DOCIMOLOGIA

 

DOCIMOLOGIA

H. Piéron ha proposto di chiamare d. (dal gr.​​ dokimázo,​​ valuto, stimo, e​​ lógos​​ discorso sistematico, scientifico) lo studio dei problemi posti dalla​​ ​​ valutazione. Il termine è rimasto prevalentemente nei Paesi francofoni. In genere si preferisce parlare di «studio della valutazione scolastica» o si ricorre a denominazioni più settoriali (studio dei​​ ​​ voti, degli​​ ​​ esami, del​​ ​​ profitto),​​ per trattare le funzioni e le carenze del valutare.

1. Gli studi docimologici inizialmente (dopo la metà dell’Ottocento) hanno evidenziato la mancanza di validità e di affidabilità delle abituali valutazioni scolastiche. Sono state documentate così le discordanze emergenti tra più correttori posti davanti allo stesso prodotto e dello stesso correttore chiamato a valutare la medesima prestazione in tempi o in situazioni diverse. È stata segnalata inoltre la scarsa predittività degli esami d’ammissione. J.M. Rice, uno dei pionieri della​​ ​​ pedagogia sperimentale, ha dato inizio alle grandi inchieste sul profitto degli alunni, utilizzando strumenti tipificati per poter così fondare conclusioni utili per migliorare il sistema scolastico e fornire ai docenti termini di confronto al di là della loro esperienza (​​ standard). Nel 1931 la Carnegie Corporation ha finanziato una ricerca internazionale sugli esami finali nella scuola secondaria affidandola al Teacher’s College della Columbia University. Sono stati così pubblicati vari studi nazionali di notevole impegno. In questo modo l’importanza della d. è stata ufficializzata e si è avviato lo scambio tra studiosi di diversi Paesi. Ben presto dalla disamina dei voti si è passati alle loro correzioni statistiche e alla revisione di tutto il processo di valutazione, attraverso la messa a punto di strumenti di rilevazione del profitto di tipo oggettivo. Si è transitati così dalla prima fase critica della d. a quella propositiva, detta del​​ Measurement.​​ A questa si sono affiancati successivamente studi centrati sugli aspetti formativi della valutazione che ne hanno esteso gli strumenti e arricchito le strategie (Evaluation). Si è cercato quindi d’individuare i fattori che producono i dissensi e le anomalie docimologiche con vari paradigmi (cfr. ricerche di​​ ​​ Calonghi, Noizet e Caverni per es.). Attualmente il focus si è spostato sulla necessità di valutare in forma integrata i saperi scolastici e le acquisizioni dell’esperienza secondo le istanze del mondo reale (valutazione autentica,​​ valutazione di competenze).

2. Di fatto la d. si è ispirata per alcune soluzioni ai principi della​​ ​​ psicometria, ma lo stimolo efficace per il suo pieno sviluppo deriva dalla​​ ​​ didattica. Quest’ultima, al momento della verifica, ha bisogno di fatti certi a proposito delle innovazioni adottate e lo studio critico delle valutazioni è il momento base, che aiuta a fornirgliene.

Bibliografia

Piéron H.,​​ Examens et docimologie,​​ Paris, PUF, 1963; Bonboir A.,​​ La docimologie,​​ Paris, PUF, 1972; Calonghi L.,​​ Valutare,​​ Novara, De Agostini, 1983; Coggi C. - A. M. Notti (Edd.),​​ D., Lecce, Pensa Multimedia, 2002;​​ Dubus A.,​​ La notation des élèves: comment utiliser la docimologie pour une évaluation raisonnée, Paris, Armand Colin, 2006.

L. Calonghi - C. Coggi

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DOCIMOLOGIA

DOMANDA EDUCATIVA

 

DOMANDA EDUCATIVA

L’esigenza di​​ ​​ formazione può essere letta come d.e. personale e sociale, individuale, di gruppo, comunitaria.

1.​​ La pedagogia dell’offerta.​​ Nel nostro tempo sembra abbastanza evidente la ambivalenza di una pedagogia dell’offerta. Essa parte solitamente da progetti, programmi e modelli da trasmettere e far accogliere: è normalmente pedagogia di obiettivi e progetti stabiliti altrove. La metodologia educativa assume il compito di dare attuazione a tali obiettivi o progetti, senza un momento precedente di metodologia pedagogica di ricerca nel campo, per rilevare la d.e. da cui partire e con funzione di riferimento costante lungo l’intero processo di risposta. Tale pedagogia e i sovra-sistemi, che stanno alla radice dell’offerta, presentano debolezze interne, anche a motivo del pluralismo contestuale o di critiche esterne di rifiuto da parte di minoranze non disposte a lasciarsi manipolare. Ma se le pedagogie trasmissorie vengono colte come lontane rispetto alla realtà viva di bisogni, attese e domande, tuttavia, oggi, si hanno nuove forme di proposizione di pedagogia dell’offerta. Adulti e giovani risentono o soggiacciono supinamente alle indicazioni e ai messaggi dei sovra-sistemi che impongono comportamenti e offrono risposte pre-confezionate ai loro scopi: ieri quelli politico-ideologici oggi quelli del neocapitalismo internazionale e del mercato mondializzato. I bisogni sono indotti, l’omologazione è provocata, il consenso e l’adesione catturati. Nel campo dell’educazione, la pedagogia dell’offerta si è presentata come esigenza di adeguazione al mercato del lavoro, al successo professionale e esistenziale all’altezza dei trend attuali, magari innestata su istanze di autorealizzazione, di buona qualità della vita, di accesso ai beni di consumo, di equità e correttezza sociale. Le ricerche, i progetti, i programmi, i libri dell’offerta educativa sono molto sofisticati e sistematici a riguardo, offrono ideali, ricette di soluzioni dei problemi, modi di acquisizione di competenze.

2.​​ Verso una pedagogia della d.e.​​ Rispetto ad una pedagogia dell’offerta sembra oggi importante una pedagogia della d. o forse meglio una pedagogia del campo-d. Essa potrebbe costituire un nuovo indirizzo di pedagogia interdisciplinare. Nella pedagogia della d. persone informate, sensibili, responsabili, competenti e attive, individuano – rispetto alla problematica umana e esistenziale attuale – un campo problematico emergente, personale e / o sociale, adulto e soprattutto giovanile, generale o particolare, speciale e / o specifico; lo leggono in termini educativi di bisogno e possibilità, cioè di d. di intervento valido e efficace per risolverne i problemi di qualità della vita in esso presenti e per promuoverne o consolidarne forme qualificabili come umanamente degne a livello di esistenza personale e comunitaria; analizzano situazioni, necessità, risorse e condizioni; elaborano progetti e programmi di risposta o quanto meno di proposta educativa. La rispondenza alla d. giudica la validità della risposta-proposta.

3.​​ La d.e.​​ In effetti, la d.e. nasce in profondità, nei luoghi e nei tempi della vita individuale e comunitaria, nel suo sorgere, nel suo crescere e maturare. Ma la vita non si sviluppa sempre pacificamente; per cause interne ed esterne trova spesso condizioni di ingiustizia e di esclusione, di oppressione e repressione, di dominazione e di strumentalizzazione manipolatrice, di conflitto e lotta, di difficoltà e limite, di debolezza e errore, di fragilità e peccato: perciò si fa​​ problema,​​ ma sempre​​ valore-problema,​​ in quanto i problemi sono situazioni problematiche della vita, delle persone, del mondo e del loro intrinseco valore. Così nasce nel campo e nei campi la tensione di appello interiore e quindi la invocazione implicita o espressa, e cioè la d. che chiede o vuole ascolto, attenzione, comprensione, cioè intervento di aiuto per la​​ soluzione​​ che liberi i valori di vita e ne risolva i problemi. La soluzione viene da​​ risposte​​ a quanto è palese nella d., aggiungendo e accettando​​ proposte​​ alla d. profonda, ad attese latenti e possibili che all’inizio sono al di là delle capacità di d. esplicita. Si delinea così il quadro completo della educazione personale, sociale, epocale, umana. La credenza e la fede religiosa, in genere e quella cristiana in particolare, vi scorgono l’ordine del trascendente e della grazia, che non ha tanto una d. diretta, ma piuttosto una risonanza nelle profondità dell’uomo fatto da Dio e secondo Dio, a sua immagine e somiglianza, animato da tensioni infinite. In ogni caso bisognerà impostare e prolungare un cammino di​​ ricerca​​ per individuare e definire contenuti, processi, progetti e programmi; per incrementare il dialogo e il confronto democratico. Il risultato atteso è la​​ condivisione ideale​​ e la​​ convergenza operativa.

4.​​ Il​​ campo-d. e i campi-d.​​ La comprensione della d.e. richiede un ulteriore approfondimento del​​ campo-d.​​ e dei​​ campi-d.​​ Il​​ campo-d.​​ totale di riferimento, intervento e azione è, idealmente, il campo della persona, ma realmente è il campo-umanità, campo delle persone oggi viventi sulla faccia della terra nella loro generalità. Bisogna definirne e assumervi pedagogicamente le d., progettare risposte per risolvervi pedagogicamente i problemi di vita e valore. All’interno di questi orizzonti planetari, per interventi e soluzioni più concrete sarà necessario individuare​​ campi-d.​​ particolari dove siano possibili analisi, interpretazioni, elaborazioni di progetti, piani e metodi di risposta. Non è difficile capire come oggi sia profonda, la d. globale e articolata di educazione diretta delle persone, ma anche di soluzione, attraverso l’educazione, degli enormi valori-problemi di vario genere, che inquietano i circa sei miliardi di abitanti della terra. Continenti, nazioni, gruppi e singole persone dilatano sempre più e meglio i loro stili di vita, ma vivono anche dilaniati da ingiustizie, oppressioni, impotenza, indegnità di vita, abbandoni fisici e materiali, culturali e spirituali. La d.e. si specifica nelle diverse d. particolari (e nei diversi campi di d.): quelle dei giovani, degli adulti, degli anziani, delle famiglie, dei gruppi, dei movimenti, dell’associazionismo, delle comunità, della società civile, dei diversi soggetti sociali, delle comunità locali, nazionali, internazionali, mondiali, umane.

5.​​ La pedagogia della d.​​ La d.e. chiede un’adeguata e congruente pedagogia. Di tale compito si possono delineare i momenti principali: a)​​ Assumere la d.​​ Le d. si formano nella intimità esistenziale dei vari campi, come concreti vissuti di bisogni, possibilità e tensioni. Si​​ formulano​​ a livello di coscienza implicita ed esplicita interna, sotto forma di interessi e di desideri, e a livello di espressione esterna, sotto forma di richieste di intervento e aiuto personale e sociale, intersoggettivo e istituzionalizzato. Devono​​ essere percepite e assunte,​​ da responsabili e competenti capaci di formulare e / o dare risposte. È indispensabile un filtraggio di qualificazione, di priorità, di organizzazione, ma non di esclusione o manipolazione, con partecipazione d’impegno e competenza. b)​​ Analizzare la d.​​ La realtà del campo-valore-problema deve essere analizzata in tutte le dimensioni che permettono di individuare con precisione la natura della d., le necessità che essa impone di risolvere, le risorse che offre, le condizioni interne e esterne di operabilità. Questo si ottiene ricavando i dati dai sovrasistemi in cui si colloca, e da cui deriva, dove cerca e progetta la soluzione: il sistema della​​ ​​ personalità (quale struttura, dinamica e situazione antropologica olistica e particolare); i sistemi di​​ ​​ appartenenza e partecipazione sociale, culturale, politica; i sistemi educativi paralleli e interferenti. Dopo di ciò si può pensare al progetto. c) «Educare» la d.​​ La d. del campo e dei soggetti interessati non può essere assunta grezza. Fin dai primi interventi è necessario aiutare i soggetti, gli ambienti, le istituzioni coinvolte, a definirne il senso vero e completo, ad approfondire carenze, soprattutto a rendere consapevoli aspetti e condizioni nascoste, che superano l’immediato, spesso solo simbolico e parziale, e che vanno esplicitati, sostenuti, promossi, consolidati. d)​​ Aprire alla proposta.​​ Avviene quasi sempre che la d. riveli tensioni e integrazioni che stanno al di là dei punti di partenza e di primo approccio. Non si tratta solo di aggiunte estrinseche, ma anche di comprensione della normalità dello stato di invocazione e di attesa che l’immediato contiene e rivela. La d. trova aperture e compiutezza, ma anche la proposta, che nasce per questa via, avrà garanzia di aggancio, di investimento dinamico favorevole per il consenso impegnativo.

Bibliografia

Lawton D.,​​ Programmi di studio ed evoluzione sociale. Dalla teoria alla pratica,​​ Roma, Armando, 1973; Girardi G.,​​ Per quale società educare?,​​ Assisi, Cittadella, 1975;​​ Furter P.,​​ Les systèmes de formation dans leurs contextes,​​ Berne-Frankfurt, P. Lang, 1980; Dalle Fratte G. (Ed.),​​ L’analisi dei bisogni. Prospettive teoriche e metodologiche emergenti da una ricerca in campo educativo,​​ Trento, Fed. Scuola Materna, 1983; Freire P.,​​ La pedagogia degli oppressi, Torino, EGA, 2002; Gianola P.,​​ Il campo e la d.,​​ il progetto e l’azione. Per una pedagogia metodologica.​​ Edizione a cura di C. Nanni, Roma, LAS, 2003.

P. Gianola - C. Nanni

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DOMANDA EDUCATIVA

DOMANDE NELL’INSEGNAMENTO

 

DOMANDE NELL’INSEGNAMENTO

Le d. sono azioni linguistiche generalmente usate per ottenere informazioni. Possono essere utilizzate in moltissimi contesti: nell’intervista, in prove di​​ ​​ valutazione dell’apprendimento, in contesti giuridici o in conversazioni con amici. Data la loro straordinaria efficacia nello stimolare un’attività della mente, sono state particolarmente studiate e ritenute uno strumento molto diffuso ed efficace per l’apprendimento. In questo ambito si distinguono due tipi di d.: d. rivolte direttamente durante una lezione; d. rivolte durante la lettura di un testo da apprendere.

1.​​ Tassonomie di d.​​ Il tipo di d. non è indifferente circa il processo mentale che induce; per questo si sono prodotte molte «tassonomie» (classificazioni) dei tipi di d. che possono essere utilizzate da un​​ ​​ insegnante. In genere la classificazione è costruita o in base ad una descrizione di processi mentali o in riferimento alla complessità del processo cognitivo che induce o in riferimento al «dove» può essere trovata la risposta. Si distinguono così d. che: a) spingono semplicemente ad un rilevamento o ricupero di informazioni (si chiede di: vedere, osservare, provare, nominare, ricordare, descrivere, contare); b) richiedono di stabilire un collegamento tra conoscenze nuove e previe (integrare, completare, descrivere, ricordare, definire, connettere, collegare, parafrasare); c) spingono ad un’analisi più approfondita (sintetizzare, analizzare, spiegare il perché, classificare, mettere in una sequenza, riassumere, stabilire analogie); d) pongono una sfida al pensare, immaginare e formulare ipotesi predittive, scoprire (applicare un principio, pianificare, giudicare, predire, inventare, inferire, ipotizzare, generalizzare, ecc.).

2.​​ Uso appropriato ed efficace delle d.​​ Non basta che l’insegnante sappia scegliere la d. che stimola maggiormente l’attività di riflessione. Egli deve anche saper usare questo strumento in modo appropriato. Numerose ricerche offrono un ampio ventaglio di indicatori che possono essere utili a questo scopo: a) contestualizzare la d.: creare cioè un clima non valutativo, dare un senso di libertà nel rispondere, saper trasformare la risposta sbagliata in una corretta, rilanciare ad un’ulteriore riflessione la risposta ricevuta; b) interpretare le diverse risposte dello studente: distinguere cioè tra risposta corretta, ma rapida e sicura, risposta corretta, ma esitante, risposta non corretta per mancanza di riflessione, risposta non corretta per carenza di conoscenza di fatti o del processo e reazioni diverse a seconda dei diversi tipi di risposta; c) dare tempo per la risposta: quanto più è alto il livello di attività cognitiva che la d. induce, tanto maggiore deve essere il tempo lasciato per trovare la risposta. Un tempo maggiore, oltre a garantire un maggior numero di risposte corrette, permette, anche risposte più articolate e complete; d) porre d. non superiori alle possibilità dello studente: una buona d. deve essere preparata esaminando le conoscenze previe che la risposta esige e i processi che richiede; e) fare d. chiare: strutture sintattiche complesse, d. multiple, uso di un lessico troppo astratto non facilitano la comprensione della d. e quindi rendono difficile una risposta; f) sviluppare le proprie conoscenze sulla materia di insegnamento; esse infatti migliorano la qualità e la pratica delle d.

Bibliografia

Anderson L. - C. Everston - J. Brophy,​​ An experimental study of effective teaching in first-grade reading groups,​​ in «Elementary School Journal» 79 (1979) 193-223; Rowe M. B.,​​ Wait time - slowing down may be a way of speeding up,​​ in «American Educator» 2 (1987) 1; Gall M. D. - M. T. Artero-Boname, «Questioning strategies», in T. Husen - T. N. Postlethwaite (Edd.),​​ The International encyclopedia of education,​​ Oxford, Pergamon Press,​​ 21995, 4875-4882.

M. Comoglio

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DOMANDE NELL’INSEGNAMENTO

DOMENICA

DOMENICA

Manlio Sodi

 

1. Il valore di alcune puntualizzazioni

2. Un week end tutto da sacralizzare?

3. Conclusione

 

In ambito di pastorale giovanile quello della domenica appare un discorso decisamente complesso, quasi un discorso tabù se lo si considera dalla prospettiva della così detta pratica del «precetto» festivo. Il complesso fenomeno del «tempo libero», unitamente alla realtà della «festa» in una società secolarizzata come la nostra in cui «festa» equivale in genere ad evasione dal quotidiano (indipendentemente dai giorni del calendario settimanale o mensile), la riproposta cristiana del giorno del Signore si presenta frequentemente nell’azione pastorale come una realtà che non si riesce ad affrontare in modo adeguato perché non si sa da dove iniziare il discorso.

Il dato di fatto facilmente rilevabile è costituito dalla (non) «frequenza religiosa». Mentre, ad esempio, è possibile portare avanti un discorso di educazione alla fede e di impegno nel territorio durante la settimana, in domenica il giovane (unitamente al gruppo) tende a convergere verso altri poli, specialmente se vive in centri urbani. Cosa fare allora? A livello di pastorale giovanile deve essere questo un discorso chiuso in partenza? All’amara seppur realistica costatazione dello scadimento religioso della domenica non serve però la rassegnazione.

