ETÀ EVOLUTIVA

 

ETÀ EVOLUTIVA

1.​​ Puntualizzazioni preliminari.​​ Nell’uso corrente, il termine​​ età evolutiva​​ significa l’età compresa tra l’infanzia e l’adolescenza, in cui lo sviluppo è più intenso e rapido. Nel linguaggio psicologico italiano, la locuzione​​ psicologia dell’età evolutiva​​ (PEE)​​ tradizionalmente equivale a psicologia dell’età preadulta.

Recentemente, però, intesa come​​ psicologia dello sviluppo​​ umano, essa allarga l’ambito della ricerca a tutto l’arco della vita umana, dalla nascita (per alcuni aspetti dall’età prenatale) alla vecchiaia. Autori contemporanei considerano infatti arbitrario far coincidere la fine dello sviluppo psicologico con il superamento della tappa adolescenziale. Tra questi Erikson che, ponendosi in una prospettiva psico-sociale, mostra come gli stadi della vita dipendano gli uni dagli altri nell’attivare reciprocamente le loro forze complementari. Lo studio scientifico dello sviluppo umano è condotto secondo prospettive diverse che autorizzano a parlare di​​ scienze psicologiche dell’età evolutiva.​​ Non esistono perciò teorie onnicomprensive dei fenomeni psicologici dello sviluppo, ma teorie parziali, la cui utilità risiede principalmente nel loro valore euristico. Per una rassegna delle principali teorie si rinvia alle opere di A.​​ Baldwin,​​ H. Maier, J. Langer.

La C. è descritta da CT come “educazione alla fede dei fanciulli, dei giovani e degli adulti” (CT 18). Suo fine specifico è quello di “sviluppare, con l’aiuto di Dio, una fede ancora germinale, di promuovere in pienezza e di nutrire quotidianamente la vita cristiana dei fedeli di tutte le età” (CT 20). Il DCG la presenta “come quell’azione ecclesiale che conduce le comunità e i singoli cristiani alla maturità nella fede» (DCG 21). L’accento è posto sulle comunità cristiane che, mediante la C., “si costruiscono nello sforzo di rendere matura e illuminata la loro fede e di rendervi partecipi gli uomini che tendono ad essa” (ibid.).​​ In questa prospettiva, viene valorizzata la C. agli adulti, considerata come “la forma principale della C., alla quale tutte le altre, non perciò meno necessarie, sono ordinate” (DCG 20; cf CT 43).

2.​​ Apertura della C. alla psicologia dell’età evolutiva.​​ La presa di coscienza che la C. è educazione alla fede in tutte le età della vita fonda l’esigenza di ricorrere alle scienze dell’educazione, in particolare alla metodologia cat. (C. delle diverse età). Per la formulazione di finalità e obiettivi specifici delle diverse età sembra d’obbligo avvalersi dei contributi della​​ PEE.​​ Le opere di alcuni pionieri del rinnovamento catechistico rivelano sensibilità e impegno nell’accogliere e applicare alla C. i risultati delle ricerche psicologiche sullo sviluppo. I recenti documenti della Chiesa universale, inoltre, codificano l’esigenza di adeguare l’annuncio della parola di Dio alle caratteristiche delle diverse età (DCG 30, 34, 70, 77-97; CT 35-45). Il DCG giunge fino ad abbozzare una descrizione delle tappe evolutive in cui è dato intravedere un riferimento prevalente al modello interpretativo psico-sociale, che privilegia l’importanza delle relazioni interpersonali nella graduale strutturazione della personalità e riconosce l’incidenza fondamentale delle culture, con i valori che esse veicolano, nelle manifestazioni delle crisi evolutive e nelle loro modalità di soluzione.

Su questo sfondo, acquistano rilievo anche dal punto di vista psicologico le sottolineature relative all’importanza della C. agli adulti e l’appello a favorire la “perfetta complementarità” tra le C. delle diverse età (inclusa la vecchiaia), in quanto viene così implicitamente affermata l’interdipendenza dei cicli di vita (cf CT 45). La natura dei documenti citati renderebbe inopportune indicazioni più esplicite, ma l’impostazione che essi suggeriscono è stimolante non solo per catecheti e catechisti ma anche per studiosi dell’età evolutiva.

