FAMIGLIA
Guido Gatti
1. La realtà della famiglia oggi
1.1. Famiglia e pastorale oggi
1.2. Scrutare i segni dei tempi
1.3. Il contesto socioculturale
1.4. La famiglia del passato
1.5. La «nuova famiglia»
1.6. Per una visione di fede
2. La famiglia nella storia della salvezza
2.1. La realtà profonda della famiglia
2.2. Una realtà creaturale, segnata dal peccato raggiunta dalla redenzione
2.3. Il sacramento del matrimonio, legge nuova delta coppia cristiana
3. La famiglia soggetto di pastorale
3.1. La famiglia soggetto di educazione della fede
3.2. L’educazione della fede in famiglia
4. La famiglia cristiana nella Chiesa
4.1. La famiglia educa in un contesto di Chiesa
4.2. La sollecitudine pastorale della Chiesa per la famiglia
4.3. La familiarità come stile di rapporti pastorali
4.4. I compiti missionari della famiglia
4.5. L ’impegno sociale della famiglia nella Chiesa
1. La realtà della famiglia oggi
1.1. Famiglia e pastorale oggi
La rilevanza pastorale della famiglia si pone oggi in un nuovo contesto socioculturale, contrassegnato da una crescente secolarizzazione e scristianizzazione di massa.
In un simile contesto si verificano due fatti paradossali: la Chiesa, tentata spesso di vedere nella famiglia l’ultima trincea di una «cristianità» ormai irrimediabilmente tramontata, le affida responsabilità sempre più grandi per la socializzazione religiosa delle nuove generazioni, non più attuata come in passato dalla società. D’altra parte, la famiglia, sempre più esautorata come soggetto educativo da altre agenzie di socializzazione, e sempre più segnata dal conflitto e dall’incomunicabilità delle generazioni, si scopre inadeguata a queste sue responsabilità e cerca affannosamente un aiuto e un sostegno nelle istituzioni ecclesiali, oppure abdica del tutto ai suoi compiti educativi, con tanto maggior senso di frustrazione quanto maggiormente la sua funzione educativa continua ad essere enfatizzata dalla pubblicistica religiosa.
La famiglia stessa si vede inoltre profondamente coinvolta nelle rapide e sconvolgenti trasformazioni socioculturali del nostro tempo che ne sconvolgono le strutture e gli equilibri interni tradizionali e la espongono senza difese a problemi troppo superiori alle sue capacità.
1.2. Scrutare i segni dei tempi
Ogni discorso sulla famiglia, sui suoi compiti nei confronti dell’educazione della fede dei suoi membri, e quindi sulla sua rilevanza come soggetto, contesto e oggetto di pastorale deve quindi cominciare con una analisi di queste trasformazioni.
È necessario perciò gettare anzitutto uno sguardo sulla realtà empirica della famiglia, cioè su quegli aspetti del suo essere che sono più profondamente condizionati dalla cultura e dalla società e che, come tali, sono oggetto proprio di studio della sociologia.
«È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto» (GS 4).
Tra i segni dei tempi che più coinvolgono la famiglia e che più domandano una interpretazione alla luce del vangelo ci sono certamente le profonde trasformazioni di natura economica, giuridica, psicologica e sociale, che ha subito nel corso dell’ultimo secolo l’istituto del matrimonio e della famiglia. Non possiamo perciò esimerci dalPesaminarle, soprattutto se teniamo presente quanto dice a questo proposito la Gaudium et Spes: «Le odierne condizioni economiche, sociopsicologiche e civili portano turbamenti non lievi nella vita familiare (...). Da tutto ciò sorgono difficoltà che angustiano le coscienze. Tuttavia il valore e la solidità dell’istituto familiare prendono risalto dal fatto che le profonde mutazioni dell’odierna società, nonostante le difficoltà che con violenza ne scaturiscono, molto spesso rendono manifesta in maniere diverse la vera natura dell’istituto stesso» (GS 47).
1.3. Il contesto socioculturale
La famiglia è sembrata per molto tempo uno scoglio immobile tra le tempeste di un mondo in trasformazione.
Oggi ci rendiamo conto che anch’essa partecipa profondamente del dinamismo storico di questo mondo, alle cui trasformazioni non può restare estranea.
In quanto fatto sociale, la famiglia è legata a tutti gli altri elementi della società nel contesto di una struttura, estesa quanto la società stessa e in cui ogni elemento non è definibile che attraverso i suoi rapporti con tutti gli altri elementi del sistema sociale.
