EDUCAZIONE
Carlo Nanni
1. Il sempre e l’oggi dell’educazione
1.1. L’educazione come problema nel mutare delie strutture di vita
1.2. L’educazione sotto il segno dell’ambiguità
2. Le molteplici incidenze sulla crescita personale
3. Lo specifico dell'educazione nell’insieme delle attività formative
3.1. L’intenzionalità educativa: la promozione della personalità
3.2. La relazionalità educativa e il protagonismo dei soggetti in formazione
3.3. La processualità educativa
3.4. La «laicità» dell’educazione
4. Il senso forte di educazione: l’aiuto ad essere persone libere e responsabili
4.1. Il riferimento alla libertà e alla responsabilità
4.2. La rilevanza del quadro antropologico di riferimento
5. Modelli e prospettive dell’educazione contemporanea
5.1. La funzione educativa tra contestazione e istanza di liberazione
5.2. L’educazione tra animazione e formazione dell’intelligenza
6. L’aiuto alla ricerca di senso e di identità come impegni educativi prioritari
6.1. Nuovi contesti vitali
6.2. La necessità di una ricomprensione dei fondamenti dell’agire umano
6.3. Strategie educative per il senso
6.3.1. Alle soglie dell’umano
6.3.2. Indicazioni calibrate a misura delle persone
6.3.3. Nominare i valori
6.3.4. Per fare esperienze di valore
6.4. La mediazione educativa nella ricerca dell’identità
6.4.1. Abilitare alla coscienza storica
6.4.2. Interagire con gli sviluppi della scienza e della tecnica
6.4.3. Ricercare il senso e gli assi portanti delle discipline e della cultura
6.4.4. Operare per una cultura di pace
6.4.5. Educare al futuro
7. L’apertura alla fede: maturità umana e maturità cristiana
7.1. Il di più e l’oltre della fede
7.2. L'istanza educativa nella maturazione di fede
La voce considera l’educazione in sé stessa, non tanto come dimensione dell’azione pastorale. E cerca di mettere in luce le rifrazioni e le stimolazioni che il mondo dell’educazione può avere nella pastorale. Si analizza prima l’educazione in sé e per sé e poi se ne vedono le specificazioni nel contesto storicoculturale attuale.
1. Il sempre e l’oggi dell’educazione
L’educazione è problema di sempre, a motivo:
— della distanza generazionale;
— della disparità di esperienza e di vita;
— del mutare delle circostanze socio-culturali nel decorso delle generazioni.
Oggi la larga circolazione delle informazioni attraverso i mass-media e i nuovi media computerizzati, il rapido mutare delle strutture di vita a seguito della prepotente modernizzazione operata dalle innovazioni tecnico-scientifiche, l’accelerazione dei processi storici, rendono più viva e cosciente questa problematica di sempre.
1.1. L’educazione come problema nel mutare delle strutture di vita
Nella storia umana c’è sempre stato un tempo per allevare, formare, educare. Tuttavia l’emergenza del fatto educativo sembra essere una caratteristica dell’età moderna e contemporanea.
Lo straordinario sviluppo dei collegamenti internazionali, delle vie e dei mezzi di comunicazione, che hanno provocato una rapida espansione dei contatti umani; la mobilità sociale enormemente accresciuta in tutte le nazioni del mondo, rispetto ad un recente passato; le urgenze di una pianificazione dell’economia, della produzione e del mercato a livello nazionale ed internazionale hanno avuto grande risonanza sull’educazione, aprendola a prospettive veramente mondiali.
Non c’è dubbio che i cambiamenti strutturali e sovrastrutturali, avvenuti in quest’ultimo arco di tempo storico, inducono a porre in modo nuovo i problemi educativi e danno luogo a nuovi livelli della domanda di educazione e di istruzione. Vivere in una società tendenzialmente industriale ed a dominanza urbana è cosa ben diversa che vivere in una società essenzialmente agricola e rurale. Lo spirito scientifico e tecnologico (con i valori da esso indotti, quali la razionalità, l’imprenditorialità, la ricerca, la verificabilità, l’operazionalità, la quantificabilità, l’efficienza, la produttività, l’internazionalità) penetra sempre più fortemente nel sistema delle rappresentazioni e dei valori e nei modelli di comportamento, individuali e sociali. Il divenire è considerato più che il permanere; l’esistere e il fare (e, negativamente, il possedere e l’avere) più che il contemplare e l’essere; l’uomo-progetto più che l’uomo-soggetto. A differenza di quanto avveniva nella tradizione classica, il futuro, assai più che il passato, diviene criterio valutativo di ciò che si è e si fa nel presente. Un nuovo schema di temporalità s’impone. Ad un cosmo da rispettare nei suoi ritmi «naturali» si contrappone un mondo da calcolare, manipolare, trasformare, costruire, anche se oggi siamo sempre più compresi dei rischi che ciò comporta. 11 quadro dei valori religioso-sacrali, proprio delle culture tradizionali, è attraversato da differenti processi di secolarizzazione, veicolanti modi di pensare e di valutare più razionalistici e laici, nel senso che l’accento è posto sulla libertà e sull’autonomia umana, più che sull’adeguamento a leggi rivelate od a prospettive e norme religiose date. L’emergere di istanze egualitarie e democratiche rende particolarmente sensibili di fronte a qualsiasi forma di privilegio e di coercizione autoritaria.
Al mondo dell’educazione e della scuola ci si rivolge per risolvere i problemi che queste istanze sociali inducono a livello di personalità; o più specificamente per adeguare ad esse la nuova generazione in crescita od accomodarvi le generazioni adulte. Si tratta di una «domanda» variegata e complessa, nella quale affluiscono richieste di qualificazione o di riqualificazione professionale, di competenza scientifico-tecnologica, così come istanze di stili democratici di vita e di autorealizzazione personale.
1.2. L’educazione sotto il segno dell’ambiguità
Questa enfasi sull’educazione e sull’istruzione invita però ad una grande cautela, segnata com’è da una fondamentale ambiguità: l’intera attività educativa — non da sola, ma insieme alle altre forme d’intervento sociale — può certo rispondere almeno parzialmente a questa «domanda» di formazione, ma può essere particolarmente esposta alla strumentalizzazione di tutti coloro che, puntando sulle possibilità di modificazione del comportamento e della mentalità attraverso l’educazione e l’istruzione scolastica o attraverso le altre agenzie d’inculturazione e socializzazione, pensano di costruire personalità adeguate ai loro scopi, in una totale subordinazione degli aspetti personali a finalità politiche, economiche o di altro genere. In tal modo l’educazione è fatta scadere a mero indottrinamento, a comoda fabbrica del consenso di qualificata forza-lavoro, oppure, nel migliore dei casi, a pura e semplice socializzazione. In senso peggiore una tale enfasi sull’educazione e sulla scuola può diventare copertura ideologica, che giustifica interessi particolaristici, i quali non coincidono sempre con quel bene comune e generale, in cui il singolo ed i vari gruppi sociali dovrebbero ritrovarsi. La stessa tendenza ad una educazione «universalistica» può risultare talvolta niente altro che la facciata di comodo per quell’omogeneizzazione culturale consumistica, promossa dalle forze che cercano di controllare il mercato internazionale; oppure può contrabbandare forme più o meno larvate di cosmopolitismo manovrato dai gruppi egemoni delle superpotenze internazionali o dai gruppi di potere nazionali, con detrimento e mortificazione degli aspetti propri delle culture locali e nazionali o delle aspettative e bisogni personali.
2. Le molteplici incidenze sulla crescita personale
Lo sviluppo delle scienze umane, in questi ultimi decenni, ha aiutato molto ad individuare e precisare i diversi ambiti e le molteplici incidenze che vengono ad affluire su chi è in crescita.
In questo volume di influenze sono innanzitutto da porre le risonanze provocate nella personalità in crescita da avvenimenti e fatti che sfuggono almeno in parte alla responsabilità umana diretta, ma che tuttavia provocano reazioni, le quali interferiscono con gli interventi educativi veri e propri. In questo contesto sono da segnalare quei grandi accadimenti che fanno da cornice o da trama al vissuto personale: il nascere, il morire, la malattia, le disgrazie, le calamità, ma anche il vivace contatto con la natura o la partecipazione ad eventi storici; accadimenti questi che nelle diverse culture sono scanditi da riti e cerimonie o feste o celebrazioni di vario tipo, di larga incidenza educativa. Verrebbe da evocare la tradizionale educazione della natura o delle circostanze naturali, se non fosse un impigliarsi nella genericità ed ambiguità del termine ed un dare ansa al misconoscimento dell’opera di umanizzazione messa in risalto proprio dalle scienze etnologiche ed antropologiche, che quasi vietano di pensare e di parlare di una natura considerata a sé stante e pura da ogni impronta umana civilizzante.