L’operatore pastorale si trova di fronte all’impegno di restituire alla domenica un più accentuato contenuto religioso e far ritrovare il senso della festa. Senza dubbio la sorgente di questo spirito nuovo, della gioia e di una rinnovata carica religiosa è la pasqua del Signore chiamata a diventare continua pasqua della Chiesa perché il sacramento pasquale diventi la vita dei credenti. Ma come aiutare il giovane a guardare nel caleidoscopio della vita quotidiana perché vi possa leggere la trama che costituisce il tessuto vivente del proprio futuro?

 

1. Il valore di alcune puntualizzazioni

L’esperienza viva di tutte le comunità ecclesiali ricorda e insegna che la domenica è la celebrazione originaria e permanente; essa rende presente, insieme alla celebrazione dei sacramenti, tutto il contenuto salvifico della pasqua perché il fedele vi si «innesti» in modo sempre più definitivo e profondo. È in questa prospettiva che la liturgia, riecheggiando​​ SC​​ 106, canta con gioiosa speranza: «Oggi la tua famiglia (o Padre), riunita nell’ascolto della Parola e nella comunione dell’unico pane spezzato, fa memoria del Signore Risorto nell’attesa della domenica senza tramonto, quando l’umanità intera entrerà nel tuo riposo. Allora noi vedremo il tuo volto e loderemo senza fine la tua misericordia» (Messale,​​ Prefazio delle domeniche del tempo ordinario X,​​ p. 344).

Questo è il mistero della domenica — festa primordiale dell’anno liturgico; il​​ primo,​​ il​​ settimo, l’ottavo​​ giorno — «giorno che Dio ha deciso di dedicare al suo popolo, per arricchirlo di doni e di grazia», prima ancora di essere «il giorno che i cristiani dedicano al Signore»​​ (ECC​​ 76).

Sarà compito dell’animazione pastorale richiamare questa prima realtà che porta immediatamente a sottolineare la domenica​​ anche​​ come giorno della Chiesa: una Chiesa​​ convocata​​ per celebrare il suo Signore e di nuovo​​ inviata​​ per portare a compimento nel quotidiano il progetto salvifico e liberante del Cristo. È in questo senso che il Vaticano II evidenziava la liturgia come «il termine più alto cui tende tutta l’azione della Chiesa e insieme la sorgente donde ad essa derivano tutte le sue energie...»​​ (SC​​ 10).

Punto di convergenza della​​ memoria​​ e dell’attesa​​ tipiche del «giorno del Signore» è la​​ presenza​​ del Cristo risorto principalmente nella e mediante la celebrazione eucaristica. Da qui l’urgenza di strategie adeguate perché la partecipazione del giovane ai santi misteri sia sorretta da una catechesi previa, concomitante e susseguente che, in sintonia con i tempi liturgici, valorizzi i diversi segni e momenti rituali, a cominciare dal segno per eccellenza che è la Parola.

«Attraverso i segni sensibili — infatti — la catechesi conduce i fedeli alla conoscenza degli invisibili misteri salvifici di Dio» (DCG 57); ciò scaturisce dal fatto che l’esperienza del mistero passa attraverso il rito. Un’azione pastorale di questo genere sarà ancora più piena se, partendo da una reale conoscenza di tutte le potenzialità di adattamento e creatività offerte dai libri liturgici, valorizzerà quella pluralità di ministeri e funzioni ordinati ad una più piena partecipazione dell’intera assemblea; e se la celebrazione stessa sarà espressione di un’assemblea in reale situazione di preghiera, di ascolto, di rendimento di grazie, di silenzio, di partecipazione al convito pasquale, di rapporto stretto con la vita concreta dell’intera comunità per orientarne l’attività e la missione.

 

2. Un week end tutto da sacralizzare?

Nell’attuale panoramica delle esperienze di pastorale giovanile forse non se ne trova una che possa proporsi come strategia esemplare da attuare o comunque da mutuare tout court. Come agire allora?

Se da una parte può essere chiamata in causa la «fantasia pastorale», dall’altra l’operatore pastorale ha a disposizione dei punti di riferimento che si collocano anche come criterio ermeneutico e di verifica della stessa azione pastorale. Si tratta comunque, come in ogni ambito educativo, di lavorare sui tempi lunghi in modo che il giorno del Signore risulti sempre più tale perché riscoperto come giorno dell’uomo.

Ciò è possibile qualora si chiamino in causa strategie adeguate che, operando su appuntamenti specifici, coinvolgano il giovane. È nell’insieme del suo cammino di fede infatti che può progressivamente operarsi quel cammino di scoperta e valorizzazione del giorno del Signore sia in ordine alla celebrazione dell’eucaristia, sia — al di là della stessa celebrazione — in ordine all’incidenza di tale giorno nei tanti segmenti del quotidiano.

Il quadro delle strategie pastorali può avere allora anche in ambito giovanile questi punti di riferimento e insieme di verifica:

— La domenica è anzitutto il​​ giorno dell’uomo.​​ Nella frammentazione che la convulsa vita della società industrializzata comporta, la domenica si presenta anzitutto come il giorno in cui la persona — senza estraniarsi dal quotidiano — cerca di ritrovare quelle dimensioni spirituali che lo stesso quotidiano tende inesorabilmente a schiacciare.

Ecco perché il cristiano è invitato a compiere le opere del così detto «ottavo giorno». La caratterizzazione cristiana della domenica non può essere ridotta alla sola celebrazione, ma deve trovare modi e forme espressive nei rapporti interpersonali, familiari e comunitari. In questa linea possono allora essere considerate le attenzioni pastorali verso chiunque viva una qualche forma di emarginazione, in modo che nessuno si senta escluso dal circuito della carità e della festa.

— Se la domenica è il giorno dell’uomo, allora essa assume la connotazione di​​ giorno della festa.​​ È la caratteristica che si pone alla confluenza di due realtà: da una parte una memoria decisiva da vivere e rivivere; dall’altra il bisogno di rivivere l’evento per celebrarlo gioiosamente insieme. Ecco il senso del: «Ricordati delle feste per santificarle». La festa è piena e totalizzante quando, superando ogni alienazione tipica dell’effimero di cui è intessuto il quotidiano, aiuta a superare la schizofrenia tra corpo e spirito.

La festa cristiana, ponendo al centro della memoria il Risorto, fa comprendere che l’astensione dalla fatica o comunque dalla routine del quotidiano, costituisce l’affermazione del trionfo della vita, del primato della gioia, perché «chi si rattrista in giorno di domenica fa peccato» (Didascalia degli Apostoli, V, 20, 11). Lo stesso invito al «riposo» aggiunge alla dimensione reale anche quella simbolica e profetica, anticipando quella liberazione totale e definitiva da ogni dipendenza dalle cose. Collocarsi in questa dimensione è santificare il giorno del Signore. La partecipazione all’eucaristia non sarà che la logica premessa e la ovvia conseguenza!

— In quanto giorno della festa, la domenica è tale solo se è​​ giorno del Signore.​​ Il cammino di mentalizzazione non passa primariamente attraverso il «precetto»; al contrario questo si presenta nel comune modo di pensare dei giovani solo come un debole supporto di richiamo a quei valori che caratterizzano tale giorno: l’ascolto della Parola e la condivisione dei segni della nuova alleanza.

È giorno del Signore perché in domenica il Signore convoca il suo popolo per chiamarlo continuamente alle esigenze della sua alleanza, per provocarlo a fare continuamente esodo dagli idoli settimanali verso la liberazione tipica dell’ottavo giorno, compimento dell’alleanza.

È giorno del Signore perché la partecipazione ai segni della nuova alleanza (corpo e sangue di Cristo) trasformano tutti coloro che condividono lo stesso cammino dell’esodo in «compagni»: termine eucaristico​​ (cumpanis) che rinvia all’eucaristia come segno di condivisione e che a sua volta fonda tale condivisione ad ogni livello nel quotidiano.

— L’ultima sottolineatura allora sarà l’accentuazione della domenica come​​ giorno della comunità​​ vista nelle sue più diverse espressioni. In quanto segno sacramentale della presenza del Cristo nelle realtà e strutture intramondane, la comunità ecclesiale esprime questa sua intrinseca realtà attraverso un atteggiamento di accoglienza che superando ogni limite aiuta i membri a fare comunione; attraverso una preghiera che va ben oltre il ristretto spazio personale e familiare per coinvolgere tutti i fratelli nella fede o in ricerca; attraverso una carità che tenta di interpretare e venire incontro alle necessità di quei poveri che gridano da ogni parte della terra; attraverso una pluralità di servizi che vogliono esprimere con molta concretezza quella ricchezza di doni di cui vive e cresce la Chiesa. Solo così una Chiesa può presentarsi come il primo sacramento della presenza del Signore in mezzo ai suoi.

 

3. Conclusione

Si tratta dunque di sacralizzare un week end o di operare una mentalizzazione tale che, superando la sacralità di tempi e spazi, raggiunga particolarmente il giovane?

Credo che il secondo interrogativo è quello che, affrontando la problematica della realtà e del cammino che si prospetta dinanzi all’educatore nella fede, stimola ad aprirsi su un insieme di strategie riconducibili fondamentalmente a due ambiti.

Nell’ambito della pastorale giovanile orientata verso chi già sta facendo un cammino di fede piuttosto avanzato si tratterà di coinvolgere al massimo la persona del giovane, valorizzandolo per tutto quello che esso può dare nel campo specifico dell’animazione della comunità che si riunisce per celebrare la memoria del Risorto. Si pensi al coinvolgimento del gruppo giovanile nell’animazione liturgica, nella preparazione comunitaria dell’omelia e della preghiera dei fedeli, nei diversi ministeri... a partire da quello della catechesi per arrivare alle letture, ai canti, all’accoglienza nell’eucaristia...

Per il giovane che vive, invece, un atteggiamento di ricerca l’impostazione del problema non può chiamare direttamente in causa la partecipazione all’eucaristia. Questa, senza escluderla, si colloca ad un certo punto del cammino di fede; essa richiede un’educazione alla preghiera, e alla preghiera fatta insieme; un’educazione al rendimento di grazie che passa attraverso l’esperienza di pagine bibliche come i salmi; una vitale conoscenza della rivelazione lungo la categoria dell’alleanza: categoria che sola, filtrata e illuminata dal Cristo, può portare a fare esperienza viva del Risorto nell’eucaristia e trasformare ogni eucaristia in «giorno del Signore».

 

Bibliografia

Oltre a quanto segnalato sotto la voce «anno liturgico», cf anche: CEI,​​ Eucaristia, comunione e comunità. Documento pastorale,​​ Roma 22 maggio 1983; Id.,​​ Il​​ giorno del Signore. Nota pastorale,​​ Roma 11 maggio 1984.

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DOMENICA

DONNA

 

DONNA

Il termine d. da​​ dŏmna​​ (m), forma sincopata del lat.​​ domina​​ (signora, padrona) da​​ dominus​​ (signore, padrone), analogicamente al biblico «´​​ /​​ iššah», entra nella lingua nel 1294. Preposto a un nome femminile, conserva il senso lat. di qualifica nobiliare attribuita alle consorti di personaggi autorevoli o rappresentativi. Nel linguaggio comune indica la persona adulta di sesso femminile. Nel termine d. confluiscono opposte reazioni emotive socio-culturali e socio-religiose che vanno dall’esaltazione all’umiliazione / sudditanza, come pure polarità alternative, quali Eva / Maria, Diavolo / Angelo, Seduttrice / Consolatrice, Nemica / Rifugio. Spesso indica la d. in relazione, come figlia, sorella, sposa, madre dell’uomo. Difficilmente indica la d. concreta; in questo caso si usa il plurale. Spesso evoca la condizione asimmetrica della d. rispetto all’uomo, un’asimmetria che ha radici remote e persiste nonostante le azioni positive a favore della parità, come se non potesse essere eliminata, ma solo spostata in avanti.

1.​​ Dalla disputa all’autocoscienza femminile.​​ Nel 1595 Orazio Plata traduce e divulga l’opera di Acidalius Valens,​​ Disputatio perjucunda qua anonimus probare nititur «mulieres homines non esse»: «le d. non sono uomini», una tesi tanto ovvia da risultare ridicola, richiama però la​​ mens​​ misogina che identifica la persona umana con il maschio. Graziano (sec. XII) lo affermava sicuro: «L’immagine di Dio è nel maschio creato unico, origine di tutti gli uomini, che ha ricevuto da Dio il potere di governare come suo sostituto, perché è immagine di Dio unico. Ed è per questo che la d. non è fatta ad immagine di Dio» (Decretum Gratiani​​ q. 5, c. 33). È una concezione abbastanza generalizzata; è presente in numerose culture anche alternative tra loro; favorisce il transito indisturbato di stereotipi e resiste persino nella modernità: l’unità del genere umano si realizza nel maschio, il principe (archón) che rappresenta il principio (arché). Quindi, la d. è diversa dall’uomo nel senso che è inferiore, minore, bisognosa di essere custodita e sorvegliata. La coscienza dell’uguaglianza ancora nel sec. XVI è solo di d. dell’élite. Con il diffondersi della filosofia razionalistica, che fonda i diritti sulla comune natura umana, matura la consapevolezza dell’uguaglianza tra gli esseri umani che, però, viene più facilmente riconosciuta al servo che alla d. La Rivoluzione francese proclama l’uguaglianza, la libertà, la fraternità; diffonde le idee liberal-democratiche, redige la​​ Dichiarazione dei diritti del cittadino; non riconosce, però, la cittadinanza alla d. Olympie de Gougues viene ghigliottinata nel 1793 per la sua​​ Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne​​ (1791). Le d. più consapevoli danno vita a movimenti di emancipazione, iniziano rivendicando dei diritti civili, ma progressivamente estendono la richiesta alla piena cittadinanza in ambito socio-politico, familiare e religioso. Negli anni ’60 dall’idea di emancipazione si passa a quella di liberazione con la denuncia dei sistemi culturali maschilisti che ritengono la d. il secondo sesso (S. de Beauvoir,​​ Il​​ secondo sesso,​​ 1948). Si accende un vivace dibattito sul rapporto dialettico natura / cultura. Le scienze antropologiche, specie quelle umanistiche, lasciano intravedere l’urgenza di superare la contrapposizione perché l’identità si costruisce dal convergere in unità di molteplici fattori, in particolare il patrimonio genetico, contesto, autodeterminazione del soggetto.

2. L’attuale percorso: tessendo rapporti,​​ cercando vie nuove.​​ Negli anni ’70 inizia una riflessione propositiva sulla differenza, talvolta espressa in forme radicali che inferiorizzano il maschile a vantaggio del femminile, ricalcando con il segno opposto le orme del patriarcato. Al di là di questi esiti, il movimento di pensiero con altre espressioni culturali, specie con la riflessione sulla reciprocità, ha offerto un contributo significativo: ha risvegliato in molte d. il desiderio e l’impegno di crescere in un’identità più profonda, rifiutando l’omologazione al modello maschile e valorizzando la propria e l’altrui diversità come risorsa; ha spinto anche l’uomo a mettere in crisi gli stereotipi e le ambiguità dell’antropologia​​ recepta; è sempre più condivisa l’idea che l’umanità è uniduale nel confronto e nella reciprocità di maschile e femminile. In questo percorso le ragazze, valorizzando le possibilità offerte dalla scolarizzazione di massa, hanno sovente superato i ragazzi: è la generazione femminile del sorpasso negli studi universitari, nelle qualifiche professionali, non però nei poteri decisionali. In questo itinerario di nuova consapevolezza va riconosciuto, non solo a livello ecclesiale, ma globale, il ruolo singolare svolto da Giovanni Paolo II che con la​​ Mulieris dignitatem​​ ha divulgato le acquisizioni emerse dagli studi delle d., specie della teologia al femminile, le ha ricontestualizzate nella​​ Lettera alle d.​​ e in altri interventi. Esse sono riproposte, poi, nel​​ Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. Il Papa ha coniato l’espressione «genio femminile» (MD​​ 30,31;​​ Lettera​​ 9-12). È una via singolare per approfondire l’identità e la missione della d.: in questa via – teorica e pratica – sono coinvolti d. ed uomini in reciprocità, valorizzando le rispettive diversità, gestendo responsabilmente gli eventuali conflitti, per costruire una umanità più giusta e solidale.

3.​​ L’antropologia biblico-cristiana fonte di ispirazione per un nuovo umanesimo.​​ Molte studiose, di estrazioni culturali diverse, negli anni ’80 hanno interpellato le teologhe a mettere in luce i valori simbolici femminili presenti nella tradizione biblico-cristiana, in particolare nelle Sacre Scritture, specie i due racconti della creazione (Genesi​​ 1-3) e la vita e opera di Gesù, e nell’esperienza monastica e religiosa, specie le congregazioni religiose femminili di fine ’700 e ’800 dalle quali emergono d. che con il loro protagonismo anticipano alcune istanze del femminismo. Si individuano raccordi interessanti tra aspirazioni ed istanze umane, specie femminili, e messaggio biblico-cristiano. I due racconti della creazione evidenziano la fondamentale uguaglianza tra d. e uomo che insieme costituiscono l’immagine di Dio; indicano che la sessualità umana non è una semplice differenza fisica, ma è segno nel corpo della chiamata all’amore, che la d. non riceve la sua identità dall’uomo, né viceversa. Nella loro singolarità sono le uniche creature dell’universo che Dio ha creato per se stesse, offrendo loro il dono della sua comunione. Quindi, l’identità e la dignità della creatura umana sono inalienabili, perché radicate in Dio e in Lui giungono a pienezza; la specificità dei due non è isolamento, né la loro unione dice subordinazione della d. all’uomo. La persona umana, maschio e femmina, è un evento che accade davanti a Dio e da Lui è salvaguardata; è il vertice della creazione e suo garante a nome di Dio, con la missione di portarla a compimento. Gesù con la sua vita, la sua opera e la sua predicazione rivela il mistero della creatura umana, la sua bellezza: «vale più di tutti gli esseri dell’universo». Nel ricondurre la creazione al suo principio, la riscatta dal male, rivendica la dignità di immagine divina per ogni persona, al di là della sua appartenenza socio-culturale o religiosa, persino al di là della sua condizione morale. Così, poveri, piccoli, peccatori, d., tutti sono destinatari privilegiati del Regno. Smaschera le ideologie che inferiorizzano la d.; denuncia la doppia morale / la legislazione ipocrita che colpisce la d. adultera e rimanda libero l’uomo. Dichiara che ogni persona, al di là delle differenze di sesso, lingua, cultura, religione, è fatta per Dio, per rivelare / annunciare il suo Nome. La vede nella sua integralità: non divide lo spirito dal corpo, anzi nella resurrezione proclama la dignità della corporeità. Raccoglie i figli di Dio dispersi nell’unica famiglia, costituendo una comunità religiosa ove le gerarchie sono capovolte: il primo è l’ultimo, il capo è il servo; elimina ogni criterio di discriminazione; offre alla parità tra i sessi il fondamento che nessuna legge umana può eludere o misconoscere: Dio Amore. Le d. riconoscono, perciò, in Lui il loro liberatore e nel suo messaggio trovano una fonte alla quale attingere per dare senso alla vita. Maria è l’icona perfetta della d., espressione compiuta del genio femminile, proprio nell’accoglienza operosa perfetta del progetto del Creatore sulla sua creatura. Quale Nuova Eva, con Gesù, Nuovo Adamo, è punto di riferimento nel cammino verso la pienezza della d. e dell’uomo, non rappresentando simmetricamente gli attributi femminili (Maria) e quelli maschili (Gesù) ma, piuttosto, segnalando il principio biblico per cui Dio fin dall’inizio ha voluto l’umanità come maschio e femmina. Indicano, quindi, la via della piena realizzazione nella trasparenza dell’amore. In questo modo la differenza non è divisione, tanto meno contrapposizione, l’uguaglianza non è cancellazione dell’altra polarità, ma una reciprocità fondata su Dio e aperta all’universo. Oggi soprattutto è urgente ricomprendere questo messaggio per elaborare e tradurre in prassi un umanesimo nuovo ove le tre dimensioni – teologale, umanistica e cosmica – si raccordino in unità secondo il progetto originario della creazione in Cristo, ove la differenza d. / uomo sia valorizzata nel cammino di uguaglianza nella dignità e di differenza sessuale, oltrepassando ogni tentazione di predominio e ogni fascinazione di isolamento («Non è bene che l’uomo sia solo»). Il cammino è lungo. A livello personale dura tutta la vita che non è mai ripetizione, anzi è sempre libertà protesa verso il bene e il vero. Prendere la scorciatoia della identità costruita occasionalmente dalla libertà individuale, secondo il paradigma della «società liquida» (Bauman) o del mondo virtuale, non è un guadagno; è piuttosto una perdita, genera paura e solitudine, segna il regno del «superuomo» e l’eliminazione dei piccoli, radicale alternativa all’unità della famiglia umana. Lo documentano le fatiche dell’ONU nelle Sessioni della Commissione sulla condizione della d. (cfr. la 49a​​ CSW: 28.02-12.03-2005), come pure quelle dell’EU (cfr. iniziative per l’anno 2007 dedicato alla parità). Il cammino di identità della d. chiama in causa l’uomo e interpella le scienze dell’educazione.

