DIACONIA – CARITÀ

 

DIACONIA – CARITÀ

Nella sua accezione più ampia, D. o servizio può indicare, in forma onniinclusiva, la spiritualità e la missione dei cristiani. Con essa si designa difatti un tratto essenziale dei discepoli del Cristo, che è venuto “non ad essere servito ma a servire” (Mc​​ 10,45), e anche la missione stessa della Chiesa, che si è dichiarata nel Vaticano II “serva dell’umanità” (cf Discorso di Paolo VI, 7-12-1965). Qui però, parlando di D. e di​​ carità,​​ si intende quella specifica funzione ecclesiale che si manifesta nelle forme svariate di amore al prossimo e di servizio, e che solitamente viene distinta dal ministero o servizio della parola (funzione profetica), e dalla funzione “sacerdotale” del culto e della celebrazione (liturgia).

1.​​ L’esercizio della D. o carità ecclesiale prende forme molto varie: beneficenza, solidarietà, aiuto, assistenza, azione sociale, educazione, promozione umana, volontariato, animazione, impegno e partecipazione politica, ecc. In una prospettiva storica, è possibile seguire l’evolversi delle diverse “incarnazioni” o concretizzazioni della carità cristiana lungo i secoli: dalla condivisione dei beni (cf​​ At​​ 2,44) alle opere di misericordia, dalle organizzazioni per l’assistenza ai bisognosi alle istituzioni educative e promozionali dell’età moderna, ecc. L’epoca contemporanea poi sta apportando nuove istanze e accenti e configurando in modo nuovo il volto della D. dei cristiani, come attesta lo sviluppo della dottrina sociale del magistero della Chiesa e soprattutto le nuove prospettive aperte dal Concilio (GS) e dalle successive prese di posizione all’interno della Chiesa, sia a livello mondiale che locale.

Ih termini generali, si può dire che assistiamo al passaggio da una concezione prevalentemente individualistica e assistenziale della pratica della carità a una visione più sociale e strutturale, più attenta alla ricerca delle​​ cause​​ dei mali da combattere, più impegnata a livello sociale e politico, più preoccupata di tradursi in prassi storica di trasformazione e promozione. Termini programmatici come liberazione, promozione integrale dell’uomo, impegno per la giustizia, civiltà dell’amore, cultura di pace, e simili, sono indicativi dei nuovi orizzonti che si aprono alla D. dei cristiani nel mondo. Non solo: si delinea anche un certo​​ primato​​ della D. e della carità nella strategia della prassi ecclesiale. La formula: “Evangelizzazione nella promozione umana e a partire dai poveri” può forse indicare una via preferenziale per l’azione della Chiesa nella nostra epoca.

2.​​ Il rapporto tra C. e​​ D.-carità​​ è molto stretto e ricco di applicazioni.

— Nella sua qualità di​​ iniziazione​​ alle diverse forme di vita cristiana e di azione ecclesiale, la C. ha anche il compito di​​ iniziare alla D. ecclesiale​​ in tutte le sue implicanze e livelli operativi. Concretamente, “iniziare” significa, in rapporto alla pratica della D.: guidare, informare, coinvolgere, fornire motivazioni e chiavi di interpretazione, maturare la coscienza cristiana in vista dell’azione. E tutto questo in riferimento alle diverse manifestazioni della D.: azione individuale, condivisione e partecipazione, impegno sociale, culturale, politico, forme di solidarietà, denuncia e annuncio, ecc.

— Ma la D. non costituisce soltanto un punto di arrivo del compito della C. come iniziazione, poiché va anche considerata​​ elemento essenziale​​ della crescita e → maturazione della fede, e quindi ingrediente necessario in ogni autentico itinerario cat. Si può affermare che​​ senza la pratica della D. non ci può essere un’autentica educazione della fede,​​ dal momento che la fede, nella sua globalità di atteggiamento centrale dell’esistenza cristiana, include anche il momento operativo e comportamentale. Naturalmente, il grado di applicazione di questo principio può variare molto, essendoci realizzazioni cat. più rivolte verso il momento cognitivo dell’insegnamento (con l’inserimento di sbocchi o conseguenze di tipo operativo), e altre più centrate sull’azione come luogo privilegiato di crescita di fede (come, per es. nell’esperienza delle → comunità ecclesiali di base).