Internamente a questa prima cerchia di stimolazioni si può porre la vasta gamma di influenze sociali e culturali sulla crescita, che in maniera anonima, non intenzionale, in gran parte senza coscienza espressa da parte degli interessati, travagliano la personalità in formazione. Si pensi alle stimolazioni, ricche o povere, provenienti dalle relazioni di domicilio o di vicinato o di strada; alle stimolazioni provenienti dalla costellazione delle interazioni familiari, dalle condotte individuali o collettive. Tali stimolazioni sono sempre cariche di dati culturali, che agiscono come schemi interpretativi e di azione e che spesso non vengono messi in discussione, ma assunti per imitazione, più o meno meccanica, o direttamente per partecipazione o per impregnazione, come l’aria che si respira. In una cerchia ancora più interna si collocano le influenze che promanano da quelle agenzie od organizzazioni che non sono tradizionalmente considerate educative, ma che s’inseriscono, anche consapevolmente, in maniera più diretta nei processi educativi. Tra esse è da porre in primo luogo la cosiddetta «scuola parallela» costituita dai mezzi di comunicazione di massa (televisione, stampa, cinema), dai nuovi media computerizzati, dalla pratica sportiva, dall’uso del tempo libero, dal divertimento, la musica, il ballo, e simili. Ma sono da considerare in quest’ambito anche i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le amministrazioni pubbliche, l’attività economica e politica, in quanto all’origine dei processi di urbanizzazione, di legislazione del lavoro, di determinazione della politica familiare e scolastica. Esse si situano nel campo del divenire sociale che non viene lasciato semplicemente a sé stesso o al caso, ma viene qualificato da interventi, accorgimenti e decisioni, che hanno riflessi e valenze educative, anche se direttamente voluti per altri scopi (economici, politici, ludici, ideologici).
All’interno di tutti i precedenti ambiti si deve mettere l’insieme dei mezzi e degli interventi educativi intenzionali ed espliciti, cioè posti in essere secondo finalità ed obiettivi direttamente educativi da agenzie ed istituzioni, specificamente deputate. Gran parte degli interventi della famiglia e della scuola appartengono certamente a questa cerchia più ristretta, in quanto esplicitamente rivolte allo sviluppo di soggetti in crescita. Si è detto «gran parte», perché il volume d’azione della famiglia e della scuola stessa è globalmente comprensivo anche di altri traguardi (ad es. economici, sociali, relazionali, affettivi). Ma vi rientrano anche le attività di altre istituzioni o persone, quando siano poste in atto a scopo educativo, come succede spesso nell’uso dei mass-media, nello sport, nell’azione politica, sociale, ecclesiale. Quest’ambito d’azione si trova sotto l’influenza di tutti gli altri. È questo il campo coperto tradizionalmente dalla categoria dell’educazione in senso proprio.
Come si sarà notato, i diversi ambiti scandiscono un movimento d’intervento che va dal più impersonale al più personale; dal più indiretto al più diretto; dal più funzionale al più intenzionale; dal più informale al più formale; dal meno organizzato al più organizzato. E, come si dirà in seguito, suppongono non un movimento unidirezionale (dall’ambiente alla personalità in sviluppo), ma bidirezionale, nel senso che il soggetto non subisce mai completamente, ma accoglie, accomoda e reagisce attivamente, magari persino modifica in modo più o meno evidente la costellazione ambientale.
3. Lo specifico dell’educazione nell’insieme delle attività formative
li nostro tempo prende sempre più coscienza del moltiplicarsi delle occasioni e situazioni formative. La comprensione della portata educativa di tanti interventi si allarga: operatori sociali, animatori socio-culturali, catechisti, pastori, terapeuti, dirigenti politici acquistano coscienza del carattere educativo della loro azione.
Ci si accorge che l’atto educativo non è un evento atomistico, senza storia, ma è proiettato in un vasto intreccio di rapporti con il mondo della natura, della cultura, delle strutture economiche, sociali, politiche, religiose.
Si prende coscienza che la promozione della crescita e dello sviluppo personale si pone all’interno delle preoccupazioni sociali per le generazioni nuove, chiamate a far parte della vicenda storica comunitaria, mediante l’assunzione del patrimonio sociale comune della cultura, vale a dire delle idee, valori, norme, modelli di comportamento, tecniche espressive ed operative che la collettività produce nel corso della sua storia al fine di leggere ed interpretare la realtà in cui si trova, od in vista della comunicazione comunitaria o per l’intervento e la modificazione dell’ambiente. I processi che conducono a ciò sono designati sempre più frequentemente con i termini di socializzazione ed inculturazione, considerati in più d’un caso interscambiabili con quelli di educazione e formazione.
3.1. L’intenzionalità educativa: la promozione della personalità
Tra i comportamenti umani, l’educazione e, in genere, tutte le attività formative sono classificabili tra quelle che diciamo «azioni sociali», cioè le azioni che si pongono tra soggetti conviventi in un sistema sociale determinato ed in vista del vivere in esso, anche quando si piglia posizione su sé stessi.
Con educazione, socializzazione, inculturazione, s’intende sempre ed in ogni caso una qualche influenza sullo sviluppo e sulla crescita della personalità. Parlando di intenzionalità si vuole mettere in risalto la proiezione cosciente verso un fine preciso, voluto secondo un certo ordine di valore e di priorità: qui, in termini generali, la formazione della personalità.
Educando, socializzando, inculturando, ci si rivolge infatti alla personalità di colui o di coloro che sono destinatari di questi interventi sociali particolari. La personalità quindi, nella sua globalità o in qualche suo aspetto particolare della sua struttura e della sua vicenda storica, costituisce il loro termine di riferimento.
Per parte sua l’educazione in quanto tale (prescindendo quindi da possibili o reali travisamenti) sembra caratterizzarsi rispetto alla socializzazione ed all’inculturazione perché intende rivolgersi alla personalità in modo diretto e prioritario. La socializzazione e l’inculturazione sembrano invece accentuare gli «interessi» della società e della trasmissione culturale. Si tratta di accentuazioni e di priorità, non di per sé di contrapposizione o di negazione di reciprocità.
In secondo luogo, rivolgendosi alla personalità, l’educazione intende promuoverla, non semplicemente adattarla o misurarla alle esigenze di conservazione o di stabilità o di miglioramento sociale e culturale. La promozione della personalità è in cima ai pensieri dell’educazione: sia che si tratti di mantenere disposizioni o componenti della personalità giudicate vitali; sia che si tratti di svilupparle, rafforzarle, renderle stabili o differenziarle; sia che si tratti di crearne delle nuove sulla base di quelle esistenti; sia che si tratti di eliminarle, o limitarne il peso, in quanto giudicate nocive o disfunzionali; sia che si tratti d’integrarle o renderle stabili in generale o in particolare. In ogni caso è presente l’idea di perfezionamento e di portare la personalità di chi è in crescita al meglio delle sue possibilità. Ciò viene fatto secondo un quadro di riferimento generale più o meno chiaro, più o meno organico, più o meno coerente, al cui centro sta un modo d’intendere l’essere umano, in connessione con una visione globale di società, di cultura, di realtà, di storia, di sviluppo sociale: storia personale e storia collettiva sono inglobate in uno stesso movimento. L’educazione dell’individuo s’innesta con il generale movimento di sviluppo umano.
È chiaro che spesso nell’azione concreta l’intenzionalità educativa può essere concomitante ad altre intenzionalità. Infatti l’educazione in quanto attività o intervento sociale non ricopre totalmente l’agire dell’« educatore» come persona concreta: è solo uno dei ruoli della sua personalità ed un aspetto della sua vita: un uomo o una donna, oltre che educatori, possono essere in concreto padre-madre, marito-moglie, operaio, impiegato, credente, ateo, ecc., con eventuali conflitti di ruolo (a livello personale) e con eventuali scompensi e guasti per l’attività educativa, nel corso dell’espletamento delle diverse funzioni che fanno capo alle persone concrete. Inoltre intenzioni educative ed altri tipi d’intenzioni possono coabitare anche nella singola azione, magari secondo una gerarchia di priorità d’intenti, in cui l’intenzionalità educativa non sempre è al primo posto, ma magari solo nello sfondo e in maniera molto vaga. Altrettanto si può dire a livello sociale: aiutare la formazione dei membri della propria società è compito di tutti. Però è vero che per alcuni lo è in modo particolare: fa parte della loro specifica funzione sociale. Ma è chiaro che molte volte le persone concrete assolvono a diverse funzioni sociali, e quindi si rischia che non tutto e sempre sia perfettamente componibile.
