DECALOGO

 

DECALOGO

1.​​ Origine biblica.​​ Il “decalogo” (LXX: decalogo!) è una lista di dieci (o più) comandamenti e proibizioni che — a differenza di altre prescrizioni giuridiche di natura generalmente casistica — sono formulati in forma sintetica e apodittica; qualche parte però è più ampiamente sviluppata e fondata (per es. la proibizione di farsi delle immagini​​ e​​ il comandamento del sabato). Il testo è grosso modo identico, comunque con due differenze importanti (nella fondazione del comandamento del sabato e nell’enumerazione degli oggetti del desiderio peccaminoso), in due passi biblici:​​ Es​​ 20,1-17 e​​ Dt​​ 5,6-21.

Simile nella forma letteraria ai trattati dei vassalli dell’antico oriente, il decalogo (D.) costituisce il più antico codice dell’ → alleanza di Israele: il solenne obbligo del popolo verso Iahvè, il quale nella liberazione dall’Egitto si è manifestato il Dio di Israele. Il D. ha pertanto la sua collocazione cultuale nella festa annuale del rinnovamento dell’alleanza. Nella prima parte (Es​​ 20,2-11;​​ Dt​​ 5,6-15) viene determinato il rapporto particolare di Israele con Dio; la seconda parte (Es​​ 20,12-17;​​ Dt​​ 5,16-21) regola le relazioni con il prossimo presentandole come conseguenze etiche che scaturiscono dalla fede in Iahvè. Quanto al contenuto, i comandamenti della seconda parte risalgono all’epoca preisraelitica. All’origine si è trattato di regole per determinati casi (rifiuto di curare i vecchi genitori, vendetta di sangue, adulterio della donna sposata, vendita di un israelita come schiavo per estinguere i debiti, falsa testimonianza di fronte al tribunale, falsa appropriazione di beni), che potevano mettere in pericolo la vita comune del clan o della tribù. Soltanto gradualmente e perché considerati obblighi che scaturivano dall’alleanza religiosa, il loro significato si è ampliato, per diventare un ordinamento generale per il popolo e per i singoli: protezione delia vita, della famiglia, della libertà, del diritto e della proprietà.

Nel NT i comandamenti sono stati radicalizzati (per es. la proibizione di uccidere e di commettere adulterio:​​ Mt​​ 5,21-30); e poi riassunti e “superati” nel “nuovo comandamento” dell’amore (Rm​​ 13,8-14).

2.​​ Eormula catechetica.​​ Già nel tardo ebraismo il D. (insieme con lo Shema Israel:​​ Dt​​ 6,4ss) faceva parte dei testi che si dovevano imparare a memoria e recitare quotidianamente. Pare che anche nel → catecumenato cristiano primitivo i contenuti del D. — insieme con altre prescrizioni, generalmente bibliche — fossero fondamento dell’etica cristiana (cf​​ Didacbé​​ II, 2ss).

Soltanto in seguito all’allargarsi della C. penitenziale, in connessione con l’obbligo della confessione, a partire dall’VIII secolo, il D. acquista il suo vero significato di formula cat. Nella liturgia domenicale medievale il D finisce con l’aggiungersi al Credo apostolico e al Padre nostro, come terza formula che viene recitata in comune nella lingua del popolo. Il primo catechismo a grande diffusione popolare (Martin → Lutero, 1529) inizia addirittura con i 10 comandamenti, certamente non con lo scopo di stabilire un’etica positiva, ma per dimostrare che l’uomo è peccatore e può essere giustificato soltanto nella fede. Da quel momento il D. rimane una delle parti centrali (generalmente sono quattro) del → catechismo; nella tradizione cattolica è la terza parte dopo il Credo apostolico e i sacramenti (→ Canisio;​​ Catechismo Romano),​​ oppure la seconda parte (→ Deharbe). A partire da Canisio si antepone al D. il comandamento principale del NT sull’amore di Dio e del prossimo, oppure questo comandamento viene inserito nel D. (l’amore di Dio nel primo comandamento; l’amore del prossimo come formulazione positiva del quinto comandamento). In questo modo il D. è fino a oggi (cf per​​ es.​​ Botschaft​​ des​​ Glaubens,​​ 1977) l’unico ed esclusivo schema per presentare l’intera etica. Il testo biblico del D. non offre una numerazione dei comandamenti. La più antica enumerazione in due gruppi di cinque che si conosce è quella di Filone (De​​ decalogo,​​ 12). In questo schema le singole prescrizioni vengono numerate nel seguente modo: 1) Non avere altro Dio. 2) Non farti una raffigurazione di Dio. 3) Non usare invano il nome del tuo Dio. 4) Ricordati di santificare il sabato. 5) Tu devi onorare il padre e la madre. 6) Non uccidere. 7) Non commettere adulterio. 8) Non rubare. 9) Non dare falsa testimonianza. 10) Non desiderare la casa del tuo prossimo. In queste e altre formule brevi — interpretate a volte come ricostruzione di una presunta formula originaria del D. (per​​ es.​​ B. H. Schneider, LThK III, 200) — il D. è stato usato come formula cat., in cui il numero dieci aveva anche una funzione mnemotecnica. La enumerazione di Filone è rimasta nella Chiesa greca. Con un ritorno alla formulazione biblica (Es​​ 20) è stata assunta anche dalla Chiesa Riformata di Calvino (cf​​ Catechismo di Heidelberg,​​ 1563). La tradizione cat. della Chiesa occidentale, seguita anche da Lutero, ha una diversa enumerazione. Lo spostamento dei numeri è dovuto all’omissione della proibizione sulle raffigurazioni di Dio (il 2° comandamento in Filone) e al duplicato della proibizione sul desiderio, secondo​​ Dt​​ 5,21. Questo duplicato ha avuto come conseguenza nella C. e nei catechismi, a partire dall’inizio di questo secolo, l’abbinamento tra il sesto e il nono, come pure tra il settimo e il decimo comandamento.

