dei casi clinici presentati negli​​ Studi sull’isteria​​ (1895) – F. giunge progressivamente ad elaborare, grazie anche all’abbandono dell’ipnosi, un nuovo metodo, il metodo delle libere associazioni, basato sul postulato del determinismo psichico e atto a sottolineare l’importanza della vita sessuale del paziente nonché l’esistenza di avvenimenti traumatici, sempre di natura sessuale, verificatisi durante l’infanzia. Nel periodo compreso tra il 1897-1923 vengono elaborati i concetti fondamentali della psicoanalisi. Questa​​ seconda fase​​ è caratterizzata dalla progressiva accentuazione dell’importanza attribuita al modo in cui l’apparato psichico affronta esigenze ed impulsi interni e al modo in cui li rappresenta. Sulla base dell’autoanalisi e del lavoro clinico con i pazienti, F. era giunto, nel 1897, a considerare erronea la teoria del trauma sessuale infantile (La sessualità nell’origine delle nevrosi,​​ 1898) e a ipotizzare che i ricordi di traumi sessuali, che così di frequente affioravano nelle libere associazioni dei suoi pazienti non si riferissero ad avvenimenti passati realmente accaduti ma esprimessero piuttosto fantasie derivanti da desideri di natura sessuale. Ne​​ L’interpretazione dei sogni​​ (da lui considerata come una delle pietre miliari della psicoanalisi, come «la via maestra alla conoscenza della vita mentale inconscia») F. formula non solo un’originale teoria del sogno ma pone le basi di una nuova psicologia, presentando uno specifico modello della mente e utilizzando una serie di concetti – quali inconscio, processo primario e secondario, complesso edipico, rimozione, difesa, conflitto dinamico – che occuperanno sempre una posizione centrale nella elaborazione della teoria psicoanalitica adulta. Il funzionamento mentale viene descritto nei termini dei rapporti tra il sistema PC (percezione-coscienza), Prec (preconscio) e Inc (inconscio) separati fra loro da barriere che modulano l’accesso dei diversi contenuti mentali. Grazie al sogno, considerato la «via regia per l’inconscio», diviene, secondo F., possibile studiare le caratteristiche distintive dell’Inconscio e dei suoi rapporti con il pensiero cosciente. La rimozione costituisce a questo punto della teoria freudiana il meccanismo fondamentale responsabile da un lato della selezione del materiale che avrà accesso alla coscienza e dall’altro della formazione del sintomo, del sogno e di altre manifestazioni della psicopatologia della vita quotidiana. Nel 1905, nei​​ Tre saggi,​​ F. identifica inoltre l’elemento motivazionale fondamentale della vita psichica nella pulsione, considerata come strettamente ancorata al terreno biologico e concettualizzata in termini energetici, e propone un modello di sviluppo psicosessuale di tipo chiaramente evoluzionistico, che trova il suo punto centrale nel complesso edipico. Nell’interpretazione del transfert viene identificato lo strumento fondamentale della tecnica psicoanalitica e vengono inoltre postulati due principi di funzionamento della vita psichica, il processo primario, operante nell’inconscio, e il processo secondario, caratterizzato dal contatto con la realtà e dalla possibilità di differire il soddisfacimento di esigenze pulsionali. Un ulteriore sviluppo in questa fase è dato dalla formulazione del concetto di narcisismo (1914) e dalla edificazione, negli scritti metapsicologici (1915-1917), della struttura teorica della psicoanalisi. La formulazione del concetto di pulsione di morte, che compare nel 1920 nello scritto​​ Al di là del principio di piacere​​ chiude questa fase intermedia.