DONNA - UOMO (nella Chiesa)
Mario Midali
1. Premessa
1.1. Questione femminile e congiuntamente maschile
1.2. La prospettiva generale: un aggiornato umanesimo cristiano
1.3. Uomini e donne nella Chiesa
2. Situazione di uomini e donne nella Chiesa
2.1. Associazionismo femminile e idealizzazione della donna nella Chiesa
2.2. Un nuovo posto delle donne nella Chiesa
2.3. Una Chiesa rinnovata in cui uomini e donne siano membri a pieno titolo
2.4. Configurarsi della teologia femminista
2.5. Verso la reciprocità nella Chiesa e verso una teologia integrale
2.6. Problemi emergenti
3. Mete da raggiungere in ambito ecclesiale
3.1. Una Chiesa rinnovata per un’effettiva reciprocità tra uomini e donne
3.2. Prioritaria formazione delle coscienze
3.3. Sincero riconoscimento dei ministeri ecclesiali delle donne
3.4. Accesso delle donne a incarichi direttivi e a organismi decisionali
3.5. Serio confronto dei religiosi e delle religiose con questa problematica
3.6. Rinnovamento della catechesi, della liturgia, dell’educazione, della spiritualità e del sapere teologico
4. Indicazioni strategiche
4.1. Gli operatori del cambio
4.2. I referenti del cambio
4.3. Modalità di cambio
4.4. Obiettivi a medio termine
1. Premessa
1.1. Questione femminile e congiuntamente maschile
Secondo l’ecclesiologia rinnovata del Vaticano II, soggetto attivo dell’intera azione ecclesiale è la comunità cristiana specie a livello locale, che è formata da uomini e donne. Qual è il posto e il ruolo o lo status e la missione che in essa hanno di fatto e che dovrebbero avere gli uni e le altre, in ragione della loro uguale dignità di fedeli e della loro differente qualifica rispettivamente «maschile» e «femminile»?
La «questione femminile», impostasi all’opinione pubblica mondiale a seguito della proclamazione dell’anno internazionale della donna, mentre pone in evidenza che la condizione delle donne nella società e nella Chiesa fa «questione», mette pure in «questione» la situazione dell’uomo in tali ambiti. Nell’attuale fase del dibattito occorre ormai parlare non soltanto di condizione e questione femminile, quasi che il discorso sia sulla donna e riguardi unicamente «l’altra metà del cielo». Occorre invece traltare congiuntamente e inscindibilmente di condizione e questione maschile. In effetti, lo status e i ruoli degli uomini e delle donne sono strettamente correlati nei vari campi dell’agire umano: nella vita familiare, sociale, economica, politica, culturale ed ecclesiale. L’identità umana e cristiana degli uni non può essere definita senza un necessario riferimento alle altre, e viceversa. Come noti fenomeni contemporanei dimostrano, la crisi e il cambio d’identità di queste incidono sull’identità di quelli, mettendola in crisi e sollecitandone il cambio.
1.2. La prospettiva generale: un aggiornato umanesimo cristiano
Assai differenti, sovente contrastanti, sono gli atteggiamenti, le posizioni e le scelte tutt’oggi presenti nella società e nella Chiesa di fronte alla vastità e complessità dei problemi qui implicati. Ai fini di questa riflessione teologico-pradca è decisivo prenderne coscienza e chiarire quali assumere, quali criticare, quali rigettare perché inaccettabili. Rimanere in un atteggiamento di semplice osservazione del fenomeno, oppure di puro ascolto delle differenti voci o, peggio, il collocarsi su posizioni di difesa paurosa o di chiusura preconcetta o di polemica faziosa, sono tutti atteggiamenti palesemente criticabili da un punto di vista pastorale, perché gravidi di dannose conseguenze, in quanto bloccano ogni miglioramento dello statu quo. La prospettiva in cui si colloca il presente saggio sintetico rispecchia delle scelte che è opportuno esplicitare fin dall’inizio.
— Non si parla della «donna» o deli’«uomo» (al singolare) nel senso di un’antropologia filosofica e-o teologica sui due sessi (a cui peraltro si accennerà).
— Si parla invece di «uomini» e «donne» (al plurale) per riferirsi alla concreta situazione esistenziale e storica degli uni e delle altre negli attuali contesti sociali ed ecclesiali.
— La prospettiva globale in cui si affronta l’argomento non è ispirata da una mentalità rivendicazionista nella linea del primo femminismo che mirava all’«emancipazione» della donna con l’acquisizione dei diritti civili a lei negati.
— Non è neppure quella del neofemminismo radicale anni ’70 che ha propugnato la «liberazione» della donna dal potere egemonico dell’uomo a partire dalla sponda delle donne e con atteggiamenti fortemente critici nei confronti dell’uomo.
— Non è ancora quella di certo riformismo tuttora inficiato di variegate venature androcentriche e antifemministe, spesso latenti e inconfessate, che mira alla «promozione» della donna o delle donne, ma senza mettere seriamente in questione l’attuale mondo plasmato e strutturato dall’uomo o dagli uomini.
— La prospettiva globale parte dalla sponda di cristiani, uomini e donne, che insieme, animati da vicendevole fiducia e in un confronto alla pari, cercano di analizzare e valutare criticamente l’attuale situazione e le sue linee di tendenza, al fine di elaborare un progetto e delimitare una strategia, in cui:
1) a uomini e donne sia riconosciuta, di diritto e di fatto, una fondamentale uguaglianza in quanto «persone davanti a Dio»;
2) le loro qualifiche differenti, maschile e femminile, siano non disattese o discriminate ma debitamente riconosciute e trattate, di diritto e di fatto, in modo paritario;
3) i loro rapporti siano ripensati insieme in termini di reciprocità, in modo da rendere più vivibile la realtà umana complessiva degli uni e delle altre.
Una prospettiva, quindi, né maschilista né femminista nel senso storicamente assunto da tali titoli, ma dialogale nel senso del Vaticano II, e ispirata da un aggiornato umanesimo cristiano che si esprime in simpatica attenzione critica a un evento che non temo a ritenere «epocale», perché tendenzialmente orientato:
1) a rivedere radicalmente i mutui rapporti tuttora esitenti tra uomini e donne nella società e nella Chiesa, non conformi alla dignità della persona umana e al messaggio evangelico rivisitato,
2) e a realizzare assetti sociali ed ecclesiali in cui «uomini e donne siano insieme protagonisti nel costruire una società e una Chiesa» maggiormente rispondenti al progetto di Dio sull’umanità.
1.3. Uomini e donne nella Chiesa
Lo status degli uomini e delle donne nella società ha influito e influisce, senza dubbio, in modo positivo o negativo, sullo status degli uni e delle altre nella Chiesa. Recenti studi storici e sociologici lo hanno ormai variamente evidenziato. Ma va pure riconosciuto che la posizione degli uni e delle altre nella vita e missione della Chiesa presenta caratteristiche peculiari che si vorrebbero ora presentare in termini necessariamente generali.
2. Situazione di uomini e donne nella chiesa
Nella recente storia riguardante la posizione degli uomini e delle donne nella Chiesa e l’atteggiamento dell’autorità ecclesiastica e della letteratura ecclesiale verso i movimenti promozionali e liberatori della donna nell’ambito ecclesiale, sono rilevabili grosso modo quattro tappe, le cui impostazioni significative sono tuttora variamente presenti nelle Chiese locali.
2.1. Associazionismo femminile e idealizzazione della donna nella Chiesa
In un primo periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale fino al Vaticano II, si assiste ai seguenti fenomeni maggiori:
— il notevole sviluppo (quantitativo e qualitativo) delle congregazioni religiose femminili, degli istituti secolari femminili, di parecchie associazioni ecclesiali femminili (ad es. l’azione cattolica femminile...), che assieme a numerose donne garantiscono una considerevole presenza femminile nei vari settori dell’apostolato ecclesiale loro consentito (educazione, opere caritative, assistenza ospedaliera, servizi parrocchiali secondari...);
— il permanere di una mentalità dominante, riscontrabile nel magistero e nella letteratura specialmente spirituale e pastorale, che tende a idealizzare la donna nella Chiesa. «La donna appare immobile, garante di una Chiesa a sua volta immobile, intesa a salvaguardare la famiglia patriarcale e la moralità tradizionale (...) sull’orlo dell’abisso chiamato mondo. È la donna eterna, sospesa tra cielo e terra, investita del potere spaventoso di poter tutto perdere o tutto salvare» (Marie Thérèse Van Lunen-Chenu, in Concìlium [1976-12] 169s);
— l’apparire di una «teologia della donna» o «teologia della femminilità» (genitivo oggettivo) lanciata durante l’anno mariano del 1954: essa rientra nel fenomeno generale delle «teologie del genitivo» come sono quelle delle realtà terrene (Thils), del laicato (Congar), del lavoro (Chenu); sacralizza la donna in quanto ne definisce la «natura» con un carattere costante e assoluto (i ruoli materni e familiari) e ne esalta la «vocazione» specifica nel piano salvifico (arbitra della salvezza del mondo o della sua perdizione);
— la nascita nelle Chiese euroamericane di movimenti delle donne che, tra l’altro, sollevano con virulenza il problema del loro accesso al ministero ordinato.