4.​​ Le scienze dell’educazione.​​ Sono richiamate ad offrire il proprio contributo alla costruzione di un umanesimo nuovo, nel quale la coscienza della differenza sessuale non sia rimossa, ma alimentata; la dimensione teologale emerga sempre più come indispensabile per salvaguardare dai vari attentati la dignità della persona, specie della d. A livello educativo queste scienze vengono interpellate ad elaborare una vera educazione nell’identità sessuale in una corretta coeducazione ove siano eliminati gli stereotipi ed emerga la dignità di immagine di Dio. Per la realizzazione di tali obiettivi è necessario ed urgente ri-centrare la cultura in tutte le sue espressioni nel senso dell’antropologia uni-duale, oltrepassando il relativismo e accogliendo la prospettiva teologica. La d., quindi, pone la questione antropologica: come la d. è relativa all’uomo, l’uomo è relativo alla d., ed entrambi trovano la loro radicale identità nella relazione con Dio e da Lui sono fatti custodi dell’universo.

Bibliografia

Børresen​​ K. E. (Ed.),​​ A immagine di Dio: modelli di genere nella tradizione giudaica e cristiana, Roma, Carocci, 2001; Mansoret M. (Ed.),​​ D. e filosofia, Genova, Erga, 2001; Roccella E. - L. Scaraffia (Edd.),​​ Italiane. Dall’unità d’Italia alla prima guerra mondiale, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri / Dipartimento per le pari opportunità, 2003; Borriello L. - E. Caruana - M. R. Del Genio - M. Tiraboschi (Edd.),​​ La d.: memoria e attualità, 6 voll., Città del Vaticano, LEV, 1999-2005; Pontificium Consilium pro Laicis (Ed.),​​ Uomini e d.: diversità e reciproca complementarità, Ibid., 2005; Gaiotti De Biase P.,​​ Vissuto religioso e secolarizzazione. Le d. nella «rivoluzione più lunga», Roma, Studium, 2006; Valerio A. (Ed.),​​ D. e Bibbia: storia ed esegesi, Bologna, Dehoniane, 2006.

M. Farina

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DONNA

DONNA-UOMO – nella Chiesa

DONNA - UOMO (nella Chiesa)

Mario Midali

 

1. Premessa

1.1. Questione femminile e congiuntamente maschile

1.2. La prospettiva generale: un aggiornato umanesimo cristiano

1.3. Uomini e donne nella Chiesa

2. Situazione di uomini e donne nella Chiesa

2.1. Associazionismo femminile e idealizzazione della donna nella Chiesa

2.2. Un nuovo posto delle donne nella Chiesa

2.3. Una Chiesa rinnovata in cui uomini e donne siano membri a pieno titolo

2.4. Configurarsi della teologia femminista

2.5. Verso la reciprocità nella Chiesa e verso una teologia integrale

2.6. Problemi emergenti

3. Mete da raggiungere in ambito ecclesiale

3.1. Una Chiesa rinnovata per un’effettiva reciprocità tra uomini e donne

3.2. Prioritaria formazione delle coscienze

3.3. Sincero riconoscimento dei ministeri ecclesiali delle donne

3.4. Accesso delle donne a incarichi direttivi e a organismi decisionali

3.5. Serio confronto dei religiosi e delle religiose con questa problematica

3.6. Rinnovamento della catechesi, della liturgia, dell’educazione, della spiritualità e del sapere teologico

4. Indicazioni strategiche

4.1. Gli operatori del cambio

4.2. I referenti del cambio

4.3. Modalità di cambio

4.4. Obiettivi a medio termine

 

1. Premessa

 

1.1. Questione femminile e congiuntamente maschile

Secondo l’ecclesiologia rinnovata del Vaticano II, soggetto attivo dell’intera azione ecclesiale è la comunità cristiana specie a livello locale, che è formata da uomini e donne. Qual è il posto e il ruolo o lo​​ status​​ e la missione che in essa hanno di fatto e che dovrebbero avere gli uni e le altre, in ragione della loro uguale dignità di fedeli e della loro differente qualifica rispettivamente «maschile» e «femminile»?

La «questione femminile», impostasi all’opinione pubblica mondiale a seguito della proclamazione dell’anno internazionale della donna, mentre pone in evidenza che la condizione delle donne nella società e nella Chiesa fa «questione», mette pure in «questione» la situazione dell’uomo in tali ambiti. Nell’attuale fase del dibattito occorre ormai parlare non soltanto di condizione e questione femminile, quasi che il discorso sia sulla donna e riguardi unicamente «l’altra metà del cielo». Occorre invece traltare congiuntamente e inscindibilmente di condizione e questione maschile. In effetti, lo​​ status​​ e i ruoli degli uomini e delle donne sono strettamente correlati nei vari campi dell’agire umano: nella vita familiare, sociale, economica, politica, culturale ed ecclesiale. L’identità umana e cristiana degli uni non può essere definita senza un necessario riferimento alle altre, e viceversa. Come noti fenomeni contemporanei dimostrano, la crisi e il cambio d’identità di queste incidono sull’identità di quelli, mettendola in crisi e sollecitandone il cambio.

 

1.2. La prospettiva generale: un aggiornato umanesimo cristiano

Assai differenti, sovente contrastanti, sono gli atteggiamenti, le posizioni e le scelte tutt’oggi presenti nella società e nella Chiesa di fronte alla vastità e complessità dei problemi qui implicati. Ai fini di questa riflessione teologico-pradca è decisivo prenderne coscienza e chiarire quali assumere, quali criticare, quali rigettare perché inaccettabili. Rimanere in un atteggiamento di semplice osservazione del fenomeno, oppure di puro ascolto delle differenti voci o, peggio, il collocarsi su posizioni di difesa paurosa o di chiusura preconcetta o di polemica faziosa, sono tutti atteggiamenti palesemente criticabili da un punto di vista pastorale, perché gravidi di dannose conseguenze, in quanto bloccano ogni miglioramento dello​​ statu quo.​​ La prospettiva in cui si colloca il presente saggio sintetico rispecchia delle scelte che è opportuno esplicitare fin dall’inizio.

— Non si parla della «donna» o deli’«uomo» (al singolare) nel senso di un’antropologia filosofica e-o teologica sui due sessi (a cui peraltro si accennerà).

— Si parla invece di «uomini» e «donne» (al plurale) per riferirsi alla concreta situazione esistenziale e storica degli uni e delle altre negli attuali contesti sociali ed ecclesiali.

— La prospettiva globale in cui si affronta l’argomento non è ispirata da una mentalità rivendicazionista nella linea del primo femminismo che mirava all’«emancipazione» della donna con l’acquisizione dei diritti civili a lei negati.

— Non è neppure quella del neofemminismo radicale anni ’70 che ha propugnato la «liberazione» della donna dal potere egemonico dell’uomo a partire dalla sponda delle donne e con atteggiamenti fortemente critici nei confronti dell’uomo.

— Non è ancora quella di certo riformismo tuttora inficiato di variegate venature androcentriche e antifemministe, spesso latenti e inconfessate, che mira alla «promozione» della donna o delle donne, ma senza mettere seriamente in questione l’attuale mondo plasmato e strutturato dall’uomo o dagli uomini.

— La prospettiva globale parte dalla sponda di cristiani, uomini e donne, che insieme, animati da vicendevole fiducia e in un confronto alla pari, cercano di analizzare e valutare criticamente l’attuale situazione e le sue linee di tendenza, al fine di elaborare un progetto e delimitare una strategia, in cui:

1) a uomini e donne sia riconosciuta, di diritto e di fatto, una fondamentale uguaglianza in quanto «persone davanti a Dio»;

2) le loro qualifiche differenti, maschile e femminile, siano non disattese o discriminate ma debitamente riconosciute e trattate, di diritto e di fatto, in modo paritario;

3) i loro rapporti siano ripensati insieme in termini di reciprocità, in modo da rendere più vivibile la realtà umana complessiva degli uni e delle altre.

Una prospettiva, quindi, né maschilista né femminista nel senso storicamente assunto da tali titoli, ma​​ dialogale​​ nel senso del Vaticano II, e ispirata da un aggiornato umanesimo cristiano che si esprime in simpatica attenzione critica a un evento che non temo a ritenere «epocale», perché tendenzialmente orientato:

1) a rivedere radicalmente i mutui rapporti tuttora esitenti tra uomini e donne nella società e nella Chiesa, non conformi alla dignità della persona umana e al messaggio evangelico rivisitato,

2) e a realizzare assetti sociali ed ecclesiali in cui «uomini e donne siano insieme protagonisti nel costruire una società e una Chiesa» maggiormente rispondenti al progetto di Dio sull’umanità.

 

1.3. Uomini e donne nella Chiesa

Lo​​ status​​ degli uomini e delle donne nella società ha influito e influisce, senza dubbio, in modo positivo o negativo, sullo​​ status​​ degli uni e delle altre nella Chiesa. Recenti studi storici e sociologici lo hanno ormai variamente evidenziato. Ma va pure riconosciuto che la posizione degli uni e delle altre nella vita e missione della Chiesa presenta caratteristiche peculiari che si vorrebbero ora presentare in termini necessariamente generali.

 

2. Situazione di uomini e donne nella chiesa

Nella recente storia riguardante la posizione degli uomini e delle donne nella Chiesa e l’atteggiamento dell’autorità ecclesiastica e della letteratura ecclesiale verso i movimenti promozionali e liberatori della donna nell’ambito ecclesiale, sono rilevabili grosso modo quattro tappe, le cui impostazioni significative sono tuttora variamente presenti nelle Chiese locali.

 

2.1. Associazionismo femminile e idealizzazione della donna nella Chiesa

In un primo periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale fino al Vaticano II, si assiste ai seguenti fenomeni maggiori:

— il notevole sviluppo (quantitativo e qualitativo) delle congregazioni religiose femminili, degli istituti secolari femminili, di parecchie associazioni ecclesiali femminili (ad es. l’azione cattolica femminile...), che assieme a numerose donne garantiscono una considerevole​​ presenza​​ femminile nei vari settori dell’apostolato ecclesiale loro consentito (educazione, opere caritative, assistenza ospedaliera, servizi parrocchiali secondari...);

— il permanere di una mentalità dominante, riscontrabile nel magistero e nella letteratura specialmente spirituale e pastorale, che tende a idealizzare la donna nella Chiesa. «La donna appare immobile, garante di una Chiesa a sua volta immobile, intesa a salvaguardare la famiglia patriarcale e la moralità tradizionale (...) sull’orlo dell’abisso chiamato mondo. È la donna eterna, sospesa tra cielo e terra, investita del potere spaventoso di poter tutto perdere o tutto salvare» (Marie Thérèse Van Lunen-Chenu, in​​ Concìlium​​ [1976-12] 169s);

— l’apparire di una «teologia della donna» o «teologia della femminilità» (genitivo oggettivo) lanciata durante l’anno mariano del 1954: essa rientra nel fenomeno generale delle «teologie del genitivo» come sono quelle delle realtà terrene (Thils), del laicato (Congar), del lavoro (Chenu); sacralizza la donna in quanto ne definisce la «natura» con un carattere costante e assoluto (i ruoli materni e familiari) e ne esalta la «vocazione» specifica nel piano salvifico (arbitra della salvezza del mondo o della sua perdizione);

— la nascita nelle Chiese euroamericane di movimenti delle donne che, tra l’altro, sollevano con virulenza il problema del loro accesso al ministero ordinato.

 

2.2. Un nuovo posto delle donne nella Chiesa

Un secondo periodo è costituito dall’evento conciliare: alcuni pastori si rendono conto che l’altra metà della Chiesa non può essere assente dall’assise ecumenica. Donne cristiane vengono invitate come ospiti e prendono la parola come «soggetti nella Chiesa» entro e fuori dell’aula conciliare. Scompare il nome collettivo e astratto «la donna» (al singolare) e compare quello di un plurale personalizzato: «noi donne nella Chiesa». Nasce un movimento che chiede «un nuovo posto delle donne nella Chiesa». Secondo alcuni tale movimento segnerebbe propriamente l’inizio di un femminismo nella Chiesa.

Il Concilio offre alcune risposte generali a tale richiesta:

— le dichiarazioni attinenti​​ l’uguaglianza fondamentale​​ e la​​ fraternità cristiana​​ fra tutti i membri del popolo di Dio, ivi comprese le donne​​ (LG​​ 32);

— l’insegnamento circa​​ l’apostolato dei laici​​ che interessa direttamente sia gii uomini che le donne: «Sebbene quanto fu detto del Popolo di Dio sia ugualmente diretto ai laici, ai religiosi e al clero, ai laici tuttavia, sia uomini che donne, per la loro condizione e missione, appartengono in particolare alcune cose...»​​ (LG​​ 30);

— la dichiarata volontà di promuovere una​​ più ampia partecipazione delle donne​​ ai vari campi dell’apostolato laicale (comunità ecclesiali, famiglia, giovani, ambiente sociale, ordine nazionale e internazionale): «Siccome poi ai nostri giorni le donne prendono parte sempre più attiva in tutta la vita sociale, è di grande importanza una loro più larga partecipazione anche nei vari campi dell’apostolato della Chiesa»​​ (AA​​ 9b);

— il riconoscere che, in forza del proprio carisma, gli​​ Istituti religiosi femminili​​ hanno la capacità originaria di formulare un diritto proprio, hanno una propria responsabilità nella missione della Chiesa e un proprio spazio d’azione autonomamente scelto e assunto nella comunione ecclesiale​​ (LG​​ 43-46; PC 2-4.10.20).

 

2.3. Una Chiesa rinnovata in cui uomini e donne siano membri a pieno titolo

Il periodo postconciliare che va dal 1965 al 1980 è caratterizzato da alcuni fenomeni maggiori che presentano aspetti positivi e insieme carenti, secondo la loro maggiore o minore fedeltà al messaggio evangelico e conciliare. Vi è una​​ crescente partecipazione di donne cristiane nei vari settori dell’apostolato laicale​​ in rispondenza alle situazioni locali, e un progressivo riconoscimento dei loro servizi, considerati ormai nella prospettiva biblica dei «ministeri non ordinati»: educazione cristiana, catechesi, insegnamento della religione nelle scuole, animazione liturgica, formazione degli adulti, aiuto sociale, animazione pastorale, attività caritativa e assistenziale, iniziative ecumeniche, cooperazione missionaria,​​ leadership​​ in movimenti ecclesiali tradizionali e nuovi...

Questo fenomeno però è dovuto, in parte, alla necessità di​​ supplire la penuria del clero​​ ed è accompagnato da non poche​​ perplessità, restrizioni​​ e​​ resistenze​​ da parte di pastori e fedeli, ed anche di importanti settori femminili, a motivo di pregiudizi antifemministi e di paura di perdere situazioni di privilegio tanto per gli uomini che per le donne, le quali preferiscono continuare a svolgere​​ ruoli ecclesiali subordinati​​ e a​​ fare opera di supplenza.

Vi è un​​ notevolissimo contributo delle religiose​​ alla vita e attività delle comunità parrocchiali e infraparrocchiali fino all’affidamento ad esse di intere parrocchie (in cui esercitano tutti i ministeri ad esclusione di quelli ordinati), di particolari responsabilità (ad es. di vicaria episcopale)...

Date le​​ difficoltà teologiche​​ attinenti la​​ partecipazione​​ di fedeli non ordinati​​ alla giurisdizione​​ ecclesiale, anche questo fenomeno spesso non è accompagnato da un adeguato riconoscimento, giuridico ed effettivo, delle responsabilità e dei connessi diritti delle religiose, che restano per lo più sotto la​​ tutela del clero.

Si verifica l’immissione di donne e religiose nella curia romana (fino allora escluse) e una più ampia e qualificata​​ presenza​​ di donne e religiose​​ in organismi ecclesiali: consigli pastorali ai vari livelli, comitati e commissioni di studio e di animazione, organismi pastorali con compiti esecutivi amministrativi e a volte rivestiti di notevole reponsabilità... Tuttavia questo fenomeno​​ non cambia sostanzialmente il predominio degli uomini​​ in tali strutture: la precedente situazione poco favorevole a una qualificazione superiore delle donne e delle religiose nelle scienze ecclesiastiche rende difficile una loro partecipazione attiva in ruoli di grande responsabilità: sovente anzi le fa apparire silenziose «ostaggi» di una Chiesa di uomini.

Viene offerta alle cristiane la​​ possibilità di accedere a superiori studi nelle scienze teologiche​​ (fino allora ad esse preclusi); vi è una progressiva comparsa di cristiane competenti in scienze bibliche, storiche, teologiche, giuridiche, teologico-pastorali, liturgiche, in teologia spirituale; emerge una «teologia femminista» di cui tosto si parlerà; sorgono o si consolidano centri di studi a livello universitario, gestiti da donne o da religiose; avviene un progressivo inserimento di donne e religiose nel corpo docente di università cattoliche ed ecclesiastiche.