3.​​ Critica catechetica.​​ Questa prassi che riduce il testo biblico al contenuto principale dei comandamenti secondo il modello delle tre formulazioni più brevi (Es​​ 20,13-15), mostra chiaramente che il D. è stato usato nella C. (e anche nella teologia morale) principalmente per ordinare le prescrizioni etiche secondo i diversi ambiti della vita. Le norme etiche concrete, che nei catechismi e nei manuali sono raggruppate attorno ai singoli comandamenti, non possono essere considerate spiegazioni del testo biblico, né possono valere come direttamente derivate da queste prescrizioni molto generali, anche se nella presentazione vogliono suscitare tale impressione. In realtà si tratta di contenuti normativi, che vengono stabiliti sulla base della riflessione attorno al diritto naturale, e che vengono inseriti nella cornice preesistente del D. In questo modo era possibile, nell’ambito della C., ricondurli direttamente alla volontà di Dio, il quale si era rivelato sul Sinai. Nella C. si strumentalizzano frequentemente i fenomeni terrificanti che accompagnano la teofania (temporale, terremoto), elencati nel racconto di​​ Es​​ 19ss, per illustrare l’enorme potere di Dio che comanda, e per generare la corrispondente paura del peccato.

Tale sfruttamento didattico del D. non si giustifica oggi né dal punto di vista esegetico né dal punto di vista cat. Il suo significato dovrebbe essere visto assai più nel fatto che fede e morale sono inseparabilmente connesse tra loro. La spiegazione delle singole prescrizioni dovrebbe prendere lo spunto dal preambolo (Es​​ 20,2;​​ Dt​​ 5,6). La fiducia nel Dio che crea vita e salvezza, libera e salva, ha le sue conseguenze per l’impostazione della vita. Colui che deve a Dio se stesso, la vita, la libertà, il diritto, la felicità, la proprietà, dovrà a sua volta rispettare e garantire vita, libertà, diritto, felicità e proprietà del prossimo suo. In questo modo l’intera vita del credente diventa culto di Dio, realizzazione dell’amore di Dio nella convivenza quotidiana con gli altri.

Il D. può funzionare ancora oggi come utile formula breve delle regole essenziali della vita, tuttavia l’etica cristiana dovrebbe orientarsi di preferenza sul duplice comandamento dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo (Afe 12,29-31). È vero che anche da questa formula non si possono dedurre concrete norme di vita. Tali norme scaturiscono dalla comprensione delle strutture oggettive della realtà (ordine della creazione). Anche nella C. le norme concrete devono essere scoperte e fondate in questa prospettiva. Questo corrisponde alla dottrina cattolica sulla “legge morale naturale”. Queste norme ricevono la loro configurazione specificamente cristiana quando, al di là della loro fondazione oggettiva basata sull’intelligenza, vengono rapportate al principio globale dell’amore e concentrate sulle prescrizioni di Gesù​​ (cf​​ Grundriss des Glaubens,​​ 1980, 205-252).

Bibliografia

S. Ben-Chorin,​​ Die Tafeln des Bundes,​​ Tübingen, J. Mohr, 1979; Ph. Delhaye,​​ Le décalogue et sa​​ place dans la morale​​ chrétienne,​​ Bruxelles,​​ La Pensée​​ catholique, 19632;​​ A.​​ Exeler,​​ Vivere nella libertà di Dio,​​ Roma, Ed. Paoline, 1985; B.​​ Haering,​​ Come presentare i comandamenti nel catechismo,​​ nel vol.​​ Il mistero pasquale nella catechesi,​​ Ascoli Piceno, U.C.D., 1963, 174-185; J. M. Lochman,​​ Wegweisung der Freiheit,​​ Gütersloh,​​ J.​​ Mohn,​​ 1979; N.​​ Lohfink,​​ Esegesi biblica in cambiamento,​​ Brescia, Queriniana, 1973; J. J.​​ Petuchowski,​​ Die​​ Stimme vom​​ Sinai,​​ Freiburg, Herder, 1981.