2.2. Un nuovo posto delle donne nella Chiesa
Un secondo periodo è costituito dall’evento conciliare: alcuni pastori si rendono conto che l’altra metà della Chiesa non può essere assente dall’assise ecumenica. Donne cristiane vengono invitate come ospiti e prendono la parola come «soggetti nella Chiesa» entro e fuori dell’aula conciliare. Scompare il nome collettivo e astratto «la donna» (al singolare) e compare quello di un plurale personalizzato: «noi donne nella Chiesa». Nasce un movimento che chiede «un nuovo posto delle donne nella Chiesa». Secondo alcuni tale movimento segnerebbe propriamente l’inizio di un femminismo nella Chiesa.
Il Concilio offre alcune risposte generali a tale richiesta:
— le dichiarazioni attinenti l’uguaglianza fondamentale e la fraternità cristiana fra tutti i membri del popolo di Dio, ivi comprese le donne (LG 32);
— l’insegnamento circa l’apostolato dei laici che interessa direttamente sia gii uomini che le donne: «Sebbene quanto fu detto del Popolo di Dio sia ugualmente diretto ai laici, ai religiosi e al clero, ai laici tuttavia, sia uomini che donne, per la loro condizione e missione, appartengono in particolare alcune cose...» (LG 30);
— la dichiarata volontà di promuovere una più ampia partecipazione delle donne ai vari campi dell’apostolato laicale (comunità ecclesiali, famiglia, giovani, ambiente sociale, ordine nazionale e internazionale): «Siccome poi ai nostri giorni le donne prendono parte sempre più attiva in tutta la vita sociale, è di grande importanza una loro più larga partecipazione anche nei vari campi dell’apostolato della Chiesa» (AA 9b);
— il riconoscere che, in forza del proprio carisma, gli Istituti religiosi femminili hanno la capacità originaria di formulare un diritto proprio, hanno una propria responsabilità nella missione della Chiesa e un proprio spazio d’azione autonomamente scelto e assunto nella comunione ecclesiale (LG 43-46; PC 2-4.10.20).
2.3. Una Chiesa rinnovata in cui uomini e donne siano membri a pieno titolo
Il periodo postconciliare che va dal 1965 al 1980 è caratterizzato da alcuni fenomeni maggiori che presentano aspetti positivi e insieme carenti, secondo la loro maggiore o minore fedeltà al messaggio evangelico e conciliare. Vi è una crescente partecipazione di donne cristiane nei vari settori dell’apostolato laicale in rispondenza alle situazioni locali, e un progressivo riconoscimento dei loro servizi, considerati ormai nella prospettiva biblica dei «ministeri non ordinati»: educazione cristiana, catechesi, insegnamento della religione nelle scuole, animazione liturgica, formazione degli adulti, aiuto sociale, animazione pastorale, attività caritativa e assistenziale, iniziative ecumeniche, cooperazione missionaria, leadership in movimenti ecclesiali tradizionali e nuovi...
Questo fenomeno però è dovuto, in parte, alla necessità di supplire la penuria del clero ed è accompagnato da non poche perplessità, restrizioni e resistenze da parte di pastori e fedeli, ed anche di importanti settori femminili, a motivo di pregiudizi antifemministi e di paura di perdere situazioni di privilegio tanto per gli uomini che per le donne, le quali preferiscono continuare a svolgere ruoli ecclesiali subordinati e a fare opera di supplenza.
Vi è un notevolissimo contributo delle religiose alla vita e attività delle comunità parrocchiali e infraparrocchiali fino all’affidamento ad esse di intere parrocchie (in cui esercitano tutti i ministeri ad esclusione di quelli ordinati), di particolari responsabilità (ad es. di vicaria episcopale)...
Date le difficoltà teologiche attinenti la partecipazione di fedeli non ordinati alla giurisdizione ecclesiale, anche questo fenomeno spesso non è accompagnato da un adeguato riconoscimento, giuridico ed effettivo, delle responsabilità e dei connessi diritti delle religiose, che restano per lo più sotto la tutela del clero.
Si verifica l’immissione di donne e religiose nella curia romana (fino allora escluse) e una più ampia e qualificata presenza di donne e religiose in organismi ecclesiali: consigli pastorali ai vari livelli, comitati e commissioni di studio e di animazione, organismi pastorali con compiti esecutivi amministrativi e a volte rivestiti di notevole reponsabilità... Tuttavia questo fenomeno non cambia sostanzialmente il predominio degli uomini in tali strutture: la precedente situazione poco favorevole a una qualificazione superiore delle donne e delle religiose nelle scienze ecclesiastiche rende difficile una loro partecipazione attiva in ruoli di grande responsabilità: sovente anzi le fa apparire silenziose «ostaggi» di una Chiesa di uomini.
Viene offerta alle cristiane la possibilità di accedere a superiori studi nelle scienze teologiche (fino allora ad esse preclusi); vi è una progressiva comparsa di cristiane competenti in scienze bibliche, storiche, teologiche, giuridiche, teologico-pastorali, liturgiche, in teologia spirituale; emerge una «teologia femminista» di cui tosto si parlerà; sorgono o si consolidano centri di studi a livello universitario, gestiti da donne o da religiose; avviene un progressivo inserimento di donne e religiose nel corpo docente di università cattoliche ed ecclesiastiche.
Tale fenomeno però si presenta piuttosto limitato e accompagnato, per le donne, da non pochi ostacoli dovuti, tra l’altro, alla loro svantaggiata situazione di partenza e alla difficoltà di cambiare affermate posizioni maschili di dominio.
Da parte dell’autorità ecclesiastica si ripetono interventi significativi volti alla «promozione» della donna. Il Sinodo del 1971 dichiara: «vogliamo che le donne abbiano la propria parte di responsabilità e di partecipazione nella vita comunitaria (...) della Chiesa» (De iustitia in mundo cap. 5). Il Sinodo del 1974 da una parte riconosce l’apporto imprescindibile delle donne all’opera di evangelizzazione e, dall’altra, costata che «nonostante l’importanza che il nostro tempo attribuisce alla promozione sociale della donna, il suo posto nella Chiesa è ancora da trovare e da definire».
La Commissione pontificia di studio sulla donna nella Chiesa e nella società, istituita in vista dell’anno internazionale della donna (1975), presenta al Sinodo del ’74 alcune «raccomandazioni» indirizzate alla Santa Sede, alle conferenze episcopali, alle congregazioni religiose, alle associazioni internazionali, alle università cattoliche. Si chiede fra l’altro di favorire e sviluppare «la partecipazione delle donne all’opera di evangelizzazione in posti di responsabilità effettiva e riconosciuta»; d’intraprendere «un’azione educatrice a tutti i livelli della vita ecclesiale in vista del cambiamento di mentalità che favorisca migliori rapporti di collaborazione tra uomini e donne sul presupposto di una fondamentale parità e secondo la vocazione di ciascuno, nell’opera di evangelizzazione e ai vari livelli di responsabilità pastorale nella Chiesa»; inoltre di compiere «uno sforzo particolare per garantire che la formazione del prete» sia adeguata a raggiungere tali mete.
La Marialis cultus (1974) di Paolo VI propone una serena ma puntuale critica a un’idealizzazione della Madonna come «vergine e madre», funzionale a una cultura che subordina la donna all’uomo; e afferma con vigore una prospettiva antropologica in cui Maria viene pienamente valorizzata come «donna» forte, «modello compiuto di discepolo del Signore» [cf ,4,45 61 (1974) 148s]. Il Sinodo 85 richiede ai «pastori di accettare e promuovere con gratitudine la collaborazione delle donne nell’attività ecclesiale» (Documento sinodale C 6).
I documenti di Giovanni Paolo II Mulieris dignitatem (1988) e Christifideles Laici (1989) dedicano particolare attenzione alla questione femminile e insieme maschile: evidenziano i fondamenti antropologici e teologici dell’identità delle donne come degli uomini, la loro compresenza e collaborazione, differenziata nell’adempiere la missione nella Chiesa e nella società.