Negli ultimi due secoli il mondo è passato da un’economia di sussistenza a un’economia di consumo, superando per la prima volta nella storia, la soglia dell’indipendenza dalla schiavitù della scarsità.
Questo è stato possibile attraverso lo sviluppo tecnologico e la rivoluzione industriale, con la divisione spinta del lavoro e l’accrescimento della dimensione delle unità produttive. All’economia chiusa e statica del passato è subentrata un’economia di mercato, aperta e estremamente dinamica, basata sullo scambio intenso dei prodotti e dei servizi, la contabilizzazione delle prestazioni reciproche e il ruolo dominante della moneta.
Sul piano politico, si è avuta la rivoluzione liberale, con raffermarsi dell’individualismo e la caduta dei modelli autoritari della società tradizionale, a favore di modelli democratici; si è venuto poi realizzando un tipo di stato, lo «stato sociale moderno», che assume direttamente molti dei compiti assistenziali e previdenziali in passato lasciati ai singoli e alle famiglie; questo ha portato naturalmente a un accentramento, complessificazione e crescente importanza dello stato a spese di tutte le comunità intermedie, prima tra tutte la famiglia.
1.4. La famiglia del passato
Per descrivere le trasformazioni sociali e culturali subite dalla famiglia in questo contesto, possiamo ricorrere a una certa contrapposizione semplificante, ma complessivamente non sviante, tra la famiglia del passato e la famiglia del presente.
La famiglia tradizionale era normalmente una famiglia allargata, costituita dall’insieme strettamente coordinato di diversi nuclei familiari conviventi sotto uno stesso tetto, attorno a uno stesso patrimonio e sotto la comune autorità del patriarca: era la cosiddetta «famiglia polinucleare» o molecolare o patriarcale, tipica di una cultura agricola e precittadina.
La famiglia patriarcale era a sua volta l’elemento portante di una società fondamentalmente familista.
La società era più una realtà interfamiliare che interpersonale, era vista più come un’unione di famiglie che come un’unione di persone. La famiglia era l’unica mediatrice tra l’individuo e la società.
Aveva una sua sufficienza culturale, educativa e perfino economica.
Il modello di rapporti interpersonali che vigeva all’interno della famiglia era quello comunitario: ogni singolo contribuiva come poteva al reddito comune e riceveva secondo i bisogni e le possibilità, in un regime solidaristico.
La forza coesiva della famiglia era l’autoritarismo; i ruoli all’interno della famiglia erano differenziati e ben definiti.
1.5. La «nuova famiglia»
Le modificazioni del rapporto tra l’uomo e la natura apportate dallo sviluppo tecnologico e il superamento dell’economia di sussistenza hanno liberato la famiglia dalle esigenze della lotta per la sopravvivenza e le hanno tolto una giustificazione e una forza di coesione notevole.
La dissoluzione della famiglia patriarcale come unità economica autonoma ed autosufficiente ha portato a unità familiari più piccole (famiglia nucleare) e quindi a nuove possibilità di intimità.
Invece che dalla natura, la famiglia è oggi largamente condizionata dalla società; ha perso la sua relativa indipendenza educativa, culturale, economica e ha sempre più bisogno di essere integrata dalla più ampia società civile. La famiglia non soddisfa più a funzioni «strumentali» ma a funzioni «espressive», di gratificazione affettiva. L’enfasi è posta ormai non più sulla solidarietà parentale, ma sulla spontaneità dell’unione e dell’amore (democratizzazione dell’ideale romantico dell’amore).
La perdita della funzionalità strumentale è così perdita di coesione ma anche occasione di una diversa autenticità.
L’aumento della socializzazione e l’integrazione dell’individuo in unità sociali più grandi, mentre emargina socialmente la famiglia e diminuisce l’influenza del modello familiare nella formazione degli individui, espone l’individuo stesso al pericolo della massificazione, da cui lo difendeva il familismo del passato.
D’altra parte, lo sganciamento progressivo dell’individuo dai rigidi legami della coesione familiare favorisce l’affermazione e la creatività della persona, facilitando l’assunzione di iniziative individuali (ad esempio la libertà di scelta del coniuge, della professione, dello stato di vita).
La fine del ruolo unificante del padre e della sua autorità assoluta ha portato alla parità dei sessi, a relazioni familiari basate su un piano di libertà e di accettazione reciproca; si dà una maggiore elasticità e permutabilità di ruoli e di funzioni. Il costituirsi e rinfittirsi di legami societari più vasti restringe l’ambito di quelli comunitari propri della famiglia; il lavoro dipendente, l’estraneità reciproca delle generazioni, l’assenza di legami stabili e indipendenti dalla volontà degli individui rischia di dissolvere la famiglia, riducendola a un fatto puramente soggettivo, privatistico e provvisorio.