Wolfgang​​ Langer

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DECALOGO

DECISIONE

 

DECISIONE

Il termine d. indica la scelta di una linea di operazioni in un qualche campo. Non tutti i campi di d. entrano nell’ambito di questa opera: vi sono d. che riguardano la gestione di un’azienda, di un governo, e simili; i sistemi informatici contemplano d. al verificarsi di condizioni predefinite; nella voce presente si considerano unicamente le d. che vengono prese dalle singole persone e che contribuiscono a strutturare il loro futuro. La comprensione del processo di d. ha grande rilevanza educativa, poiché concerne l’iniziativa dell’educando nel costruire la sua persona; è pure chiara la rilevanza morale e giuridica di un processo che evidenzia la responsabilità del soggetto.

1.​​ Natura della d.​​ Occorre in primo luogo chiarire ciò che la d. non è. La d. di cui ci occupiamo non è solo la conclusione automatica di un calcolo di vantaggi e svantaggi delle varie alternative o di un semplice calcolo delle probabilità: in una simile d. la persona che decide non ha alcun ruolo; del resto d. di questa natura possono essere prese in modo anche più chiaro da un computer. A questo riduzionismo deterministico si oppone talora un «libero arbitrio» ugualmente riduttivo: la persona che decide non è solo un «io» o una pura «volontà», ma è una struttura complessa, di intenzioni e abitudini, di impulsi e pressioni sociali, di sentimenti ed esperienze, sospesa tra il passato e il futuro: quando si prendono delle vere d., non si esperimenta la gioia di celebrare la propria libertà, ma si sente il peso e la sofferenza di ciò che si lascia e di ciò che ci si promette di fare. La struttura personale è a diversi gradi di integrazione, così che le singole condotte, e molto più i progetti per un futuro piuttosto vasto e importante, dipendono da dinamismi centrali, da concezioni, stili, intenzioni e progetti generali. È chiaro che la natura della d. appare soprattutto dove sono in gioco cose importanti per il soggetto. La d. si potrebbe perciò descrivere come l’incontro di un progetto o stile generale della persona con situazioni importanti che rappresentano una sfida a tale progetto. L’esito di questo incontro sarà l’incarnazione di questo «io» profondo nelle circostanze concrete, e insieme una chiarificazione della situazione in cui la persona è coinvolta. La d. emerge spesso come risposta ad un conflitto, che nasce sia dalla difficoltà di continuare ad essere se stessi, sia dai nuovi compiti che lo sviluppo impone. A differenza però dei​​ ​​ meccanismi di difesa la d. rappresenta una risposta cosciente, tesa non a difendersi ma a conquistare il proprio futuro.

2.​​ Fenomenologia della d.​​ Le indagini hanno messo in luce come il soggetto passi attraverso vari momenti nel cammino verso la d. Vi è una situazione iniziale che impone alla persona di prendere una d.: essa, confrontata con il conflitto sopra descritto, prova un disorientamento esistenziale di fronte al proprio futuro. Questo stato induce una ricerca in due direzioni: la persona si sforza di chiarire a se stessa qual è il suo progetto e stile personale, cos’è veramente importante per lei nella vita, e, d’altra parte, esamina le possibilità proposte dall’ambiente, e come superare le difficoltà che esso presenta. Spesso a questa fase di ricerca segue un periodo di distanziamento dal problema stesso; tale distacco diminuisce la pressione emotiva che potrebbe oscurare la considerazione e permette di badare ad aspetti più generali della situazione che contribuiscono a chiarire il conflitto e a prendere una d. soddisfacente. Infine, come si è detto, l’aver preso una d. significa poter integrare il seguito della vita con il nucleo dell’identità personale, o progetto generale, nucleo che sovente nel processo della d. viene esso stesso ridefinito e chiarito. Si è anche notato come le d., oltre al fattore della progettualità, sono debitrici anche ad altri fattori, come la pressione delle norme (sia esteriori che interiorizzate), e il peso dell’abitudine. Una volta presa una d., che è costata un notevole impegno psichico, la persona tende a difenderla davanti a se stessa e agli altri, con ragioni autentiche o con razionalizzazioni. L’andamento del processo di d. suggerisce anche una sua classificazione: situazioni urgenti e temperamenti pronti faciliteranno d. veloci e con poca riflessione (d. ardite); se invece la situazione lo permette e il carattere della persona è indeciso, si avranno d. spesso rimandate. Un tipo di d. particolarmente importante per l’educazione è rappresentato dalle cosiddette «d. crescenti»: queste riguardano la realizzazione dei grandi indirizzi e progetti di vita; avviate inizialmente in modo germinale, a poco a poco si possono sviluppare e rafforzare, coinvolgendo settori sempre più vasti della vita, con il crescere dell’esperienza e della percezione dei rispettivi valori. Tali sono le d. professionali, matrimoniali, vocazionali, morali di fondo.