3.​​ Quello che la​​ PEE​​ può dire alla​​ C. Nella sua breve storia, la​​ PEE​​ ha conosciuto diversi approcci allo studio dello sviluppo umano. La sua natura di scienza positiva non ne esclude alcuno, purché sia assicurato il rispetto del rigore metodologico. La discussione sull’esistenza e sulla natura degli​​ stadi​​ dello sviluppo esprime in forma emblematica la relatività e insieme la legittimità delle diverse prospettive di ricerca. Superata la fase dell’accettazione empirica dell’esistenza degli stadi di sviluppo, il riconoscimento dell’importanza e delle delimitazioni dei medesimi varia da un sistema teorico all’altro. Le divergenze sono in parte riferibili ai diversi gradi di elaborazione scientifica che caratterizzano i sistemi stessi, ma soprattutto derivano dalle prospettive di studio adottate dagli Autori. Considerando, ad esempio, i sistemi di Piaget, Freud, Wallon, Gesell si possono rilevare due tendenze tipiche: un approccio concreto e multidimensionale (Gesell, Wallon) e un approccio astratto e unidirezionale (Piaget, Freud), che condizionano sia l’analisi e l’interpretazione dello sviluppo sia la definizione degli stadi. Il primo tipo di approccio, studiando il comportamento in se stesso con l’insieme delle condizioni interne ed esterne che lo specificano, riconosce gli stadi come tappe qualitative della graduale evoluzione verso la maturità; il secondo, astraendo alcuni aspetti dall’insieme del comportamento e delle condizioni di esistenza per descrivere rispettivamente la genesi delle strutture logiche (Piaget) e le vicissitudini degli investimenti pulsionali (Freud), mette in evidenza la continuità degli stadi, la loro solidarietà anziché la discontinuità.

Storicamente, la PEE, superato il periodo dell’ingenuo ottimismo in cui pretendeva di offrire all’azione educativo-didattica la visione completa e definitiva dello sviluppo (psicologismo), si è impegnata nello studio di aspetti settoriali per soddisfare all’esigenza di rigore metodologico che, in una​​ concezione univoca​​ di scientificità, mutuava i suoi canoni da quelli delle scienze della natura. In tale prospettiva naturalistica, i fenomeni dello sviluppo venivano considerati come la risultante di condizionamenti esterni o come l’espressione di pulsioni biologiche interne. Evidentemente tali modelli focalizzavano oggetti di studio scarsamente rilevanti per la C. La riflessione epistemologica attuale approda a un​​ concetto analogico​​ di scienza, che consente di​​ ritagliare​​ nella​​ cosa​​ allo studio (sviluppo umano) punti di vista che non sono necessariamente quelli della scienza naturalistica. Dapprima in forma incerta e talora polemica, oggi con maggiore equilibrio e consapevolezza si imposta la ricerca scientifica sullo sviluppo secondo angolature che rispettano la specificità della situazione umana. Nell’area della psicoanalisi si affermano gli​​ psicologi dell’Io​​ (Erikson) e i rappresentanti della​​ teoria delle relazioni oggettuali​​ (Winnicott);​​ numerosi Autori, pur differenziandosi nel modo in cui accostano lo sviluppo della personalità, si definiscono​​ umanisti​​ per l’intento che li accomuna di abbandonare prospettive riduzionistiche (Allport, Rogers,​​ Maslow),​​ benché alcuni di essi sfocino in forme non meno discutibili di riduttivismo (umanesimo potenzialista).