3.2. La relazionalità educativa e il protagonismo dei soggetti in formazione
L’intervento educativo ha sempre ed in ogni caso il carattere di aiuto, di cooperazione, di proposta, anche quando indica o sceglie. E anzi si tratta di un aiuto discreto: non gli si addice l’onnipotenza. Le possibilità dell’educazione sono decisamente limitate, personalmente, strutturalmente, culturalmente. Come tutte le attività storiche, anche l’educazione dipende non solo dalla cosciente libera decisione delle persone che l’intraprendono, ma anche dalle possibilità concrete offerte dall’ambiente e dalle strumentazioni che si hanno a disposizione, che, seppure possono essere molte e vaste, non sono mai del tutto illimitate o infinite o assolute. Altrettanto è per le potenzialità umane di libertà di ogni persona che non sono illimitate ma decisamente «sotto condizione» (E. Mounier). Rispetto alla socializzazione e l’inculturazione, che spesso avvengono e si attuano in forma quasi automatica e anonima, nel diretto rapporto con l’ambiente e nel vissuto dell’esperienza sociale, l’educazione si specifica per il fatto di risultare da una relazione interpersonale specifica. Essa si realizza all’interno di un rapporto tra persone, e i suoi risultati dipendono oltre che dai partners del rapporto, dai contenuti, dai modi e dalla qualità della relazione stessa e dei processi di comunicazione che in essa si instaurano o la tengono in vita.
In questo senso l’esito finale o il risultato degli interventi educativi non sono solo questione dell’efficacia degli «educatori» (nel senso vasto o nel senso ristretto del termine) o delle strumentazioni messe in atto o ancora del loro effetto combinato, ma sono anche dipendenti dalla soggettiva risposta di coloro a cui ci si rivolge: anzi, forse, lo sono in primo luogo, soprattutto a certi livelli di sviluppo. Così pure è chiaro che l’attività educativa intenzionale degli educatori non solo è uno (non l’unico) dei fattori dello sviluppo personale, ma è sempre anche un tentativo d’incidere sullo sviluppo personale o di contribuire ad esso. La riuscita, il successo, l’esito positivo non è iscritto nell’azione stessa. L’attività educativa può risultare anche priva di successo. Almeno a livello immediato. Non si può togliere da essa il rischio dell’insuccesso o addirittura di esiti non voluti, come si dice, di effetti «perversi».
La pedagogia contemporanea mette sempre più in risalto l’aspetto attivo dei soggetti in formazione, che prendono posizione e provano, spesso faticosamente, sé stessi e le proprie possibilità d’intervento nel mondo che li circonda, magari con il risultato immediato o duraturo di sentirsi spersi o ritrovati in esso. Essi si pongono come «frontiera interna» di ogni attività educativa esterna, nel senso che si possono aprire o chiudere ai vari interventi ed alle attività rivolte in vario modo ad influenzare la loro personalità. La rilevanza, della soggettività in formazione (quella di coloro che spesso sono detti i «destinatari» della formazione), era piuttosto trascurata in passato. Nel nostro secolo è stata particolarmente esaltata, fino al punto da far parlare di «rivoluzione copernicana» dell’educazione e dell’insegnamento (J. Dewey): l’educando, l’allievo, non più oggetto, ma soggetto dell’educazione, attorno a cui ruota l’attività educativa in generale e quella didattica in particolare. Si è parlato, in questa linea, di «educazione su misura» dell’educando (E. Claparède), di educazione «centrata sull’educando» (C. Rogers).
La persona non è oggetto passivo delle azioni educative, ma prende posizione attivamente rispetto a ciò che le proviene dagli altri o dall’ambiente, per quanto le è dato e permesso dal livello del proprio sviluppo, dalle opportunità ambientali, ed anche proprio dagli stimoli degli educatori.
Gradualmente potrà così passare, sempre più coscientemente e sempre più globalmente, dall'etero-educazione, all’auto-educazione: cioè potrà prendere posizione rispetto a sé stessa e decidersi d’intervenire sul proprio sviluppo e sulla propria personalità, più o meno strutturata. Si è detto perciò che l’educando è «protagonista» dell’educazione. Ma in proposito è subito da dire che il cosiddetto «protagonismo» dell’educando, quando non è retorica falsa e senza senso, più che un dato di fatto è qualcosa da sostenere, da promuovere, da permettere, aiutando il formarsi di strutture che rendano possibile l’autosviluppo e l’auto-direzione: ma sempre sulla base delle «potenzialità» presenti nelle persone, che non sono mai un imbuto da riempire o una molle cera da plasmare.
La pedagogia più recente invita ad uscire da questa prospettiva di contrapposizione tra educatori ed educandi, tra formatori e destinatari, tra maestri e allievi.
Con la categoria della «educazione permanente», invita tutti a porsi in stato di formazione continua, oltre la scolarizzazione primaria e secondaria, facendosi attenti alla qualità della vita propria ed altrui. In questo quadro la relazione educativa, pur nel rispetto delle diversità di situazioni vitali e di bisogni formativi, spinge a vedersi in un comune processo di sviluppo e di formazione, facendo esperienza che «nessuno libera nessuno; nessuno è liberato da nessuno; ci si libera insieme» (P. Freire).
3.3. La processualità educativa
L’educazione non si risolve in un atto singolo o in un’azione di breve durata. L’attività educativa richiede, per solito, tempi lunghi. Le finalità educative, anche le più specifiche, non sono raggiungibili se non dopo un congruo arco di tempo. Proprio perché ultimamente rivolta alla personalità nella sua globalità, anche quando pone al centro delle sue attenzioni un singolo aspetto di essa, l’educazione abbisogna di dispiegarsi nel tempo e di agire su piani articolati e diversi. Infatti, ciò a cui si mira, non è tanto far fare un’esperienza passeggera e sciolta dal resto della vita. Non si tratta di acquistare un comportamento o un’abilità conoscitiva o pratica momentanea. L’educazione tende piuttosto al conseguimento di disposizioni comportamentali collegate con l’intera personalità e l’esperienza globale. L’educazione, nel senso più proprio, non si confonde con il processo vitale di crescita degli educandi, ma si pone come attività d’intervento intenzionale nei confronti di tale processo, sia essa dovuta a persone che operano dall’esterno (= etero-educazione) o sia invece presa di posizione personale su sé stessi e la propria crescita in umanità (= auto-educazione).
Parlare quindi di educazione come processo vuol dire metterne in luce la dimensione temporale ed il suo dispiegarsi in una successione di atti posti in un preciso contesto, nell’intersezione, con altri processi personali, interpersonali, collettivi, all’interno della globale dinamica storico-sociale. Ma nel concetto di processo c’è anche qualcosa di più pregnante e di più specifico. Processo infatti indica una successione di fatti o di fenomeni o di attività aventi tra loro un nesso più o meno profondo. Detto dell’educazione, è mettere in luce che essa è fatta di una lunga serie di attività tra loro collegate e interdipendenti, fino a poter essere considerate come un insieme che debba essere, per quanto possibile, unitario e consequenziale, dotato cioè di sequenze coerenti e sufficientemente omogenee. In un senso forte di processo c’è inoltre l’idea di una sequenza di atti, fatti, fenomeni, diretti verso un termine del movimento, più o meno voluto o inteso come fine dell’azione e come obiettivo di essa. In ordine a tale intenzione, la processualità viene razionalmente organizzata, i contenuti vengono scanditi secondo una ciclicità temporale, secondo una gradualità logica e comprensiva, e secondo un’organica articolazione di aspetti e forme; ed i soggetti interessati si sottopongono o sono sottoposti ad un ordinato stile di condotta, regolato da norme e da procedure specifiche che disciplinano il buon funzionamento del tutto. A voler essere più circostanziati, nel senso forte di processo c’è pure l’idea che l’intervento o la serie d’interventi si attua secondo un certo disegno, secondo un piano particolare, secondo un progetto più o meno chiaro, più o meno manifesto o latente o sotterraneo, ma non per questo meno impegnativo o meno strutturante l’azione concreta.