Tale fenomeno però si presenta piuttosto​​ limitato​​ e accompagnato, per le donne, da non pochi​​ ostacoli​​ dovuti, tra l’altro, alla loro svantaggiata situazione di partenza e alla difficoltà di cambiare affermate posizioni maschili di dominio.

Da parte dell’autorità ecclesiastica si ripetono interventi significativi volti alla «promozione» della donna. Il​​ Sinodo del 1971​​ dichiara: «vogliamo che le donne abbiano la propria parte di responsabilità e di partecipazione nella vita comunitaria (...) della Chiesa»​​ (De iustitia in mundo​​ cap. 5). Il​​ Sinodo del 1974​​ da una parte riconosce l’apporto imprescindibile delle donne all’opera di evangelizzazione e, dall’altra, costata che «nonostante l’importanza che il nostro tempo attribuisce alla promozione sociale della donna, il suo posto nella Chiesa è ancora da trovare e da definire».

La​​ Commissione pontificia di studio sulla donna nella Chiesa e nella società,​​ istituita in vista dell’anno internazionale della donna (1975), presenta al Sinodo del ’74 alcune «raccomandazioni» indirizzate alla Santa Sede, alle conferenze episcopali, alle congregazioni religiose, alle associazioni internazionali, alle università cattoliche. Si chiede fra l’altro di favorire e sviluppare «la partecipazione delle donne all’opera di evangelizzazione in posti di responsabilità effettiva e riconosciuta»; d’intraprendere «un’azione educatrice a tutti i livelli della vita ecclesiale in vista del cambiamento di mentalità che favorisca migliori rapporti di collaborazione tra uomini e donne sul presupposto di una fondamentale parità e secondo la vocazione di ciascuno, nell’opera di evangelizzazione e ai vari livelli di responsabilità pastorale nella Chiesa»; inoltre di compiere «uno sforzo particolare per garantire che la formazione del prete» sia adeguata a raggiungere tali mete.

La​​ Marialis cultus​​ (1974) di Paolo VI propone una serena ma puntuale critica a un’idealizzazione della Madonna come «vergine e madre», funzionale a una cultura che subordina la donna all’uomo; e afferma con vigore una prospettiva antropologica in cui Maria viene pienamente valorizzata come «donna» forte, «modello compiuto di discepolo del Signore» [cf ,4,45 61 (1974) 148s]. Il​​ Sinodo 85​​ richiede ai «pastori di accettare e promuovere con gratitudine la collaborazione delle donne nell’attività ecclesiale» (Documento sinodale C 6).

I documenti di Giovanni Paolo II​​ Mulieris dignitatem​​ (1988) e​​ Christifideles Laici​​ (1989) dedicano particolare attenzione alla questione femminile e insieme maschile: evidenziano i fondamenti antropologici e teologici dell’identità delle donne come degli uomini, la loro compresenza e collaborazione, differenziata nell’adempiere la missione nella Chiesa e nella società.

Attorno agli anni ’70, cresce la consapevolezza, specialmente nei movimenti ecclesiali femministi euroamericani, che le varie iniziative intraprese per garantire un nuovo posto alle donne nella Chiesa rimangono di tipo «promozionale» e semplicemente «riformiste»: nel favorire la partecipazione di un crescente numero di donne all’«apostolato» le si gratifica personalmente, ma si disattende una loro effettiva «liberazione» nella Chiesa. In effetti, tali iniziative promozionali non mutano sostanzialmente strutture ecclesiastiche, di per sé riformabili, plasmate e dominate dagli uomini, ma piuttosto le consolidano. In reazione a questa situazione si fa strada un cristianesimo femminista, che solleva ormai l’interrogativo: «quale Chiesa vogliamo?».

Tale cristianesimo critico è ben presto raggiunto e superato da un femminismo «radicale» (prima fase) che punta non già alla «promozione» delle donne quanto piuttosto alla loro «liberazione» nella Chiesa. Esso evidenzia e denuncia, coi più svariati toni fino all’insolenza provocatrice, il «maschilismo» della Chiesa, cioè un modo di concepire l’umanità (nel linguaggio, nella mentalità o nell’ideologia) che pone al centro il maschio, il che legittima le strutture ecclesiastiche «patriarcali»; di più, esso denuncia il «sessismo della Chiesa» (quella cattolica per prima), il suo «razzismo» e «colonialismo» intesi come componenti strutturali di un sistema sociale di dominio e di sfruttamento.

Nella cornice di tale femminismo, ma in posizione critica nei suoi confronti, si afferma un abbastanza ampio movimento d’opinione (femminismo cristiano moderato) che si propone come obiettivo non semplicemente quello limitato, espresso dallo slogan «il nostro posto nella Chiesa», ma quello globale condensabile in questa formula: «vogliamo una Chiesa tale in cui noi, uomini e donne e tutti gli altri esclusi, trovino significato e, di conseguenza, posto».

 

2.4. Configurarsi della teologia femminista

Il periodo postconciliare in esame vede la nascita di una «teologia femminista». Si passa da una teologia​​ sulla o della​​ donna in cui questa è «oggetto» di studio, a una teologia prodotta da donne in cui queste diventano «soggetti» che, a partire dalla propria esperienza di fede, elaborano una propria riflessione teologica, la quale presenta tre caratteristiche essenziali.

Anzitutto è una teologia critica che intende demolire la precedente teologia della donna per la sua vistosa impostazione androcentrica, dovuta al fatto di essere elaborata da soli teologi maschi (e per giunta chierici) — che peraltro non hanno mai pensato di sviluppare una corrispondente teologia dell’uomo o della maschilità! — e inoltre al suo acritico ricorso a schemi mentali e a simboli tipici della cultura patriarcale.

In secondo luogo vuole recepire le istanze complessive del neofemminismo socioculturale, cercando di rispondervi con una teologia «contestualizzata», elaborata cioè a partire dal vissuto femminile. Una teologia, quindi, non tanto sistematica quanto piuttosto per frammenti, una teologia non tanto accademica che argomenta a partire da concetti astratti, ma piuttosto narrativa che parte dal racconto partecipato e condiviso di esperienze per arrivare alla formulazione dell’esperienza religiosa, una teologia più della​​ quaestio​​ che non della​​ lectio,​​ una teologia del «processo» perché in piena evoluzione.

Infine si divarica secondo le diversificazioni del femminismo scelto, per cui ci si trova in presenza di una teologia femminista, che è una nella matrice e nell’obiettivo, e diversificata nelle vie e forme per raggiungerlo. Per quanto concerne la​​ matrice,​​ si parla di «sororità»: è l’essere insieme delle donne, inteso non solo come rapporto amicale piccoloborghese, ma specialmente come impegno in una comune militanza, spesso battagliera, in vista della liberazione della donna nella Chiesa. Questa sororità nasce dalla dura esperienza storica di sofferenze e oppressioni psicofisiche, d’infantilizzazione femminile e di invisibilità delle donne nelle strutture ecclesiastiche, causate dal maschilismo imperante nelle Chiese e nella società. In​​ sede teorica,​​ tale sororità è la molla per l’elaborazione di un sapere teologico contrapposto a una teologia bianca, maschile, patriarcale che è stata alla base della tradizione cristiana e presentata come unica legittima. Gli slogan «God she is black!» e «Pregate Dio, Ella vi esaudirà!» esprimono in modo provocatorio la critica radicale di questa teologia alla pretesa universalità di certa teologia androcentrica che, proiettando inconsapevolmente in Dio l’immagine del sesso egemone, lo fa garante di una società e di una Chiesa sessiste. In​​ sede pratica,​​ tale sororità è il catalizzatore per una Chiesa in cui le figlie di Dio non si sentano più a disagio, ma uguali per dignità e responsabilità, pur nella diversità: non più subordinazione discriminante, non più semplice presenza funzionale, ma reale reciprocità. Lo slogan provocatorio è: «Dio non ha solo figli maschi!».

Per quanto riguarda l’obiettivo,​​ si parla di «uguaglianza nella diversità» compresa nel senso appena indicato. Per il suo raggiungimento, si prevede un intervento almeno in queste aree privilegiate:

— reinterpretare la Bibbia per liberarne il messaggio dalle culture patriarcali del tempo;

— rivisitare la Tradizione tanto patristica che scolastica per decodificarla dai suoi pesanti condizionamenti androcentrici e per riconcettualizzarla in rispondenza al messaggio evangelico rivisitato;

— tentare una rilettura al femminile della storia della salvezza in generale e del cristianesimo in particolare;

— riformulare i temi centrali della rivelazione in prospettiva femminista.

A proposito delle​​ vie o forme seguite,​​ tre meritano di essere qui recensite:

Una​​ corrente radicale​​ che postula il ritorno acritico alla pagana «religione della dea», la sola capace di fare superare alle donne gli inveterati complessi di inferiorità e di valorizzarne la ritrovata bellezza e forza e il recuperato potere. Tale corrente è rifiutata categoricamente dalle altre teologie femministe cristiane, perché cade nell’eccesso opposto al maschilismo che si vuole superare.

Una​​ corrente​​ pur essa​​ radicale​​ che oltrepassa il messaggio rivelato nel senso di non trarre più nessuna sicurezza dalla Bibbia (ancorché interpretata in modo non sessista), dalla storia e dalle strutture ecclesiastiche, e cerca ormai nelle possibilità del futuro e in una fede che nessuna creatura può togliere le nuove vie per esperire e descrivere la trascendenza e per realizzare la propria femminilità anche religiosa. Anche a prescindere dagli eccessi femministi nell’interpretazione della Bibbia e dalle intemperanze nell’affrontare questioni di teologia sistematica (linguaggio femminile su Dio, interpretazioni femministe in cristologia), il discorso di quest’ala radicale è ancora religioso, ma non più cristiano.

Una​​ corrente moderata,​​ che è anche la più diffusa e promettente e che annovera tra le sue file nomi conosciuti: in USA Rosemary Radford Ruether, Letty Russel ed Elisabeth Schussler Fiorenza; in Europa Elisabeth Moltmann-Wendel, Catharina Halkes e Marie Thérèse van Lunen Chenu, Cettina Militello. Ecco alcuni orientamenti generali riguardanti temi teologici centrali.

Si cerca di superare le espressioni maschili solitamente usate nel​​ linguaggio umano su Dio​​ [si parla di «morte di Dio Padre» come «distruzione dell’immagine alienata dell’egoismo maschile in cielo, che santifica tutti i rapporti di dominio» maschile in terra (Ruether)]. In tale intento si seguono due strade:

— si sottolinea come numerosi termini ebraici usati per designare Dio sono femminili — shekinah (dimora), torah (legge), hochmach (sapienza), ruach (spirito), dabar (parola-azione) — e si conclude a possibili e già bibliche «personificazioni femminili di Dio»;

— si valorizzano immagini scritturistiche tratte dall’esperienza femminile (tenerezza, pazienza, grembo e cura materna, partoriente, levatrice, padrona) che mettono in risalto gli «aspetti femminili» di Dio.

In sede di​​ pneumatologia,​​ si evidenzia che, all’interno della Trinità, lo Spirito Santo sarebbe la manifestazione femminile di Dio, in quanto ne manifesta l’agilità operativa, l’amore oblativo, come è stato intuito ad es. dalla tradizione orientale (P. Evdokimov) e si ritrova nel pensiero di vari mistici. La​​ critica di fondo​​ mossa a quest’impostazione del discorso su Dio e lo Spirito è quella di riprodurre sul versante femminista un’esagerazione avvenuta su quello maschilista, passando dalla prevaricazione maschile alla banalizzazione femminile dell’immagine di Dio che è il Tutt’Altro, pur essendo alla sorgente della persona umana, maschile e femminile, come tenta di spiegare l’attuale teologia simbolica o sapienziale (ad es. L. Boff e S. Dianich) reperibile nella stessa​​ Mulìeris dignitatem.​​ Per quanto riguarda la​​ cristologia​​ e la​​ soteriologia,​​ si contesta l’implicito fondamentalismo biblico che fonda l’a priori della «sessuologia teologica» presente nella riflessione classica, secondo cui la mascolinità di Gesù è portatrice di significati e valori salvifici e non un semplice dato di fatto. Si sottolinea che Cristo è il volto di Dio rivolto a noi e il salvatore del mondo non tanto come maschio​​ (anér),​​ ma come uomo​​ (anthropos).​​ Si evidenzia inoltre come nel suo comportamento Gesù abbia espresso in modo esemplare la sua maschilità rompendo con mentalità e atteggiamenti patriarcali: «In questo senso — scrive la Ruether — Gesù come il Cristo, il rappresentante dell’umanità liberata e della parola liberatrice di Dio, manifesta la​​ kenosis​​ del patriarcato».

In sede​​ mariologica,​​ si critica una teologia funzionale alla dominante cultura androcentrica, che mitizza in Maria i ruoli di vergine e madre. Si evidenzia invece il valore unico del​​ ​​ personale che Ella diede al progetto divino sull’umanità.

A proposito​​ dell’ecclesiologia,​​ si pongono in luce, a livello biblico e di storia del cristianesimo,​​ eventi​​ (origine e sviluppi storici) e​​ motivazioni​​ (antropologia dei sessi, ministeri, celibato, clausura, legislazione canonica e liturgica...) che hanno prodotto il passaggio dalla libertà del vangelo a una Chiesa a struttura maschile, che presenta tuttora aspetti patologici. Inoltre si presta particolare attenzione alla possibilità, per le donne, di accedere ai ministeri ordinati.

In campo​​ antropologico​​ e​​ etico,​​ si recupera una personalizzazione della sessualità in opposizione alla sua brutalizzazione sessista, e la si comprende nella prospettiva della reciprocità tra persone, contraria sia alla doppia morale ipocrita del mondo borghese e sia alla liberazione sessuale proposta dal neofemminismo radicale.

 

2.5. Verso la reciprocità nella Chiesa e verso una teologia integrale

In corrispondenza alla seconda fase del neofemminismo, attorno agli anni ’80 ha inizio una nuova tappa caratterizzata da due orientamenti di massima.

 

2.5.1.​​ Verso la reciprocità tra cristiani e cristiane nella Chiesa

In ambito ecclesiale, ai vari livelli, tra gli uomini come tra le donne cresce la consapevolezza che la​​ questione femminile​​ non riguarda solo le donne, ma solleva una​​ questione maschile​​ che interessa direttamente gli uomini. «Ogni cambiamento nella coscienza che le donne hanno di sé stesse — dichiara l’episcopato tedesco —, tocca nello stesso tempo anche gli uomini nel loro modo di intendere sé stessi. E un errore pensare che si tratti solo dei problemi delle donne o di una loro maggiore responsabilità e collaborazione. Si tratta invece della comune corresponsabilità e collaborazione paritaria di uomini e donne nella Chiesa. Di conseguenza gli uomini, i gruppi o le associazioni maschili non devono solo riflettere su questioni, problemi e possibilità di soluzione che riguardano le donne nella Chiesa e nella società, ma debbono nel contempo riconoscere la propria situazione e i propri problemi e scoprire possibilità di soluzione che facilitino la loro realizzazione personale in un rapporto paritario con la donna» (CET​​ III 1.1). Tale prospettiva emerge ormai nell’esortazione apostolica​​ Christifideles laici​​ (p. 49-52).

In sintesi, la direzione di marcia, sempre più condivisa, è ormai quella della​​ reciprocità​​ tra uomini e donne nella Chiesa, ovvero quella della collaborazione e corresponsabilità​​ paritaria​​ tra gli uni e le altre in tutti i settori della vita e della missione ecclesiale, nel rispetto della vocazione di ciascuno.

 

2.5.2.​​ Verso una teologia integrale e corale

Parallelamente a questo cambio di coscienza ecclesiale sta verificandosi un cambio di riflessione teologica​​ integrale​​ perché sensibile a ogni aspetto del mistero cristiano, e​​ corale​​ perché coinvolge teologi e teologhe.

Da parte di un crescente numero di​​ teologi​​ sensibili alle provocazioni delle teologie femministe vi è l’impegno per una ricerca condotta in dialogo con le teologhe, che liberi il messaggio cristiano dalle sue forme culturali androcentriche e lo riesprima in forme di linguaggio e di pensiero rispettosi della riscoperta uguaglianza nella diversità tra cristiani e cristiane.

Da parte della corrente moderata di​​ teologhe femministe​​ si è consapevoli di dovere, in un corretto rapporto dialogico con i teologi, non già elaborare una teologia femminile contrapposta a quella maschile, ma piuttosto correggere le unilateralità e integrare le lacune di questa, senza cadere nell’eccesso opposto. In breve, la direzione di marcia è quella della ricerca di una «teologia integrale» o dell’integralità o della mutualità: una teologia perseguita insieme, da uomini e donne, in cui tanto l’esperienza maschile quanto l’esperienza femminile di Dio trovino il loro spazio, senza prevaricazioni dell’una sull’altra, anche nel linguaggio e nelle tematizzazioni, dato che uomo e donna sono uguali di fronte al Dio Uno-Trino di Gesù Cristo, pur nelle differenziate appercezioni del suo mistero e della sua presenza operativa nella storia.

 

2.6. Problemi emergenti

Dalla pur rapida ricognizione fatta è possibile rilevare il perdurare di situazioni più o meno diffuse che fanno problema:

— il permanere ai vari livelli di​​ mentalità​​ e​​ visioni androcentriche​​ con ampi settori femminili ad esse inconsapevolmente acquiescenti;

— il​​ volto​​ tuttora marcatamente​​ mascolino​​ delle​​ istituzioni ecclesiastiche​​ in cui vengono elaborate le decisioni più importanti per la Chiesa universale e per le Chiese particolari: tale volto è solo parzialmente attenuato dalla presenza e collaborazione femminile;

— il perdurare di una​​ legislazione canonica​​ che pur avendo riconosciuto, nel codice rinnovato, i comuni diritti e doveri dei fedeli, uomini e donne, nella Chiesa (cf card. Castillo, in​​ Salesianum​​ 3-1986; Ghirlanda, in​​ Civiltà cattolica​​ 1983-11), tuttavia continuerebbe a presentare la donna cristiana come «né chierica», «né laica» (Marie Zimmermann, in​​ Concilium​​ 6-1985);

— il fatto che nei​​ testi liturgici​​ perdurano formulazioni (collette) tipizzazioni (sante solo o vergini o non vergini), scelta di passi biblici (figure di donne, uso dell’AT e del NT) rivelativi delle mentalità androcentriche delle fonti, che ormai sono palesemente inaccettabili (Marjorie Procter Smith, in​​ Concilium​​ 6-1985);

— il fatto che i​​ contenuti​​ della​​ catechesi, della​​ liturgia,​​ dell’educazione cristiana​​ e della stessa​​ spiritualità​​ sono stati e sono tuttora definiti e approfonditi da uomini secondo categorie culturali mascoline e stereotipi femminili insostenibili, nonostante i recenti apporti delle teologhe femministe.