Non manca oggi chi di fronte a questa progressiva dissoluzione dei legami e del ruolo sociale della famiglia, avanza la profezia di una sua totale scomparsa come cellula sociale.
In realtà, la famiglia sembra capace di ricuperare sempre nuovi spazi e nuove funzioni e, anche se il suo peso sociale è decisamente scemato, sembra restare una realtà di cui l’uomo ha ultimamente bisogno proprio per la promozione della sua umanità.
1.6. Per una visione di fede
Le trasformazioni in corso si rivelano quindi ambivalenti: esse comportano seri pericoli per la consistenza della famiglia e per la sua funzione personalizzatrice, ma ne svelano anche possibilità nuove e costruttività diverse. Esse rappresentano quindi per la famiglia una spogliazione che è anche una purificazione. La famiglia perde funzioni sociali, educative ed economiche, ma riscopre una sua funzione più autentica e un suo nuovo modo di essere, come luogo di rapporti interpersonali basati sull’amore e sulla libera scelta. Nella massificazione crescente essa resta una autentica persistenza del comunitario, luogo privilegiato del gratuito e del disinteressato; potremmo dire con Jeannière che, se l’amore ha nella civiltà industriale meno difese dietro cui riparare la propria debolezza, ha anche più occasioni e più libertà per affermare la sua vera natura.
Per il cristiano che legge i segni dei tempi nella luce della fede, lo sganciamento della coesione familiare da puntelli giuridici, economici e culturali, mentre impegna a edificare la famiglia sulla libera volontà di donazione e di amore, rivela la vera natura della famiglia stessa, come comunione di vita e di amore, riflesso della vita trinitaria e segno dell’unione tra Cristo e la Chiesa.
Senza rimpiangere romanticamente strutture e aspetti della vita familiare del passato, il cristiano si adopera quindi a creare condizioni sociali che favoriscano l’affermarsi della famiglia come comunità di amore, la difesa della sua importanza umanizzatrice e quindi anche della sua stabilità e della sua influenza nella vita sociale.
2. La famiglia nella storia della salvezza
2.1. La realtà profonda della famiglia
Ma una lettura, sia pure ispirata alla fede, delle modalità empiriche e contingenti con cui la famiglia si presenta nel nostro tempo, delle sue strutture sociologiche e delle dinamiche psicologiche dei rapporti interpersonali al suo interno non può esaurire il compito ricognitivo che la pastorale è chiamata a svolgere nei confronti della famiglia, per ricuperarla a un progetto realistico di pastorale organica.
È necessaria una lettura di fede, che affronti la realtà profonda della famiglia, quella realtà che trascende i dati empirici immediati e i condizionamenti storico-culturali, e scopra nella famiglia le linee essenziali e universali di un progetto di Dio.
Giovanni Paolo II ha scritto nella Familiaris Consortio: «Famiglia, diventa ciò che sei!»; la famiglia è quindi anzitutto chiamata a diventare ciò che essa è in germe, a sviluppare tutte le possibilità di essere e di bene che essa porta già in sé per dono di Dio. Il progetto di Dio sulla famiglia è inciso nella realtà della famiglia stessa.
2.2. Una realtà creaturale, segnata dal peccato e raggiunta dalla redenzione
Una indagine sulla realtà profonda della famiglia nella luce della fede rimanda anzitutto alla originaria bontà di tutto ciò che è stato creato da Dio. La coppia e la famiglia non sono state inventate dall’uomo nel corso della sua storia. Anche nella loro dimensione contingente e storicamente condizionata, esse sono il risultato dell’azione plasmatrice della cultura umana su un nucleo di tendenze insopprimibilmente legate alla natura stessa dell’uomo dall’azione creatrice di Dio.
In questo senso la famiglia può essere detta un dono di Dio; ma è un dono che chiede di essere sviluppato, un dono che si fa vocazione: la vocazione all’amore incisa nella realtà più profonda dell’uomo, in tutti gli strati del suo essere.
La fede ci dice che l’uomo è chiamato a un amore ancora più profondo e più grande di quello che si attua nella vita coniugale, fosse pure la più riuscita. È chiamato a una comunione di amore con Dio. Ma è un fatto che l’esperienza di amore che l’uomo e la donna fanno nella vita coniugale è normalmente una delle più intense ed illuminanti della vita; una di quelle che meglio rivelano la vocazione dell’uomo alla comunione con Dio.