Attorno agli anni ’70, cresce la consapevolezza, specialmente nei movimenti ecclesiali femministi euroamericani, che le varie iniziative intraprese per garantire un nuovo posto alle donne nella Chiesa rimangono di tipo «promozionale» e semplicemente «riformiste»: nel favorire la partecipazione di un crescente numero di donne all’«apostolato» le si gratifica personalmente, ma si disattende una loro effettiva «liberazione» nella Chiesa. In effetti, tali iniziative promozionali non mutano sostanzialmente strutture ecclesiastiche, di per sé riformabili, plasmate e dominate dagli uomini, ma piuttosto le consolidano. In reazione a questa situazione si fa strada un cristianesimo femminista, che solleva ormai l’interrogativo: «quale Chiesa vogliamo?».
Tale cristianesimo critico è ben presto raggiunto e superato da un femminismo «radicale» (prima fase) che punta non già alla «promozione» delle donne quanto piuttosto alla loro «liberazione» nella Chiesa. Esso evidenzia e denuncia, coi più svariati toni fino all’insolenza provocatrice, il «maschilismo» della Chiesa, cioè un modo di concepire l’umanità (nel linguaggio, nella mentalità o nell’ideologia) che pone al centro il maschio, il che legittima le strutture ecclesiastiche «patriarcali»; di più, esso denuncia il «sessismo della Chiesa» (quella cattolica per prima), il suo «razzismo» e «colonialismo» intesi come componenti strutturali di un sistema sociale di dominio e di sfruttamento.
Nella cornice di tale femminismo, ma in posizione critica nei suoi confronti, si afferma un abbastanza ampio movimento d’opinione (femminismo cristiano moderato) che si propone come obiettivo non semplicemente quello limitato, espresso dallo slogan «il nostro posto nella Chiesa», ma quello globale condensabile in questa formula: «vogliamo una Chiesa tale in cui noi, uomini e donne e tutti gli altri esclusi, trovino significato e, di conseguenza, posto».
2.4. Configurarsi della teologia femminista
Il periodo postconciliare in esame vede la nascita di una «teologia femminista». Si passa da una teologia sulla o della donna in cui questa è «oggetto» di studio, a una teologia prodotta da donne in cui queste diventano «soggetti» che, a partire dalla propria esperienza di fede, elaborano una propria riflessione teologica, la quale presenta tre caratteristiche essenziali.
Anzitutto è una teologia critica che intende demolire la precedente teologia della donna per la sua vistosa impostazione androcentrica, dovuta al fatto di essere elaborata da soli teologi maschi (e per giunta chierici) — che peraltro non hanno mai pensato di sviluppare una corrispondente teologia dell’uomo o della maschilità! — e inoltre al suo acritico ricorso a schemi mentali e a simboli tipici della cultura patriarcale.
In secondo luogo vuole recepire le istanze complessive del neofemminismo socioculturale, cercando di rispondervi con una teologia «contestualizzata», elaborata cioè a partire dal vissuto femminile. Una teologia, quindi, non tanto sistematica quanto piuttosto per frammenti, una teologia non tanto accademica che argomenta a partire da concetti astratti, ma piuttosto narrativa che parte dal racconto partecipato e condiviso di esperienze per arrivare alla formulazione dell’esperienza religiosa, una teologia più della quaestio che non della lectio, una teologia del «processo» perché in piena evoluzione.
Infine si divarica secondo le diversificazioni del femminismo scelto, per cui ci si trova in presenza di una teologia femminista, che è una nella matrice e nell’obiettivo, e diversificata nelle vie e forme per raggiungerlo. Per quanto concerne la matrice, si parla di «sororità»: è l’essere insieme delle donne, inteso non solo come rapporto amicale piccoloborghese, ma specialmente come impegno in una comune militanza, spesso battagliera, in vista della liberazione della donna nella Chiesa. Questa sororità nasce dalla dura esperienza storica di sofferenze e oppressioni psicofisiche, d’infantilizzazione femminile e di invisibilità delle donne nelle strutture ecclesiastiche, causate dal maschilismo imperante nelle Chiese e nella società. In sede teorica, tale sororità è la molla per l’elaborazione di un sapere teologico contrapposto a una teologia bianca, maschile, patriarcale che è stata alla base della tradizione cristiana e presentata come unica legittima. Gli slogan «God she is black!» e «Pregate Dio, Ella vi esaudirà!» esprimono in modo provocatorio la critica radicale di questa teologia alla pretesa universalità di certa teologia androcentrica che, proiettando inconsapevolmente in Dio l’immagine del sesso egemone, lo fa garante di una società e di una Chiesa sessiste. In sede pratica, tale sororità è il catalizzatore per una Chiesa in cui le figlie di Dio non si sentano più a disagio, ma uguali per dignità e responsabilità, pur nella diversità: non più subordinazione discriminante, non più semplice presenza funzionale, ma reale reciprocità. Lo slogan provocatorio è: «Dio non ha solo figli maschi!».
Per quanto riguarda l’obiettivo, si parla di «uguaglianza nella diversità» compresa nel senso appena indicato. Per il suo raggiungimento, si prevede un intervento almeno in queste aree privilegiate:
— reinterpretare la Bibbia per liberarne il messaggio dalle culture patriarcali del tempo;
— rivisitare la Tradizione tanto patristica che scolastica per decodificarla dai suoi pesanti condizionamenti androcentrici e per riconcettualizzarla in rispondenza al messaggio evangelico rivisitato;
— tentare una rilettura al femminile della storia della salvezza in generale e del cristianesimo in particolare;
— riformulare i temi centrali della rivelazione in prospettiva femminista.
A proposito delle vie o forme seguite, tre meritano di essere qui recensite:
Una corrente radicale che postula il ritorno acritico alla pagana «religione della dea», la sola capace di fare superare alle donne gli inveterati complessi di inferiorità e di valorizzarne la ritrovata bellezza e forza e il recuperato potere. Tale corrente è rifiutata categoricamente dalle altre teologie femministe cristiane, perché cade nell’eccesso opposto al maschilismo che si vuole superare.
Una corrente pur essa radicale che oltrepassa il messaggio rivelato nel senso di non trarre più nessuna sicurezza dalla Bibbia (ancorché interpretata in modo non sessista), dalla storia e dalle strutture ecclesiastiche, e cerca ormai nelle possibilità del futuro e in una fede che nessuna creatura può togliere le nuove vie per esperire e descrivere la trascendenza e per realizzare la propria femminilità anche religiosa. Anche a prescindere dagli eccessi femministi nell’interpretazione della Bibbia e dalle intemperanze nell’affrontare questioni di teologia sistematica (linguaggio femminile su Dio, interpretazioni femministe in cristologia), il discorso di quest’ala radicale è ancora religioso, ma non più cristiano.
Una corrente moderata, che è anche la più diffusa e promettente e che annovera tra le sue file nomi conosciuti: in USA Rosemary Radford Ruether, Letty Russel ed Elisabeth Schussler Fiorenza; in Europa Elisabeth Moltmann-Wendel, Catharina Halkes e Marie Thérèse van Lunen Chenu, Cettina Militello. Ecco alcuni orientamenti generali riguardanti temi teologici centrali.
Si cerca di superare le espressioni maschili solitamente usate nel linguaggio umano su Dio [si parla di «morte di Dio Padre» come «distruzione dell’immagine alienata dell’egoismo maschile in cielo, che santifica tutti i rapporti di dominio» maschile in terra (Ruether)]. In tale intento si seguono due strade:
— si sottolinea come numerosi termini ebraici usati per designare Dio sono femminili — shekinah (dimora), torah (legge), hochmach (sapienza), ruach (spirito), dabar (parola-azione) — e si conclude a possibili e già bibliche «personificazioni femminili di Dio»;
— si valorizzano immagini scritturistiche tratte dall’esperienza femminile (tenerezza, pazienza, grembo e cura materna, partoriente, levatrice, padrona) che mettono in risalto gli «aspetti femminili» di Dio.
In sede di pneumatologia, si evidenzia che, all’interno della Trinità, lo Spirito Santo sarebbe la manifestazione femminile di Dio, in quanto ne manifesta l’agilità operativa, l’amore oblativo, come è stato intuito ad es. dalla tradizione orientale (P. Evdokimov) e si ritrova nel pensiero di vari mistici. La critica di fondo mossa a quest’impostazione del discorso su Dio e lo Spirito è quella di riprodurre sul versante femminista un’esagerazione avvenuta su quello maschilista, passando dalla prevaricazione maschile alla banalizzazione femminile dell’immagine di Dio che è il Tutt’Altro, pur essendo alla sorgente della persona umana, maschile e femminile, come tenta di spiegare l’attuale teologia simbolica o sapienziale (ad es. L. Boff e S. Dianich) reperibile nella stessa Mulìeris dignitatem. Per quanto riguarda la cristologia e la soteriologia, si contesta l’implicito fondamentalismo biblico che fonda l’a priori della «sessuologia teologica» presente nella riflessione classica, secondo cui la mascolinità di Gesù è portatrice di significati e valori salvifici e non un semplice dato di fatto. Si sottolinea che Cristo è il volto di Dio rivolto a noi e il salvatore del mondo non tanto come maschio (anér), ma come uomo (anthropos). Si evidenzia inoltre come nel suo comportamento Gesù abbia espresso in modo esemplare la sua maschilità rompendo con mentalità e atteggiamenti patriarcali: «In questo senso — scrive la Ruether — Gesù come il Cristo, il rappresentante dell’umanità liberata e della parola liberatrice di Dio, manifesta la kenosis del patriarcato».