In questo contesto si comprende meglio il senso pieno di intervento educativo, ad indicare quel particolare tipo di azione sociale, organizzata secondo un preciso disegno e volutamente posta per incidere in senso promozionale sullo sviluppo personale. Ma si fa pure più comprensivo il termine itinerario, in cui si tende ad inquadrare oggi il processo educativo nella sua globalità. Con tale termine si viene ad intendere una successione ordinata di tappe o momenti educativi che sono strutturati nei loro obiettivi particolari, nei loro contenuti e metodi, nei loro modi e tempi di realizzazione e nei loro mezzi e protagonisti, in modo da conseguire gli obiettivi educativi o didattici prestabiliti dalla comunità responsabile.
Come si sarà notato, in questa definizione specifica d’itinerario, viene evidenziata l’intenzionalità dell’educazione e la sistematicità dell’intervento educativo, organizzato e strutturato in tutte le sue componenti. Si fa inoltre riferimento ad un’azione che consegue da un ben definito progetto, elaborato in stretto rapporto con i problemi e i bisogni reali, e che viene a seguito di una programmazione sociale, riferita all’organizzazione delle condizioni e dei tempi necessari alla realizzazione del progetto, delle risorse materiali e personali occorrenti, e delle responsabilità che individualmente e collettivamente sono da assumere per la buona riuscita di quanto si è programmato. Ma c’è pure, nel richiamo alla comunità responsabile, il necessario riferimento a forme di presenza ed a strutture, appositamente istituzionalizzate, per organizzare ed attuare l’itinerario progettato e per dare garanzia di permanenza e continuità al processo educativo: le cosiddette istituzioni o agenzie educative e formative.
3.4. La «laicità» dell’educazione
Prima di concludere questa caratterizzazione dell’educazione in sé stessa, si vorrebbe fare accenno ad un’ultima caratteristica dell’educazione: la sua fondamentale «laicità». All’interno della vita comunitaria l’attività educativa viene spesso ad intersecarsi concretamente con l’attività pastorale, volta ad animare e promuovere la vita e la prassi ecclesiale nelle sue finalità, strutture, persone, funzioni. Esse tuttavia non si risolvono necessariamente l’una nell’altra. La preoccupazione pastorale si specifica anche come responsabilità ed azione educativa, perché l’adulto nella fede sia anzitutto adulto; perché la libertà dei figli di Dio sia resa possibile dall’instaurarsi di strutture personali (oltre che sociali, materiali, culturali) di libertà; perché infine la fede ascoltata e vissuta sia approfondita ed espressa in mentalità, atteggiamenti e comportamenti umanamente maturi. Ma per sé, la preoccupazione pastorale dovrà pure rivolgersi ad esempio alla cultura, alla vita politica ed economica, ai bisogni materiali primordiali della sussistenza delle persone, delle comunità, dei popoli, oltre che, se non prima, alle forme proprie della vita della comunità ecclesiale: evangelizzazione, catechesi, liturgia, comunione, servizio della carità.
L’educazione per parte sua — come s’è detto — si rivolge direttamente e propriamente all’universo personale. È su questo terreno che le due forme di azione comunitaria s’incontrano. D’altra parte la loro intenzionalità è formalmente diversa: nel caso dell’azione pastorale si copre un arco che va dalla fede alla fede, mentre nel caso dell’educazione ci si muove entro l’orizzonte della promozione umana personale, che si vuole idealmente integrale. Sarà a livello di persone che bisognerà operare il raccordo, non solo vitale ma anche formale, tra questi orizzonti di azione.
In quanto opera radicalmente umana, rivolta alla promozione di quella realtà che ha dignità di fine qual è l’uomo, l’educazione trae da questo fatto una sua intrinseca legittimazione, prima ed oltre ogni denominazione e determinazione ideologica o confessionale. Da questo punto di vista si potrebbe dire che l’educazione è opera profondamente «laicale», cioè rientrante in quell’ambito di valori universalmente condivisibili, anche se diversamente e pluralisticamente giustificabili ideologicamente e diversamente vivibili dal punto di vista religioso e di fede. Sarà compito di ognuno specificare ulteriormente e ricomprendere l’educazione a seconda della propria appartenenza a questo o quel gruppo sociale o comunità di fede. A motivo di ciò, per parte loro le comunità ed i singoli cristiani potranno trovare nell’attività educativa un terreno d’incontro con tutti gli «uomini di buona volontà», credenti e non credenti, per quella più vasta ricerca di una diversa qualità della vita, della promozione umana individuale e collettiva, per la costruzione di società o di un futuro veramente a misura d’uomo, com’è in cima ai pensieri di tutti gli uomini del nostro tempo. Nella fede, cristiani e credenti possono inoltre riconoscere l’attività educativa come una prosecuzione ed una partecipazione alla volontà creatrice e redentrice di Dio, che chiama ogni uomo alla vita, alla libertà ed alla pienezza della comunione. Tuttavia questo è un livello di comprensione che viene ad approfondire, e magari portare al grado suo più alto, una attività già umanamente e socialmente significativa per sé stessa, com’è l’educazione.
4. Un senso forte di educazione: l’aiuto ad essere persone libere e responsabili
Il riferimento alla socializzazione e all’inculturazione mette pure in luce le specificazioni che l’educazione può avere a seconda delle diverse età della vita (come si parla di socializzazione ed inculturazione primaria e secondaria, così si può parlare di educazione di base, di educazione degli adulti, ecc.); o delle diverse agenzie formative (come si parla di socializzazione o d’inculturazione familiare, scolastica, così si parla di educazione familiare, scolastica, extra-scolastica, catechesi, ecc.). Rispetto alle attività formative in genere (allevamento, assistenza, prevenzione, addestramento, istruzione, inculturazione, socializzazione, ecc.), l’educazione per solito viene a caratterizzarsi per una fondamentale accentuazione della globalità e per la ricerca di unitarietà nella promozione dello sviluppo personale. In questa luce le altre attività formative specifiche vengono come pervase e riportate ad un livello d’integralità personale: in modo tale che l’uomo sano, fisicamente e psichicamente, l’uomo colto, l’uomo socializzato, l’uomo religioso sia persona e viva autenticamente l’esistenza propria in quella comunitaria e storica.
4.1. Il riferimento alla libertà e alla responsabilità
Si è visto che si fa opera specificamente educativa, quando propriamente si aiuta a crescere in «umanità» o, meglio, quando si agisce per la genesi e la promozione della persona. Ma, se è vero che la persona umana rispetto agli altri esseri si caratterizza per l’emergenza della coscienza e della libertà responsabile, allora non sembra fuor di luogo dire che l’educazione raggiunge la sua pienezza quando contribuisce all’edificazione di una personalità capace di attuare, nel vivo della storia personale e comunitaria, un’esistenza cosciente, libera e responsabile. In ciò l’educazione trova il suo termine di riferimento e la sostanza di quella ricerca di unitarietà personale che la caratterizza. In questa linea la finalità propria ed ultima dell’educazione si potrebbe definire come la promozione nell’educando di capacità di decisioni responsabili, con tutto ciò che essa suppone e che ne è condizione.
Responsabilità è essere e sentirsi autore dei propri atti. È capacità di presenza personale, razionale e libera di «rispondere», di rendere conto a sé e agli altri (e in senso più vasto al mondo, alla storia, all’Altro che è Dio). È farsi carico degli impegni che ci si assume e delle conseguenze di ciò che si fa o si mette in opera, singolarmente e comunitariamente. È chiaro che non è possibile una libertà responsabile senza una identità personale e sociale soddisfacente.
Educare vorrà dire allora graduale e continua promozione dell’autonomia personale, aiutando a superare sia la dipendenza sia la dispersione anonima negli altri, nel gruppo, nella massa, ma insieme sorreggendo e promuovendo la formazione di una forte coscienza civile e la partecipazione al comune processo storico di crescita personale e sociale.
Una libertà responsabile suppone anche la capacità di saper guardare in faccia alla realtà circostante, umana, sociale, ambientale, storica, ecclesiale. Educare comporterà quindi sostenere l’apprendimento degli aspetti e dei princìpi di valore, presenti nel vissuto della propria esperienza e che reclamano una presa di decisione e una risposta in ordine alla loro attuazione, costruzione, introduzione innovativa nel tessuto dell’esistenza personale e comunitaria.