Lo stesso si può dire dell’altro grande dono che Dio fa alla coppia: la fecondità. Anche questo dono si fa vocazione: la vocazione a diventare collaboratori di Dio nel trasmettere e nel promuovere la vita.
Ma la realtà profonda della famiglia non rivela soltanto l’originaria bontà creaturale di tutte le cose uscite dalle mani di Dio. In essa sono anche chiaramente visibili le ferite inferte al progetto di Dio da una lunga storia di peccato. Fin dall’inizio della sua storia, l’uomo non è stato all’altezza del dono-vocazione di Dio.
Matrimonio e famiglia sono stati coinvolti in questa storia di peccato; sono anzi una delle realtà in cui è più facile discernere la presenza del peccato nel mondo dell’uomo. Pensiamo all’egoismo che spesso si nasconde sotto l’apparenza dell’amore; pensiamo ai fallimenti coniugali e familiari, alle sofferenze che questi provocano, allo sconcerto educativo di cui restano vittime i figli e che li porteranno magari, da adulti, a fallimenti analoghi, in una tragica catena di ereditarietà e di solidarietà nel male, di cui non è facile valutare la portata. 11 desiderio sessuale, che dovrebbe essere al servizio dell’amore vero, diventa spesso un’energia ribelle ed autodistruttiva, che consuma la dignità dell’uomo e ne impedisce la felicità.
Questa dimensione di peccato che si rivela nella famiglia è una specie di no oggettivo al progetto di Dio; delude il suo amore e impedisce a questo amore di arrivare a noi. Questo amore tuttavia è più grande del nostro stesso rifiuto. Il peccato diventa addirittura l’occasione che permette a Dio di produrre il suo capolavoro, Cristo, ricupero della nostra possibilità di riuscita umana, riconciliazione col progetto d’amore di Dio e vittoria sulla forza negativa del peccato.
La famiglia è stata raggiunta in maniera determinante dalla redenzione di Cristo. Questa redenzione si fa visibile ed operante nella sua realtà profonda della famiglia. Così come la creazione e il peccato, anche la redenzione entra a costituire questa realtà, non tanto come una delle «epoche» della sua storia, quanto come uno «strato» o dimensione esistenziale del suo essere. In ogni momento della sua storia e della sua vita, operano insieme la grandezza del progetto originario di Dio, la miseria del peccato e le meraviglie della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte.
2.3. Il sacramento del matrimonio, legge nuova della coppia cristiana
La redenzione di Cristo opera nel cuore degli uomini e nelle realtà umane che si aprono alla sua efficacia di salvezza, con una dialettica etico-sacramentale.
11 sacramento che sigla con la presenza di Cristo il matrimonio e la vita coniugale è il sacramento del matrimonio. Esso testimonia quanto profondamente il matrimonio e la famiglia siano coinvolti nella redenzione. Il sacramento del matrimonio è il segno e il luogo concreto di questa redenzione che restituisce alla vita coniugale e alla famiglia, rinnovato e arricchito, quanto il peccato aveva loro strappato.
Nel sacramento del matrimonio, l’amore umano che costituisce la coppia nella sua specificità, diventa immagine e partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e di Cristo per la sua Chiesa.
La salvezza cristiana rivela così una sua dimensione nuziale: l’amore di Dio per gli uomini può essere raffigurato dall’amore che unisce gli sposi tra di loro o dall’amore dei genitori verso i figli. Diventando immagine e riflesso dell’amore di Dio e di Cristo, l’amore coniugale e familiare diventa strumento di grazia e luogo di incontro tra Dio e l’uomo. Ma in tutto questo non c’è niente di magico: l’incontro con Dio che si realizza nel segno sacramentale ci restituisce alla capacità di un amore più vero, ma non ci esonera dai nostri compiti e dalle nostre responsabilità. Ancora una volta il dono si fa vocazione. «11 sacramento del matrimonio — hanno detto i vescovi italiani — effondendo il dono dello Spirito che trasforma l’amore sponsale, diventa la legge nuova della coppia cristiana. La grazia, mentre testimonia l’amore gratuito di Dio che si comunica agli sposi, sollecita la loro libera risposta di credenti mediante un’esistenza che sia conforme al dono ricevuto». (CEI, Evangelizzazione e sacramento del matrimonio).