Nel quadro eterogeneo delle teorie psicologiche sull’età evolutiva, è possibile cogliere alcune linee di convergenza, tanto più significative in quanto derivanti da diversi punti di partenza, e abbozzare a grandi tratti le caratteristiche generali dello sviluppo rilevando i fattori che ne sono i principali responsabili. — L’essere umano ha bisogno del contesto umano per “umanizzarsi”: non esiste uno sviluppo immutabile e necessario, il bambino è un candidato all’umanità;

— fin dai primi mesi di vita il bambino è attivo e capace di reciprocità, benché ovviamente a livello non intenzionale;

— nell’interazione si struttura precocemente un’immagine dell’Io che, senza essere determinante, ha un valore dinamico, condizionando l’ulteriore sviluppo;

— l’infanzia è caratterizzata da complesse problematiche relazionali che, positivamente superate, consentono al fanciullo di dedicarsi ad un apprendimento intenso degli strumenti fondamentali della convivenza sociale nella propria cultura, sviluppando il gusto del fare e il senso di appartenenza sociale;

— l’adolescenza è il lungo periodo che nelle società più complesse è dato alle giovani generazioni per elaborare la propria identità personale e giungere a precisarla in una scelta vocazionale: le crisi di identità degli adulti e delle epoche storiche rendono problematico il superamento positivo della tappa adolescenziale, e possono indurre il giovane a fissarsi in uno stato di dispersione o in pseuao-identità negative; lo sviluppo intellettuale in tal caso orienterà ad abbracciare ideologie totalizzanti anziché sostenere nella ricerca del significato dell’esistenza;

— la conclusione positiva della tappa adolescenziale costituisce un punto di arrivo in cui si sintetizzano le acquisizioni delle tappe precedenti e insieme un punto di partenza, in quanto, essendo ormai possibile invertire il rapporto di importanza tra fattori esterni o pulsionali e decisione personale, il giovane è in grado di proiettarsi nel futuro e di impegnarsi in coerenza con le sue scelte nell’amicizia, nella collaborazione, nella generatività; — l’adulto dovrebbe riconoscere la vita come compito e sapersi impegnare con sollecitudine per assolverlo, qualunque esso sia; il senso di appagamento e di integrità caratterizzerebbe allora gli stadi finali della vita, in cui è dato testimoniare la bontà del proprio ciclo vitale proprio nel riconoscimento del suo valore e della sua relatività, offrendo così motivi di speranza alle giovani generazioni.

Nella prospettiva abbozzata trovano la loro giusta collocazione aspetti specifici dello sviluppo, quali lo sviluppo morale e religioso. Per quanto concerne lo →​​ sviluppo morale,​​ sono notevoli i contributi delle teorie psicoanalitiche e cognitive (Freud, Piaget e​​ Kohlberg);​​ essi richiedono tuttavia di essere integrati in contesti più ampi (cf da un lato Allport: coscienza del “dovrei”, esigenzialità; Frankl: esperienza della coscienza come “voce dalla trascendenza”; dall’altro, nell’ambito delle teorie cognitive, le critiche agli stadi universali di Kohlberg in base alla ridefinizione del cognitivo come struttura non indipendente dalla cultura, per cui l’interconnessione tra sociale e cognitivo connoterebbe inevitabilmente anche il giudizio morale).

Riguardo allo →​​ sviluppo religioso,​​ è appena il caso di segnalare quanto la natura dell’educazione incida sulle sue manifestazioni. È ipotizzabile che l’immagine di Dio, ad esempio, risulti notevolmente modificata negli ambienti in cui la catechesi rivolta a tutte le età tenda a creare effettivamente comunità i cui membri sono impegnati a vivere consapevolmente, nel quotidiano, da figli di Dio. Si intravede, in questa linea, l’interesse di valorizzare la precoce bidirezionalità del rapporto madre-bambino rilevata nello studio dell’interazione secondo modelli teorici di tipo interattivo-cognitivista (cf Schaffer).