​​ La terza fase,​​ che prende inizio dalla pubblicazione, nel 1923, di​​ L’Io e l’Es,​​ trova il suo punto centrale nella formulazione della teoria strutturale che sostituendosi al modello topico, presentato nel 1900 nell’Interpretazione dei sogni,​​ riconduce il funzionamento mentale ai rapporti fra tre strutture psichiche dell’Io, dell’Es e del Super-io. L’Es rappresenta il polo pulsionale della personalità, il Super-io, costituito dalla introiezione delle figure genitoriali, così come sono state vissute dal bambino, veicola gli ideali e i divieti delle figure genitoriali, e l’Io, istanza mediatrice tra l’Es, i divieti del Super-io e le esigenze di realtà, costituisce «il rappresentante degli interessi della persona nella sua totalità». All’Io spetta dunque il compito di modificare la realtà esterna in funzione delle esigenze pulsionali, mediante il controllo degli apparati che presiedono alla percezione, memoria e motilità, nonché di controllare, mediante il ricorso a specifici meccanismi di difesa, le richieste provenienti dall’Es. La dinamica della vita psichica è ricondotta ad una molteplicità di conflitti: tra le pulsioni di vita e le pulsioni di morte, tra le esigenze provenienti da diverse istanze, tra le diverse parti componenti ciascuna istanza. Dalla nuova riconcettualizzazione dell’apparato psichico F. estenderà da un lato l’indagine psicoanalitica a realtà extracliniche (psicologia delle masse, l’origine e il senso della religione, dell’organizzazione sociale e della civiltà) e dall’altra ritematizzerà il campo di applicazione clinica proponendo una classificazione della psicopatologia in termini di meccanismi di difesa e di dinamiche conflittuali. Di conseguenza vengono introdotte delle modifiche sostanziali nella tecnica terapeutica il cui strumento fondamentale, l’interpretazione, deve mettere l’Io in condizione di reintegrare quelle parti della vita psichica che la rimozione aveva reso non più disponibili.

3.​​ Psicoanalisi ed educazione.​​ Fin dal 1898 F. aveva messo in rilievo il peso delle pratiche educative nei confronti della sessualità. Nel 1905 nei​​ Tre saggi sulla teoria sessuale​​ se da un lato sostiene che l’educazione «deve limitarsi a favorire ciò che è organicamente predeterminato» – e cioè lo sviluppo del disgusto, del pudore, di ideali estetici, considerati una sorta di argine della pulsione sessuale – dall’altro punta il dito contro pratiche educative fortemente repressive della sessualità e il ricorso a punizioni corporali. Ancora nel 1908, nel​​ Caso clinico del piccolo Hans,​​ F. sottolinea come l’educazione possa esercitare un profondo influsso a favore o a sfavore della predisposizione alla malattia e come quindi le pratiche educative dovrebbero tendere non alla repressione delle pulsioni sessuali ma piuttosto a rendere «l’individuo atto alla civiltà e utile membro del consorzio umano». Da questa prospettiva, sostiene F., la psicoanalisi è in grado di offrire preziosi contributi alla messa a punto di adeguati metodi pedagogici. Nel 1910 ritorna sull’importanza di opportune misure educative in grado di guidare un armonioso sviluppo del bambino nonché sull’inadeguatezza della pedagogia dell’epoca. Nel 1911 ne​​ I​​ due principi dell’accadere psichico,​​ scritto di notevole importanza teorica, l’educazione viene definita come «un incitamento a superare il principio di piacere e a sostituirlo con il principio di realtà»: gli interventi educativi vengono dunque considerati, in questa prospettiva, come un «ausilio al processo evolutivo che riguarda l’Io». Nel 1913 in​​ L’interesse per la psicoanalisi​​ F. stigmatizza nuovamente il ruolo delle pratiche educative nella «repressione violenta dei moti pulsionali socialmente inutilizzati o perversi», che è all’origine di una «rimozione che instaura una successiva malattia nevrotica». L’educazione dovrebbe quindi «guardarsi dal seppellire i moti pulsionali», limitandosi piuttosto «ad incoraggiare i processi attraverso i quali queste energie possono venire indirizzate su una buona strada». In questo senso «le rivoluzionarie recenti scoperte della psicoanalisi attinenti alla vita psichica del bambino» si rivelano preziose per la messa a punto di una moderna pedagogia che