In terzo luogo educare alla libertà responsabile vorrà dire previamente formare a quegli atteggiamenti di rispetto, di apprezzamento, di impegno, di fedeltà, di apertura agli altri e ai valori presenti negli educandi stessi e attorno ad essi.
In quarto luogo bisognerà pure iniziare concretamente alle responsabilità, mediante il graduale inserimento in strutture e istituzioni e mediante la partecipazione alle prese di decisione e alle attività dei gruppi o delle comunità in cui ci si trova a vivere.
4.2. La rilevanza del quadro antropologico di riferimento
Evidenziare questo «centro» dell’educazione permette inoltre di distinguere meglio l’educazione da altre attività ad essa connesse: come infatti l’agire etico dà forma e dignità umana a tutte le altre sfere di valore in cui si esplica l’articolato «mestiere» di essere uomo o donna, così anche l’educazione, intesa in questo significato forte, dà forma personale a tutti gli altri interventi formativi applicati alla crescita in specifici ambiti della vita personale. Essi d’altra parte costituiscono le vie che l’educazione concretamente intraprende per conseguire la sua meta finale o il suo spessore più profondo. Si educa in concreto allevando, assistendo, curando, insegnando, istruendo, addestrando, socializzando, evangelizzando. Perlomeno non senza ciò.
Si fa abbastanza evidente a questo punto la profonda incidenza che nella questione vengono ad assumere le concezioni che si hanno del mondo e della vita e più in particolare l’immagine che si ha dell’uomo e del suo destino. Se ad esempio non si ammettessero spazi per la libertà e 1’esistenza umana fosse globalmente determinata o inquadrata nelle strutture o nell’organizzazione sociale esistente, avrebbe poco senso parlare di educazione. Essa potrebbe al massimo essere questione di addestramento, di socializzazione, d’inculturazione e nulla più. Così, se non si dessero spazi per l’autotrascendenza dell’uomo e la libertà si risolvesse in un’inutile passione, un’educazione ad essa potrebbe apparire uno sforzo eroico, ma vano, che non si redimerebbe forse neppure con la partecipazione a processi di liberazione storici, in quanto anch’essi ultimamente assurdi o inutili. Si comprende così l’importanza di una visione integrale della condizione umana e la funzione di una filosofia o di una teologia dell’educazione, così come il senso di una ricerca delle scienze umane a tale scopo. Tuttavia se da una parte sembra assodato che solo alla luce di una visione non riduttiva ed unilaterale dell’uomo e della realtà è possibile cogliere appieno il senso dell’educazione, è d’altra parte pure vero che essa acquista tutto il suo significato solo se rapportata con tutte le espansioni della libertà umana, che nella storia, con gli altri, nel mondo, sia a livello individuale che comunitario, ricerca e s’impegna per la liberazione e la promozione umana integrale.
5. Modelli e prospettive dell’educazione contemporanea
Oltre che per sé stessa, l’educazione risulta difficile a comprendere e soprattutto ad attuare per la complessità e la vastità dei contesti in cui viene a trovarsi. L’educazione si pone sempre come un aspetto del mondo della vita, all’interno di un concreto sistema socio-economico-politico-culturale-religioso.
Il rapporto interpersonale educativo s’intreccia con il mondo della natura, della civiltà, della cultura, delle strutture (economiche, sociali, politiche, religiose, ecc.) in vario modo costitutive e condizionanti l’aspetto personale del rapporto educativo.
È ciò che si diceva tradizionalmente fattore «ambiente», nel senso non solo naturale, geografico, ma anche sociale, culturale, simbolico.
Non solo. A loro volta codesti contesti e lo sviluppo personale sono sottoposti ad un processo storico di complessificazione.
È chiaro che educare oggi in un mondo pluralistico, altamente tecnologizzato, a dimensioni planetarie, diventa sommamente più sofisticato che non ad esempio nella «polis» greca platonica o nella «respublica christianorum» medievale, o, anche soltanto, nelle società del recente passato, fondamentalmente rurali e agricole-artigianali.
Questa novità storico-contestuale induce molti a parlare di «società educante». Con tale espressione si vuole indicare non solo lo stretto rapporto tra educazione, scuola e società intera, ma soprattutto si intende mettere in risalto che le sorti dell’educazione non si chiudono entro le mura della scuola o della famiglia o dei centri di animazione sociale, ma sono legati a doppio filo con la vicenda e lo sviluppo economico, sociale, politico-culturale, religioso. Tutta la società, seppure in forme diversificate, è chiamata ad assumere le proprie responsabilità educative, senza facili deleghe. Lo sforzo educativo spreca gran parte delle sue energie se non è sostenuto dalla riforma morale, culturale, sociale, religiosa. La vicenda educativa contemporanea ne può essere una chiara illustrazione.
5.1. La funzione educativa tra contestazione e istanza di liberazione
Nell’evolversi dell’assetto sociale, nazionale ed internazionale, venutosi a creare con la fine della seconda guerra mondiale, all’educazione è stato chiesto di contribuire alla formazione dell’uomo e del cittadino secondo ideali di libertà, democrazia, giustizia sociale, solidarietà internazionale. Successivamente, negli anni sessanta con il predominare di una prassi politica ispirata all’ideologia dello sviluppo, l’educazione e la funzione educativa sono state considerate piuttosto variabili dello sviluppo economico-sociale e come agenti di mobilità e di cambio sociale.
Ma nel trapassare dagli anni sessanta agli anni settanta, anche l’educazione e la pedagogia sono state avvolte nella crisi strutturale e culturale che ha fatto parlare globalmente per questo periodo di «difficili anni settanta». Parallelamente alla caduta verticale dell’ottimistica fiducia in un illimitato progresso e poi in un globale cambio strutturale del sistema di vita, sono state messe in questione le speranze riposte nelle possibilità di promozione personale e sociale, affidate all’azione educativa sociale. La contestazione o la critica radicale al sistema di vita si è espressa in particolare come contestazione e critica al sistema educativo ed alla produzione pedagogica. Educazione e pedagogia o sono state viste come strumento ideologico asservito al potere dominante ed ai fini del mantenimento dello «status quo» oppure sono state giudicate come affette da una costituzionale arretratezza. Le agenzie educative, come le figure educative, sono state tacciate di essere la cinghia di trasmissione delle intenzionalità autoritarie e repressive del sistema. Essé stesse quindi sono state considerate al tempo stesso vittime ed amplificatori del circolo vizioso creato dal sistema sociale, che crea e subisce coercizione, alienazione ed angoscia. Si è messo in luce in particolare come spesso la riflessione pedagogica non avrebbe fatto altro che rinforzare la funzione sociale dell’educatore, dei maestri, dei genitori e in genere dell’adulto, a detrimento dello sviluppo personale, sorvolando e magari mascherando quei più vasti collegamenti con l’intero sistema di controllo e di coercizione sociale.
5.2. L’educazione tra animazione e formazione dell’intelligenza
A fronte di tali contestazioni, dietro lo stimolo delle scienze umane e sociali e l’esemplarità educativa e pedagogica di quel vasto movimento avutosi nei primi decenni del nostro secolo, denominato globalmente «scuole nuove», si è preso ad enfatizzare la centralità ed il protagonismo dell’allievo rispetto al maestro, del bambino e del giovane rispetto all’adulto, dell’apprendimento rispetto all’insegnamento, della cultura emergente rispetto a quella consolidata, del movimento rispetto alle istituzioni; e più in generale della soggettività rispetto alla socialità, del privato rispetto al pubblico, del personale rispetto al politico, dell’antropologico rispetto allo strutturale.
Per cause svariate, alle buone intenzioni non sempre ha corrisposto la realtà. L’istanza anti-autoritaria è spesso scaduta nel lassismo permissivista; lo spontaneismo nell’inconcludenza; la partecipazione nel vuoto formalismo di nuove forme di burocratizzazione. Per questo nella seconda metà degli anni settanta si è andati piuttosto verso la razionalizzazione e la programmazione educativa e verso forme di neo-direttività, sorrette dall’uso delle nuove tecnologie educative, in vista di un apprendimento individualizzato e padroneggiato, posto a base di solide competenze specifiche e generali. Oppure si è battuta la strada dell’analisi del comportamento scolastico e dell’ottimizzazione dei processi e della comunicazione educativa. Si può anzi dire che nel corso di un decennio si è passati dal massimo della contestazione a tentativi più o meno espliciti di reazione o di restaurazione di un impossibile ed inadeguato passato. Tra questi due estremi si è mosso il movimento di riforma, rivolto a favorire la riappropriazione della capacità culturale soggettiva, attraverso uno stile educativo di animazione, al fine di permettere a tutti di partecipare da protagonisti ai processi storici; oppure proteso a sviluppare una reale competenza ad essere, attraverso la razionalizzazione e la guida controllata dei processi di apprendimento.