— L’orientamento articolato della C. verso l’esercizio della D. e carità, nelle concrete circostanze dell’odierno contesto, comporta rilevanti conseguenze a livello operativo e metodologico. Per es., una prima conseguenza riguarda il ripensamento dei →​​ contenuti​​ della C. in funzione del nuovo modo di concepire l’azione dei cristiani nel mondo. Molto spesso la C. è stata di fatto uno stimolo alla passività, al conformismo, all’accettazione dello status quo, più in chiave di conservazione che di trasformazione. È compito della C., non solo rivedere in questo senso le proprie tematiche, ma anche saper rilevare, a proposito dei diversi elementi del messaggio cristiano, la loro dimensione impegnativa e socio-politica, per una illuminazione cristiana dell’agire storico della Chiesa. Inoltre, appare anche oggi urgente, come compito della C., illustrare e iniziare i cristiani a una retta​​ metodologia​​ dell’azione, nel rispetto delle fondamentali sequenze programmatiche di ogni itinerario operativo: conoscenza e analisi della situazione, valutazione e interpretazione alla luce della fede, realizzazione e verifica, ecc.

— Sempre in riferimento alla D., ci sono momenti o ambiti particolari di attività che comportano possibilità e problemi specifici, e impegnano quindi in forma speciale la riflessione e la prassi della C. Si possono ricordare, per es.,​​ l’opera educativa,​​ in quanto servizio promozionale dell’uomo, campo tradizionalmente privilegiato di impegno della Chiesa;​​ l’azione politica,​​ che tante riflessioni e polemiche ha suscitato a proposito del suo rapporto con la fede cristiana e la missione della Chiesa; la​​ promozione della pace e l’educazione alla pace,​​ temi di bruciante attualità nel nostro tempo. Sono problemi e istanze che coinvolgono anche, e in misura decisiva, la responsabilità della C.

Bibliografia

E. Alberich,​​ Catechesi e prassi ecclesiale,​​ Leumann-Torino, LDC, 1982, 158-189;​​ Catechesi come promozione umana,​​ in “Via Verità e Vita” 25 (1976), n. 58; Conf. Episc. Italiana,​​ Evangelizzazione e promozione umana.​​ Atti del Convegno Ecclesiale, Roma 30 ott.-4 nov. 1976, Roma, AVE, 1977; Équipe Europea di catechesi degli adolescenti e dei giovani,​​ Opzioni per una catechesi liberatrice,​​ in “Orientamenti Pedagogici” 25 (1978) 492-500; A. Exeler,​​ Engagement aus der Mitte des Glaubens,in “Katechetische​​ Blätter”​​ 104 (1979) 1, 21-35;​​ Instituto Superior​​ de​​ Ciencias​​ Catequéticas​​ San​​ Pío X (ed.),​​ Educación de la fe y compromiso cristiano,​​ Salamanca, S. Pío X, 1976; P. Junio,​​ Diaconta,​​ in​​ C. Floristán – J. J. Tamayo (ed.),​​ Conceptos fundamentales de pastoral,​​ Madrid, Cristiandad, 1983, 230-237;​​ E.​​ J.​​ Korherr,​​ Katechese und​​ Caritas,​​ in​​ Christlich-pädagogische Blätter” 94 (1981) 326-338; G. Pasini,​​ Carità,​​ in V. Bo et al. (ed.),​​ Dizionario​​ di Pastorale della​​ comunità cristiana,​​ Assisi,​​ Cittadella,​​ 1980, 109-120; Pont. Opera di​​ Assistenza​​ (ed.),​​ Teologia e storia​​ della​​ carità,​​ Roma, Caritas, 1965;​​ Semana Internacional​​ de​​ Catequesis,​​ Catcquesis y promoción humana,​​ Salamanca, Sígueme, 1969; R.​​ Völkl,​​ Diaconia e carità,​​ Bologna, Debordane, 1978.

Emilio Alberich

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DIACONIA – CARITÀ

DIAGNOSI / DIAGNOSTICA

 

DIAGNOSI / DIAGNOSTICA

Sintesi critica di informazioni su una​​ ​​ personalità, organizzate in funzione di categorie (per es. nosografiche) connesse con la programmazione di un intervento.

1. La d. medica, archetipo a cui dialetticamente si riferiscono altri tipi di d., ha come scopo principale identificare la malattia che affligge il paziente, riferendosi a un sistema di categorie noto («nosografia»). Per analogia, la d. psicologica si propone di sintetizzare le informazioni sulla personalità di un individuo inquadrandole in sistemi pertinenti, che si riferiscano a disturbi mentali (cfr. la più recente edizione del​​ Diagnostic and statistical manual of mental disorders),​​ oppure a categorie anche non patologiche, ma desunte dalla​​ ​​ psicologia evolutiva, dalla psicologia dinamica o da teorie o cognitive. Nella d. psicologica in età evolutiva ha un peso fondamentale l’esame delle relazioni con la famiglia e con l’ambiente e della capacità del bambino di svolgere adeguatamente le funzioni tipiche della sua età. La d. educativa e didattica si propone finalità analoghe, anche se le categorie di riferimento sono assai meno rigidamente codificate.