Così per il credente tutti compiti etici della vita coniugale e familiare si riassumono in quello di vivere come vocazione quello che gli è dato come dono.
Uno di questi compiti etici è appunto quello dell’educazione della fede nei confronti dei figli e in genere reciprocamente tra tutti i membri della famiglia; è proprio soprattutto a questo compito che è collegata, come si è visto, la rilevanza pastorale della famiglia cristiana.
3. La famiglia soggetto di pastorale
3.1. La famiglia soggetto di educazione della fede
La famiglia cristiana infatti interessa la pastorale anzitutto in quanto agenzia privilegiata di educazione della fede nei confronti dei suoi membri e in particolare dei figli.
Ed essa è una tale agenzia proprio in forza del particolarissimo influsso educativo che i genitori hanno nei confronti dei figli, anche solo su un piano puramente umano. Questo influsso è tanto profondo da potersi dire che con l’educazione i genitori li generano una seconda volta: li generano a ciò che è più propriamente umano, la vita dello spirito e il mondo della cultura.
Questo influsso è solo un caso privilegiato di un più universale mistero di solidarietà che lega ogni uomo a ogni altro uomo, nel bene come nel male, attraverso una catena di condizionamenti reciproci che costituiscono nel loro insieme la storia e la civiltà umana. Questa trama di condizionamenti reciproci raggiunge il suo livello massimo all’interno della famiglia, dove tocca le radici stesse dell’esistenza.
Ogni nuova vita porta impresso in sé, nel corpo e nello spirito, le prove di questo legame coi genitori, le tracce indelebili di questa sua dipendenza da quelle persone concrete che sono i suoi familiari. È la doppia eredità, biologica ed educazionale, che ognuno porta con sé per tutta la vita, e che è tanta parte della sua fisionomia concreta di persona umana. Ogni uomo è in parte rilevante il risultato di questa eredità.
Oggi si parla molto di una certa perdita di rilevanza della famiglia, per quello che riguarda la sua funzione educativa. E certamente essa è, oggi più che in passato, affiancata da altre agenzie educative. Ma proprio le scienze dell’uomo ci assicurano che l’influsso educativo della famiglia è ancora e sempre decisivo.
Esso è tanto più grande quanto più si risale nel corso dell’età evolutiva verso i primi anni e i primi mesi dello sviluppo della personalità.
Certe qualità di fondo, particolarmente decisive agli effetti della formazione e della maturazione della fede, come l’ottimismo o la rassegnazione, l’altruismo o l’egoismo, la serietà o il disimpegno morale, dipendono dall’influsso educativo della famiglia in questi primi periodi della vita più che da qualsiasi altro.
Quanto la famiglia sembra avere perso in estensione orizzontale a favore di altre agenzie educative, può essere ricuperato in profondità, attraverso una più consapevole preoccupazione di educare questi atteggiamenti di fondo nei confronti della vita.
I genitori formano questi atteggiamenti prima di tutto con l’esempio e particolarmente vivendo in maniera autentica il loro amore. Nessuna scienza pedagogica può sostituire la sapienza che viene da questo amore, disinteressato ma intelligente, sollecito ma non possessivo.
3.2. L’educazione della fede in famiglia
Ma il compito dei genitori non si limita alla formazione di questi atteggiamenti, che potremmo chiamare i «precursori etici» della fede o che, se si vuole, potremmo considerare come l’equivalente di una fede implicita e anonima, in assenza di una fede esplicita vera e propria.
I genitori sono chiamati a dare un nome alla fede che trasmettono con la vita, a esprimerla con parole, a insegnarla per renderla esplicita e consapevole; quindi a essere i primi evangelizzatori dei loro figli. Anche qui i genitori hanno verso i figli una responsabilità unica. Essi sono i primi catecheti dei figli, proprio in forza del sacramento del matrimonio: «La missione dell’educazione esige che i genitori cristiani propongano ai figli tutti quei contenuti che sono necessari per la graduale maturazione della loro personalità da un punto di vista cristiano» (FC 39).
Dio affida ai genitori il compito del primo annuncio del vangelo ai loro figli e li rende capaci di questo annuncio, qualunque sia la loro preparazione culturale, con il dono della partecipazione al suo amore, che essi ricevono appunto col sacramento del matrimonio.
Ma è proprio nell’ambito di questa missione evangelizzatrice e di educazione della fede che si rivela oggi in modo drammatico il fenomeno più generale della difficoltà di comunicazione esistente tra genitori e figli; è qui che esplode spesso il dramma dell’inefficacia e del fallimento degli sforzi educativi anche meglio intenzionati e illuminati.