In sede mariologica, si critica una teologia funzionale alla dominante cultura androcentrica, che mitizza in Maria i ruoli di vergine e madre. Si evidenzia invece il valore unico del sì personale che Ella diede al progetto divino sull’umanità.
A proposito dell’ecclesiologia, si pongono in luce, a livello biblico e di storia del cristianesimo, eventi (origine e sviluppi storici) e motivazioni (antropologia dei sessi, ministeri, celibato, clausura, legislazione canonica e liturgica...) che hanno prodotto il passaggio dalla libertà del vangelo a una Chiesa a struttura maschile, che presenta tuttora aspetti patologici. Inoltre si presta particolare attenzione alla possibilità, per le donne, di accedere ai ministeri ordinati.
In campo antropologico e etico, si recupera una personalizzazione della sessualità in opposizione alla sua brutalizzazione sessista, e la si comprende nella prospettiva della reciprocità tra persone, contraria sia alla doppia morale ipocrita del mondo borghese e sia alla liberazione sessuale proposta dal neofemminismo radicale.
2.5. Verso la reciprocità nella Chiesa e verso una teologia integrale
In corrispondenza alla seconda fase del neofemminismo, attorno agli anni ’80 ha inizio una nuova tappa caratterizzata da due orientamenti di massima.
2.5.1. Verso la reciprocità tra cristiani e cristiane nella Chiesa
In ambito ecclesiale, ai vari livelli, tra gli uomini come tra le donne cresce la consapevolezza che la questione femminile non riguarda solo le donne, ma solleva una questione maschile che interessa direttamente gli uomini. «Ogni cambiamento nella coscienza che le donne hanno di sé stesse — dichiara l’episcopato tedesco —, tocca nello stesso tempo anche gli uomini nel loro modo di intendere sé stessi. E un errore pensare che si tratti solo dei problemi delle donne o di una loro maggiore responsabilità e collaborazione. Si tratta invece della comune corresponsabilità e collaborazione paritaria di uomini e donne nella Chiesa. Di conseguenza gli uomini, i gruppi o le associazioni maschili non devono solo riflettere su questioni, problemi e possibilità di soluzione che riguardano le donne nella Chiesa e nella società, ma debbono nel contempo riconoscere la propria situazione e i propri problemi e scoprire possibilità di soluzione che facilitino la loro realizzazione personale in un rapporto paritario con la donna» (CET III 1.1). Tale prospettiva emerge ormai nell’esortazione apostolica Christifideles laici (p. 49-52).
In sintesi, la direzione di marcia, sempre più condivisa, è ormai quella della reciprocità tra uomini e donne nella Chiesa, ovvero quella della collaborazione e corresponsabilità paritaria tra gli uni e le altre in tutti i settori della vita e della missione ecclesiale, nel rispetto della vocazione di ciascuno.
2.5.2. Verso una teologia integrale e corale
Parallelamente a questo cambio di coscienza ecclesiale sta verificandosi un cambio di riflessione teologica integrale perché sensibile a ogni aspetto del mistero cristiano, e corale perché coinvolge teologi e teologhe.
Da parte di un crescente numero di teologi sensibili alle provocazioni delle teologie femministe vi è l’impegno per una ricerca condotta in dialogo con le teologhe, che liberi il messaggio cristiano dalle sue forme culturali androcentriche e lo riesprima in forme di linguaggio e di pensiero rispettosi della riscoperta uguaglianza nella diversità tra cristiani e cristiane.
Da parte della corrente moderata di teologhe femministe si è consapevoli di dovere, in un corretto rapporto dialogico con i teologi, non già elaborare una teologia femminile contrapposta a quella maschile, ma piuttosto correggere le unilateralità e integrare le lacune di questa, senza cadere nell’eccesso opposto. In breve, la direzione di marcia è quella della ricerca di una «teologia integrale» o dell’integralità o della mutualità: una teologia perseguita insieme, da uomini e donne, in cui tanto l’esperienza maschile quanto l’esperienza femminile di Dio trovino il loro spazio, senza prevaricazioni dell’una sull’altra, anche nel linguaggio e nelle tematizzazioni, dato che uomo e donna sono uguali di fronte al Dio Uno-Trino di Gesù Cristo, pur nelle differenziate appercezioni del suo mistero e della sua presenza operativa nella storia.
2.6. Problemi emergenti
Dalla pur rapida ricognizione fatta è possibile rilevare il perdurare di situazioni più o meno diffuse che fanno problema:
— il permanere ai vari livelli di mentalità e visioni androcentriche con ampi settori femminili ad esse inconsapevolmente acquiescenti;
— il volto tuttora marcatamente mascolino delle istituzioni ecclesiastiche in cui vengono elaborate le decisioni più importanti per la Chiesa universale e per le Chiese particolari: tale volto è solo parzialmente attenuato dalla presenza e collaborazione femminile;
— il perdurare di una legislazione canonica che pur avendo riconosciuto, nel codice rinnovato, i comuni diritti e doveri dei fedeli, uomini e donne, nella Chiesa (cf card. Castillo, in Salesianum 3-1986; Ghirlanda, in Civiltà cattolica 1983-11), tuttavia continuerebbe a presentare la donna cristiana come «né chierica», «né laica» (Marie Zimmermann, in Concilium 6-1985);
— il fatto che nei testi liturgici perdurano formulazioni (collette) tipizzazioni (sante solo o vergini o non vergini), scelta di passi biblici (figure di donne, uso dell’AT e del NT) rivelativi delle mentalità androcentriche delle fonti, che ormai sono palesemente inaccettabili (Marjorie Procter Smith, in Concilium 6-1985);
— il fatto che i contenuti della catechesi, della liturgia, dell’educazione cristiana e della stessa spiritualità sono stati e sono tuttora definiti e approfonditi da uomini secondo categorie culturali mascoline e stereotipi femminili insostenibili, nonostante i recenti apporti delle teologhe femministe.
L’insieme di questi problemi può essere riassunto così: «Donne: invisibili nella Chiesa e nella teologia» (cf Conclium 6-1985), nonostante la loro massiccia presenza e collaborazione «sommersa» nella comunità cristiana. Ciò va attribuito, fra l’altro, alle questioni (in vari ambienti ecclesiali ritenute tuttora irrisolte) della reintroduzione del diaconato femminile e dell’accesso delle donne al presbiterato.
3. Mete da raggiungere in ambito ecclesiale
Delineata a larghi tratti la situazione di uomini e donne nella Chiesa si impone, in una visione di futuro, l’indicazione di alcune mete generali il cui raggiungimento suppone palesemente tempi lunghi.
3.1. Una Chiesa rinnovata per un’effettiva reciprocità tra uomini e donne
Pur riconoscendo tutti i progressi fatti nel periodo postconciliare, tuttavia le dichiarazioni del Vaticano II (riprese e ribadite dai successivi sinodi e dai vari episcopati e recepite dal nuovo codice di diritto canonico) riguardanti l’uguaglianza degli uomini e delle donne, per quanto concerne i valori fondamentali e comuni a tutti i membri del popolo di Dio, la paritaria partecipazione all’apostolato, il diritto e il dovere di mettere a servizio della Chiesa e del mondo i carismi ricevuti dallo Spirito, resta ancora, in larga parte, una meta da raggiungere.
In effetti, il pieno ed effettivo riconoscimento di questa realtà ecclesiale da parte della totalità dei fedeli e dei pastori (sottolineo la totalità) e delle loro comunità richiede un tale cambio di mentalità negli uni come negli altri, che non può essere operato in tempi brevi. Per questo resta tuttora una meta da raggiungere che comporterà, purtroppo, tempi lunghi.
Un discorso analogo va fatto per la realizzazione, nelle comunità parrocchili, nelle Chiese locali e nella Chiesa universale, di una convivenza e collaborazione di egual valore e a pari titolo tra uomini e donne, sulla base del sacerdozio comune e dei liberi doni personali ricevuti dallo Spirito.
Come è emerso dalla recente storia in merito, occorre costruire comunità cristiane o rinnovarle in modo che, in esse, uomini e donne siano riconosciuti come membri attivi a pieno titolo e i loro rapporti siano caratterizzati dalla reciprocità, ossia dalla collaborazione e corresponsabilità paritaria in tutti i settori della vita e della missione ecclesiale, nel pieno riconoscimento della vocazione di ciascuno.