2. La raccolta delle informazioni nel suo insieme va pianificata in modo da raccogliere dati sufficienti sia per inquadrare i fenomeni abnormi, patologici, sia per operare distinzioni esatte fra categorie diverse («d. differenziale»), sia per progettare un intervento, estendendosi quindi all’individuazione di aspetti sani su cui fare forza. Gli strumenti principali della d. sono l’osservazione diretta, il​​ ​​ colloquio con la persona e con persone che la conoscono bene, i​​ ​​ test. Ciascuno di questi strumenti fornisce informazioni non ottenibili con gli altri e comporta distorsioni diverse: l’osservazione dipende molto dalle situazioni, il colloquio dalle capacità referenziali di chi risponde, i test possono essere scelti in modo non appropriato e avere carenze di validità.

3. La sintesi dei dati raccolti, in genere numerosi, richiede tutta l’«arte» e l’esperienza dell’operatore, e comporta sia applicazioni psicometriche (per es. il riferimento a «norme statistiche» che definiscano operativamente la normalità), sia considerazioni etiche ed epistemologiche. Tra queste ultime, è stata segnalata la non ovvietà della definizione di «normalità»: per es. è «normale» il livello di prestazione offerto dalla media del campione, o è «normale» l’assenza di disturbi? o forse si deve pensare che la normalità sia la piena realizzazione delle potenzialità del soggetto? Già da vari anni sono apparsi programmi computerizzati che si pongono come sussidio per la d. medica e psicologica, anche se le prove della loro validità lasciano ancora a desiderare. La sintesi diagnostica è anzitutto un processo mentale con cui l’operatore chiarisce il problema diagnostico a se stesso. La comunicazione all’interessato, o a chi per lui, è un problema successivo e distinto.

Bibliografia

Rapaport D. - M. M. Gill - R. Schafer,​​ Diagnostic psychological testing,​​ New York, International Universities Press, 1968 ; Korchin S. J.,​​ Modern clinical psychology,​​ New York, Basic Books, 1976; Saraceni C. - G. Montesarchio,​​ Introduzione alla psicodiagnostica,​​ Roma, NIS, 1988;​​ Diagnostic and statistical manual of mental disorders,​​ Washington D.C., American Psychiatric Association,​​ 41994; Codispoti O. - P. Bastianoni,​​ La d. psicologica in età evolutiva, Roma, Carocci, 2002.

L. Boncori

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DIAGNOSI / DIAGNOSTICA

DIALETTICA

 

DIALETTICA

Termine logico-filosofico, relativo al momento discorsivo della ragione, con varie applicazioni in​​ ​​ educazione e in​​ ​​ pedagogia.

1. Dal greco​​ dialektikè téchne​​ (arte del ragionare, del discutere), la d. ha assunto notevoli diversificazioni di significato nel corso del pensiero filosofico. Così ad es. per​​ ​​ Platone la d. designa il movimento dell’anima che dall’esperienza sensibile mutevole ascende di grado in grado alla verità ideale immutabile (= d. ascendente) e da essa ritorna alle cose (= d. discendente). Similmente l’idealismo ottocentesco e il neoidealismo del nostro secolo tentano di ricondurre la frammentarietà e la contraddittorietà del reale umano e storico alla logicità e all’assolutezza dello Spirito assoluto per via d. di tesi, antitesi e sintesi. Rispetto ad essa si pone, come d. «rovesciata», la d. marxista che dalle contraddizioni materiali storiche muove all’impegno del cambiamento rivoluzionario del sistema economico-politico. Pure contro il panlogismo hegeliano si pone la d. esistenziale di S. Kierkegaard, che rispetto all’intrinseca insostenibilità della vita estetica (incarnata nel Don Giovanni) e della vita etica (incarnata nel padre di famiglia) non vede che «il salto nel buio» della vita di fede (incarnata nella figura di Abramo). In altri, come in​​ ​​ Aristotele e​​ ​​ Kant, rimane fondamentalmente come tecnica della confutazione e modo di argomentare che urge le contraddizioni logiche di idee, concetti, modi di vedere la realtà.

2. In linea con quest’ultimo ambito di significato, la d. si pone come un aspetto dell’educazione intellettuale, relativamente allo sviluppo delle capacità logiche, critiche ed argomentative. In senso più largo, vale a dire in quanto ricerca del vero, tensione all’uno ed apertura al giusto e al bello, essa può essere fatta rientrare nel processo di sviluppo personale come attenzione autoformativa al senso del limite e al superamento di esso. Più specificamente la d. è vista come una componente della​​ ​​ relazione educativa, in cui sono spesso presenti tensioni non facilmente componibili neppure con il dialogo e in prospettiva dinamica (​​ antinomie pedagogiche).