voglia porsi l’obiettivo di prevenire la nevrosi e la perversione. Sempre nel 1913, nella sua prefazione a​​ Il​​ metodo psicoanalitico,​​ di O. Pfeister – che può essere considerato uno dei primi tentativi di coniugare psicoanalisi e pedagogia – F., pur sottolineando come la psicoanalisi «rimanga in un rapporto di esteriorità rispetto al lavoro educativo», ribadisce il valore preventivo dell’azione educativa orientata psicoanaliticamente, attribuendole il compito di «vigilare affinché certe disposizioni e tendenze del bambino non rechino alcun danno al singolo e alla società». Pur ritenendo ancora valida questa prospettiva, nel 1915, in​​ Considerazioni attuali sulla vita e sulla morte,​​ F. pone l’accento sull’importanza della «costrizione esterna esercitata dall’educazione, ritenuta essenziale per la costruzione della civiltà, che trova il proprio fondamento nella rinuncia al soddisfacimento pulsionale. L’educazione psicoanaliticamente orientata svolgerebbe così una funzione preziosa nella trasformazione della vita pulsionale, orientandola verso il bene e verso la conversione dell’egoismo nell’altruismo». Queste posizioni rimarranno sostanzialmente invariate. Su di esse ritorna ancora in​​ L’avvenire di un’illusione​​ (1927) e in​​ Introduzione alla psicoanalisi​​ (1932). Nel 1925, nella sua introduzione a​​ Gioventù traviata​​ di August Aichorn, un pedagogista che si era specializzato nel trattamento di giovani con tendenze antisociali, ribadisce la distinzione fra opera educativa e psicoanalisi. Pur considerando la terapia psicoanalitica una sorta di «rieducazione», F. mette in guardia dalla tentazione di sostituire la psicoanalisi alla pedagogia e sostiene che «le ricerche psicoanalitiche possono giovare alle attività educative intese a guidare [il bambino] alla conquista di una propria personale maturazione, ad aiutarlo nella crescita e a salvaguardarlo da eventuali errori [...] e che dunque se la psicoanalisi può essere molto utile all’educazione non è tuttavia idonea a prenderne il posto». Nella seconda serie di lezioni dell’Introduzione alla psicoanalisi,​​ a cui si è già fatto cenno, mette in particolare rilievo la problematicità degli interventi pedagogici. Secondo F.: «l’educazione [...] deve cercare una via tra Scilla del lasciar fare e Cariddi del divieto frustrante, compito se non insolubile particolarmente complesso». Ed è proprio sulla base delle difficoltà di trovare l’optimum​​ educativo che F. vede nell’analisi degli insegnanti e degli educatori un’auspicabile misura preventiva. Ancora nel 1937, in​​ Analisi terminabile e interminabile,​​ mette in guardia contro le ambizioni terapeutiche ed educative, identifica nella professione dell’educatore una delle tre professioni impossibili e prospetta l’educazione come una serie di interventi volti ad aiutare l’Io «a spostare lo scenario del conflitto dall’esterno all’interno, a dominare il pericolo interno prima che si sia trasformato in pericolo esterno». Tali idee sull’educazione saranno riprese ed esplicitate dalla figlia A. Freud.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ le opere complete di F. sono state pubblicate in tre diverse edizioni: l’ediz. ted.​​ (Gesammelte Werke,​​ 1940-52, 18 voll.) è curata da A. Freud et al.; l’ediz. ingl. (Standard Edition,​​ 1953-74, 24 voll.) è curata da J. Strachey e l’ediz. it. (Opere,​​ 1966-1980, 12 voll.) è curata da C. L. Musatti. b)​​ Studi:​​ Sulloway F.,​​ F. biologo della psiche,​​ Milano, Feltrinelli, 1982; Gay P.,​​ F.,​​ una vita per i nostri tempi,​​ Milano, Bompiani, 1988; Kaufmann P. (Ed.),​​ L’apporto freudiano. Elementi per un’enciclopedia della psicoanalisi,​​ Roma, Borla, 1996; Quinodoz J.-M.,​​ Leggere F. Scoperta cronologica dell’opera di F., Ibid., 2005.

F. Ortu - N. Dazzi​​ 

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FREUD Sigmund
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