3.​​ Applicazioni educative.​​ Alcune osservazioni possono contribuire ad una migliore comprensione educativa della d. In primo luogo si è parlato di un progetto o stile generale della persona come punto di partenza e come prodotto della d. Ora è chiaro che una tale strutturazione psichica richiede una maturità della persona: non può avere un progetto generale per la sua vita chi non è in grado di percepirla, almeno confusamente, come un tutto unico, che abbraccia le varie funzioni dell’organismo umano e insieme il proprio passato e il proprio futuro, e allo stesso tempo intuisce e cerca un bene generale per la sua persona così concepita. Tale maturità non pare possibile prima dell’​​ ​​ adolescenza, e può essere oscurata da vari condizionamenti. Una valutazione educativa, morale o giuridica di una d. deve tener conto di questi limiti. Ciò non significa che quando non si verificano queste condizioni non si debba fare nulla che riguardi la d. personale, anzi è compito dell’ educazione preparare le disposizioni per una vera d., educando ad aver fiducia in se stessi, a rispettare le esigenze della realtà, ad affrontare le difficoltà con coraggio. Un’altra indicazione educativamente rilevante può venirci dalla complessità della d.: se essa non coinvolge solo un io o una volontà astratta, ma tutta la persona, si avrà d. realistica solo se la persona saprà modificare, indirizzare, attivare tutte le componenti interessate alla realizzazione di quanto è stato deciso, e cioè pensieri, sentimenti, esperienze, valutazioni. Tale realismo di fronte ai propri progetti dovrebbe essere molto formativo e aiutare ad evitare un idealismo velleitario.

Bibliografia

Thomae H.,​​ Dinamica della d. umana,​​ Roma, LAS, 1964; Id.,​​ Conflitto,​​ d.,​​ responsabilità. Contributo alla psicologia della d.,​​ Roma, Città Nuova, 1978; Baron J.,​​ Thinking and deciding,​​ Cambridge, Cambridge University Press, 1988; Corradini A.,​​ Semantica della preferenza e d. etica,​​ Milano, Angeli, 1989; Ronco A.,​​ Introduzione alla psicologia.​​ I.​​ Psicologia dinamica,​​ Roma, LAS, 1991; Klein G. A. (Ed.),​​ Decision making in action. Models and methods,​​ Norwood, Ablex, 1993; Tesio L.,​​ Decidere, Milano, Cortina, 2004;​​ Peralta Astudillo Mª J. - Mª J. Giménez Abad - R. Redondo Palomo,​​ Curso de decisión: conceptos y métodos, Madrid, Universitas, 2006.

A. Ronco

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DECISIONE

DECONDIZIONAMENTO

 

DECONDIZIONAMENTO

Significa​​ rimuovere​​ le circostanze che permettono il verificarsi del fenomeno dell’​​ ​​ insuccesso scolastico, o meglio gli ostacoli che impediscono la realizzazione del​​ ​​ diritto all’educazione. In corrispondenza si possono distinguere le possibili strategie in tre aree, dell’eguaglianza, della diversità e della corresponsabilità.

1. In relazione alla prima sarà anzitutto necessario procedere a un cambiamento delle logiche che presiedono al governo della scuola, puntando all’eguaglianza delle opportunità​​ tra gruppi sociali diversi. In particolare, si tratta di assicurare la parità dei risultati medi tra gli studenti di categorie diverse, o almeno di fissare soglie minime che tutti devono raggiungere e di garantire un sostegno particolare agli svantaggiati.

2. Sul piano della​​ differenziazione,​​ l’orientamento principale consiste nell’attuare una pedagogia personalizzata.​​ Questa significa fondamentalmente la messa in opera di quattro strategie: diversificazione dei contenuti dell’insegnamento secondo le potenzialità e l’interesse di ciascuno, differenziazione degli obiettivi (eguali nelle conoscenze fondamentali e diversi negli altri settori in base alle capacità e agli interessi degli allievi), diversificazione dei metodi e differenziazione temporale che vuol dire il riconoscimento ad ogni alunno della possibilità di studiare secondo il ritmo più confacente.