3. In pedagogia la d. si mostra nella tensione che spesso si ha tra essere e dover essere, tra fatto e valore, tra teoria e pratica, tra rilevazione dell’esistente e sforzo di prospettazione progettuale, tra domanda di formazione ed offerta educativa. In tal senso viene evidenziato il particolare carattere della logica e del discorso pedagogico e in qualche modo della pedagogia come scienza teorico-pratica.

Bibliografia

Verra V.,​​ La d. nel pensiero contemporaneo,​​ Bologna, Il Mulino, 1976; Cacciari M.,​​ D. e critica del momento,​​ Milano, Feltrinelli, 1978; Sichirollo L.,​​ D., Roma, Editori Riuniti, 2003.

C. Nanni

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DIALETTICA

DIALETTO

 

DIALETTO

Il d. è inteso e definito dai sociolinguisti come una varietà geografica, storica e linguistica di una lingua nazionale (es. il piemontese rispetto all’it.).

1. Ruolo e valore storico.​​ La sua dimensione e il suo ruolo sono limitati nell’uso tanto individuale che sociale; esso è parlato generalmente da un individuo e / o da un gruppo in situazioni particolari, in un ambiente geo-sociale ben definito e tra membri della medesima comunità. Il suo ruolo limitato e limitativo lo ha fatto considerare generalmente dai sociolinguisti come una «lingua bassa» (low language),​​ contro la «lingua alta» (high language)​​ rappresentata da una lingua di uso nazionale e ufficiale («lingua standard»). Il valore storico, però, del d. può superare anche quello della lingua nazionale, in quanto ne rappresenta sia il codice più antico e preesistente sia, a volte, la matrice originaria della stessa lingua nazionale (come il toscano rispetto all’it.). Tale valore storico fa sì che il d. riassuma forme e contenuti culturali tradizionali, insiti nell’anima di una comunità di parlanti. Essendo la prima lingua generalmente parlata da un individuo, il d. sta spesso alla base del pensiero e del sentimento di un individuo dialettofono. Da qui l’accresciuta tendenza, in tempi recenti, a ricuperare i d. anche attraverso lo studio storico e scientifico: donde una specifica disciplina denominata dialettologia.

2.​​ Valore educativo del d.​​ Il valore storico-culturale del d. – come, del resto, di qualsiasi lingua minoritaria o «etnica» – ha riscosso in questi ultimi anni l’attenzione giustificata dei pedagogisti, al fine di ricuperarne la funzione formativa nell’ambito della cosiddetta «educazione linguistica di base». Il d. diventa così il punto di partenza di ogni sviluppo ulteriore della competenza linguistica e comunicativa fin dalla scuola dell’infanzia. La riflessione più o meno sistematica sulla struttura e sulle funzioni, oltre che sulla storia e sulle valenze socioculturali, del d. parlato fin dall’infanzia dal bambino, anziché ostacolare l’acquisizione e lo sviluppo della competenza nella lingua standard, tende a produrre una capacità di approfondita riflessione analitica sui concetti universali delle lingue e, conseguentemente, un grado notevole di sviluppo delle cosiddette «abilità metalinguistiche». Il risultato è stato non soltanto uno sviluppo più elevato delle capacità di natura specificatamente linguistica, ma anche una trasposizione delle accresciute abilità cognitive ad altri settori del​​ ​​ curricolo scolastico, come la matematica e le scienze. Pertanto, non solo l’apprendimento precoce di una lingua straniera, ma anche di una lingua minoritaria, come il d., può costituire un forte stimolo e sostegno alla formazione delle competenze linguistiche e cognitive in generale. Se è vero che «si educa il linguaggio mediante la lingua» (ossia, si arricchisce e si perfeziona la capacità di verbalizzazione e comunicazione – «linguaggio» – mediante l’assimilazione cosciente di un sistema linguistico storicamente e socialmente valido – «lingua»), anche il d. non può essere escluso da tale processo di valorizzazione.

Bibliografia

Rohlfs G.,​​ Studi e ricerche su lingua e d. d’Italia,​​ Firenze, Le Monnier, 1972; De Mauro T.,​​ Storia linguistica dell’Italia unita,​​ Bari, Laterza, 1974; Grassi C.,​​ Elementi di dialettologia italiana,​​ Torino, UTET,​​ 21982; Titone R.,​​ Educare al linguaggio mediante la lingua,​​ Roma, Armando, 1985; Nero S. J.,​​ Dialects,​​ Englishes,​​ Creoles,​​ and education,​​ Mahwah (NJ), Erlbaum, 2006.

R. Titone

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