L’insieme di questi problemi può essere riassunto così: «Donne: invisibili nella Chiesa e nella teologia» (cf​​ Conclium​​ 6-1985), nonostante la loro massiccia presenza e collaborazione «sommersa» nella comunità cristiana. Ciò va attribuito, fra l’altro, alle questioni (in vari ambienti ecclesiali ritenute tuttora irrisolte) della reintroduzione del diaconato femminile e dell’accesso delle donne al presbiterato.

 

3. Mete da raggiungere in ambito ecclesiale

Delineata a larghi tratti la situazione di uomini e donne nella Chiesa si impone, in una visione di futuro, l’indicazione di alcune mete generali il cui raggiungimento suppone palesemente tempi lunghi.

 

3.1. Una Chiesa rinnovata​​ per un’effettiva reciprocità tra uomini e donne

Pur riconoscendo tutti i progressi fatti nel periodo postconciliare, tuttavia le dichiarazioni del Vaticano II (riprese e ribadite dai successivi sinodi e dai vari episcopati e recepite dal nuovo codice di diritto canonico) riguardanti​​ l’uguaglianza degli uomini e delle donne,​​ per quanto concerne i valori fondamentali e comuni a tutti i membri del popolo di Dio, la paritaria partecipazione all’apostolato, il diritto e il dovere di mettere a servizio della Chiesa e del mondo i carismi ricevuti dallo Spirito, resta ancora, in larga parte, una meta da raggiungere.

In effetti, il pieno ed effettivo riconoscimento di questa realtà ecclesiale da parte della totalità dei fedeli e dei pastori (sottolineo la totalità) e delle loro comunità richiede un tale cambio di mentalità negli uni come negli altri, che non può essere operato in tempi brevi. Per questo resta tuttora una meta da raggiungere che comporterà, purtroppo, tempi lunghi.

Un discorso analogo va fatto per la realizzazione, nelle comunità parrocchili, nelle Chiese locali e nella Chiesa universale, di una convivenza e collaborazione di egual valore e a pari titolo tra uomini e donne, sulla base del sacerdozio comune e dei liberi doni personali ricevuti dallo Spirito.

Come è emerso dalla recente storia in merito, occorre costruire comunità cristiane o rinnovarle in modo che, in esse, uomini e donne siano riconosciuti come membri attivi a pieno titolo e i loro rapporti siano caratterizzati dalla​​ reciprocità,​​ ossia dalla collaborazione e corresponsabilità​​ paritaria​​ in tutti i settori della vita e della missione ecclesiale, nel pieno riconoscimento della vocazione di ciascuno.

Più concretamente, occorre abbandonare inacettabili mentalità che idealizzano l’apporto delle donne nella Chiesa smobilitando gli uomini o, all’opposto lo sottovalutano o lo misconoscono per tutelare acquisite posizioni degli uomini. Occorre invece favorire l’emergere, in essa, di un’immagine rinnovata di uomini e di donne (e di religiose): quella di cristiani e cristiane adulte, pienamente corresponsabili nella vita e attività della comunità locale e universale, accettati e riconosciuti nella loro uguale dignità cristiana e valorizzati in modo paritario in ragione dei carismi e ministeri peculiari degli uni come delle altre. Faccio notare che non si tratta di un’immagine utopistica di supercristiani e supercristiane, ma di un’immagine assai concreta e reale, vicina all’esperienza quotidiana di non pochi cristiani e cristiane che si sono incamminati, con coraggio e saggezza, in tale strada aperta dal concilio, e che si sono impegnati ad accogliere l’azione dello Spirito nel qui-ora della loro storia di ogni giorno.

Il raggiungimento di questa meta generale implica la realizzazione di numerose altre, che meritano di essere rapidamente descritte.

 

3.2. Prioritaria formazione delle coscienze

Come in ambito sociale, così in quello ecclesiale la formazione delle coscienze, che sia generalizzata e abbia carattere di continuità, è il compito più importante. Non è possibile produrre il segnalato cambio nella prassi religiosa cristiana ed ecclesiale solo mediante pronunciamenti del magistero, o una rinnovata legislazione canonica e interventi autorevoli: senza dubbio, tutto questo è necessario e importante, ma insufficiente a rinnovare in profondità mentalità e prassi radicate e variamente refrattarie ai cambi ecclesiali promossi dal Vaticano II e richiesti dalla situazione descritta.

Tenuto conto dei criteri ecclesiologici evangelici e conciliari, tali cambiamenti di mentalità (da concepire in una prospettiva di​​ liberazione evangelica)​​ interessano direttamente sia gli uomini che le donne, vanno operati congiuntamente dagli uni e dalle altre e riguardano in modo speciale:

— la progressiva eliminazione di mentalità androcentriche e ginocentriche (queste ultime presenti specialmente in alcune correnti femministe);

— il superamento di inaccettabili comprensioni della collaborazione delle donne alla vita e alla missione della Chiesa e, precisamente il concepirla in termini di semplice​​ supplenza​​ per mancanza di forze apostoliche maschili, oppure di​​ presenza​​ attiva ma subordinata a una​​ leadership​​ maschile, od ancora di responsabilità​​ limitata,​​ perché sottoposta alla tutela del clero;

— la rimozione di pregiudizi e di diverse forme di diffidenza e di resistenza, rilevabili anche negli stessi ambienti femminili, nei confronti delle cristiane e delle religiose che svolgono ministeri ecclesiali, per il semplice fatto che sono donne;

— il superamento di atteggiamenti di insicurezza che caratterizzano spesso i rapporti di collaborazione tra uomini e donne responsabili, ai vari livelli, e i connessi comportamenti come sono, ad es. certe prese di distanza, carente stima e fiducia vicendevoli, pregiudizi antifemministi o antimaschilisti.

In termini positivi, occorre intraprendere un’azione educatrice a tutti i livelli della vita ecclesiale (e specialmente nei confronti delle nuove generazioni di candidati al sacerdozio, di religiosi e di religiose) diretta alla formazione di mentalità che recepiscano in profondità la novità del messaggio evangelico sulla reciprocità tra cristiani e cristiane nella Chiesa, in modo da favorire il sincero dialogo e rapporti di serena e franca collaborazione in parità tra gli uni e le altre in tutti i settori della vita e della missione della comunità cristiana, assieme al pieno riconoscimento delle vocazioni personali.

 

3.3. Sincero riconoscimento dei ministeri ecclesiali delle donne

Al di là di quanto è oggi riconosciuto dal codice rinnovato e in vista di una legislazione ecclesiastica migliorata, è possibile segnalare alcune mete a cui puntare in quest’area, facendo riferimento ai criteri ecclesiologici emersi nell’attuale seria rivisitazione del messaggio biblico e della storia del cristianesimo.

— Innanzi tutto occorre raggiungere un​​ sincero​​ e​​ generale riconoscimento,​​ nella vita vissuta e nella legislazione delle Chiese particolari,​​ dei ministeri ecclesiali oggi esercitati di fatto dalle donne​​ e​​ dalle religiose,​​ con particolare riferimento a quelli più qualificati e impegnativi come la predicazione, l’insegnamento della religione, la catechesi comunitaria, l’animazione liturgica, la formazione degli adulti e la pastorale giovanile, la ricerca e l’insegnamento universitario delle discipline teologiche.

— In secondo luogo, occorre far sì che pastori e fedeli si impegnino perché, a raggio locale e universale,​​ le donne vengano ammesse a tutti i ministeri possibili​​ da un punto di vista teologico,​​ appropriati​​ alla loro qualifica femminile (criticamente compresa e configurata) e​​ necessari​​ o utili sul piano pastorale (cf CET III 1). In questo ambito, i criteri da seguire sono quelli dell’idoneità vocazionale (ogni ministero suppone un libero dono dello Spirito), della disponibilità delle persone e delle giuste esigenze delle comunità. La distinzione di sesso suggerisce giustamente una differenziazione di tali ministeri (in larga parte da reinventare), in modo che siano espressione significativa della diversa qualifica maschile e femminile.

— In terzo luogo, è auspicabile che la​​ reintroduzione del diaconato delle donne​​ trovi una risposta positiva e un’accoglienza generosa, e sia accompagnata dalla volontà politica di garantire a tale ministero ampie possibilità di realizzazione: occorre infatti non semplicemente riesumare anacronistici modelli del passato, ma creare nuove forme, ispirandosi alle indicazioni del cristianesimo primitivo e della successiva tradizione.

 

3.4. Accesso delle donne a incarichi direttivi e a organismi decisionali

Un’altra meta generale da perseguire, superando diffidenze e resistenze, è quella di rendere effettivo l’accesso delle donne e delle religiose a lavori autonomi e responsabili, a incarichi direttivi e a organismi decisionali ai vari livelli (supposta ovviamente la loro idoneità e adeguata qualificazione). Tutto questo con un trattamento paritario rispetto agli uomini e con un potere non solo consultivo ma anche deliberativo.

Evidentemente la loro partecipazione, con voto deliberativo, a tali organismi (ivi compresi i sinodi diocesani o interdiocesani, le assemblee episcopali, la curia romana, il concilio ecumenico) avverrebbe alla pari con gli altri laici e, quindi, sulla base della loro vocazione battesimale e dei loro carismi particolari, non quindi in forza dell’Ordine sacro come avviene per i vescovi e per gli altri membri della gerarchia.

Questo discorso vale in modo particolare per le religiose, in quanto portatrici di un carisma comunitario riconosciuto dalla Chiesa e particolarmente valorizzato dal Vaticano II. Questa meta potrà forse apparire più che coraggiosa, temeraria; tuttavia essa è in linea con sicure indicazioni del cristianesimo apostolico e postapostolico e sembra sia l’unica pienamente coerente con la legge della comunione e della corresponsabilità costitutiva della Chiesa; l’unica inoltre capace di valorizzare debitamente i diritti inerenti al battesimo e alla cresima e ai personali carismi liberamente distribuiti dallo Spirito.

 

3.5. Serio confronto dei religiosi​​ e delle religiose con questa problematica

In ragione della loro peculiare collocazione nella vita e missione della Chiesa, e della loro particolare testimonianza e del loro specifico servizio a determinati settori dell’umanità, i religiosi e le religiose sono​​ interpellati,​​ in modo speciale, dall’attuale mutata situazione di uomini e donne nella società e nella comunità cristiana. Chiamati a essere credibili centri di rinnovamento cristiano ed ecclesiale, sono pure sollecitati in modo particolare a dare​​ coraggiose​​ e​​ creative risposte,​​ in fedeltà dinamica ai propri fondatori e fondatrici, ai problemi emergenti da tale situazione. Si impone loro un serio confronto con essa in rapporto alla propria condizione. Ciò richiederà necessariamente​​ cambi​​ (probabilmente assai profondi)​​ di mentalità: molti religiosi ritengono erroneamente che si tratti solamente di problemi delle donne che, in fondo, non li toccano più di tanto!; molte religiose sono dell’idea che la questione femminile non le coinvolga personalmente, essendo esse religiose!

Ciò comporterà pure​​ cambi​​ (anche qui piuttosto radicali)​​ di comportamento operativo​​ tanto all’interno dei loro istituti quanto nella loro differenziata partecipazione all’azione ecclesiale e all’opera evangelizzatrice. Anche per essi è in giuoco un illuminato​​ rinnovamento delia propria identità​​ religiosa ed apostolica.

 

3.6. Rinnovamento della catechesi, della liturgia, dell’educazione, della spiritualità e del sapere​​ teologico

Come si è notato (n. 2.6), i contenuti della catechesi, della liturgia, dell’educazione cristiana e della stessa spiritualità risentono tuttora (nonostante tutti i progressi fatti) di culture androcentriche, propongono stereotipi maschili e femminili insostenibili, sono espressi in linguaggi fondatamente criticati. Un loro rinnovamento nella linea della reciprocità tra uomini e donne nella società e nella Chiesa esige (come è facile intravedere da tutta l’esposizione fatta) un’impresa tutt’altro che semplice e facile: potrà essere portata a termine, in modo soddisfacente, solo in tempi lunghi.

Un discorso analogo va fatto per la realizzazione di una riflessione integrale e corale tra teologi e teologhe in tutti gli ambiti del sapere teologico, nel senso spiegato.

 

4. Indicazioni strategiche

Tentata un’analisi valutativa della situazione e identificate le mete a lungo termine da perseguire, restano da tracciare alcune linee di strategia da tener presenti nel cammino che conduce dall’attuale situazione al raggiungimento delle mete segnalate.

La distanza tra situazione data e mete fissate (l’una e le altre da verificare​​ in loco)​​ non è poca. Sarebbe ingenuo credere che la si possa colmare facilmente e comunque. Tale impresa esige un discorso strategico impegnativo e non facile, che sovente è disatteso, specialmente nell’azione concreta.

Ciò provoca fenomeni di fuga in avanti o, all’opposto, di resistenza al cambio: è la polarizzazione che divide oggi, anche su questa questione, non poche comunità ecclesiali. Alla radice vi è, tra l’altro, una carente riflessione realista, che premunisca dal massimalismo inconcludente e da fenomeni reazionari di restaurazione o di acquiescenza più o meno cieca allo​​ status quo.

Consapevoli dell’importanza di tale riflessione strategica, si offrono qui alcune indicazioni di massima riguardanti congiuntamente l’ambito sociale e quello ecclesiale, perché ugualmente validi per l’uno e per l’altro.

 

4.1. Gli operatori del cambio

 

4.1.1. Uomini e donne protagonisti insieme del cambio

A chi spetta operare il migliormento della situazione analizzata con il raggiungimento delle mete indicate? Solo alle donne? Anche agli uomini? In che senso o in che modo? Dall’esposto fatto, appare ormai chiara la risposta a tali interrogativi: spetta agli​​ uomini e alle donne, presi sia singolarmente e come categorie distinte formate rispettivamente dagli uni e dalle altre, sia congiuntamente gli uni assieme alle altre.

Ciò è postulato dalla realtà effettuale della situazione in cui sono coinvolti totalmente e insieme uomini e donne, cristiani e cristiane; inoltre dalla meta generale da raggiungere che è appunto l’uguaglianza nella diversità e la collaborazione in parità tra gli uni e le altre nella società e nella Chiesa; e infine dal criterio della reciprocità nella diversità.

La pratica attuazione di questo orientamento comporta, però, il superamento di altre strategie impiegate in passato e tutt’oggi, inconsapevolmente o riflessamente.

Quella che parte dal presupposto, tacito o dichiarato, secondo cui la questione riguarda solo le donne, per cui spetta soltanto ad esse risolverla. Ed invece, come si è dimostrato, la questione tocca direttamente gli uomini e, precisamente, una società e una Chiesa plasmate da loro e caratterizzate da culture androcentriche da cambiare nel senso precedentemente indicato.

Quella che parte dalla convinzione secondo cui si tratta in sostanza di una questione femminile la cui soluzione, però, esige l’intervento degli uomini, inteso come​​ promozione della donna​​ o come​​ liberazione della donna​​ dalla loro condizione di inferiorità o di discriminazione o di ingiusta dipendenza. Ed invece, come si è costatato, la questione ringuarda inseparabilmente il dominante​​ status​​ socioculturale e religioso-ecclesiale degli uomini, per cui gli​​ uomini stessi vanno da esso liberati​​ nella misura in cui è discriminante per le donne e, in tale modo,​​ loro stessi vanno promossi​​ a una migliore qualità di vita umana e cristiana, perché più rispettosa dell’uguaglianza nella diversità e della reciprocità tra uomini e donne nella società, tra cristiani e cristiane nella Chiesa.

Accertato che spetta agli uni e alle altre, come protagonisti alla pari, operare il cambio prospettato, va aggiunto che, data la loro differente situazione e qualifica, alcuni compiti sono peculiari delle donne e altri degli uomini.

 

4.1.2. Compiti specifici delle donne

Ogni sviluppo, ogni progresso umano e cristiano, per essere autentico e duraturo, deve essere il frutto dell’impegno personale. Ne consegue che è compito specifico e responsabilità indeclinabile delle donne cambiare la situazione attuale, nella misura in cui le discrimina o comunque le colloca in posizione svantaggevole; è loro compito peculiare e responsabilità non delegabile conseguire le mete della reciprocità e della pari collaborazione, sviluppando le proprie capacità e conseguendo qualifiche appropriate alle doti e disponibilità personali. L’apporto femminile in tutto questo è specifico e insostituibile. Un’opera in favore del mondo femminile condotta avanti prevalentemente dagli uomini rischia di essere, già di per sé stessa, né promozionale né liberante per le donne, perché queste verrebbero a trovarsi nella situazione di chi è beneficiato e non di chi assume in prima persona la responsabilità della propria realizzazione e la raggiunge con l’impegno personale.

La pratica attuazione dell’impegno indicato, tra l’altro, richiederà dalle donne di essere criticamente attente di fronte a pur lodevoli iniziative degli uomini, quando queste le sollevano da loro irrinunciabili compiti. Richiederà inoltre da loro di essere disponibili ad abbandonare posizioni di privilegio e coraggiose nel rinunciare ad alcune comodità del loro​​ status​​ sociale, nella misura in cui le ostacolano nell’assumere indeclinabili impegni personali e nuove responsabilità, richieste ad es. da modi più flessibili di distribuzione dei compiti nella famiglia, nella professione, nella società e nella Chiesa.

 

4.1.3. Compiti specifici degli uomini

È compito specifico degli uomini eliminare da sé stessi mentalità maschiliste, cambiare culture androcentriche, modificare sistemi sociali ed ecclesiali plasmati e dominati da loro, accogliendo e favorendo l’apporto del mondo femminile, al fine di raggiungere, nella società e nella Chiesa le mete descritte. Ciò richiederà da loro di essere intelligentemente critici nei confronti di quanto fanno per migliorare la situazione in esame, perché la loro azione non risulti, in ultima analisi, espressione aggiornata (forse inconsapevole ma non per questo accettabile) della loro predominante posizione socioculturale e religioso-ecclesiale, e un nuovo modo per consolidarla nell’atto stesso di volere risolvere la cosiddetta questione femminile.

Ciò richiederà anche da loro di rinunciare a posizioni privilegiate in ambito familiare, sociale ed ecclesiale e di assumere nuove responsabilità richieste ad es. da una più flessibile ripartizione di compiti in tali settori.

 

4.2. I referenti del cambio

Siccome la situazione esaminata e le mete prospettate riguardano tutti, uomini e donne, i referenti del cambio di tale situazione sono​​ tutti: gli uomini come le donne, di tutte le età, di tutti i ceti e a tutti i livelli di autorità; inoltre tutte le istituzioni sociali ed ecclesiali in cui tale situazione si trova di fatto strutturata.