Più concretamente, occorre abbandonare inacettabili mentalità che idealizzano l’apporto delle donne nella Chiesa smobilitando gli uomini o, all’opposto lo sottovalutano o lo misconoscono per tutelare acquisite posizioni degli uomini. Occorre invece favorire l’emergere, in essa, di un’immagine rinnovata di uomini e di donne (e di religiose): quella di cristiani e cristiane adulte, pienamente corresponsabili nella vita e attività della comunità locale e universale, accettati e riconosciuti nella loro uguale dignità cristiana e valorizzati in modo paritario in ragione dei carismi e ministeri peculiari degli uni come delle altre. Faccio notare che non si tratta di un’immagine utopistica di supercristiani e supercristiane, ma di un’immagine assai concreta e reale, vicina all’esperienza quotidiana di non pochi cristiani e cristiane che si sono incamminati, con coraggio e saggezza, in tale strada aperta dal concilio, e che si sono impegnati ad accogliere l’azione dello Spirito nel qui-ora della loro storia di ogni giorno.
Il raggiungimento di questa meta generale implica la realizzazione di numerose altre, che meritano di essere rapidamente descritte.
3.2. Prioritaria formazione delle coscienze
Come in ambito sociale, così in quello ecclesiale la formazione delle coscienze, che sia generalizzata e abbia carattere di continuità, è il compito più importante. Non è possibile produrre il segnalato cambio nella prassi religiosa cristiana ed ecclesiale solo mediante pronunciamenti del magistero, o una rinnovata legislazione canonica e interventi autorevoli: senza dubbio, tutto questo è necessario e importante, ma insufficiente a rinnovare in profondità mentalità e prassi radicate e variamente refrattarie ai cambi ecclesiali promossi dal Vaticano II e richiesti dalla situazione descritta.
Tenuto conto dei criteri ecclesiologici evangelici e conciliari, tali cambiamenti di mentalità (da concepire in una prospettiva di liberazione evangelica) interessano direttamente sia gli uomini che le donne, vanno operati congiuntamente dagli uni e dalle altre e riguardano in modo speciale:
— la progressiva eliminazione di mentalità androcentriche e ginocentriche (queste ultime presenti specialmente in alcune correnti femministe);
— il superamento di inaccettabili comprensioni della collaborazione delle donne alla vita e alla missione della Chiesa e, precisamente il concepirla in termini di semplice supplenza per mancanza di forze apostoliche maschili, oppure di presenza attiva ma subordinata a una leadership maschile, od ancora di responsabilità limitata, perché sottoposta alla tutela del clero;
— la rimozione di pregiudizi e di diverse forme di diffidenza e di resistenza, rilevabili anche negli stessi ambienti femminili, nei confronti delle cristiane e delle religiose che svolgono ministeri ecclesiali, per il semplice fatto che sono donne;
— il superamento di atteggiamenti di insicurezza che caratterizzano spesso i rapporti di collaborazione tra uomini e donne responsabili, ai vari livelli, e i connessi comportamenti come sono, ad es. certe prese di distanza, carente stima e fiducia vicendevoli, pregiudizi antifemministi o antimaschilisti.
In termini positivi, occorre intraprendere un’azione educatrice a tutti i livelli della vita ecclesiale (e specialmente nei confronti delle nuove generazioni di candidati al sacerdozio, di religiosi e di religiose) diretta alla formazione di mentalità che recepiscano in profondità la novità del messaggio evangelico sulla reciprocità tra cristiani e cristiane nella Chiesa, in modo da favorire il sincero dialogo e rapporti di serena e franca collaborazione in parità tra gli uni e le altre in tutti i settori della vita e della missione della comunità cristiana, assieme al pieno riconoscimento delle vocazioni personali.
3.3. Sincero riconoscimento dei ministeri ecclesiali delle donne
Al di là di quanto è oggi riconosciuto dal codice rinnovato e in vista di una legislazione ecclesiastica migliorata, è possibile segnalare alcune mete a cui puntare in quest’area, facendo riferimento ai criteri ecclesiologici emersi nell’attuale seria rivisitazione del messaggio biblico e della storia del cristianesimo.
— Innanzi tutto occorre raggiungere un sincero e generale riconoscimento, nella vita vissuta e nella legislazione delle Chiese particolari, dei ministeri ecclesiali oggi esercitati di fatto dalle donne e dalle religiose, con particolare riferimento a quelli più qualificati e impegnativi come la predicazione, l’insegnamento della religione, la catechesi comunitaria, l’animazione liturgica, la formazione degli adulti e la pastorale giovanile, la ricerca e l’insegnamento universitario delle discipline teologiche.
— In secondo luogo, occorre far sì che pastori e fedeli si impegnino perché, a raggio locale e universale, le donne vengano ammesse a tutti i ministeri possibili da un punto di vista teologico, appropriati alla loro qualifica femminile (criticamente compresa e configurata) e necessari o utili sul piano pastorale (cf CET III 1). In questo ambito, i criteri da seguire sono quelli dell’idoneità vocazionale (ogni ministero suppone un libero dono dello Spirito), della disponibilità delle persone e delle giuste esigenze delle comunità. La distinzione di sesso suggerisce giustamente una differenziazione di tali ministeri (in larga parte da reinventare), in modo che siano espressione significativa della diversa qualifica maschile e femminile.
— In terzo luogo, è auspicabile che la reintroduzione del diaconato delle donne trovi una risposta positiva e un’accoglienza generosa, e sia accompagnata dalla volontà politica di garantire a tale ministero ampie possibilità di realizzazione: occorre infatti non semplicemente riesumare anacronistici modelli del passato, ma creare nuove forme, ispirandosi alle indicazioni del cristianesimo primitivo e della successiva tradizione.
3.4. Accesso delle donne a incarichi direttivi e a organismi decisionali
Un’altra meta generale da perseguire, superando diffidenze e resistenze, è quella di rendere effettivo l’accesso delle donne e delle religiose a lavori autonomi e responsabili, a incarichi direttivi e a organismi decisionali ai vari livelli (supposta ovviamente la loro idoneità e adeguata qualificazione). Tutto questo con un trattamento paritario rispetto agli uomini e con un potere non solo consultivo ma anche deliberativo.
Evidentemente la loro partecipazione, con voto deliberativo, a tali organismi (ivi compresi i sinodi diocesani o interdiocesani, le assemblee episcopali, la curia romana, il concilio ecumenico) avverrebbe alla pari con gli altri laici e, quindi, sulla base della loro vocazione battesimale e dei loro carismi particolari, non quindi in forza dell’Ordine sacro come avviene per i vescovi e per gli altri membri della gerarchia.
Questo discorso vale in modo particolare per le religiose, in quanto portatrici di un carisma comunitario riconosciuto dalla Chiesa e particolarmente valorizzato dal Vaticano II. Questa meta potrà forse apparire più che coraggiosa, temeraria; tuttavia essa è in linea con sicure indicazioni del cristianesimo apostolico e postapostolico e sembra sia l’unica pienamente coerente con la legge della comunione e della corresponsabilità costitutiva della Chiesa; l’unica inoltre capace di valorizzare debitamente i diritti inerenti al battesimo e alla cresima e ai personali carismi liberamente distribuiti dallo Spirito.
3.5. Serio confronto dei religiosi e delle religiose con questa problematica
In ragione della loro peculiare collocazione nella vita e missione della Chiesa, e della loro particolare testimonianza e del loro specifico servizio a determinati settori dell’umanità, i religiosi e le religiose sono interpellati, in modo speciale, dall’attuale mutata situazione di uomini e donne nella società e nella comunità cristiana. Chiamati a essere credibili centri di rinnovamento cristiano ed ecclesiale, sono pure sollecitati in modo particolare a dare coraggiose e creative risposte, in fedeltà dinamica ai propri fondatori e fondatrici, ai problemi emergenti da tale situazione. Si impone loro un serio confronto con essa in rapporto alla propria condizione. Ciò richiederà necessariamente cambi (probabilmente assai profondi) di mentalità: molti religiosi ritengono erroneamente che si tratti solamente di problemi delle donne che, in fondo, non li toccano più di tanto!; molte religiose sono dell’idea che la questione femminile non le coinvolga personalmente, essendo esse religiose!
Ciò comporterà pure cambi (anche qui piuttosto radicali) di comportamento operativo tanto all’interno dei loro istituti quanto nella loro differenziata partecipazione all’azione ecclesiale e all’opera evangelizzatrice. Anche per essi è in giuoco un illuminato rinnovamento delia propria identità religiosa ed apostolica.