3. Passando all’area della​​ corresponsabilità, in particolare l’​​ ​​ autonomia della singola scuola permette a quest’ultima di diventare il centro di attribuzione di tutti i poteri che garantiscono alla​​ ​​ comunità educativa il controllo sul complesso delle condizioni del suo funzionamento, in modo da poter fornire risposte efficaci ai​​ ​​ bisogni educativi. Questa strategia dovrebbe consentire alle scuole di valorizzare le relazioni sociali, anziché renderle indifferenti e neutrali, come sta facendo la modernità, e di realizzare la socializzazione educativa come bene relazionale (Donati, 2006).

Bibliografia

Pieroni V. - G. Malizia,​​ Linee guida per la realizzazione di percorsi / progetti «destrutturati» per l’inclusione di giovani svantaggiati. I risultati di un’indagine conoscitiva, in «Rassegna CNOS» 21 (2005) 1, 53-63; Benadusi L., «Dall’eguaglianza all’equità», in N. Bottani - L. Benadusi (Edd.),​​ Eguaglianza ed equità nella scuola, Trento, Erickson, 2006, 19-38; Donati P., «Come combattere disagio giovanile e dispersione scolastica», in S. Versari (Ed.),​​ Cercasi un senso disperatamente, Napoli, Tecnodid, 2006, 57-78.

G. Malizia

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DECONDIZIONAMENTO

DECOSTRUZIONISMO E EDUCAZIONE

 

DECOSTRUZIONISMO​​ E EDUCAZIONE

Con D. / Decostruzione (ingl.​​ Deconstruction; fr.​​ Déconstruction; sp.​​ Deconstrucción; ted.​​ Destruktion,​​ Abbau) si intendono normalmente due nozioni unite da un legame di mera filiazione storica, ma assai eterogenee tra loro: gli sviluppi del progetto heideggeriano di una​​ Destruktion​​ o​​ Abbau​​ della metafisica attraverso la ripresa critica dello strutturalismo; l’applicazione specifica alla critica letteraria di alcuni aspetti di questo progetto, sviluppatasi soprattutto nel mondo anglo-americano.

1.​​ Aspetti generali del d. La prospettiva decostruzionistica intende superare il logocentrismo della tradizione occidentale per accedere a un pensiero della​​ differenza​​ radicale (alterità, disseminazione, de-centramento). Irrimediabilmente frammentato, ipotetico, situato costituzionalmente​​ in itinere, il sapere – rinunciando a definire – parla, narra, racconta delle cose-eventi o di sé in modo da interpretare e così produrre nuove o rinnovate comprensioni che «sfondano» le comprensioni precedenti, non potendo più «fondare» alcuna posizione. In Derrida l’ermeneutica si accentua fino a consacrare l’irriducibile molteplicità e la dissoluzione dell’unità culturale, sociale ed esistenziale.

2.​​ Aspetti pedagogici. Il contesto generale del d. ha dato vita anche all’elaborazione di una decostruzione pratico-teorica della pedagogia e ad un nuovo modo di affrontare le questioni educative, di interpretare l’istituzione scolastica e familiare, di mettere a punto riflessioni «alternative». Suo risultato è stata l’elaborazione di un modello di pedagogia critico-radicale che sviluppa la sua riflessione su tematiche quali quelle relative al potere e al dominio (come infrastruttura della cultura / civiltà occidentale), al dualismo tra ragione e affettività (mente e sentimenti), all’etnocentrismo, all’ideologia, alla corporeità, alla mistificazione e all’insegnamento. Derrida a proposito di quest’ultimo tema sostiene che non vi è un carattere neutro e neutrale dell’insegnamento, perché esso si svolge dentro un’istituzione pedagogica che ha proprie forme, norme, obblighi visibili o invisibili, quadri di riferimento, ecc., e che – come tale – può e deve essere sempre sottoposta a critica radicale. Decostruzione e interpretazione si presenterebbero così come due vie complementari per la realizzazione dell’opzione di senso​​ nel sapere pedagogico che da inconscia o condizionata dovrebbe farsi libera, consapevole, razionale.

Bibliografia

Cambi F.,​​ D. e pedagogia. Note ed appunti, in «Studi di Storia dell’Educazione» 12 (1992) 5-34; Mariani A.,​​ La crisi del soggetto e la pedagogia contemporanea: il contributo dell’ermeneutica e del d., in «La Rivista di Pedagogia e Didattica» (2005) 5-6, 107-111; Id.,​​ Un modello attuale di filosofia dell’educazione: il d. pedagogico. Il profilo e il contributo, in «Rassegna di Pedagogia» 63 (2005) 3-4, 213-224.

M. Mantovani

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DECOSTRUZIONISMO E EDUCAZIONE

DECROLY Ovide

 

DECROLY Ovide

n. a Renaix nel 1871 - m. a Uccie nel 1932, psicopedagogista belga.