4.​​ Valutazione e prospettive.​​ I contributi che la PEE oSre alla C. sono eterogenei quanto al contenuto. La relativizzazione dei diversi approcci, lungi dall’indurre ad atteggiamenti svalutativi o relativistici, dovrebbe favorire la maturazione nei catecheti e nei catechisti di un atteggiamento criticamente consapevole nell’accogliere i contributi delle scienze positive, collocandoli nell’ambito più vasto delle discipline che studiano l’uomo, e orientare verso l’interdisciplinarità e la transdisciplinarità. L’emergere di nuovi modelli che studiano con rigore scientifico l’interazione bambino-adulto-società amplia la gamma di conoscenze significative che la PEE può mettere a servizio della C. Mentre gli approcci naturalistici si situano infatti in uno spazio articolato secondo una sequenza lineare causa-effetto, gli approcci di tipo psico-dinamico e interattivo-cognitivista definiscono un oggetto scientifico che rinvia a una cultura diversa da quella dell’organicismo naturalistico: una cultura all’insegna dell’espressività, che riguarda un significato relativo alla relazione stessa.

I due tipi di approccio sono ugualmente legittimi ma diversamente rilevanti per la C. Se lo sviluppo del bambino, del fanciullo, dell’adolescente avviene in un contesto umano portatore di valori, si intravede la possibilità di formulare ipotesi operative che partano da una prospettiva aperta a valori trascendenti, più specificamente alla vita di comunione con Cristo. È questo un tipo di ricerca nell’ambito della PEE che la C. postconciliare, rivolta a tutte le età della vita, potrebbe rendere attuabile qualora essa raggiungesse e trasformasse in profondità la vita degli adulti. La C. offrirebbe in tal modo l’occasione di un approccio originale allo studio dello sviluppo, simile — si passi l’accostamento — a quello dato dai kibutzim israeliani.

È appena il caso di precisare che le nuove prospettive non annullano la validità di molte acquisizioni precedenti: collocate nel loro contesto originario, esse risultano utili schemi di riferimento per comprendere la complessa e mutevole realtà dello sviluppo umano nelle sue fasi successive, vissute in contesti culturali diversi.

Bibliografia

A. L. Baldwin,​​ Teorie dello sviluppo infantile,​​ Milano, F. Angeli, 1971; L. Camaioni,​​ La prima infanzia. Lo sviluppo psicologico dalla nascita ai tre anni,​​ Bologna, Il Mulino, 1980; H. E. Erikson,​​ I cicli della vita. Continuità e mutamento,​​ Roma, Armando, 1984; In.,​​ Aspetti di una nuova identità,​​ ivi, 1975; In.,​​ Gioventù e crisi di identità,​​ ivi, 1974;​​ Il giudizio morale nell’adolescenza-, categorie cognitive e valori,​​ Milano, F. Angeli, 1983; H. L. Hoffman,​​ Review of Child Development Research,​​ New York, Russel Sage Foundation, 1964-1966; B. Inhelder – J. Piaget,​​ Dalla logica del bambino alla logica dell’adolescente,​​ Firenze, Giunti e Barbera, 1973; J. Langer,​​ Teorie dello sviluppo mentale,​​ ivi, 1973; H. W. Maier,​​ L’età infantile,​​ Milano, F. Angeli, 1971; R. Mocciaro,​​ Giocare con Dio; l’immagine di Dio nei ragazzi d’oggi,​​ Roma, Ed. Kappa, 1982; P. H. Mussen (ed.),​​ Charmicael’s​​ Manual​​ of Cbild Psychology,​​ 2 vol., New York, Wiley and Sons, 19703; R. Schaffer (ed.),​​ L’interazione madrebambino: oltre la teoria dell’attaccamento,​​ Milano, F. Angeli, 1984; Tran-Thong,​​ Stades et concept de stade de développement de l'enfant dans la psychologie contemporaine,​​ Paris, Vrin, 1974.

Antonia Colombo

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ETÀ EVOLUTIVA

ETICA

 

ETICA

Il termine e. è usato per indicare sia una delle esperienze più vive e più profonde della vita umana, l’esperienza morale, sia il sapere relativo a questa esperienza.