Sempre più forte si è fatto pure l’influsso della cibernetica, della telematica e delle scienze dell’informazione in genere. Anzi si può forse dire che esse hanno preso il sopravvento, in termini di incidenza, sulle pedagogie più progressive.
A ben vedere si fa strada una concezione della scuola e della educazione che non mette più in primo piano la funzione della socializzazione e dell’inculturazione dei ragazzi, ma vi mette la formazione delle intelligenze e lo sviluppo padroneggiato delle conoscenze. L’attenzione si focalizza non sulle pulsioni istintive e attive del ragazzo, ma sul pensiero, visto in primo luogo come un «apparato» di organizzazione concettuale della realtà: quasi un «computer» naturale, da formare, da far funzionare in modo ottimale affinché possa essere capace di corrispondere adeguatamente alle stimolazioni e alle provocazioni dell’ambiente. E magari proprio per questo si riafferma la separazione della scuola dalla vita e dal contesto sociale, non in funzione di distacco ma di simulazione scientifica, come se si fosse in un laboratorio o in una fase di installazione di un congegno elettronico.
6. L’aiuto alla ricerca di senso e di identità come impegni educativi prioritari
Queste stesse prospettive sono state a loro volta superate o comunque coinvolte nel giro di novità che, fin dall’inizio, hanno caratterizzato questi nostri anni ottanta.
6.1. Nuovi contesti vitali
Soprattutto con la categoria della complessità si vuole sottolineare il moltiplicarsi e il frazionarsi dei centri di potere; il differenziarsi del tessuto sociale e la stratificazione interna delle classi sociali tradizionali (classe imprenditoriale, classi medie, proletariato); la presenza di istanze culturali diverse e di modelli comportamentali pluralistici e diversificati; l’accresciuta frammentazione dei tempi e dei modi dell’esistenza individuale e collettiva; la tendenza al disincantamento o all’adesione a valori diversi secondo la diversità delle situazioni vitali; il muoversi variegato, come tra le pieghe dell’esistente, senza sentirsi necessariamente e definitivamente legati a niente e nessuno; la difficoltà di dare continuità e futuro a progetti o decisioni prese, e quindi a realizzare status sociali e giocare ruoli duraturi; il doversi affidare sempre e continuamente a scelte flessibili, parziali e a medio termine.
A metà decennio si sono fatte più evidenti la fine dell’emergenza, una certa ripresa economica e la possibilità di portare avanti con una qualche continuità il processo di democratizzazione del paese. L’emergenza del terziario avanzato (cioè delle attività legate ai servizi, pubblici e privati, e al controllo delle reti d’informazione), collegato alla prepotente socializzazione delle nuove tecnologie informaticocibernetiche, fa parlare sempre più di società post-industriale, e di società dell’informazione. Tutto ciò, oltre che un fatto di struttura, è anche un fatto di cultura, che impone nuovi modi di vita e di far ricerca.
Nel pur frenetico attivismo degli anni sessanta e nell’apparente inattività o involuzione critica dei difficili anni settanta, si è avuta una sorta di «rivoluzione silenziosa» (R. Inglehart) che ha cambiato e che sta cambiando in modo lento ma sostanziale la vita individuale e sociale in tutto il mondo occidentale e si combina con i movimenti di modernizzazione e di liberazione che attraversano il mondo intero.
Segno di questa rivoluzione dei modi quotidiani può essere innanzitutto considerato l’interesse per la qualità della vita, per la pace e l’ecologia; la difesa dei diritti umani e la lotta per quelli civili. Un maggiore accesso ai beni di consumo e a quelli della cultura, ha permesso un aumento della capacità politica media dei cittadini.
Nonostante ciò, la precarietà delle acquisizioni conseguite e il permanere di durezze istituzionali e procedurali, lascia spazio a grossi interrogativi sulla perdita o mancanza di senso dell’agire e rende difficile giungere ad una buona identità personale.
Non è solo questione di cosa fare come lavoro e come professione, ma più largamente, cosa fare nella vita, cosa si vuol essere, come persone, come cittadini, come cristiani, come comunità; e più radicalmente, importa alla fin fine sapere se la vita merita o no di essere vissuta.
Su questi terreni l’attività educativa dei singoli e delle comunità è chiamata prioritariamente a cimentarsi.
6.2. La necessità di una ricomprensione dei fondamenti delFagire umano
Sentire che il bisogno di senso è esaudito, dipende anzitutto dal fatto di poterne fare una qualche esperienza, in modo da poter toccar con mano che esso sia almeno talvolta possibile e raggiungibile.
Per tal motivo rimane indubbiamente prioritaria e insostituibile la ricerca di luoghi, spazi e momenti in cui siano resi effettivamente possibili un minimo di autorealizzazione, di riconoscimento personale, di efficacia storica, di comunanza di intenti, di concretizzazioni partecipate di valore. Se questo non si dà, tutto diventa più difficile. Ma è pur vero che la ricerca di senso, oggi come oggi richiede anche un tipo di lavoro educativo volto ad aiutare la comprensione dei concetti-chiave che sono alla base della decisione e dell’agire umano: i concetti di razionalità, di libertà, d’impegno etico, di verità e di valore.
6.2.1. La razionalità
Le ideologie del recente passato sono entrate in crisi. La ferrea logicità della cibernetica e dell’informatica è tutt’altro che esaustiva e sicura. Il rischio di lasciarsi guidare dall’istinto, dagli impulsi personali, dalle opinioni soggettive o di gruppo, è tutt’altro che ipotetico.
Per tal motivo c’è da riconquistare un tipo di razionalità — e parallelamente di scientificità — che sia a misura d’uomo; che sappia integrare i molteplici modi con cui si conosce (impulsi, sensi, intelligenza, intuizione, operatività tecnica); che sappia coniugare ragionevolmente i contributi della cultura, dell’arte, della fede con quelli della scienza e della tecnica; che non si fissi sul dato di fatto, ma sia capace di cogliere il possibile; che dia spazio alla tolleranza, al pluralismo, alla flessibilità storica.
6.2.2. La libertà
Necessità di varia natura (soggettive, istituzionali, burocratiche, culturali, ecc.) sembrano costringere da ogni parte la voglia di libertà, che nonostante ciò rimane insopprimibile. Di fronte a ciò sarà da formarsi un concetto realistico e comprensivo di libertà. Nessuno è un angelo o un superman. La libertà è simultaneamente un dato di fatto e un compito per cui impegnarsi, affinché possa esprimersi. È sempre e simultaneamente libertà e liberazione, libertà da, libertà di, libertà per, libertà incarnata, con-libertà, intrinsecamente riferita alla persona individuale, ma pure alla comunità e alla realtà del corpo sociale nella sua globalità ed entità popolare.
6.2.3. La qualificazione etica
Agire bene o male non vuol dire agire per dovere o all’opposto per piacere, ma piuttosto perché si è capito che è bene e dignitoso e bello fare o non fare qualcosa, comportarsi o non comportarsi in un certo modo. Quindi tra un’etica del dovere e un’etica del piacere è da recuperare un’etica del valore intravisto con la propria ragione (illuminata dalla cultura e dalle indicazioni di fede) e voluto in libertà.
6.2.4. Verità e valore
Verità e valore diventano quindi fondamentali per la ricerca di senso.
La verità non si scopre in un momento e non si possiede come un monopolio privato ed esclusivo. È più grande di ciascuno di noi e si scopre mano a mano.
Il valore, inteso come ulteriorità e come di più d’umanità, verso cui la vita si apre e protende nella sua vicenda storica, è spesso indicato dai nostri bisogni e dalle nostre aspirazioni profonde. Il cuore, come si sa, ha delle ragioni non meno che la mente, ma è l’uomo singolo e comunitario che ascolta l’uno e l’altra, dà loro spazio ed attuazione, secondo misure umane, che rispettano i diritti di tutti ed ognuno.