3.6. Rinnovamento della catechesi, della liturgia, dell’educazione, della spiritualità e del sapere teologico
Come si è notato (n. 2.6), i contenuti della catechesi, della liturgia, dell’educazione cristiana e della stessa spiritualità risentono tuttora (nonostante tutti i progressi fatti) di culture androcentriche, propongono stereotipi maschili e femminili insostenibili, sono espressi in linguaggi fondatamente criticati. Un loro rinnovamento nella linea della reciprocità tra uomini e donne nella società e nella Chiesa esige (come è facile intravedere da tutta l’esposizione fatta) un’impresa tutt’altro che semplice e facile: potrà essere portata a termine, in modo soddisfacente, solo in tempi lunghi.
Un discorso analogo va fatto per la realizzazione di una riflessione integrale e corale tra teologi e teologhe in tutti gli ambiti del sapere teologico, nel senso spiegato.
4. Indicazioni strategiche
Tentata un’analisi valutativa della situazione e identificate le mete a lungo termine da perseguire, restano da tracciare alcune linee di strategia da tener presenti nel cammino che conduce dall’attuale situazione al raggiungimento delle mete segnalate.
La distanza tra situazione data e mete fissate (l’una e le altre da verificare in loco) non è poca. Sarebbe ingenuo credere che la si possa colmare facilmente e comunque. Tale impresa esige un discorso strategico impegnativo e non facile, che sovente è disatteso, specialmente nell’azione concreta.
Ciò provoca fenomeni di fuga in avanti o, all’opposto, di resistenza al cambio: è la polarizzazione che divide oggi, anche su questa questione, non poche comunità ecclesiali. Alla radice vi è, tra l’altro, una carente riflessione realista, che premunisca dal massimalismo inconcludente e da fenomeni reazionari di restaurazione o di acquiescenza più o meno cieca allo status quo.
Consapevoli dell’importanza di tale riflessione strategica, si offrono qui alcune indicazioni di massima riguardanti congiuntamente l’ambito sociale e quello ecclesiale, perché ugualmente validi per l’uno e per l’altro.
4.1. Gli operatori del cambio
4.1.1. Uomini e donne protagonisti insieme del cambio
A chi spetta operare il migliormento della situazione analizzata con il raggiungimento delle mete indicate? Solo alle donne? Anche agli uomini? In che senso o in che modo? Dall’esposto fatto, appare ormai chiara la risposta a tali interrogativi: spetta agli uomini e alle donne, presi sia singolarmente e come categorie distinte formate rispettivamente dagli uni e dalle altre, sia congiuntamente gli uni assieme alle altre.
Ciò è postulato dalla realtà effettuale della situazione in cui sono coinvolti totalmente e insieme uomini e donne, cristiani e cristiane; inoltre dalla meta generale da raggiungere che è appunto l’uguaglianza nella diversità e la collaborazione in parità tra gli uni e le altre nella società e nella Chiesa; e infine dal criterio della reciprocità nella diversità.
La pratica attuazione di questo orientamento comporta, però, il superamento di altre strategie impiegate in passato e tutt’oggi, inconsapevolmente o riflessamente.
Quella che parte dal presupposto, tacito o dichiarato, secondo cui la questione riguarda solo le donne, per cui spetta soltanto ad esse risolverla. Ed invece, come si è dimostrato, la questione tocca direttamente gli uomini e, precisamente, una società e una Chiesa plasmate da loro e caratterizzate da culture androcentriche da cambiare nel senso precedentemente indicato.
Quella che parte dalla convinzione secondo cui si tratta in sostanza di una questione femminile la cui soluzione, però, esige l’intervento degli uomini, inteso come promozione della donna o come liberazione della donna dalla loro condizione di inferiorità o di discriminazione o di ingiusta dipendenza. Ed invece, come si è costatato, la questione ringuarda inseparabilmente il dominante status socioculturale e religioso-ecclesiale degli uomini, per cui gli uomini stessi vanno da esso liberati nella misura in cui è discriminante per le donne e, in tale modo, loro stessi vanno promossi a una migliore qualità di vita umana e cristiana, perché più rispettosa dell’uguaglianza nella diversità e della reciprocità tra uomini e donne nella società, tra cristiani e cristiane nella Chiesa.
Accertato che spetta agli uni e alle altre, come protagonisti alla pari, operare il cambio prospettato, va aggiunto che, data la loro differente situazione e qualifica, alcuni compiti sono peculiari delle donne e altri degli uomini.
4.1.2. Compiti specifici delle donne
Ogni sviluppo, ogni progresso umano e cristiano, per essere autentico e duraturo, deve essere il frutto dell’impegno personale. Ne consegue che è compito specifico e responsabilità indeclinabile delle donne cambiare la situazione attuale, nella misura in cui le discrimina o comunque le colloca in posizione svantaggevole; è loro compito peculiare e responsabilità non delegabile conseguire le mete della reciprocità e della pari collaborazione, sviluppando le proprie capacità e conseguendo qualifiche appropriate alle doti e disponibilità personali. L’apporto femminile in tutto questo è specifico e insostituibile. Un’opera in favore del mondo femminile condotta avanti prevalentemente dagli uomini rischia di essere, già di per sé stessa, né promozionale né liberante per le donne, perché queste verrebbero a trovarsi nella situazione di chi è beneficiato e non di chi assume in prima persona la responsabilità della propria realizzazione e la raggiunge con l’impegno personale.
La pratica attuazione dell’impegno indicato, tra l’altro, richiederà dalle donne di essere criticamente attente di fronte a pur lodevoli iniziative degli uomini, quando queste le sollevano da loro irrinunciabili compiti. Richiederà inoltre da loro di essere disponibili ad abbandonare posizioni di privilegio e coraggiose nel rinunciare ad alcune comodità del loro status sociale, nella misura in cui le ostacolano nell’assumere indeclinabili impegni personali e nuove responsabilità, richieste ad es. da modi più flessibili di distribuzione dei compiti nella famiglia, nella professione, nella società e nella Chiesa.
4.1.3. Compiti specifici degli uomini
È compito specifico degli uomini eliminare da sé stessi mentalità maschiliste, cambiare culture androcentriche, modificare sistemi sociali ed ecclesiali plasmati e dominati da loro, accogliendo e favorendo l’apporto del mondo femminile, al fine di raggiungere, nella società e nella Chiesa le mete descritte. Ciò richiederà da loro di essere intelligentemente critici nei confronti di quanto fanno per migliorare la situazione in esame, perché la loro azione non risulti, in ultima analisi, espressione aggiornata (forse inconsapevole ma non per questo accettabile) della loro predominante posizione socioculturale e religioso-ecclesiale, e un nuovo modo per consolidarla nell’atto stesso di volere risolvere la cosiddetta questione femminile.
Ciò richiederà anche da loro di rinunciare a posizioni privilegiate in ambito familiare, sociale ed ecclesiale e di assumere nuove responsabilità richieste ad es. da una più flessibile ripartizione di compiti in tali settori.
4.2. I referenti del cambio
Siccome la situazione esaminata e le mete prospettate riguardano tutti, uomini e donne, i referenti del cambio di tale situazione sono tutti: gli uomini come le donne, di tutte le età, di tutti i ceti e a tutti i livelli di autorità; inoltre tutte le istituzioni sociali ed ecclesiali in cui tale situazione si trova di fatto strutturata.
Nei confronti degli adulti occorrerà fare in modo che la loro formazione continuata contempli espressamente, con modalità a loro appropriate, la problematica in esame.
Nei confronti delle giovani generazioni occorrerà far sì che la loro educazione iniziale sia ormai impostata tenendo conto della situazione descritta e dei traguardi a lunga scadenza individuati, e i contenuti di essa siano ormai quelli di un aggiornato umanesimo cristiano inteso nel senso spiegato.
Le istituzioni implicate nel cambio sono tanto quelle civili, quindi, la famiglia, la scuola, il mondo del lavoro e delle professioni, i centri culturali, le strutture economiche e politiche, quanto quelle ecclesiali, quindi, le diocesi, le parrocchie, le famiglie cristiane, i gruppi giovanili, le associazioni, i movimenti, le scuole cattoliche... e tutti gli organismi ecclesiali con compiti di studio, di direzione e di programmazione come sono ad es. i consigli presbiterali e pastorali ai vari livelli, le conferenze episcopali, le conferenze dei religiosi e delle religiose, le consulte per l’apostolato, i sinodi, le curie ai vari livelli, i dicasteri romani.
Essendo lo status degli uomini e delle donne incarnato in tali strutture sociali ed ecclesiali, sarebbe votata a sicuro fallimento ogni azione che si limitasse a raggiungere singole persone e non tali istituzioni che collegano gli individui tra loro e sovente li condizionano pesantemente.