1. Come forma specifica di sapere etico ha avuto a lungo quasi esclusivamente contenuti di genere normativo e fondativo. Oggi questi contenuti tradizionali sono stati affiancati, e a volte sostituiti dal discorso metaetico (e. analitica) e da quello psicologico-evolutivo. È soprattutto a questo secondo livello, rivolto alla comprensione dei dinamismi psicologici soggiacenti all’esperienza morale e al suo sviluppo, che l’e. ha acquistato una rilevanza nuova per la pedagogia. L’idea che quella morale sia un’esperienza essenzialmente evolutiva, che attraversa fasi di sviluppo qualitativamente (e non solo qualitativamente) diverse sta infatti alla base di tutta la ricerca più recente sui problemi specificamente pedagogici della​​ ​​ educazione morale. Ma essa comporta anche un più generale ripensamento della psicologia dell’esperienza morale e del fatto morale in se stesso.

2. In questa nuova visione il fatto morale assume una dimensione costitutivamente educativa (almeno nel senso di autoeducativa): l’impegno morale non appare più rivolto all’esecuzione di un bene esterno alla persona ma, in linea con l’impostazione aretologica (basata sulle virtù) della filosofia classica, primariamente all’autoplasmazione e. della persona stessa. In questa prospettiva acquista una certa rilevanza pedagogica la tradizionale contrapposizione tra​​ naturalismo​​ (il bene è nella linea delle tendenze naturali dell’uomo) e​​ dualismo​​ morale (il bene, nella forma del dovere, fa violenza alle inclinazioni originarie della persona). Nel primo caso l’educazione dovrà inevitabilmente esercitare una certa violenza, fosse pure solo psicologica sull’e.; nel secondo caso dovrà solo assecondare le buone forze della natura.

3. Un ultimo campo d’intersezione tra morale e pedagogia è rappresentato dalla ricerca di un «minimo comun denominatore» di principi e norme etiche condivisibili da tutte le frastagliate province culturali della nostra società e capace quindi di poter essere elevato a materia ufficiale di insegnamento morale nella scuola pubblica e a obiettivo di educazione da tutte le agenzie educative della​​ ​​ società (Mindestkonsens).​​ Su questa linea vanno segnalati i tentativi di J. Rawls, di J. Habermas e di O. Apel. Pedagogisti di professione o psicologi come​​ ​​ Kohlberg hanno dato un loro interessante contributo alla ricerca filosofica in questo campo. Tali autori trovano questo «minimo comun denominatore» non tanto in determinati contenuti normativi o valoriali quanto in determinati criteri formali di valutazione, come il «principio di universalizzabilità o di reciprocità», oppure nei presupposti trascendentali della comunicazione argomentativa.

4. In una situazione di estrema fluidità e frammentazione culturale come è la nostra attuale, l’e. cristiana è chiamata a farsi carico di questo nuovo ambito di problematica, intessendo un dialogo più approfondito e spassionato con la ricerca filosofica e con le​​ ​​ scienze dell’educazione.

Bibliografia

Valori P.,​​ L’esperienza morale,​​ Brescia, Morcelliana, 1971; De Finance J.,​​ E. generale,​​ Cassano Murge (Bari), Tipografia Meridionale, 1984;​​ Simon R.,​​ Ethique de la responsabilité, Paris, Cerf,​​ 1993;​​ Wanjiru Gichure C.,​​ Ética de la profesión docente. Estudio introductorio a la deontología de la educación,​​ Pamplona, EUNSA,​​ 1995; Caputo F.,​​ E. e pedagogia, Cosenza, Pellegrini, 2005.

G. Gatti

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ETICA

ETOLOGIA E EDUCAZIONE

 

ETOLOGIA E EDUCAZIONE

Disciplina che studia il comportamento degli animali osservandoli nel loro ambiente naturale.