Tale orizzonte di valore è precisato nella sua faccia sociale dalla carta costituzionale e dalle dichiarazioni internazionali dei diritti dell’uomo e dei diritti del fanciullo ed è aperto a pluralistiche giustificazioni ed approfondimenti. In tal modo si rende possibile convergere, pur nella diversità, dei singoli, dei gruppi o delle istituzioni sociali, su progetti comuni, ricercando appunto la dignità della persona, i diritti dell’uomo, l’uguaglianza, la libertà, la giustizia, il rispetto e la promozione del bene comune, o — come oggi si prova a fare — lavorando per l’ecologia, la moralità sociale, la pace. Ed in particolare acquista uno speciale significato umano e sociale educare a tali indicazioni e spazi di valore.
6.3. Strategie educative per il senso
Inquadrata in tale contesto teorico e valoriale, l’azione educativa viene cosi a configurarsi come un’espressione particolare di questo vasto impegno storico di umanizzazione e di promozione umana e come specificazione ed un modo d’essere particolare della responsabilità generale di fronte alla vita individuale e collettiva.
6.3.1. Alle soglie dell’umano
In molti casi si tratterà di lavorare, per così dire, ai gradi previ o alla soglia dell’umano, in quanto si dovrà come rifare l’uomo, ritessere la trama della personalità e dell’esistenza, per vari motivi ed in diverso grado rotta in più parti.
Gran parte del lavoro educativo andrà nel senso di «restituire la parola» ad esistenze al limite del mutismo; aiutare a recuperare la propria interiorità, superando un fare esperienza inteso solo come totale estraniazione da sé o come consumo di oggetti, persone, emozioni, nel breve volgere di un giorno; stimolare ad allargare la capacità di visione e di giudizio critico, suscitando problemi e domande di senso con qualche spessore di futuro; mostrare possibilità realistiche di senso, di spazi e di luoghi in cui poter vivere e realizzare i significati intravisti, educando a saper portare il divario tra ideale e reale e, d’altra parte, a passar gradatamente dall’uno all’altro.
6.3.2. Indicazioni calibrate a misura delle persone
In secondo luogo si tratterà di accogliere le persone per quello che nominativamente sono e per ciò che possono essere, abituandosi ad articolare e calibrare le proposte e gli interventi portandosi a misura d’uomo e delle situazioni particolari, non su schemi astratti o modelli prefissati.
6.3.3. Nominare i valori
D’altra parte il rispetto delle capacità di verità e di libertà di ognuno non sembra esimere, anzi invita al coraggio di «nominare i valori». Con ciò non si vuol dire di stabilire un repertorio di valori esaustivo e fissato una volta per tutte e neppure fare una proclamazione ostentata di parole sublimi che passano sopra la testa delle persone. Saranno invece da individuare e proporre, più che punti o atomi di verità e di valore, quei fili conduttori, quegli assi portanti, quei poli di attrazione, che danno chiarezza all’agire, che indicano pluralistiche rotte da percorrere, che prospettano mete su cui si può consentire di giocare il proprio impegno e la propria vita con gli altri. In un contesto in cui sono venute a cadere le grandi visioni e le grandi narrazioni ideologiche o di valore, bisognerà, oltre che nominare i valori, aiutare a comporli in una visione organica, in un progetto di vita a misura personale e comunitaria, spendibile concretamente nella propria situazione e con le proprie forze.
6.3.4. Per fare esperienze di valore
È appena da notare che tale opera più che con l’insegnamento diretto va effettuata, o per lo meno confortata, attraverso quell’insegnamento vitale che è la testimonianza personale e più ancora quella comunitaria, in modo da «visualizzare» la possibilità di vivere una vita secondo una totalità, significativa idealmente ed esistenzialmente. In questo senso più che educare ai valori si tratterà di educare alla valorizzazione, cioè a cogliere, esperienzialmente ed intellettualmente, il proprio rapportarsi con gli altri, nel mondo, nella storia, nelle strutture sociali, cogliendone gli aspetti di significatività personale e comunitaria, provando a partecipare ad un loro «essere di più» sensato e concreto. Ciò permetterà inoltre di comprendere meglio il limite, la storicità, la relatività di ogni acquisizione, impedendo fissazioni integralistiche o intolleranze verso chi la pensa o agisce diversamente.
Sarà probabilmente più facile acquisire atteggiamenti di povertà, di comprensione, di dialogo, di ricerca comune, sperimentando in concreto l’impegno e l’invocazione, l’offerta ed il dono, la collaborazione e l’esigenza di aiuto.
6.4. La mediazione educativa nella ricerca dell’identità
Ricercare il senso fa parte di un lavoro formativo globale, che comunemente oggi indichiamo come consolidamento dell’identità personale, culturale, sociale e professionale. L’identità comporta infatti:
1) il conseguimento di una buona maturità bio-psichica;
2) un positivo senso di inserimento in una tradizione e storia comune;
3) la partecipazione attiva alla continuazione e innovazione della società-comunità di appartenenza, a livello economico, politico, civile, attraverso l’esercizio di una professione, la pratica dei diritti civili e politici, l’impegno per la promozione della cultura e per una vita umanamente sempre più degna. Nel lavorare per l’identità delle persone e della comunità sociale, acquista tutto il suo significato l’opera educativa della famiglia, l’istruzione scolastica, l’opera di formazione portata avanti dalle associazioni e dai gruppi civili ed ecclesiali; e rivelano tutto il loro valore formativo il sistema della comunicazione di massa (giornali, radio-televisione, cinema) e l’organizzazione sociale dello sport e del tempo libero.
L’attività educativa in proposito avrà fondamentalmente da lavorare per il conseguimento di alcuni obiettivi, che si cercherà brevemente di indicare.
6.4.1. Abilitare alla coscienza storica
Un primo obiettivo è abilitare alla coscienza storica delle possibilità e dei limiti della propria cultura e delle innovazioni emergenti nella cultura del contesto; soprattutto in complementarità o magari in alternativa alla socializzazione dei mass-media e dei nuovi media.
La cultura infatti come memoria sociale permette l’inserimento e il radicamento del vissuto personale nella vicenda storica del gruppo di cui si è membri. Dà il senso della compagnia storica e ci pone in continuità con i progetti storici culturali. La cultura viene inoltre ad essere il codice offerto a tutti per interpretare fatti ed eventi, per comunicare ed interagire con l’ambiente. È evidente che in questa prospettiva Io studio e la conoscenza approfondita del patrimonio culturale comunitario e scolastico non è fine a sé stessa, né esclude la vigilanza critica o il confronto con altre prospettive culturali e con la contemporaneità e l’attualità.
6.4.2. Far interagire la tradizione con gli sviluppi della scienza e della tecnica
In particolare, quanto affluisce dalla tradizione è da far interagire con gli sviluppi della scienza e della tecnica. Esse costituiscono sempre più il nerbo del nostro vivere contemporaneo. Ma anche qui, più che un apprendimento nozionistico o troppo precocemente specialistico, va ricercata l’acquisizione significativa dei concetti-chiave, delle logiche, delle prospettive e delle problematiche umane e teoriche soggiacenti: in modo da evitare cadute fideistiche in uno scientismo e in un tecnicismo intollerante, astorico e ultimamente disumano.
6.4.3. Ricercare il senso e gli assi portanti delle discipline e della cultura
Ad un livello più profondo saranno da ricercare il senso e gli assi portanti delle discipline e della cultura, così come la linea di unificazione e di articolazione dei diversi codici, linguaggi e logiche culturali. In tal modo si potrà aiutare a vincere la tendenza alla dispersione e alla frammentazione conoscitiva, prima ancora che vitale, che per tanti versi oggi sembra sempre più forte. E nello stesso tempo si eviterà l’eccessiva enfasi o l’unilateralità di questo o quel modo di conoscere, di pensare o di codificare ciò che entra a far parte della cultura individuale o comunitaria. E da notare come a riguardo possano avere un ruolo del tutto particolare le cosiddette discipline dell’area umanistica e del senso; ed in particolare un insegnamento della religione, che mostri l’aspetto storico-culturale del cristianesimo e del cattolicesimo in specie (le sue origini, le sue fonti, la sua storia, i suoi rapporti con la storia civile e politica, ecc.), nel confronto con le altre confessioni cristiane e con le altre religioni del mondo, soprattutto in ordine alle istanze antropologiche ed etico-sociali che ogni persona ed ogni gruppo sociale sente e a cui intende dare risposta concettuale ed operativa.
Tutto ciò ha particolare significato specialmente nel periodo della scolarizzazione media-superiore, a cui corrisponde quel momento vitale, qual è l’adolescenza e la giovinezza, particolarmente occupato alla ricerca di una filosofia della vita e alla costruzione di quadri valoriali che diano saldezza a progetti realistici, spendibili nel mondo relazionale, professionale, civile, politico, ecclesiale.