Nei confronti degli​​ adulti​​ occorrerà fare in modo che la loro formazione continuata contempli espressamente, con modalità a loro appropriate, la problematica in esame.

Nei confronti delle​​ giovani generazioni​​ occorrerà far sì che la loro educazione iniziale sia ormai impostata tenendo conto della situazione descritta e dei traguardi a lunga scadenza individuati, e i contenuti di essa siano ormai quelli di un aggiornato umanesimo cristiano inteso nel senso spiegato.

Le istituzioni implicate nel cambio sono tanto quelle​​ civili,​​ quindi, la famiglia, la scuola, il mondo del lavoro e delle professioni, i centri culturali, le strutture economiche e politiche, quanto quelle​​ ecclesiali,​​ quindi, le diocesi, le parrocchie, le famiglie cristiane, i gruppi giovanili, le associazioni, i movimenti, le scuole cattoliche... e tutti gli organismi ecclesiali con compiti di studio, di direzione e di programmazione come sono ad es. i consigli presbiterali e pastorali ai vari livelli, le conferenze episcopali, le conferenze dei religiosi e delle religiose, le consulte per l’apostolato, i sinodi, le curie ai vari livelli, i dicasteri romani.

Essendo lo​​ status​​ degli uomini e delle donne incarnato in tali strutture sociali ed ecclesiali, sarebbe votata a sicuro fallimento ogni azione che si limitasse a raggiungere singole persone e non tali istituzioni che collegano gli individui tra loro e sovente li condizionano pesantemente.

 

4.3. Modalità di cambio

Storicamente i modi e gli atteggiamenti con cui si è tentato di risolvere la complessa problematica descritta sono stati parecchi e identificati con alcune parole chiave: rivendicazione, emancipazione, critica, lotta, contrapposizione, promozione, liberazione, reciprocità, collaborazione in parità. Alcuni di essi si sono rivelati insufficienti e sono comunque criticabili o inaccettabili; altri, invece, sono più adeguati alla situazione data e più conformi alle mete desiderate e indubbiamente da preferire.

 

4.3.1. Atteggiamenti e interventi criticabili

Tra gli atteggiamenti e interventi criticabili e, quindi, da evitare si possono annoverare i seguenti:

— Quelli ispirati dalla semplice​​ recriminazione​​ per molteplici forme discriminanti oppressive o meno rispettose della realtà femminile: anche se giustificate e spiegabili, tali recriminazioni si rivelano a lungo andare inconcludenti, quando non proprio controproducenti nella misura in cui indispongono anche coloro che vorrebbero o potrebbero offrire un aiuto.

— Quelli animati dalla sola​​ rivendicazione dei propri diritti: anche se in alcuni paesi si impone tuttora l’emancipazione delle donne nel senso storico del termine, ciò tuttavia non può essere perseguito come obiettivo a sé stante, perché è inadeguato come la storia secolare del femminismo ha ampiamente dimostrato.

— Quelli improntati a​​ critica demolitrice​​ o a​​ contrapposizione​​ spietata o a​​ lotta continua​​ nella linea di certo femminismo socioculturale del passato e del recente neofemminismo radicale o prima fase: se, per alcuni versi, tali atteggiamenti hanno scosso l’opinione pubblica e ne hanno richiamato l’attenzione sul problema, per altri versi, si sono dimostrati non soltanto insufficienti, ma controproducenti in quanto hanno provocato opposti atteggiamenti di irrigidimento nei confronti di un auspicabile cambio o di paura e di difesa (atteggiamenti questi riscontrabili ad es. nel femminismo cristiano dell’inizio del secolo e del periodo del postconcilio).

— Quelli puramente​​ tattici​​ diretti a fare raggiungere alle donne alcuni traguardi con il ricorso a espedienti più o meno furbeschi, tipici del mondo dei subalterni: un’adeguata soluzione della problematica in esame implica, come s’è visto, profondi cambi di mentalità, che non possono essere operati con sole mosse tattiche, per altro utili e consigliabili per far fronte a situazioni di pesante svantaggio o piuttosto gravi e diversamente non rimediabili.

 

4.3.2. Atteggiamenti e interventi preferibili

Tra gli atteggiamenti e interventi più adeguati e, quindi, preferibili meritano di essere espressamente ricordati i seguenti:

— Quelli che sono diretti a​​ fare maturare le coscienze,​​ illuminandole sulla situazione e invogliandole a orientare la propria azione verso le mete di una più degna qualità di vita per gli uomini come per le donne: quindi, accogliere realisticamente le persone così come sono al fine di aiutarle, con la necessaria pazienza e la dovuta costanza, a divenire come dovrebbero essere; valutare dovutamente quanto di positivo è rilevabile nella realtà sociale ed ecclesiale; condurre una critica serena, intelligente e motivata nei confronti di situazioni e istituzioni debitamente analizzate e valutate, al fine di migliorarle; illuminare convenientemente sulle mete da raggiungere e sulle strategie da seguire: cambiamenti non profondamente radicati nelle coscienze rischierebbero di essere superficiali, temporanei e non certo promettenti.

— Quelli che sono ispirati da​​ senso di concretezza​​ e cioè dall’aderenza alle situazioni delle persone e degli ambienti: tale concretezza deve guidare nella diagnosi della congiuntura locale attinente la questione maschile e femminile, nella definizione degli obiettivi a breve e a lungo termine, nella determinazione dell’intera strategia, prestando particolare attenzione alle ragioni dei risultati ottenuti e alle cause degli eventuali insuccessi subiti.

— Quelli che sono suggeriti dal principio della​​ gradualità:​​ non è pensabile di potere realisticamente cambiare l’attuale situazione in tempi brevi e in modo generalizzato. Occorrerà allora seguire la​​ pedagogia divina:​​ essa prevede inizi semplici e modesti, ma capaci, per dinamica interna, di imporsi progressivamente. Si pensi, nell’AT, a Noè, ai patriarchi e ai profeti, allo stesso popolo d’Israele, piccolo rispetto ad altri popoli; si pensi, nel NT, all’opera del Signore Gesù e alle origini della Chiesa; si pensi, nella storia del cristianesimo, ai fondatori e alle fondatrici di innumerevoli istituzioni ecclesiali. Tradotta in termini sociologici, tale pedagogia divina consiste essenzialmente nel puntare in maniera prioritaria sulla sensibilizzazione e formazione di​​ leaders,​​ che siano come il lievito nella massa. Ci si dovrà premunire, di conseguenza, da tentazioni massimaliste (volere raggiungere, con facilità e in tempi brevi, risultati spettacolari) e da atteggiamenti rinunciatari di disimpegno o di sfiducia per eventuali e immancabili difficoltà, remore, o per la modestia dei risultati ottenuti.

— Quelli che sono animati da​​ costanza nella duttilità: la costanza, perché il cammino da percorrere è lungo e non facile, anzi irto di difficoltà. La duttilità, perché le situazioni evolvono a volte rapidamente, perché bisogna sapere cogliere nuove possibilità e opportunità e superare ostacoli imprevisti o nuove forme di emarginazione e oppressione. L’intera operazione di rinnovamento sociale culturale ed ecclesiale nella direzione segnalata esige creatività pastorale e fantasia d’azione.

— Quelli che sono ispirati da​​ critica e illuminata volontà​​ di compiere opera​​ promozionale e liberante​​ per le donne come per gli uomini, nei sensi accettabili spiegati, e che pongono in opera concretamente tentativi di​​ serena e franca collaborazione paritaria​​ tra gli uni e le altre in sintonia con le mete da raggiungere.

 

4.3.3. Punti nevralgici

L’azione ecclesiale e pastorale deve prendere in particolare considerazione alcuni punti nevralgici, dai quali dipende in massima parte il buon esito di ogni iniziativa. Mi paiono rilevanti i seguenti.

 

1.​​ La sensibilizzazione in famiglia, nella scuola e nell’ambiente di lavoro.​​ Per essere migliorata, l’attuale situazione variamente discriminante o svantaggiosa per il mondo femminile abbisogna di un nuovo tipo di educazione. Occorre allora iniziare col rivedere l’intervento educativo solitamente impartito in famiglia e nella scuola. Vanno cambiati tutti i rapporti educativi che, a partire dalla prima infanzia su su fino alla fanciullezza e all’adolescenza tendono a creare nelle bambine, nelle fanciulle e nelle adolescenti sensibilità, atteggiamenti e comportamenti variamente subordinati nei confronti dei bambini, dei ragazzi e degli adolescenti e, viceversa, a radicare in questi ultimi, mentalità, atteggiamenti e comportamenti dominanti rispetto al mondo femminile. Il discorso educativo deve tendere, invece, a sviluppare le capacità di tutti indistintamente dei ragazzi come delle ragazze, e a usare un trattamento paritario delle differenziazioni sessuali; deve inoltre tendere a far assumere atteggiamenti e comportamenti di vicendevole rispetto e stima e di mutua collaborazione alla pari, fra gli uni e le altre. Solo a questa condizione è realistico sperare la progressiva eliminazione di attuali situazioni discriminanti per le donne, dovute in larghissima parte a sistemi educativi segnati da culture mascoline.

 

2.​​ La testimonianza personale.​​ Vanno sottolineate l’importanza unica e l’efficacia sicura del contatto personale e della coscientizzazione spontanea e contagiosa inerente alla testimonianza globale della propria vita. Ciò si manifesta, in particolare, nella capacità di ascolto assieme al saper prendere la parola superando atteggiamenti prevalentemente recettivi (cosi frequenti nelle donne e anch’essi espressione della loro condizione subordinata), senza tuttavia sconfinare in at-

teggiamenti emotivi o puramente reattivi; nel sapere valutare realisticamente persone, situazioni e avvenimenti nei loro risvolti positivi e negativi; nel sapere prospettare con coraggio e saggezza possibili traguardi per cui vale la pena impegnarsi; soprattutto nell’improntare il proprio modo di fare e di dire alla rinnovata consapevolezza dei valori in giuoco: l’uguaglianza nella diversità, la collaborazione e la responsabilità alla pari tra uomini e donne, tra cristiani e cristiane.

 

3.​​ La vita dei gruppi, dei movimenti, delle associazioni, delle comunità ecclesiali di base.​​ La storia recente ha mostrato all’evidenza il ruolo rilevante esercitato da tali istituzioni nella soluzione di problemi educativi, assistenziali, sociali, culturali e religiosi del mondo femminile: la cosiddetta «pastorale delle donne».

Le associazioni femminili cattoliche hanno espresso figure note o meno note di donne e di cristiane, che hanno saputo assumere e svolgere con esiti positivi ruoli non unicamente subordinati ma dirigenziali e di notevole responsabilità; inoltre hanno contribuito in maniera essenziale a far sì che le cristiane prestassero un valido servizio nella società e nella Chiesa a partire dalla loro fede. Occorre progredire in tale direzione confrontandosi criticamente e costruttivamente con l’attuale mutata situazione e puntare a fare in modo che le cristiane sfruttino appieno le nuove possibilità derivanti dalla mutata congiuntura, oggi per loro più favorevole rispetto a un recente passato.

Le forme associative cristiane e cattoliche che annoverano tra i loro appartenenti sia gli uomini che le donne possono offrire un contributo esemplare nel realizzare rapporti paritari tra uomini e donne, se affrontano i comuni problemi e interessi, più volte ricordati, e promuovono la collaborazione piena e a pari titolo tra gli uni e le altre, ad es. anche negli organismi di presidenza.

 

4.​​ Gli organismi ecclesiali permanenti o periodici.​​ I consigli pastorali ai vari livelli, le consulte, e innumerevoli altre forme ecclesiali di incontro (riunioni, convegni, congressi...) sono luoghi importanti al fine della sensibilizzazione e dell’elaborazione di orientamenti e di direttive per l’azione pastorale della comunità cristiana. Dovrebbe essere ormai cosa normale e acquisita che donne cristiane e religiose vi partecipino con la possibilità di prendervi la parola in maniera qualificata e di svolgervi incarichi direttivi. In ogni caso occore muoversi in tale direzione, con iniziative ormai collaudate che coinvolgano sia separatamente solo donne o solo uomini, sia congiuntamente cristiani e cristiane.

 

5.​​ Gli strumenti della comunicazione sociale.​​ Una vasta letteratura e non poche inchieste sociologiche hanno messo in luce, assieme a innegabili apporti positivi, anche palesi influssi negativi di tali strumenti creativi di una cultura di massa.

Essi continuano, in larga parte, a trasmettere e a consolidare stereotipi maschili e femminili assolutamente inaccettabili, perché lesivi della dignità dell’essere umano; a perpetuare culture marcatamente androcentriche del passato e tuttora vigenti; a spingere verso molteplici criticabili forme di mimetismo e assimilazione dei sessi.

D’altro lato si mostrano, almeno in parte, sensibili alle nuove esigenze di una società e di una Chiesa incamminate verso la recezione dei valori della parità nella diversità e della reciprocità tra i sessi.

Atteso l’influsso indiscutibile di tale cultura di massa, non occorre spendere molte parole per sottolineare l’urgenza di un’educazione critica dei recettori nell’uso di tali strumenti e, inoltre, di un intelligente e costante ricorso ad essi per trasmettere i valori ricordati, per offrire simboli maschili e femminili rispettosi della dignità degli uomini come delle donne, per prospettare forme culturali caratterizzate dalla mutualità in parità tra gli uni e le altre.

 

4.4. Obiettivi a medio termine

In una riflessione di tipo generale e a raggio internazionale come quella fin qui prodotta, non è possibile definire obiettivi a breve termine (un impegno questo da attuare sul posto, a livello infraparrocchiale, parrocchiale e diocesano).

È invece possibile delimitare alcuni obiettivi maggiori a medio termine, che sono d’interesse generale. Sono in sostanza quelli suggeriti dalla commissione pontificia per l’anno internazionale della donna: a distanza di quindici anni restano tuttora attuali e bisognosi di più vasta e incisiva attuazione.

 

4.4.1. L ’ambito sociale

In​​ ambito sociale,​​ l’intervento pastorale dovrebbe continuare a perseguire i seguenti obiettivi:

— sostenere in modo appropriato le opportune iniziative prese dai governi o da organismi nazionali per l’attuazione degli orientamenti e delle direttive positive man mano emanate dall’ONU sulla questione attinente i rapporti tra uomini e donne nella famiglia, nella società, nella cultura, nell’economia, nella politica, nell’impegno per la pace e per la tutela dell’ambiente;

— favorire, nella misura del possibile, una partecipazione cristiana competente e ben preparata nei vari organismi nazionali e regionali (comitati, commissioni, consulte, delegazioni a congressi...) con incarichi di studio, di animazione e di orientamento sulla tematica in esame;

— sostenere gli sforzi compiuti per trasformare il diritto civile secondo il pensiero cristiano per quanto riguarda, in particolare, la condizione femminile: per es. diritto familiare, diritto al lavoro, diritto alla cultura, lotta contro l’aborto, la violenza, la prostituzione...

 

4.4.2.​​ L’ambito ecclesiale

In​​ ambito intraecclesiale,​​ l’intervento pastorale dovrebbe continuare a perseguire specialmente i seguenti obiettivi a medio termine:

— promuovere un’azione educatrice autenticamente umana e cristiana, che favorisca schietti e sereni rapporti di collaborazione paritaria tra uomini e donne nell’opera evangelizzatrice e a livello di effettive responsabilità ecclesiali;

— assicurare ai membri del clero una formazione che li abiliti a ben comprendere le diverse vocazioni cristiane delle donne e ad assumere con esse una franca collaborazione nei vari settori dell’apostolato;

— garantire alle donne una solida e appropriata educazione alla fede (formazione spirituale, dottrinale e pastorale) che consenta loro di partecipare secondo le proprie capacità, a pari titolo e con uguale valore rispetto agli uomini, all’opera di evangelizzazione;

— svolgere opera positiva perché un crescente numero di cristiane possano occupare posizioni di rilievo in tutti i settori ecclesiali. Quindi, la progressiva e allargata partecipazione di donne competenti in posti di responsabilità riconosciuta in seno agli organismi delle conferenze episcopali, alle curie diocesane. Tale «opera positiva» va attuata non per via di semplici agevolazioni o di intelligenti accorgimenti (che non vanno sottovalutati), ma favorendo la qualificazione delle persone capaci e disponibili. Un cambio profondo di mentalità e, quindi, della situazione generale e locale, non può avvenire automaticamente con la semplice aumentata presenza numerica di donne in detti organismi maggiormente influenti nei vari settori della vita ecclesiale. Lo si può, invece, ragionevolmente attendere solo da una aumentata presenza in essi di cristiane e religiose qualificate, capaci cioè di essere operatrici di rinnovamento;

— favorire con adeguate misure: l’apporto originale di donne cristiane negli studi religiosi superiori; l’elaborazione di un’antropologia cristiana della donna fatta da filosofe e teologhe; la formulazione dei contenuti della catechesi riguardanti la donna, fatta da catechete; una partecipazione ampliata e qualificata di cristiane e di religiose nell’intera programmazione pastorale, ai diversi livelli, in vista di una riflessione e azione pastorale sia comune agli uomini, sia specifica delle donne: a questo proposito sarebbe auspicabile che i diversi piani pastorali diocesani regionali nazionali prevedessero un discorso specifico sull’argomento in esame; l’elaborazione di una spiritualità cristiana attenta ai valori propri della donna, e l’elaborazione di spiritualità specifica di sante di ordini e congregazioni femminili, compiuta secondo i più aggiornati e accreditati modelli storiografici.

 

Bibliografia

1.​​ Bollettini bibliografici:

The woman in the Church. La femme dans l’Eglise.​​ Bibliographie internationale 1975-1982 - 1982-1984 (Ceràie Strasburg 198) 100 p + 100 p.

2.​​ Documenti ecclesiali:

Concilio Vaticano II,​​ LG​​ cap. II e IV;​​ AA​​ per intero;​​ GS​​ per intero; Giovanni Paolo II,​​ Familiaris consortio​​ 22-25,​​ Mulieris dignitatem, Christifideles laici​​ 49-52; III Conferencia General del Episcopado Latinoamericano,​​ Documenti di Puebla​​ 126, 317, 419, 443, 834-836, 839-849, 1134, 1174, 1219; Conferenza Episcopale Tedesca,​​ Dichiarazione sulla «condizione della donna nella Chiesa e nella società»​​ del 21.09.81, in​​ Regno Documenti​​ 1-82, 37-44; Conferenza Episcopale Statunitense,​​ Socie nel mistero della redenzione​​ (di prossima pubblicazione).