1. Animatore della Società belga di pedotecnia (1905); fondatore della Scuola dell’Ermitage (1907); professore nella Scuola Normale e del Seminario di Buls-Tempels (1914); professore di psicologia all’Università di Bruxelles (1919). Data la sua preparazione medica e i suoi interessi per l’infanzia anormale​​ (Le traitement et l’éducation des enfants irréguliers),​​ D. anima il movimento pedologico (​​ pedologia), insistendo sull’opportunità di una​​ pedotecnia,​​ alla quale offre un notevole contributo, specie per quanto riguarda i reattivi mentali. Inoltre, partendo dal principio di un’attività spontanea del fanciullo, D. ritiene che la scuola non debba spezzare il flusso vitale che salda il bambino all’ambiente circostante. I bisogni biologici del l’individuo trovano in quelli culturali il loro corrispettivo nei​​ centri d’interessi​​ e nella funzione di​​ ​​ globalizzazione​​ (La fonction de globalisation et l’enseignement,​​ Séméiologie psychologique de l’affectivité,​​ con Vermeylen).

2. Partendo, quindi, da presupposti biologici D. si apre a degli orizzonti etici fondati sul diritto alla verità, su un’opportuna educazione sessuale, sulla costruzione della propria libertà attraverso un’attività interiore basata sull’iniziativa, responsabilità, disciplina ed ordine, attraverso il superamento di ogni ideologia. Inoltre, dato l’incremento demografico e il progresso tecnologico, D. partecipa attivamente alla costruzione di una scuola che si fa carico delle istanze democratiche e rieducative, soffermandosi sugli aspetti organizzativi scolastici e su alcune istanze che preludono alla docimologia, rivolgendo il proprio interesse all’organizzazione del lavoro scolastico e al controllo degli apprendimenti; il tutto con un approccio di tipo esperienziale, piuttosto che sperimentale come sarà svolto dal​​ ​​ Buyse.

Bibliografia

Bonn G.,​​ Initiation générale aux idées decrolyennes,​​ Bruxelles, Lamertin, 1937; Hamaide A.,​​ La méthode D.,​​ Paris / Neuchâtel, Delachaux / Niestlé,​​ 31956; Ministère de l’Instruction Publique,​​ Notice biographique sur l’oeuvre du docteur O.D.,​​ Bruxelles, Ministère de l’Instruction Publique, [s.d.]; Dubreucq F., «O.D.», in «Perspectives: revue trimestrielle d’éducation comparée» 23 (1993) 1-2, 251-276.

C. Trombetta

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DECROLY Ovide

DEHARBE Joseph – e la CATECHESI neoscolastica

 

DEHARBE Joseph (e la C. neoscolastica)

Nato l’1-4-1800 a Strasburgo, morto​​ l’8-11-1871​​ a Maria​​ Laach.​​ D., gesuita, dopo alcuni altri impieghi, si impegnò nella pastorale e si trovò subito confrontato con il problema del catechismo. La confusionaria quantità degli usuali catechismi, come pure il timore che si perdesse la vera fede e il senso della Chiesa (a confronto con le “sollecitazioni rivoluzionarie”) fecero sentire il bisogno di un catechismo unitario, su cui potersi appoggiare. D. elaborò, probabilmente incoraggiato da un vescovo, un libro del genere, e lo pubblicò, inizialmente in forma anonima, con il sintomatico titolo:​​ Katholischer Katechismus oder Lehrbegrif, nebst einem kurzen Abriss der Religionsgeschickte von Anbeginn der Welt bis auf unsere Zeit. Für die Jugend sowohl als für Erwachsene​​ (Regensburg und Luzern 1847)​​ (Catechismo cattolico ossia la dottrina, con un breve riassunto della storia della religione dall’inizio del mondo fino al nostro tempo. Per giovani e adulti).

La Conferenza episcopale tedesca lo accettò già nel 1848 come base del nuovo catechismo della gioventù e del popolo. Di questo​​ Grosser Katechismus,​​ come venne chiamato più tardi, si fecero presto edizioni ridotte per scuole elementari e rurali, generalmente sotto il titolo​​ Kleiner Katechismus.​​ Per venir incontro alla critica, seguì presto un​​ Mittlerer Katechismus​​ in più versioni. I​​ commenti​​ dovevano chiarire il significato del catechismo (cf in particolare​​ Gründliche und leichtfassliche Erklärung des Katholischen Katechismus,​​ 5 Bände, Paderborn, 1857-1864; trad. ital.:​​ Spiegazione intima e piana del catechismo cattolico...​​ per Giuseppe Deharbe, Firenze, Marcheselli, 1872ss).