6.4.4. Operare per una cultura dì pace
Il riferimento all’umano è oggi comune quando si parla di ricerca del senso e di ciò che unifica gli sforzi per la promozione della cultura.
L’uomo e l’umano sono stati evidenziati dal papa Giovanni Paolo li come la prima via lungo cui incamminarsi, nella linea del progetto di riunificazione che Dio vuole per la storia umana e che il Vangelo propone con la meta finale del Regno. Difesa dei diritti umani e ricerca della pace sono diventati i punti di coagulo per l’impegno dei cattolici con tutti gli uomini di buona volontà.
E non potranno diventare i temi generatori per la formazione della coscienza morale per giovani del nostro tempo che si affacciano alle soglie del duemila (all’alba del terzo millennio, come ama ripetere il papa Giovanni Paolo II)? Ed ancora: non potrà essere questo il nerbo di un’educazione socio-politica non ideologizzata, ma riferita a valori universali e aperta all’impegno nel territorio e al volontariato, visto come avvio ad una vita responsabile e adulta che coniuga fede e cultura, radicamento ed apertura, particolarità ed universalità?
6.4.5. Educare al futuro
L’attività educativa ha indubbiamente la funzione di trasmettere la cultura comunitaria e di adattare i giovani alla realtà attuale, ma le più belle pagine della storia dell’educazione mostrano pure un’altra faccia dell’attività educativa, quella che decifra il passato e coopera alla creazione di una nuova realtà ancora allo stato nascente. Secondo alcuni questa seconda modalità di educare si raccomanda particolarmente nello stato presente, attraversato per un verso da profonde inquietudini e tensioni e per altro verso da una vasta serie di bisogni ed aspirazioni nuove.
A livello di conoscenza, l’educazione dovrebbe integrare il sapere disciplinare attorno ai grandi problemi dell’uomo e del suo essere al mondo, superando l’orizzonte di una concezione scientista e pragmatistica dell’istruzione e permettendo invece di conoscere e comprendere il mondo e l’uomo.
Essa inoltre dovrebbe incitare ad adottare un nuovo stile di pensiero che sappia andare oltre la superficie del reale e giungere a quei livelli profondi della vita, dove nascono le nuove forze e sbocciano i nuovi programmi di vita, dove si forzano i limiti del presente e ci si avventura nell’«estraneità inattesa» del vissuto. Ciò comporta di conseguenza la necessità di andare oltre la logica di una ricerca limitata alle costatazioni empiriche, dando spazio alle categorie della potenzialità e del possibile, della creatività o dello «stato nascente».
Apprendere a vedere la realtà «altrimenti» dovrebbe essere la mèta di questo atteggiamento di pensiero, che libera da una visione deterministica dell’esistenza e che appella all’azione ed alla responsabilità umana per le sorti del mondo. Esso aiuterebbe a far superare gli schemi imposti alla vita individuale e quelli che noi imponiamo a noi stessi; libererebbe dalle catene della «routine», della ripetizione, del funzionamento superficiale ed aprirebbe a nuove e più qualificate forme di azione.
7. L’apertura alla fede: maturità umana e maturità cristiana
In questo lavoro di ricerca di identità, non sembra senza significato, umano e culturale, una viva e ragionata apertura all’orizzonte e alla vita di fede.
Da sempre il Vangelo, pur affermando la sua transculturalità, si è incarnato nelle diverse culture, facendosi ellenistico, romano, occidentale, americano, africano, asiatico, ecc. Nel far ciò ha messo in luce i limiti umani, sociali, culturali, storici, civili. Ha indicato mète più alte. Ha svolto cioè nei confronti delle culture storiche una funzione criticoprofetica. D’altra parte ha evangelizzato le culture e le ha anche determinate nelle diverse forme culturali, in diverso grado e modo. I segni del cristianesimo sono presenti nelle culture.
Incarnazione nelle culture, relativizzazione dell’esistente e profezia di un futuro e di un oltre di Dio rispetto ad esse, vanno di pari passo.
Questi principi generali, possono essere agevolmente applicati in materia di educazione e di quello che è il suo fine specifico: la promozione di personalità libere e responsabili.
7.1. Il di più e l’oltre della fede
Nell’orizzonte della fede cristiana, la pienezza dell’umanità è commisurata con l’umanità del Cristo risorto, primogenito di ogni creatura e ricapitolazione di quanto è uscito dalla parola creatrice di Dio. Tale umanità del Signore, secondo San Paolo, diventa la «paideia», vale a dire la cultura formativa, a cui i cristiani debbono educare la generazione in crescita. La maturità umana viene così pensata in termini di «maturità in Cristo».
Le classiche virtù «cardinali» (cioè strutturanti e come portanti la vita adulta), la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza, sono riprese nel superiore quadro delle virtù «teologali» (che hanno cioè la loro scaturigine nella sovrabbondanza divina e solo in essa si comprendono): la fede, speranza, carità. E si hanno in sommo onore, presso le comunità credenti, le figure di mistici e di santi, che non solo eccedono spesso ogni misura umana, ma che, alla luce di trattamenti strettamente scientifici (psicologici, psicoanalitici, terapeutici, sociologici) o di considerazioni «troppo umane», potrebbero persino apparire con comportamenti o tratti di personalità piuttosto problematici, se non addirittura vicini al patologico. Evidentemente in questo caso non è in questione il loro eventuale limite umano (che non si nega), ma l’«eroicità» della loro vita di fede. Tuttavia il problema si ripropone quando essi sono indicati e presi a modello di una vita adulta di fede. L’affermazione dell’«eroicità» di fede non toglie eventuali squilibri di personalità. D’altro canto, quanto le scienze umane ed il pensiero filosofico ci dicono a riguardo della libertà umana, che è sempre sotto condizione, fa essere più cauti a riguardo di una maturità «pura», senza ombre e senza sfumature. Essa va piuttosto pensata in termini di relatività e di variazione rispetto a modelli standards, che rappresentano piuttosto idee-regolative in confronto alla personalità concreta. La relativa funzionalità è tale quando permette di dimostrare la propria capacità di decisioni libere e responsabili. Altrettanto si può pensare in prospettiva di fede. Secondo il detto tradizionale, la grazia non toglie ma corrobora la natura. La vita di fede, di speranza, di carità viene ad essere come un supplemento di energia spirituale che permette decisioni libere e responsabili, anche e nonostante più o meno gravi carenze psichiche.
Tutto ciò va certamente comprovato. Ma non sembra contraddittorio pensare che sia possibile in linea di principio.
7.2. L’istanza educativa nella maturazione di fede
A parte questi casi-limite, in via normale la teologia dell’educazione (cioè la disciplina che ricerca il senso dell’educazione quale viene a risultare all’interno della vita di fede di una comunità credente) indica alcune prospettive interessanti per ciò che attiene il problema delle maturità in un orizzonte di fede. La fede, la speranza e la carità non sminuiscono la consistenza e la validità del progetto di vita, posto a fine dell’azione educativa, ma l’integrano e l’elevano alla pienezza del modello di umanità, che si è presentato nella storia con Cristo, verbo incarnato e risorto; e la vita storica è ricomposta nella storia della salvezza che trova i suoi inizi nel progetto creatore di Dio e che, nell’attualità del già esistente, si protende verso i cieli nuovi e la terra nuova, in cui finalmente e compiutamente abita la verità e la giustizia e in cui trova esaudimento l’anelito umano di una piena comunione con Dio. La prospettiva credente, oltre la funzione d’integrazione e di elevazione, può svolgere anche quella di riserva critica e magari di provocazione rispetto a chiusure, unilateralità, ristrettezze di visioni e di progetti educativi «troppo umani».
D’altra parte è pur vero che la prospettiva educativa e quella pedagogica sono per il credente uno stimolo a ricercare e rendere effettive le condizioni che permettono la maturità di fede e quella «libertà dei figli di Dio» che è insieme promessa, dono e compito per il singolo e per le comunità credenti, che vogliano essere adulti nella fede. In tal senso più che di maturità di fede si parla anche in quest’ambito di maturazione di fede.
Si può quindi parlare di una certa circolarità nell’interazione tra i due aspetti della crescita e della qualità della vita personale. La fede interpella in modo critico-profetico l’opera educativa. Questa a sua volta stimola la fede ad incarnarsi nelle strutture e nei comportamenti personali cooperando ad una più profonda ed integrale promozione umana.
Bibliografia
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