3.​​ Monografie recenti:

Quelle indicate alla voce​​ Donna-Uomo​​ (nella società). Inoltre: Aubert J.-M.,​​ La donna: antifemminismo e cristianesimo;​​ Aa.Vv.,​​ Le donne nella Chiesa,​​ in​​ Concilium​​ (1-1976); Pontificio Consiglio per i Laici,​​ La Chiesa e l’anno internazionale della donna​​ (Città del Vaticano 1977); Hunt M. - Gibellini R. (a cura),​​ La sfida del femminismo alla teologia​​ (Queriniana, Brescia 1980); Aa.Vv.,​​ Le donne in una Chiesa maschile?,​​ in​​ Concilium​​ (4-1980); Centro Italiano Femminile (a cura),​​ Verso una società con la donna​​ (UECI, Roma 1981); Aa.Vv.,​​ Donne: invisibili nella teologia e nella Chiesa,​​ in​​ Concilium​​ (6-1985); Garruli Bellenzier M. T. - Morra S. - Di Nicola G. P. - Vanzan P.,​​ La donna nella Chiesa e nella società​​ (Ave, Roma 1986).

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DONNA-UOMO – nella Chiesa

DONNA-UOMO – nella società

DONNA-UOMO (nella società)

Enrica Rosanna

 

1. «Excursus» sulla storia della donna

1.1. Le teorie

1.2. Le conferenze internazionali di Città del Messico, Copenaghen, Nairobi

1.3. I movimenti

2. Aspirazioni e proposte maturate in ambito femminile

2.1. La presa di coscienza

2.2. La ricerca di una nuova identità femminile

2.3. La partecipazione alla costruzione delta storia

3. Conclusione

 

Una delle problematiche che si è imposta attualmente, sia a livello di prassi socio-politica sia a livello di riflessione scientifica, è quella riguardante la donna. Tale problematica, non sconosciuta in passato, anche se limitata a élites, si è progressivamente ampliata in concomitanza con il mutamento socio-culturale ed è attualmente considerata una questione nodale per una riflessione sulla società in vista del suo mantenimento e del suo sviluppo. Affrontare tale questione non è però semplice, e in primo luogo perché essa non può essere compresa se non in riferimento alla sua storia e al contesto in cui si è sviluppata. Sembra inoltre giunto il momento di buttare a mare tutte le «ovvietà» che circolano sulla questione donna, di considerare seriamente gli stereotipi che hanno frenato la sua soluzione, di vagliare attentamente le diversità che caratterizzano le donne, le problematiche femminili, le modalità teoriche e pratiche utilizzate per affrontare tali problematiche.

La complessità del problema non deve tuttavia pregiudicare il tentativo di fare il punto sulla situazione, ma piuttosto stimolare a precisare il metodo con cui affrontare la questione e a individuare i punti nodali che la caratterizzano per arrivare a una descrizione sufficientemente significativa e aperta all’integrazione con le altre scienze.

In queste pagine, per quanto riguarda il metodo, si privilegia quello​​ sociologico;​​ per quanto riguarda invece il punto focale da cui partire, per esaminare lo sviluppo della problematica, si privilegia il nodo dei​​ rapporti uomo-donna,​​ nella convinzione della sua centralità per lo sviluppo della storia della donna nel passato e nel futuro.

 

1. «Excursus» sulla storia della donna

È ovvio che un​​ excursus​​ storico sulla «questione donna», e in particolare sulle relazioni uomo-donna, debba precedere qualsiasi tentativo di analisi della situazione attuale; il problema sta però nell’individuare le coordinate che hanno caratterizzato questo​​ excursus.

Scegliendo tra le varie possibilità che si presentano, una descrizione feconda può essere dedotta da una presentazione concomitante dei tentativi di analisi teorica del problema, dei punti di arrivo degli incontri internazionali, delle riflessioni e conquiste maturate in seno ai diversi movimenti. Tra questi elementi, infatti, esiste un legame che ha contribuito a far sì che il problema donna sia oggi, rispetto al passato, più maturo nella sua elaborazione teorica e più accolto a livello sociale, soprattutto da parte delle donne.

 

1.1. Le teorie

Le teorie sociologiche sulla questione femminile vanno ricercate nell’ambito delle teorizzazioni sulla società globale, nelle quali hanno però un posto molto limitato. Soltanto recentemente si è cominciato a parlare di una sociologia della donna. Spunti interessanti in proposito si trovano nelle teorie dei capiscuola della sociologia, a partire da A. Comte, e in alcune delle teorie più recenti. Tale posto tuttavia, come si è detto, è troppo angusto e il problema femminile resta ancora tutto da studiare, anche perché le teorizzazioni — a mio avviso — lungi dal risolverlo, hanno accentuato alcuni stereotipi ricorrenti a livello socio-culturale.

In primo luogo, elementi interessanti si trovano nelle opere dei classici: A. Comte, E. Durkheim, G. Simmel, F. Toennis, G. Tarde, nelle quali la donna appare principalmente come colei che gioca un ruolo affettivo importante e complementare con il ruolo strumentale dell’uomo.

Questa insistenza condivisa sul «ruolo espressivo» femminile viene ripresa e ampliata dalla sociologia struttural-funzionalista contemporanea, soprattutto per merito di T. Parsons e R. Bales, i quali, affrontando la problematica femminile all’interno della famiglia, assegnano ai coniugi due ruoli complementari e affermano che l’estensione del ruolo femminile nell’ambito del lavoro pregiudica l’armonia della coppia. Più precisamente, partendo dall’analisi della famiglia nucleare e collocando le attività dei coniugi sulle coordinate del «potere» e della «funzione», i due sociologi statunitensi affermano che la posizione del capofamiglia-marito è «superiore» nel potere e «strumentale» nella funzione, mentre quella della moglie è «pari» nel potere ma «espressiva» nella funzione. Tali differenze, funzionali alla complementarità dei due sessi, sarebbero dovute appunto alle diversità tra i sessi e avrebbero lo scopo fondamentale di mantenere l’equilibrio, l’armonia e l’unità all’interno della famiglia e indirettamente nella società totale.

Ovviamente, in questa visione di equilibrio della società, in cui viene dato il massimo rilievo alla complementarità, si sottolinea la necessità che la donna potenzi e approfondisca sempre più le sue capacità espressive, perché l’armonia con l’uomo sia sempre più realizzata.

In un’altra ottica si colloca invece la tradizione sociologica marxiana in linea con le affermazioni di K. Marx e F. Engels, i quali denunciano la situazione subalterna della donna rispetto all’uomo nella famiglia nucleare e fanno risalire questa sudditanza al passaggio dal feudalesimo al capitalismo e all’emergere della classe borghese e proletaria. È con l’avvento del capitalismo, che la donna viene confinata nella famiglia e quindi in una posizione subalterna rispetto all’uomo poiché la si emargina dal lavoro basato sui valori di scambio. Da ciò consegue che la donna può uscire dalla sua situazione di dipendenza, cioè emanciparsi, soltanto attraverso la reintroduzione nel mondo del lavoro.

Su queste premesse si innestano tutti i filoni di studio sull’emancipazione della donna principalmente centrati sull’analisi teorica e sperimentale di problemi inerenti al lavoro: retribuzione, doppio lavoro, maternità e lavoro, occupazione e disoccupazione, scolarità e occupazione, tempi di lavoro, ecc. Infine, le prospettive radicali, legate alle teorie della sociologia critica della società, proponendosi Tanalisi dei fenomeni di sfruttamento economico, politico, sociale che caratterizzano le società industriali e postindustriali, individuano nell’oppressione tra i sessi l’origine di ogni sfruttamento. In altre parole, sostengono che lo sfruttamento sessuale della donna da parte dell’uomo modella tutti gli altri rapporti sociali. Per questo, propugnano la liberazione della donna da attuarsi attraverso la rivoluzione del sistema patriarcale, una rivoluzione che porterà anche a una trasformazione sociale duratura e profonda. A quest’ultima impostazione si rifanno oggi, più o meno fedelmente, tutti i sociologi che si propongono di studiare i problemi della donna come paradigma per un cambiamento socio-culturale totale.

Non mancano infine alcuni tentativi di teorizzazione più direttamente centrati sugli specifici problemi della donna, anche se sono pochi e tutti allo stato nascente. Di particolare interesse è la «teoria del ciclo di vita», portata avanti dalla Saraceno (cf Saraceno C.,​​ Pluralità e mutamento. Riflessioni sull’identità femminile,​​ Franco Angeli, Milano​​ 21987). In essa, a partire da una critica di tutte le posizioni che semplificano la problematica femminile facendone una realtà omogenea senza differenziazioni, oppure una questione prevalentemente quantitativa e astratta, si cerca di esaminare la problematica donna nella sua complessità, come problema concreto e differenziato in rapporto alle diverse categorie di donne. Si tenta inoltre di affrontare la problematica dal punto di vista interdisciplinare, si affianca al metodo di studio quantitativo quello qualitativo (per es. le storie di vita), si completa lo studio teorico con l’intervento sul campo, ritenuto un​​ feed-back​​ indispensabile per l’affinamento delle teorie.

 

1.2. Le conferenze internazionali di Città del Messico, Copenaghen, Nairobi

Le tre conferenze internazionali organizzate dalTONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) a Città del Messico (1975), a Copenaghen

(1980) e a Nairobi (1985) hanno contribuito a far maturare la questione donna a livello di studio e di interventi socio-politici e hanno avuto un’influenza non indifferente sulla mentalizzazione di gruppi di donne e di uomini dei diversi Paesi, grazie anche ai​​ massmedia.

Per quanto riguarda specificamente la problematica dei rapporti uomo-donna, rincontro di Città del Messico, punto​​ clou​​ dell’anno della donna, ha segnato il momento della presa di coscienza della discriminazione esistente a livello personale e strutturale nei riguardi della donna.

A Copenaghen — dopo un quinquennio di maturazione e di approfondimento della presa di coscienza — si è invece iniziata la tappa istituzionale, la messa a punto delle legislazioni per far fronte a tutte le situazioni di discriminazione della donna e ben 57 Paesi membri hanno firmato una convenzione in proposito.

A Nairobi, infine, continuando il discorso propositivo delle due conferenze precedenti, si è preso l’impegno di puntualizzare le strategie necessarie per far passare nella vita concreta — a livello istituzionale e personale — le proposte legislative varate in favore della donna. Tali strategie sono state raccolte in un documento, nel quale, dopo un’introduzione iniziale, vengono ripresi i tre temi portanti dell’incontro: l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace.

È importante notare in proposito che l’ottica della Conferenza non riguarda più il ristretto, anche se polivalente e differenziato, mondo della donna in rapporto all’uomo, ma si allarga su problemi più ampi direttamente legati all’urgenza di realizzare una nuova qualità della vita.

Specificamente, per quanto riguarda l’uguaglianza, oltre a ribadire l’uguaglianza giuridica tra uomo e donna e l’impegno per vincere ogni discriminazione, si sottolinea l’urgenza che la donna raggiunga nel concreto l’uguaglianza dei diritti, delle responsabilità e opportunità in ogni aspetto della vita. Per lo sviluppo, in rapporto alle donne, si puntualizza che esso significa accesso, crescita e progresso in tutti gli ambiti della vita umana: economico, sociale, politico, culturale. Il problema dello sviluppo così inteso viene inserito nella questione più ampia di una ripartizione più equa e giusta delle risorse tra Paesi e abitanti del pianeta.

Quanto alla pace, infine, si afferma che essa non è né possibile né duratura senza l’eliminazione della disuguaglianza tra uomini e donne e delle disuguaglianze a tutti i livelli. Una valutazione dei lavori condotti e del documento finale, alla luce dello specifico problema delle relazioni uomo-donna, ci porta a mettere in evidenza come il problema del raggiungimento dell’«uguaglianza» di diritto e di fatto tra l’uomo e la donna sia stato il​​ leit motif​​ esplicito della conferenza, mentre quello dell’urgenza dello studio della «diversità» tra uomo e donna e tra le stesse donne nelle situazioni socio-culturali e nelle diverse istituzioni sia continuamente emerso come il​​ leit motif​​ implicito, il sottofondo significativo, di tutto il discorrere e proporre. Un’accurata documentazione delle concrete differenze esistenti nei vari contesti è emersa chiaramente nel rapporto sulle risposte al questionario inviato agli Stati membri, in cui si delinea la situazione delle donne nel mondo nel 1985. Il rapporto presenta un’ampia gamma di richieste prioritarie avanzate dalle donne, di tipi di discriminazione, di ostacoli incontrati, di progressi realizzati.

Oltre a questa panoramica generale, vengono anche presentati dati più particolari per settori: la famiglia, l’agricoltura, l’industria, la sanità, l’educazione, la politica.

 

1.3. I movimenti

Il contributo apportato dai movimenti che hanno contrassegnato la storia della donna, in particolare di quelli posteriori agli anni ’50, mi sembra di gran lunga più significativo rispetto a quello dell’elaborazione teorica e dell’impatto delle conferenze internazionali. Presentarlo in breve è perciò in un certo senso tradirlo per l’impossibilità di tracciare confini precisi e di individuare differenze e comunanze tra un movimento e l’altro; si può tuttavia tentare di puntualizzare alcuni cardini della storia dei movimenti partendo dall’ottica che ho privilegiato, quella dei rapporti uomo-donna.

Così posto il problema, si può notare immediatamente che dall’esame​​ dell’excursus​​ storico dei movimenti risulta in primo luogo il cambiamento graduale della stessa terminologia usata per circoscrivere la questione allo studio. Si passa dal termine generale «donna» a quello astratto di «condizione della donna o condizione femminile», da quello concreto di «donne» come categoria a sé distinta da quella degli «uomini» a quello di «persona umana donna», di cui si sottolinea in particolare la relazione della donna con l’uomo e con la società. Si passa inoltre dal «femminismo​​ tout court»,​​ inteso come l’insieme di tutti i movimenti che rivendicano dei diritti per le donne​​ ai​​ «femminismi» come pluralismo di movimenti fortemente differenziati per quadro teorico, obiettivi, ideologie, mezzi di azione, e ricollegabili a due orientamenti: quelli centrati sul «problema donna» in sé e quelli che fanno del «problema donna» un aspetto peculiare di una problematica socio-culturale più complessa,​​ ai​​ «movimenti delle donne», intesi come concreti gruppi di donne inserite a vari livelli, e a differente titolo, nelle istituzioni, oppure come organizzazioni intermedie di donne, operanti in proprio o come categoria nella società, oppure come gruppi informali di donne sorti per rispondere a un bisogno sociale. Le questioni-chiave attorno a cui si sono raggruppati i differenti movimenti, offrendo piste di riflessione e di sperimentazione, sono: il corpo, il lavoro, la parola, il potere.

Le richieste o rivendicazioni in merito sono molteplici e concrete e coprono una gamma vastissima di obiettivi che possono essere raccolti sotto forma di polarizzazioni: diritto alla vita-aborto; lavoro domestico-accesso all’istruzione e al lavoro extradomestico; condizionamenti dei​​ mass-media-pubblicazioni e interventi femminili a vari livelli contro i​​ media-,​​ identificazione del privato col politico-partecipazione delle donne al potere.

È proprio intorno a queste richieste concrete, piuttosto che intorno a principi di carattere generale, che si sono articolati, e spesso contrapposti, prendendo posizioni più o meno radicali, i diversi movimenti.

Per quanto riguarda specificamente le richieste circa le relazioni uomo-donna, i movimenti si possono raggruppare a seconda degli obiettivi perseguiti: l’uguaglianza, la separazione, la composizione.

I movimenti dell’uguaglianza:​​ le donne chiedono di essere come gli uomini. Non si contesta l’ordine sociale stabilito, ma ci si limita a denunciare le ingiustizie e le subordinazioni subite dalla donna e si cerca di eliminarle propugnando l’uguaglianza tra uomo e donna con mezzi di pressione prevalentemente politica per ristabilire l’ordine originario e l’integrazione.

I movimenti della​​ separazione: le donne si mettono contro gli uomini. Ci si oppone alla società totale, alla famiglia, agli uomini e alle altre donne utilizzando una strategia di conflitto che riguarda gli ambiti della sessualità (le donne sono state un oggetto sessuale), della proprietà (le donne sono state confinate alla casa e ai ruoli domestici), del lavoro (le donne sono state sottovalutate e sfruttate) per arrivare a una società radicalmente diversa in cui venga assegnato maggior potere alle donne.

1 movimenti della​​ composizione dell’uguaglianza e della separazione: le donne vogliono stare con gli uomini. Si parte dalla rimessa in questione dei ruoli tradizionali maschili e femminili (strumentale per l’uomo ed espressivo per la donna) per poi avviare un cammino di riflessione e di azione, non solo sulla questione donna, ma a livello di strutture istituzionali e di valori culturali, in ordine alla costruzione di una società pluralistica in cui siano rispettate e valorizzate tanto l’uguaglianza quanto la diversità.

 

2. Aspirazioni e proposte maturate in ambito femminile

La storia della donna che abbiamo tratteggiato a grandi linee non è chiusa, o forse non è ancora storia in senso pieno. Nella nostra società complessa, infatti, convivono movimenti alla ricerca di uguaglianza, di separazione, di reciprocità; convivono discriminazioni, differenze, espressioni — istituzionali o no — di valorizzazione della donna, anzi pare che il problema, maturando e approfondendosi nel tempo, sia diventato molto complesso e inafferrabile in tutta la sua portata. Tale complessità, d’altra parte, non fa che riflettere le caratteristiche che connotano la società: una società complicata, di contraddizioni, piena di incompatibilità di interessi tra singoli soggetti e settori, presa nel vortice del mutamento, caratterizzata dall’indecisione e dall’eccedenza di opportunità. Una società complessa, quindi, nella sua struttura e nel suo funzionamento, che esige la ridefinizione delle identià individuali e di categoria e di conseguenza postula nuove solidarietà a tutti i livelli.

In questa ridefinizione sono perciò implicate anche la questione dello​​ status​​ e del ruolo della donna, quella dei rapporti uomo-donna, delle relazioni tra categorie di donne, tra donne e uomini, tra donne e istituzioni varie e di conseguenza quella di nuove e diverse solidarietà in cui la donna possa giocare un ruolo attivo e responsabile.

Tutto questo esige inoltre un indispensabile e urgente dialogo tra donna e società, anche nella consapevolezza che le due realtà sono interdipendenti e condizionantisi a vicenda. Posto così il problema, ci si può allora interrogare: tenendo conto dell’intrecciarsi e condizionarsi vicendevole della complessità e del mutamento che caratterizzano la nostra socio-cultura, quali aspirazioni e proposte femminili sembrano emergere con più forza e urgenza?

A mio avviso, tenendo conto dell’ottica relazionale scelta, tre sono le linee che oggi vengono condivise, a livello di studio e di impegno socio-culturale, dai movimenti delle donne: la presa di coscienza della problematica donna, la ricerca di una nuova identità femminile, la partecipazione delle donne alla costruzione della storia.