D. puntò su logica, concetti chiari (scientifici), completezza, correttezza dottrinale (ortodossia) e apologetica (soprattutto ricavata dalla Bibbia e dalla storia della Chiesa). Intese il catechismo come un autorevole libro di insegnamento e di apprendimento, destinato a essere spiegato dal catecheta (metodo di spiegazione del testo), ad essere recepito e soprattutto imparato a memoria da parte degli allievi. L’edizione principale comprendeva oltre 1000 domande e risposte! Dal punto di vista contenutistico, D. non fece altro che prendere la teologia neoscolastica, che in quel momento si stava affermando in Italia (soprattutto G. Perrone, S.J.), confezionandola in domande e risposte, e cercando di tradurre in modo intelligibile i concetti latini; l’insieme (vagamente appoggiato su → Canisio) era articolato in Fede, Comandamenti, Sacramenti e Preghiera.

Per i piccoli è presupposta la “storia sacra”, ma per il resto la S. Scrittura appare quasi unicamente in citazioni “dimostrative”, staccate dal contesto, oppure in collegamento con la storia della Chiesa, come arsenale apologetico. In questo modo venne abbandonata gran parte di ciò che i migliori catecheti dell’ → illuminismo e i loro creativi seguaci avevano sviluppato: la concettualità astratta (dogmatica) viene al posto della concretezza intuitiva (biblica); la completezza della materia viene al posto di una concentrazione su misura del fanciullo o del destinatario; l’istruzione autoritaria e l’apprendimento passivo vengono al posto di insegnamento​​ ed​​ educazione vivaci, giustificati dai catecheti, che stimolano i catechizzandi verso la maturità. Molti aspetti di questo catechismo — oltre a quelli teologici — vennero criticati e provocarono molte rielaborazioni e abbreviazioni (soprattutto della materia da memorizzare). Più tardi ci furono le rielaborazioni di J. Linden, SJ. (a partire dal 1900) e infine quella di Th. Mònnichs, S.J. La versione di quest’ultimo fu introdotta nel 1925 come​​ Einheitskatechismus​​ (catechismo unico) della Germania. Le rielaborazioni, per la verità, hanno irrigidito ulteriormente la tendenza di fondo, soprattutto la svalutazione della S. Scrittura rispetto al catechismo.

Già in precedenza il catechismo di D. (o qualcuna delle tante versioni) aveva eliminato praticamente tutti gli altri catechismi in Germania, o li aveva sottomessi alla sua concezione normativa (per es. il​​ Rottenburger​​ Katechismus​​ di I. Schuster).​​ Appena pubblicato, il catechismo di D. fu tradotto in molte lingue. Fino a metà del XX secolo è rimasto determinante in molte regioni (anche fuori Europa: in parte negli USA e nei paesi di missione).

Bibliografia

F. X. Arnold,​​ Dienst am Glauben,​​ Freiburg, 1948; A.​​ Berz,​​ Geschichte des Katechismus im Bistum Basel,​​ Fribourg, 1959; W. Busch,​​ Der Weg des deutschen katholischen Katechismus von Deharbe bis zum Einheitskatechismus,​​ Freiburg, 1936; A. Philipps,​​ Die Kirchengeschichte im katholischen und evangelischen Religionsunterricht,​​ Wien, 1971; K. Raab,​​ Das Katechismusproblem in der katholischen Kirche,​​ Freiburg, 1934; F. X. Thalhofer,​​ Entwicklung des katholischen Katechismus in Deutschland von Canisius bis Deharbe,​​ Freiburg, 1899; F. Weber,​​ Geschichte des Katechismus in der Diözese Rottenburg von der Aufklärungszeit bis zur Gegenwart,​​ Freiburg, 1939.

Eugen Paul​​ 

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DEHARBE Joseph – e la CATECHESI neoscolastica

DELCUVE Georges

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DELCUVE Georges

Padre G.D., nato a​​ Tournai​​ il 22-5-1908, morto a Wépion il 18-12-1976, è stato il principale organizzatore del​​ Centre​​ International​​ d’Études​​ de la​​ Formation Religieuse​​ → “Lumen Vitae”. Come primo presidente dell’Association sans but lucratif​​ fondata nel 1948, egli ha speso tutta la sua energia in favore del Centro Lumen Vitae. Il 25 marzo 1946 fondò la rivista internazionale della formazione religiosa “Lumen Vitae”. Il 20 ottobre 1957 aprì 1’”Année​​ Catéchétique​​ internationale”, che l’anno successivo divenne​​ Institut​​ International de​​ Catéchèse​​ et de PastoraleLumen Vitae”. Già durante la guerra si era dedicato alla redazione di manuali per l’insegnamento della religione nella scuola secondaria: la serie intitolata​​ Témoins du Christ.​​ A partire dal 1951 ebbe un ruolo giudiziale nella​​ Conférence des Organisations Internationales Catholiques.​​ Attraverso​​ la​​ rivista​​ Lumen Vitae”​​ e​​ il​​ Centro egli voleva offrire uno spazio in cui le ricerche e le esperienze nell’ambito dell’educazione religiosa in diversi paesi, ambienti e culture, potessero trovare una loro espressione e un confronto. Era sensibile alle istanze del mondo in materia di sviluppo, di partecipazione, di giustizia, di liberazione, di pace, di amore, di unità, di speranza in Cristo nei dolori e nelle aspirazioni degli uomini. La C. deve quindi essere attenta alle “pierres​​ d’attente” nella cultura e nell’antropologia. Deve cercare di confrontare gli uomini con la persona del Cristo. Oggi i discepoli vedono la Chiesa e credono in Cristo. Padre D. ne ricava l’enorme importanza della testimonianza della Chiesa nel mondo d’oggi. La C. deve ispirarsi alle aspirazioni umane; deve essere elaborata in maniera vitale (nel contatto con Gesù nella Chiesa); deve portare alla vita cristiana (nella testimonianza delle opere e della preghiera nella Chiesa).