1. L’e., dal gr.​​ éthos​​ (costume) e​​ lógos​​ (discorso), letteralmente significa studio dei costumi. La sua data di nascita è fissata nel 1935 e suo fondatore è considerato​​ ​​ Lorenz. L’e. si distingue dalle altre scienze naturali perché, pur non ignorando i contributi offerti dalle ricerche di laboratorio, considera significative solo le informazioni ottenute attraverso l’osservazione del comportamento degli animali nel loro ambiente naturale, facendo attenzione che l’osservato non avverta la presenza dell’osservatore. Al centro degli studi dell’e. sono gli schemi di comportamento che caratterizzano una particolare specie animale («comportamenti tipici della specie»). Essi sono stati studiati e descritti da K. Lorenz, N. Tinbergen e K. von Frisch come comportamenti caratterizzati da «schemi ad azione fissa» (cioè da una sequenza di comportamenti fissati nel patrimonio genetico della specie), innescati da «stimoli-chiave» provenienti dall’ambiente e che hanno luogo in «periodi critici» (cioè in un determinato arco di tempo di vita dell’animale). Esempi di comportamenti tipici della specie sono l’imprinting​​ (impronta, impressione) e i comportamenti aggressivi; in entrambi i casi, i ricercatori hanno concluso che si tratta di comportamenti costituiti dall’interazione tra una base genetica ed elementi appresi. Ma qual è il peso da attribuire ai due fattori? La ricerca della risposta a questa domanda costituisce il problema fondamentale dell’e.

2. L’e. umana​​ studia il comportamento umano comparandolo a quello degli altri animali; tale studio segue una metodologia che si basa sull’osservazione, ma, oltre a descrivere gli schemi comportamentali osservati, si domanda quali siano gli scopi adattativi di tali condotte. La ricerca moderna va confutando il modello energetico di Lorenz (per cui schemi di comportamento innati consentono di scaricare l’energia psichica) per sostituirlo con un modello informazionale, più aderente alle attuali conoscenze neurologiche. Secondo quest’ultimo modello, sono le informazioni che provengono sia dall’organismo che dall’ambiente a dare il via ai comportamenti; ed è il sistema nervoso che, informato attraverso un meccanismo di​​ feedback​​ circa il mutamento delle condizioni scatenanti, blocca il comportamento. Un approccio etologico alla psicologia dell’età evolutiva ha offerto importanti contributi dal punto di vista educativo: 1) ha fornito strumenti utili per studiare i comportamenti dei bambini in età preverbale e per poter ipotizzare la funzione adattativa di tali comportamenti; 2) ha ridefinito il bambino come essere competente e attivo (e non solo come impulsivo e reattivo); 3) la nozione di​​ imprinting​​ trasferita al comportamento umano ha contribuito all’elaborazione della teoria dell’attaccamento (Bowlby); 4) ha consentito di rilevare delle analogie col comportamento animale mostrando alcuni meccanismi che, sia negli uomini che negli animali inferiori, sono in grado di eliminare o ridurre le reazioni aggressive; 5) sottolineando l’importanza dell’osservazione, l’e. ha concesso un recupero dell’aspetto comportamentale dell’attività umana (surclassato da una tendenza introspezionistica) pur senza ignorare o negare la capacità intellettiva e apprenditiva.

Bibliografia

McGrew W. C,​​ II comportamento infantile: studio etologico,​​ Milano, Angeli, 1977; Blurton J. N. G.,​​ Il​​ comportamento del bambino. Studi etologici,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1980; Poli M.,​​ Psicologia criminale e e.,​​ Bologna, Il Mulino, 1981; Bowlby J.,​​ Attaccamento e perdita,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1972-1983; Hinde R. A.,​​ E.,​​ Milano, Rizzoli, 1984; Boakes R.,​​ Da Darwin al comportamentismo,​​ Milano, Angeli, 1986; Lis A. - P. Venuti,​​ L’osservazione in psicologia genetica,​​ Firenze, Giunti Barbera, 1986; Tinbergen N. - E. A. Tinbergen,​​ Bambini autistici. Nuove speranze di cura,​​ Milano, Adelphi, 1989; Scapini F. - R. Campan,​​ E., Bologna, Zanichelli, 2005.

D. Antonietti - J. M. Maíllo

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