 

2.1. La presa di coscienza

La presa di coscienza della problematica sottesa ai rapporti uomo-donna, maturatasi lentamente, anche se non è ancora patrimonio comune di tutte le donne —nonostante l’élite delle più impegnate si sia quantitativamente allargata — ha compiuto passi precisi. C’è stato il momento del​​ femminismo inquieto,​​ battagliero, della scoperta sempre più documentata, attraverso ricerche e pubblicazioni statistiche delle discriminazioni attuate nei confronti della donna in nome della natura femminile; discriminazioni perpetuate da situazioni socio-culturali e difese da istituzioni di vario genere. Discriminazioni che hanno favorito il costituirsi di movimenti di emancipazione e di liberazione di tipo rivendicativo. Questi movimenti — ancor oggi vivaci sia nelle loro forme estreme come in quelle moderate, anche perché ancorati a precise ideologie — denunciano tutti i modelli di oppressione autoritaria, richiedono istanze di parità uomo-donna a ogni livello, aspirano a un nuovo ordine di rapporti interpersonali. Per l’impaziente intransigenza che li caratterizza e per le strumentalizzazioni ideologiche di cui sono spesso succubi, però, tali movimenti fanno sì che la presa di coscienza rimanga un fatto di élite piuttosto disincarnato.

Sotto la loro spinta, tuttavia, la presa di coscienza inizia il suo cammino che, sebbene non sia ancora costruttivo, è almeno in grado di stimolare la riflessione e il confronto sui temi dell’uguaglianza, della distribuzione del potere, della denuncia di ogni forma di oppressione.

Sono proprio le ripetute riflessioni e il confronto imposto e proposto su questi temi che lentamente fanno sì che la presa di coscienza, da inquieta e chiusa nel mondo delle élites femminili, diventi​​ inquietante,​​ cioè capace di stimolare la ricerca di un dialogo con l’uomo e con le molteplici realtà sociali. Matura così un’altra espressione della presa di coscienza, cioè quella riguardante la necessità di comporre e sanare le rotture operate con l’uomo e con le sue istituzioni e l’urgenza di riportare la questione femminile, e in particolare le istanze di uguaglianza, nella storia e nella società complessa.

Si verifica allora il passaggio dall’inquieta ricerca-proposta di autonomia e trasgressione all’inquietante ricerca-proposta di integrazione della donna in un tessuto di solidarietà allargate a livello diacronico e sincronico. Di più, la presa di coscienza diventa richiesta di realizzazione concreta nelle istituzioni, desiderio d’introdurre nel macro-sociale le esperienze vissute dalla donna per secoli nel micro-sociale, esigenza di un confronto e di un dialogo tra uomo e donna, ricerca di una nuova identità femminile e maschile. L’inquietudine patita dalla donna, e riflessa a livello sociale più ampio, porta infine alla presa di coscienza che la questione femminile, e specificamente l’aspetto riguardante i rapporti uomo-donna, debba porsi «oltre» i movimenti della liberazione che hanno Ietto la storia solo come sconfitta e oppressione della donna, oltre i movimenti dell’emancipazione che hanno voluto costruire un modello di donna ritagliato su quello maschile, per collocarsi in una prospettiva di​​ reciprocità​​ uomo-donna.

La reciprocità porta con sé un ulteriore sviluppo della presa di coscienza, nel senso che si arriva ad affermare che la problematica femminile non riguarda solo le donne, ma donne e uomini; non riguarda solo alcune categorie di donne, ma coinvolge tutte le donne e tutti coloro che sono interessati alla promozione della persona e a una nuova qualità della vita. I due punti nodali di questa solidarietà allargata diventano allora la ricerca di una nuova identità femminile e la partecipazione alla costruzione della storia.

 

2.2. La ricerca di una nuova identità femminile

L’aver riportato la questione donna nell’alveo della storia ha come conseguenza immediata una rimessa in questione dell’identità femminile, e comporta la ricerca di uno​​ status​​ e di un ruolo di donna diverso da quello tramandato per generazioni attraverso la socializzazione. È una rimessa in questione che riguarda in primo luogo il rapporto della donna con sé stessa e con il suo ruolo nell’ambito familiare e sociale. Ma è anche una rimessa in questione dei rapporti uomo-donna nel senso che tutti i cambiamenti avvenuti a livello di identità femminile si ripercuotono sull’uomo, non solo, ma sulle nuove generazioni e sulla società globale, generando problemi di comunicazione, di rapporto, di reciproco riconoscimento e valorizzazione. Da ciò consegue una vera e propria crisi di «incertezza» di identità, resa ancor più acuta dalla convivenza e interferenza con altre crisi di identità, a livello istituzionale e personale, che caratterizzano la società complessa. Nasce allora l’esigenza di ricostruire un’identità femminile che tenga conto di tutto il cammino percorso dalla storia della donna nelle sue tappe di emancipazione, liberazione, reciprocità. Ma tale ricostruzione è tutt’altro che facile, poiché non si tratta di proporre un modello sul quale tutte le donne dovrebbero ritagliare la propria esistenza e i propri comportamenti, ma di offrire un patrimonio di riflessioni e di convinzioni capaci di sorreggere e di indirizzare il loro stile di vita individuale e sociale.

Si tratta cioè di operare un cambiamento in favore di un «diverso» femminile che non significa «devianza» rispetto alla normalità delle donne e neppure «inferiorità» rispetto all’uomo.

Più precisamente si tratta di valorizzare l’emergere delle differenze tra le donne (esperienze simili come la maternità, la sessualità, il matrimonio si danno entro universi simbolici relazionali profondamente modificati), prima ancora di far valere quelle in rapporto all’uomo. In altre parole — come dice la Saraceno — si tratta di riconoscere che nel contesto socio-culturale attuale la differenza generazionale non si esprime più solo come diversità di posizioni entro un percorso biografico simile, ma come differenza di percorsi (cf Saraceno,​​ Pluralità​​ 43).

Questo fa sì che «l’identità di donna», rispetto alla sessualità, alla riproduzione, al lavoro, al rapporto con l’uomo, vissuta con modalità molto differenziate dalle diverse generazioni compresenti in una società, si proponga in modo sempre più problematico e renda così estremamente complesso il processo di socializzazione delle nuove generazioni. Per quanto riguarda invece la differenza nei confronti dell’uomo, va maturando la tendenza ad abbandonare la mentalità della subordinazione e a far spazio alla consapevolezza che ciascuna donna ha dei poteri educativi, esperienziali, culturali, professionali, ecc., e dispone di possibilità che debbono essere gestite e compartite con l’uomo. Di più, ci si convince che nella misura in cui le donne approfondiscono la propria diversità come risorsa (risorsa personale, risorsa lavoro, risorsa culturale) si rendono capaci di sollecitare e provocare un egual cambiamento nell’uomo.

Questa duplice ottica con cui guardare la differenza ci fa vedere come il rapporto uomo-donna sia centrale alla questione femminile e come tale questione non possa essere affrontata se non nel confronto e nella collaborazione con l’uomo, a partire però da una riconciliazione delle donne e degli uomini con la loro diversità. Conoscere la propria diversità, accettarla, valorizzarla, incontrarsi con chiarezza nelle reciproche identità è perciò per tutti — uomini e donne — un passo fondamentale, è un presupposto importante per la socializzazione delle nuove generazioni e per la costruzione di una società diversa.

 

2.3. La partecipazione alla costruzione della storia

Da quanto detto fin qui in fatto di questione femminile, e guardando la problematica in prospettiva di futuro, sembra si sia arrivati al punto in cui urge «osare la differenza», cioè fare un salto di qualità, cercando un nuovo modo di essere donna e di porsi in relazione con gli altri, siano essi singoli, istituzioni o l’intera società.

Nella nostra società, infatti, la differenza, sia essa tra donne o tra uomo e donna, si rileva un nodo — problematico — chiave a livello di relazioni personali, di modelli culturali, di relazioni di ruolo, di divisione e di funzionamento della società totale.

Questo «osare» implica perciò, come prima conseguenza, l’apertura delle donne a nuove esperienze di​​ solidarietà​​ che integrino quelle vissute nella società pretecnica (nella famiglia, nel villaggio, nella chiesa), solidarietà che siano, nella società complessa e in cambiamento, elemento di coesione delle donne tra di loro e con gli altri.

Implica inoltre che le donne si facciano​​ produttrici di cultura,​​ cioè si approprino maggiormente di sé stesse, di una capacità di fare opinione, di gestire i propri bisogni, di gestire codici comunicativi. La società complessa e in cambiamento esige che si entri nella competizione culturale con la propria peculiarità di uomini e di donne per non perdere quello specifico che potrebbe essere una «carta spendibile» a vantaggio dell’uomo, della persona, della costruzione di una società diversa. Implica infine, da parte delle donne, il puntare sull’acquisizione di una sostanziale autonomia, intesa come accettazione di sé e della diversità altrui; il riconoscimento della ricchezza del confronto tra diversità; l’assunzione della contraddizione come chiave di lettura della complessità della vita e della realtà. A questo punto la riflessione si ferma, è tutta ancora da maturare, anche se se ne vedono già alcune linee portanti, come per esempio quella della necessità di ridefinire continuamente le diverse identità e di cercare con costanza la loro collocazione nell’universo della società complessa; di superare la concezione delle differenze come entità distinte e dialetticamente contrapposte, per pensare invece a entità differenti ma compresenti e intersecate; di ricercare continuamente l’equilibrio del rapporto tra differenze, un equilibrio che è continuamente mèta raggiunta e da raggiungere. Sono strade che, se percorse, potranno portare le nuove generazioni a costruire una società di donne e di uomini che siano in grado di generare un mondo diverso e più umano per tutti.

 

3. Conclusione

A conclusione vengono spontanee alcune riflessioni. La storia della donna ha avuto un​​ iter​​ travagliato e sofferto, non è ancora uscita dal​​ tunnel​​ del sospetto, è stata spesso strumentalizzata, ciò nonostante è approdata a conquiste, ha aperto campi di riflessione e suscitato problemi che non possono essere ignorati. Indubbiamente, non tutte le donne conoscono, hanno accolto e condiviso le riflessioni e i punti di arrivo dei gruppi più impegnati; socialmente sembra prevalere un certo attaccamento al passato, all’accettazione dei ruoli ascritti tramandati per socializzazione, anche se un certo cambiamento nei rapporti uomo-donna sembra verificarsi in ambito giovanile. Le giovani donne, infatti, con le loro richieste e il loro vissuto — come documentano diverse ricerche — a volte anticipano il «protagonismo femminile» auspicato dai movimenti sia nelle forme moderate sia in quelle estreme.

La strada della presa di coscienza dei punti di arrivo della storia della donna, e di conseguenza delle proposte-conquiste maturate fino a oggi, è perciò ancora lunga. Ed è a questo punto che il problema rimbalza in ambito educativo e a livello di strutture.​​ In ambito educativo,​​ nel senso che l’educazione può porsi come valido strumento di veicolazione di valori e di trasformazione culturale;​​ a livello di strutture,​​ nel senso che i sistemi educativi sono strettamente connessi con quelli politici, economici, giuridici, ecc.; in altre parole, fanno parte integrante della società. Di più, ideali, norme, valori giocano un ruolo fondamentale nella formazione dell’ordine istituzionale di una società, mentre la struttura sociale, a sua volta, protegge e veicola particolari valori sociali, a preferenza di altri, in consonanza con le mète che si prefigge. Questo premesso, quali istanze ricuperare allora perché il discorso riguardante i rapporti uomo-donna, con tutte le sue implicanze, venga portato avanti simultaneamente nei suoi aspetti più fecondi, attraverso la socializzazione, e specificamente l’educazione, e attraverso le trasformazioni strutturali?

In primo luogo, l’esigenza di affrontare la questione uomo-donna nel contesto in cui è nata e si va sviluppando, cioè nell’ambito della storia della donna, approfondendola teoricamente ma anche facendone esperienza concreta nell’immediato. L’approfondimento teorico, come si è cercato di mettere in evidenza, va fatto seriamente affrontando i vari «femminismi» e confrontandosi con essi per raccoglierne le sfide più significative. L’esperienza va invece vissuta tenendo conto della società complessa, multidimensionale, segmentata, in cui la donna è soggetto in continua interazione con altri soggetti e realtà e in cui gli specifici problemi femminili chiamano in causa tutta la società. Sembra inoltre fondamentale riaffermare nuovamente, nonostante il cammino già fatto in proposito, il principio dell’uguaglianza tra uomo e donna, un’uguaglianza ancorata al suo fondamento essenziale che è la dignità della persona, per tradurlo nel concreto, farlo penetrare nella vita. Occorre prendere il coraggio per rompere i miti dell’uguaglianza intesa come uniformità, come adeguamento acritico a un modello di donna imposto dalla società, per riscoprire, approfondire e vivere quell’uguaglianza che è la premessa indispensabile per la cooperazione, la corresponsabilità, la reciprocità in tutti gli ambiti e a tutti i livelli.

Affermata l’uguaglianza, si rende però ugualmente necessario il riconoscimento della diversità in tutti i suoi aspetti, una diversità che non significa superiorità o inferiorità e neppure realtà naturale intoccabile, ma simultaneamente vocazione e impegno, risorsa e responsabilità da valorizzare a vantaggio di tutti per la costruzione di una società più umana. Una diversità che è tutta da approfondire e che comporta una seria riflessione interdisciplinare sull’identità della donna e di conseguenza su quella dell’uomo come punto di partenza di ogni altra riflessione sul problema dei rapporti uomo-donna e come presupposto per avviare un corretto discorso educativo.

Un’altra istanza da approfondire è quella che la questione donna è di tutti ed è da affrontarsi per il bene di tutti, per la costruzione dell’umano e di una nuova qualità della vita. Il cambiamento socio-culturale rapidissimo, avvenuto in questi anni, sta imponendo cambiamenti, anche radicali, a chi si impegna nel campo della promozione umana e specificamente dell’educazione, entro cui si colloca il grande filone dell’educazione della donna. Educare le nuove generazioni, educare la donna, diventa allora un imperativo imprescindibile, un’urgenza di cui tutti debbono farsi carico, anche perché le prospettive inquietanti e affascinanti della telematica e della robotica richiedono oggi il consolidamento e la riscoperta in profondità di ciò che è autenticamente umano.

 

Bibliografia

Atti del Convegno internazionale su:​​ La posizione sociale della donna. Prospettive per il futuro​​ (Roma, 11-13 novembre 1980), U.F.I.S.A.S., Roma (s.d.); Atti del Seminario internazionale su:​​ Il futuro della donna: nuova speranza per la società?​​ (Roma, 24-26 gennaio 1985), U.F.I.S.A.S., Roma (s.d.); Bellenzier Garutti M. T.,​​ Questione femminile da dove, verso dove.​​ Lettura storico-sociale, Paoline, Roma 1983; Cazora Russo G.,​​ Status sociale della donna,​​ 2 voi., De Luca, Roma 1978; Colombo A. (ed.),​​ Verso l’educazione della donna oggi,​​ LAS, Roma 1989; Di Nicola G. P.,​​ Donne e politica: quale partecipazione,​​ Città Nuova, Roma 1983; Donati P. - Cipolla C.,​​ La donna nella terza Italia. Madri e figlie nel mantovano,​​ AVE, Roma 1978;​​ La donna nella Chiesa e nella società. Per un bilancio interdisciplinare,​​ AVE, Roma 1986;​​ La donna nella Chiesa e nel mondo,​​ Dehoniane, Napoli 1988; Gaiotti De Biase P. - Dau Novelli C.,​​ La questione femminile,​​ Le Monnier, Firenze 1982; Rosanna E.,​​ Modelli di formazione della donna: analisi sociologica,​​ in​​ Rivista di Scienze dell’Educazione 22​​ (1984) 319-341; Id.,​​ Reciprocità uomo-donna. Indicazioni per un ’analisi sociologica della situazione in vista della coeducazione,​​ in​​ ivi​​ 25 (1987) 51-69; Id.,​​ Un contributo all’approfondimento della «questione donna». L’iter del femminismo italiano nel pensiero di Vilma Preti,​​ in​​ ivi​​ 26 (1988) 187-214; Saraceno C.,​​ Pluralità e mutamento. Riflessioni sull’identità femminile,​​ Franco Angeli, Milano 1987.

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DONNA-UOMO – nella società

DOTTRENS Robert-Alexandre

 

DOTTRENS Robert-Alexandre

n. a Carouge, presso Ginevra, nel 1893 - m. nel 1984, pedagogista svizzero.

1. Maestro a venti anni, fu direttore didattico dal 1921 al ’27; nel 1931 conseguì il dottorato in sociologia e nel ’52 divenne ordinario di pedagogia all’Università di Ginevra. Fondò l’École du Mail, sede di innovazioni metodologico-didattiche, che funzionò dal 1925 al ’55, dapprima sotto la direzione sua e poi di suoi allievi. Ogni attività era scandita in osservazione, verifica e ricerca. I suoi contributi sono maturati in seno alla cosiddetta Scuola di Ginevra (​​ Claparède,​​ ​​ Ferrière, Bovet,​​ ​​ Piaget) e consistono sia in princìpi pedagogici ricavati dalla psicologia infantile, sia in procedure speciali da adattare a scuole comuni.

2. Buon conoscitore delle scienze umane e sociali, additò nella pedagogia un elemento propulsore di rinnovamento civile e di formazione democratica. Si occupò di organizzazione scolastica, aderendo al movimento delle​​ ​​ Scuole Nuove, con forte impulso alla didattica della lingua, a quella della scrittura, alla​​ ​​ docimologia. Sul piano delle riforme si occupò della​​ ​​ formazione degli insegnanti. D. è noto quale esponente della​​ ​​ pedagogia sperimentale (per cui si collega a​​ ​​ Buyse e Planchard) e quale promotore di un metodo individualizzato, ispirato in parte ad analoghi metodi di C. W. Washburne e di H. Parkhurst. Accolse anche le tecniche di​​ ​​ Freinet, studiò le principali riforme scolastiche ed esperienze pedagogiche in Inghilterra, Germania, Belgio ed Austria. Ebbe incarichi universitari anche all’estero. È stato autorevole membro dell’UNESCO (United Nations Educational Scientifical and Cultural Organisation),​​ del BIE (Bureau International d’Éducation)​​ e di altre istituzioni e associazioni.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ tra​​ le opere di D.:​​ L’enseignement individualisé,​​ Neuchâtel, Delachaux et Niestlé, 1936;​​ Éducation et démocratie, Ibid., 1946;​​ Instituteurs hier,​​ éducateurs demain!,​​ Bruxelles, 1966. b)​​ Studi:​​ Izzo D.,​​ R. D. e la pedagogia contemporanea,​​ Roma, Armando, 1968; Broccolini G.,​​ D., Brescia, La Scuola, 1971; Trombetta C., «D.R.A.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, Ibid., 1989, 4099-4101.

D. Izzo

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