In molte famiglie cristiane, i figli, giunti a una certa età, prendono le distanze dalle tradizioni religiose e morali dei genitori, compromettendo l’unità religiosa della famiglia e dando ai genitori l’impressione dolorosa di un fallimento della loro missione educativa.
I genitori sono così tentati di abbandonare del tutto l’impresa educativa, rassegnandosi al fallimento.
In una situazione del genere, è ancora più necessario di quanto fosse in passato un ripensamento insieme più realistico e più creativo del ruolo della famiglia e dei genitori come soggetto di educazione della fede.
La fede è l’accettazione del messaggio di Cristo nella propria vita come senso e ragione profonda di tutte le proprie esperienze e di tutte le proprie scelte. Essa si traduce in una serie di convinzioni precise, fondate sulla parola stessa di Dio. 1 genitori sono chiamati a essere i portatori di questo sapere della fede, con la loro parola, accompagnata dall’esempio che la rende più convincente e comprensibile.
Ma la fede è anche un atteggiamento profondo e globale di vita, una specie di fisionomia interiore della personalità.
Fanno parte di questa fisionomia morale un aprirsi agli altri e alla vita piena di ottimismo e di impegno, la capacità di continuare a sperare nonostante il male del mondo, la capacità di impegnarsi per il bene, per la verità, per gli uomini, nonostante le loro miserie. Questo atteggiamento è in intima connessione con le convinzioni di fede e la prova della loro autenticità. Ma esso non viene insegnato alla stessa maniera con cui si insegna una dottrina, cioè attraverso una qualche forma di indottrinamento; esso si comunica con un’educazione globale, attraverso il contagio della vita. Naturalmente occorre anche una vera e propria catechesi: la parola della fede spiega al bambino il significato della vita vissuta; e l’esempio rende comprensibile la parola insegnata.
Se la catechesi come insegnamento avrà, dopo una prima iniziazione abbozzata in famiglia, i suoi momenti più importanti nella comunità ecclesiale, l’educazione della fede come atteggiamento nei confronti della vita ha invece i suoi momenti più decisivi e insostituibili nella famiglia. Le vicende successive (scuola, lavoro) potranno in certi casi cancellare le convinzioni teoretiche della fede, portando a una crisi o a una perdita della dimensione cognitiva della fede. Ma se dietro questa dimensione cognitiva c’erano degli atteggiamenti di fondo autentici, la fede potrà smarrire la sua dimensione cognitiva senza perdersi del tutto. Rimangono nel profondo i tratti essenziali dell’atteggiamento di fede, sempre pronti a rigermogliare l’intera pianta al sole sempre luminoso della grazia.
4. La famiglia cristiana nella Chiesa
4.1. La famiglia educa in un contesto di Chiesa
D’altra parte la famiglia non educa alla fede operando in una specie di vuoto assoluto: essa è cellula di un tessuto vitale più ampio, che è a sua volta soggetto più completo e più pieno di evangelizzazione e di educazione della fede: la comunità ecclesiale particolare e la stessa Chiesa universale.
In quanto inserita nella Chiesa, la famiglia stessa diviene oggetto di azione pastorale. Essa viene continuamente educata alla fede dalla comunità ecclesiale di cui fa parte ed è solo, in quanto raggiunta da questo influsso educativo complesso e articolato (cioè adeguato all’età e alla condizione dei suoi membri) che essa può farsi a sua volta luogo privilegiato di azione pastorale. Nella famiglia si annuncia il vangelo soltanto facendo eco alla evangelizzazione della Chiesa da cui la famiglia stessa è stata raggiunta.
Nella famiglia si insegna a vivere la fede attraverso l’ascolto della Parola e la preghiera, perché la famiglia ascolta la Parola nella Chiesa e partecipa come famiglia alla preghiera liturgica della Chiesa.
Nella famiglia si vive e si pratica la carità cristiana, perché la famiglia è immersa nella vita di carità della Chiesa e partecipa alla carità attiva della comunità di fede.
4.2. La sollecitudine pastorale della Chiesa per la famiglia
Ma questo significa che la comunità ecclesiale ha delle precise responsabilità pastorali nei confronti della famiglia in quanto famiglia e non soltanto nei confronti dei suoi membri, presi singolarmente.