4.3. Modalità di cambio
Storicamente i modi e gli atteggiamenti con cui si è tentato di risolvere la complessa problematica descritta sono stati parecchi e identificati con alcune parole chiave: rivendicazione, emancipazione, critica, lotta, contrapposizione, promozione, liberazione, reciprocità, collaborazione in parità. Alcuni di essi si sono rivelati insufficienti e sono comunque criticabili o inaccettabili; altri, invece, sono più adeguati alla situazione data e più conformi alle mete desiderate e indubbiamente da preferire.
4.3.1. Atteggiamenti e interventi criticabili
Tra gli atteggiamenti e interventi criticabili e, quindi, da evitare si possono annoverare i seguenti:
— Quelli ispirati dalla semplice recriminazione per molteplici forme discriminanti oppressive o meno rispettose della realtà femminile: anche se giustificate e spiegabili, tali recriminazioni si rivelano a lungo andare inconcludenti, quando non proprio controproducenti nella misura in cui indispongono anche coloro che vorrebbero o potrebbero offrire un aiuto.
— Quelli animati dalla sola rivendicazione dei propri diritti: anche se in alcuni paesi si impone tuttora l’emancipazione delle donne nel senso storico del termine, ciò tuttavia non può essere perseguito come obiettivo a sé stante, perché è inadeguato come la storia secolare del femminismo ha ampiamente dimostrato.
— Quelli improntati a critica demolitrice o a contrapposizione spietata o a lotta continua nella linea di certo femminismo socioculturale del passato e del recente neofemminismo radicale o prima fase: se, per alcuni versi, tali atteggiamenti hanno scosso l’opinione pubblica e ne hanno richiamato l’attenzione sul problema, per altri versi, si sono dimostrati non soltanto insufficienti, ma controproducenti in quanto hanno provocato opposti atteggiamenti di irrigidimento nei confronti di un auspicabile cambio o di paura e di difesa (atteggiamenti questi riscontrabili ad es. nel femminismo cristiano dell’inizio del secolo e del periodo del postconcilio).
— Quelli puramente tattici diretti a fare raggiungere alle donne alcuni traguardi con il ricorso a espedienti più o meno furbeschi, tipici del mondo dei subalterni: un’adeguata soluzione della problematica in esame implica, come s’è visto, profondi cambi di mentalità, che non possono essere operati con sole mosse tattiche, per altro utili e consigliabili per far fronte a situazioni di pesante svantaggio o piuttosto gravi e diversamente non rimediabili.
4.3.2. Atteggiamenti e interventi preferibili
Tra gli atteggiamenti e interventi più adeguati e, quindi, preferibili meritano di essere espressamente ricordati i seguenti:
— Quelli che sono diretti a fare maturare le coscienze, illuminandole sulla situazione e invogliandole a orientare la propria azione verso le mete di una più degna qualità di vita per gli uomini come per le donne: quindi, accogliere realisticamente le persone così come sono al fine di aiutarle, con la necessaria pazienza e la dovuta costanza, a divenire come dovrebbero essere; valutare dovutamente quanto di positivo è rilevabile nella realtà sociale ed ecclesiale; condurre una critica serena, intelligente e motivata nei confronti di situazioni e istituzioni debitamente analizzate e valutate, al fine di migliorarle; illuminare convenientemente sulle mete da raggiungere e sulle strategie da seguire: cambiamenti non profondamente radicati nelle coscienze rischierebbero di essere superficiali, temporanei e non certo promettenti.
— Quelli che sono ispirati da senso di concretezza e cioè dall’aderenza alle situazioni delle persone e degli ambienti: tale concretezza deve guidare nella diagnosi della congiuntura locale attinente la questione maschile e femminile, nella definizione degli obiettivi a breve e a lungo termine, nella determinazione dell’intera strategia, prestando particolare attenzione alle ragioni dei risultati ottenuti e alle cause degli eventuali insuccessi subiti.
— Quelli che sono suggeriti dal principio della gradualità: non è pensabile di potere realisticamente cambiare l’attuale situazione in tempi brevi e in modo generalizzato. Occorrerà allora seguire la pedagogia divina: essa prevede inizi semplici e modesti, ma capaci, per dinamica interna, di imporsi progressivamente. Si pensi, nell’AT, a Noè, ai patriarchi e ai profeti, allo stesso popolo d’Israele, piccolo rispetto ad altri popoli; si pensi, nel NT, all’opera del Signore Gesù e alle origini della Chiesa; si pensi, nella storia del cristianesimo, ai fondatori e alle fondatrici di innumerevoli istituzioni ecclesiali. Tradotta in termini sociologici, tale pedagogia divina consiste essenzialmente nel puntare in maniera prioritaria sulla sensibilizzazione e formazione di leaders, che siano come il lievito nella massa. Ci si dovrà premunire, di conseguenza, da tentazioni massimaliste (volere raggiungere, con facilità e in tempi brevi, risultati spettacolari) e da atteggiamenti rinunciatari di disimpegno o di sfiducia per eventuali e immancabili difficoltà, remore, o per la modestia dei risultati ottenuti.
— Quelli che sono animati da costanza nella duttilità: la costanza, perché il cammino da percorrere è lungo e non facile, anzi irto di difficoltà. La duttilità, perché le situazioni evolvono a volte rapidamente, perché bisogna sapere cogliere nuove possibilità e opportunità e superare ostacoli imprevisti o nuove forme di emarginazione e oppressione. L’intera operazione di rinnovamento sociale culturale ed ecclesiale nella direzione segnalata esige creatività pastorale e fantasia d’azione.
— Quelli che sono ispirati da critica e illuminata volontà di compiere opera promozionale e liberante per le donne come per gli uomini, nei sensi accettabili spiegati, e che pongono in opera concretamente tentativi di serena e franca collaborazione paritaria tra gli uni e le altre in sintonia con le mete da raggiungere.
4.3.3. Punti nevralgici
L’azione ecclesiale e pastorale deve prendere in particolare considerazione alcuni punti nevralgici, dai quali dipende in massima parte il buon esito di ogni iniziativa. Mi paiono rilevanti i seguenti.
1. La sensibilizzazione in famiglia, nella scuola e nell’ambiente di lavoro. Per essere migliorata, l’attuale situazione variamente discriminante o svantaggiosa per il mondo femminile abbisogna di un nuovo tipo di educazione. Occorre allora iniziare col rivedere l’intervento educativo solitamente impartito in famiglia e nella scuola. Vanno cambiati tutti i rapporti educativi che, a partire dalla prima infanzia su su fino alla fanciullezza e all’adolescenza tendono a creare nelle bambine, nelle fanciulle e nelle adolescenti sensibilità, atteggiamenti e comportamenti variamente subordinati nei confronti dei bambini, dei ragazzi e degli adolescenti e, viceversa, a radicare in questi ultimi, mentalità, atteggiamenti e comportamenti dominanti rispetto al mondo femminile. Il discorso educativo deve tendere, invece, a sviluppare le capacità di tutti indistintamente dei ragazzi come delle ragazze, e a usare un trattamento paritario delle differenziazioni sessuali; deve inoltre tendere a far assumere atteggiamenti e comportamenti di vicendevole rispetto e stima e di mutua collaborazione alla pari, fra gli uni e le altre. Solo a questa condizione è realistico sperare la progressiva eliminazione di attuali situazioni discriminanti per le donne, dovute in larghissima parte a sistemi educativi segnati da culture mascoline.
2. La testimonianza personale. Vanno sottolineate l’importanza unica e l’efficacia sicura del contatto personale e della coscientizzazione spontanea e contagiosa inerente alla testimonianza globale della propria vita. Ciò si manifesta, in particolare, nella capacità di ascolto assieme al saper prendere la parola superando atteggiamenti prevalentemente recettivi (cosi frequenti nelle donne e anch’essi espressione della loro condizione subordinata), senza tuttavia sconfinare in at-
teggiamenti emotivi o puramente reattivi; nel sapere valutare realisticamente persone, situazioni e avvenimenti nei loro risvolti positivi e negativi; nel sapere prospettare con coraggio e saggezza possibili traguardi per cui vale la pena impegnarsi; soprattutto nell’improntare il proprio modo di fare e di dire alla rinnovata consapevolezza dei valori in giuoco: l’uguaglianza nella diversità, la collaborazione e la responsabilità alla pari tra uomini e donne, tra cristiani e cristiane.
3. La vita dei gruppi, dei movimenti, delle associazioni, delle comunità ecclesiali di base. La storia recente ha mostrato all’evidenza il ruolo rilevante esercitato da tali istituzioni nella soluzione di problemi educativi, assistenziali, sociali, culturali e religiosi del mondo femminile: la cosiddetta «pastorale delle donne».