La cura pastorale che la comunità ecclesiale in tutte le sue articolazioni (Chiesa universale, particolare, comunità parrocchiale, «movimenti» e gruppi di Chiesa) ha nei confronti della famiglia costituisce la pastorale familiare, uno dei settori più importanti della prassi pastorale della Chiesa. Di essa esistono trattazioni specifiche cui dobbiamo necessariamente rimandare.
Qui vogliamo solo notare come ogni forma di pastorale familiare, per il fatto di essere rivolta alla famiglia che è di sua natura educatrice dei figli alla fede, ha un rapporto molto stretto con la pastorale giovanile, e quindi una ineliminabile dimensione di abilitazione pedagogica.
Curando la famiglia, la comunità ecclesiale forma gli educatori della fede delle nuove generazioni e questo deve diventare obiettivo consapevole e intenzionale nell’ambito delle preoccupazioni cui si ispira la pastorale familiare.
Promovendo la fedeltà e l’autenticità dell’amore dei coniugi, essa sa che questo amore è autentico solo se aperto alla vita e all’educazione integrale dei figli. In questo amore, essa promuove il presupposto e il contesto più efficace dell’educazione cristiana in famiglia. La stessa promozione di una specifica spiritualità familiare sarà inevitabilmente contrassegnata da questa dimensione educativa come da un suo elemento specifico: la spiritualità familiare è una spiritualità per educatori.
4.3. La familiarità come stile di rapporti pastorali
Ma la rilevanza pastorale della famiglia non è legata soltanto alla funzione educativa della famiglia nei confronti dei figli e a quella della Chiesa nei confronti della famiglia: essa dipende anche da quello che la famiglia, in quanto famiglia può offrire alla Chiesa, come suo contributo specifico a quel servizio di evangelizzazione e promozione umana che è compito specifico della Chiesa nei confronti del mondo.
Una cosa importante che la famiglia ha da offrire alla Chiesa ci sembra quel particolare modello o stile di rapporti interpersonali che è così caratteristico e specifico della famiglia da meritare il nome di «familiarità». La familiarità è proprio il segreto ultimo della efficacia educativa della famiglia. Essa consiste anzitutto in uno stile di accoglienza fondata su un amore che accetta incondizionatamente l’altro così com’è, proprio nella sua irripetibile unicità e ne vuole la pienezza di essere e di vita senza imporgli nessuna condizione.
La familiarità dà luogo a rapporti interpersonali contrassegnati dalla conoscenza personale reciproca, dalla spontaneità degli affetti, dalla cordialità e sincerità dei tratti, dalla partecipazione di tutti alla progettazione e all’attuazione della vita comunitaria.
Essa è quindi il contrario dell’autoritarismo e dell’impersonalità burocratica. Naturalmente familiarità non vuol dire familismo gretto e soffocante; così come paternità non significa paternalismo. L’accoglienza incondizionata non rinuncia alla proposizione leale dei valori in cui crede e la confidenza non viola i legittimi spazi di riservatezza delle persone singole e non solo di quelle adulte. Questo stile di rapporti la Chiesa deve imparare dalla famiglia.
4.4. I compiti missionari della famiglia
Una seconda cosa che la famiglia è chiamata a dare alla Chiesa è il suo contributo alla azione missionaria della Chiesa, attraverso una forma discreta, spesso solo occasionale, spontanea ma perciò molto più efficace, di evangelizzazione vera e propria soprattutto nei confronti dei lontani, cioè di quelle persone che la Chiesa spesso non può accostare se non per mezzo delle famiglie cristiane. La famiglia cristiana è inserita in una storia che va verso il Regno e deve contribuire alla sua edificazione, proprio in quanto famiglia, con la sua vita di famiglia ma anche assumendosi le responsabilità missionarie, che sono compatibili con le sue concrete possibilità, soprattutto nei confronti di coloro con cui viene a contatto in forza del vicinato. Viviamo in un mondo e in un paese che sta diventando sempre più un territorio di missione e la famiglia ha delle possibilità di dialogo e di incontro con i «lontani» che la Chiesa ufficiale non ha: «Il sacramento del matrimonio che riprende e ripropone il compito radicato nel battesimo e nella cresima, di difendere e diffondere la fede, costituisce i coniugi e i genitori cristiani testimoni di Cristo fino agli estremi confini della terra, veri e propri missionari dell’amore e della vita» (FC 54).
4.5. L'impegno sociale della famiglia nella Chiesa
Ma la Chiesa non ha soltanto la missione di annunciare al mondo la parola di Dio, ha anche il compito di rendere presente ed efficace questa parola di salvezza con un impegno serio e globale di promozione umana, soprattutto a livello culturale e socio-politico.