Le associazioni femminili cattoliche hanno espresso figure note o meno note di donne e di cristiane, che hanno saputo assumere e svolgere con esiti positivi ruoli non unicamente subordinati ma dirigenziali e di notevole responsabilità; inoltre hanno contribuito in maniera essenziale a far sì che le cristiane prestassero un valido servizio nella società e nella Chiesa a partire dalla loro fede. Occorre progredire in tale direzione confrontandosi criticamente e costruttivamente con l’attuale mutata situazione e puntare a fare in modo che le cristiane sfruttino appieno le nuove possibilità derivanti dalla mutata congiuntura, oggi per loro più favorevole rispetto a un recente passato.
Le forme associative cristiane e cattoliche che annoverano tra i loro appartenenti sia gli uomini che le donne possono offrire un contributo esemplare nel realizzare rapporti paritari tra uomini e donne, se affrontano i comuni problemi e interessi, più volte ricordati, e promuovono la collaborazione piena e a pari titolo tra gli uni e le altre, ad es. anche negli organismi di presidenza.
4. Gli organismi ecclesiali permanenti o periodici. I consigli pastorali ai vari livelli, le consulte, e innumerevoli altre forme ecclesiali di incontro (riunioni, convegni, congressi...) sono luoghi importanti al fine della sensibilizzazione e dell’elaborazione di orientamenti e di direttive per l’azione pastorale della comunità cristiana. Dovrebbe essere ormai cosa normale e acquisita che donne cristiane e religiose vi partecipino con la possibilità di prendervi la parola in maniera qualificata e di svolgervi incarichi direttivi. In ogni caso occore muoversi in tale direzione, con iniziative ormai collaudate che coinvolgano sia separatamente solo donne o solo uomini, sia congiuntamente cristiani e cristiane.
5. Gli strumenti della comunicazione sociale. Una vasta letteratura e non poche inchieste sociologiche hanno messo in luce, assieme a innegabili apporti positivi, anche palesi influssi negativi di tali strumenti creativi di una cultura di massa.
Essi continuano, in larga parte, a trasmettere e a consolidare stereotipi maschili e femminili assolutamente inaccettabili, perché lesivi della dignità dell’essere umano; a perpetuare culture marcatamente androcentriche del passato e tuttora vigenti; a spingere verso molteplici criticabili forme di mimetismo e assimilazione dei sessi.
D’altro lato si mostrano, almeno in parte, sensibili alle nuove esigenze di una società e di una Chiesa incamminate verso la recezione dei valori della parità nella diversità e della reciprocità tra i sessi.
Atteso l’influsso indiscutibile di tale cultura di massa, non occorre spendere molte parole per sottolineare l’urgenza di un’educazione critica dei recettori nell’uso di tali strumenti e, inoltre, di un intelligente e costante ricorso ad essi per trasmettere i valori ricordati, per offrire simboli maschili e femminili rispettosi della dignità degli uomini come delle donne, per prospettare forme culturali caratterizzate dalla mutualità in parità tra gli uni e le altre.
4.4. Obiettivi a medio termine
In una riflessione di tipo generale e a raggio internazionale come quella fin qui prodotta, non è possibile definire obiettivi a breve termine (un impegno questo da attuare sul posto, a livello infraparrocchiale, parrocchiale e diocesano).
È invece possibile delimitare alcuni obiettivi maggiori a medio termine, che sono d’interesse generale. Sono in sostanza quelli suggeriti dalla commissione pontificia per l’anno internazionale della donna: a distanza di quindici anni restano tuttora attuali e bisognosi di più vasta e incisiva attuazione.
4.4.1. L ’ambito sociale
In ambito sociale, l’intervento pastorale dovrebbe continuare a perseguire i seguenti obiettivi:
— sostenere in modo appropriato le opportune iniziative prese dai governi o da organismi nazionali per l’attuazione degli orientamenti e delle direttive positive man mano emanate dall’ONU sulla questione attinente i rapporti tra uomini e donne nella famiglia, nella società, nella cultura, nell’economia, nella politica, nell’impegno per la pace e per la tutela dell’ambiente;
— favorire, nella misura del possibile, una partecipazione cristiana competente e ben preparata nei vari organismi nazionali e regionali (comitati, commissioni, consulte, delegazioni a congressi...) con incarichi di studio, di animazione e di orientamento sulla tematica in esame;
— sostenere gli sforzi compiuti per trasformare il diritto civile secondo il pensiero cristiano per quanto riguarda, in particolare, la condizione femminile: per es. diritto familiare, diritto al lavoro, diritto alla cultura, lotta contro l’aborto, la violenza, la prostituzione...
4.4.2. L’ambito ecclesiale
In ambito intraecclesiale, l’intervento pastorale dovrebbe continuare a perseguire specialmente i seguenti obiettivi a medio termine:
— promuovere un’azione educatrice autenticamente umana e cristiana, che favorisca schietti e sereni rapporti di collaborazione paritaria tra uomini e donne nell’opera evangelizzatrice e a livello di effettive responsabilità ecclesiali;
— assicurare ai membri del clero una formazione che li abiliti a ben comprendere le diverse vocazioni cristiane delle donne e ad assumere con esse una franca collaborazione nei vari settori dell’apostolato;
— garantire alle donne una solida e appropriata educazione alla fede (formazione spirituale, dottrinale e pastorale) che consenta loro di partecipare secondo le proprie capacità, a pari titolo e con uguale valore rispetto agli uomini, all’opera di evangelizzazione;
— svolgere opera positiva perché un crescente numero di cristiane possano occupare posizioni di rilievo in tutti i settori ecclesiali. Quindi, la progressiva e allargata partecipazione di donne competenti in posti di responsabilità riconosciuta in seno agli organismi delle conferenze episcopali, alle curie diocesane. Tale «opera positiva» va attuata non per via di semplici agevolazioni o di intelligenti accorgimenti (che non vanno sottovalutati), ma favorendo la qualificazione delle persone capaci e disponibili. Un cambio profondo di mentalità e, quindi, della situazione generale e locale, non può avvenire automaticamente con la semplice aumentata presenza numerica di donne in detti organismi maggiormente influenti nei vari settori della vita ecclesiale. Lo si può, invece, ragionevolmente attendere solo da una aumentata presenza in essi di cristiane e religiose qualificate, capaci cioè di essere operatrici di rinnovamento;
— favorire con adeguate misure: l’apporto originale di donne cristiane negli studi religiosi superiori; l’elaborazione di un’antropologia cristiana della donna fatta da filosofe e teologhe; la formulazione dei contenuti della catechesi riguardanti la donna, fatta da catechete; una partecipazione ampliata e qualificata di cristiane e di religiose nell’intera programmazione pastorale, ai diversi livelli, in vista di una riflessione e azione pastorale sia comune agli uomini, sia specifica delle donne: a questo proposito sarebbe auspicabile che i diversi piani pastorali diocesani regionali nazionali prevedessero un discorso specifico sull’argomento in esame; l’elaborazione di una spiritualità cristiana attenta ai valori propri della donna, e l’elaborazione di spiritualità specifica di sante di ordini e congregazioni femminili, compiuta secondo i più aggiornati e accreditati modelli storiografici.
Bibliografia
1. Bollettini bibliografici:
The woman in the Church. La femme dans l’Eglise. Bibliographie internationale 1975-1982 - 1982-1984 (Ceràie Strasburg 198) 100 p + 100 p.
2. Documenti ecclesiali:
Concilio Vaticano II, LG cap. II e IV; AA per intero; GS per intero; Giovanni Paolo II, Familiaris consortio 22-25, Mulieris dignitatem, Christifideles laici 49-52; III Conferencia General del Episcopado Latinoamericano, Documenti di Puebla 126, 317, 419, 443, 834-836, 839-849, 1134, 1174, 1219; Conferenza Episcopale Tedesca, Dichiarazione sulla «condizione della donna nella Chiesa e nella società» del 21.09.81, in Regno Documenti 1-82, 37-44; Conferenza Episcopale Statunitense, Socie nel mistero della redenzione (di prossima pubblicazione).
3. Monografie recenti:
Quelle indicate alla voce Donna-Uomo (nella società). Inoltre: Aubert J.-M., La donna: antifemminismo e cristianesimo; Aa.Vv., Le donne nella Chiesa, in Concilium (1-1976); Pontificio Consiglio per i Laici, La Chiesa e l’anno internazionale della donna (Città del Vaticano 1977); Hunt M. - Gibellini R. (a cura), La sfida del femminismo alla teologia (Queriniana, Brescia 1980); Aa.Vv., Le donne in una Chiesa maschile?, in Concilium (4-1980); Centro Italiano Femminile (a cura), Verso una società con la donna (UECI, Roma 1981); Aa.Vv., Donne: invisibili nella teologia e nella Chiesa, in Concilium (6-1985); Garruli Bellenzier M. T. - Morra S. - Di Nicola G. P. - Vanzan P., La donna nella Chiesa e nella società (Ave, Roma 1986).