La famiglia è chiamata in quanto famiglia a partecipare anche a questa missione sociale della Chiesa: è il compito sociale della famiglia cristiana, compito che non va visto come disgiunto da- o soltanto parallelo a quello dell’evangelizzazione e dell’educazione della fede.
Questo compito si esplica anzitutto attraverso l’educazione alla giustizia, alla fraternità e alle responsabilità sociali.
Si dice che la famiglia è la cellula primaria e fondamentale della società. In nessun altro posto che nella famiglia può essere meglio sperimentata e capita la essenziale socialità dell’uomo. Nella famiglia tutto è comune e non per imposizione di legge ma per spontaneità di amore. In famiglia ognuno è accettato non per quello che rende ma per quello che è: una persona umana.
La famiglia educa quindi alla solidarietà e al senso sociale con facilità e spontaneità, attraverso la sua stessa vita, che è essenzialmente un vivere insieme.
Tuttavia la famiglia comporta da questo punto di vista anche qualche pericolo, rischiando di bloccare la solidarietà, cui pure educa sul gruppo ristretto dei familiari, escludendo una visione più larga delle responsabilità sociali. Essa può quindi educare al qualunquismo sociale o addirittura all’egoismo di gruppo: è il male del familismo, in linea con altre forme di comportamento asociale che affliggono il nostro paese.
L’impegno sociale della famiglia è d’altra parte diverso da quello dei suoi singoli membri; è quello cui la famiglia si impegna come famiglia.
Purtroppo lo stato moderno, il cosiddetto «stato sociale», tende continuamente a scavalcare la famiglia. Esso è continuamente tentato di rivolgersi sempre solo direttamente ai singoli individui «atomici», concedendo solo a loro una vera rilevanza sociale; le famiglie non hanno in questo stato un ruolo e una dignità propria; non contano. Così gli individui rischiano di essere ridotti a numeri o a massa informe. 11 rivolgersi a loro attraverso la mediazione delle società intermedie naturali come la famiglia non solo non è di ostacolo al riconoscimento della dignità e autonomia delle singole persone, ma rende meno anonima e più personalizzata e organica la società.
Le famiglie sono chiamate quindi a far sentire coraggiosamente la loro voce. Campo privilegiato di questo impegno può essere oggi la gestione sociale della scuola. Essa è un servizio offerto dallo Stato: non deve tramutarsi in una forma di prepotenza nei confronti dei diritti e dei compiti educativi della famiglia. Essa non va ridotta a monopolio dello Stato, e tanto meno della sua burocrazia o di gruppi ideologici e culturali che operano nella società per la conquista di una egemonia, che è il contrario della vera democrazia. La scuola appartiene anche alle famiglie ed esse hanno il diritto-dovere di collaborare a gestirla.
Lo stesso si può dire delle diverse forme di assistenza e previdenza sociale, come pure delLamministrazione degli «enti locali». Lo Stato non diventa più efficiente, per il solo fatto di assorbire tutte le attività sociali, ma piuttosto stimolando, sorreggendo e coordinando il volontariato e la partecipazione di tutti, ma soprattutto delle famiglie.
Le responsabilità sociali della famiglia le chiedono tra l’altro di opporsi al consumismo della nostra società, che comporta una concezione materialistica della vita, secondo la quale l’avere conta più dell’essere, il consumo più dei valori culturali e morali. In un mondo come il nostro, che viene scoprendo l’essenziale limitatezza delle sue risorse e in cui miliardi di persone vivono al di sotto dei livelli di sussistenza, tale consumismo è un grave disvalore etico. Alla famiglia è quindi richiesto un nuovo atteggiamento nei confronti dei beni economici e un nuovo modo di educare all’austerità e al risparmio, privilegiando l’attenzione all’uomo rispetto alle cose, all’essere invece che all’avere.
Essere famiglia nella Chiesa significa insomma farsi carico dì tutti i problemi del mondo, vivere la solidarietà universale tra gli uomini come una estensione dei confini della famiglia.
L’adempimento di questi suoi compiti e l’assunzione generosa di queste responsabilità costituiscono un momento privilegiato della vita di fede della famiglia, una specie di insostituibile liturgia della vita.
È così, nella fedeltà a tutti i suoi compiti e nella fruttificazione di tutti i doni che essa riceve dal Padre, che la famiglia mantiene viva la grazia sacramentale del matrimonio, ricelebrandolo ogni giorno con i fatti nel concreto della sua esistenza.
Bibliografia
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