Bibliografia

G. Delcuve et al.,​​ Où en​​ est​​ l’enseignement religieux?,​​ Tournai, Casterman, 1937; Id.,​​ Jésus-Christ montré à la jeunesse moderne,​​ ivi,​​ 1939; trad. ital.:​​ Cristo presentato​​ alla​​ gioventù d’oggi,​​ Brescia, La​​ Scuola,​​ 1955; Id. et al.,​​ Témoins du Christ,​​ Tournai, Casterman, 1946-1948; trad. ital.:​​ Testimoni di Cristo,​​ Torino, Marietti, 1948-1949; 1964;2​​ Io. et al.,​​ Au seuil du Christianisme,​​ Bruxelles, Ed. Lumen Vitae, 1961.​​ Numerosi articoli sulla rivista “Lumen Vitae”.

André Knockaert

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DELCUVE Georges

DEMOGRAFIA

 

DEMOGRAFIA

La d. si occupa dello studio quantitativo delle popolazioni umane.

1.​​ Oggetto,​​ strumenti e natura.​​ L’aggettivo «umane» non è superfluo, in quanto nella​​ ​​ statistica il termine popolazione viene usato in senso molto più vasto, per indicare una pluralità di entità (collettivo) che sono uguali rispetto a uno o più caratteri (es.: alunni della scuola dell’obbligo; libri presenti nella biblioteca scolastica). Ma anche a proposito delle popolazioni umane (o popolazioni nell’accezione comune del termine) occorre aggiungere che la d. si occupa di quelle collettività che presentano una certa continuità nel tempo e sono caratterizzate da modalità (territoriali, giuridiche, etniche, religiose) atte a favorirne l’identificazione e a precisarne i contorni. Di queste popolazioni vengono prese in considerazione caratteristiche strutturali (composizione secondo le modalità di diversi caratteri: sesso, età, stato civile, professione, titolo di studio) e dinamiche (fenomeni di movimento: natalità, mortalità, migrazioni). Tale studio ha uno scopo sia descrittivo che investigativo, nel senso della individuazione di leggi o regolarità demografiche e delle complesse relazioni tra caratteri demografici ed altri di natura biologica, economica e sociale. Per raggiungere i suoi obiettivi la d. usa abitualmente, anche se non esclusivamente, il metodo statistico, poiché esso rappresenta lo strumento per eccellenza nello studio quantitativo dei fenomeni collettivi.

2.​​ L’interesse per uno studio scientifico dei fenomeni riguardanti la popolazione.​​ Esso ha inizio con l’esame dei registri di mortalità e natalità delle parrocchie londinesi. Il merito di aver intrapreso questo tipo di studio va all’inglese J. Graunt (1620-1674) che ebbe l’intuizione di «sostituire alle considerazioni dei fenomeni della vita umana, uno studio per classi o gruppi omogenei espressi quantitativamente» (Boldrini, 1968, 58). Egli rilevò e calcolò, tra l’altro, l’eccedenza delle nascite maschili su quelle femminili; un rapporto numerico pressoché costante tra i sessi; la tendenza all’urbanesimo; una stima dell’ammontare della popolazione di Londra; un tentativo di tavola di mortalità, ecc. I dati su cui poteva contare Graunt erano ridotti e i procedimenti adottati ancora grezzi, ma quello che importa (per i successivi sviluppi) è il metodo: si basa su dati di fatto; elabora quantitativamente le informazioni raccolte; cerca conferme dei risultati ottenuti; individua regolarità. Si assiste in seguito ad un vivace e rigoglioso sviluppo della statistica demografica, che la porta ad assumere una posizione autonoma e trova una prima sistemazione nell’opera di J. P. Süssmilch (1707-1767). L’ultimo nome da ricordare, in questo breve riferimento agli iniziatori degli studi demografici, è quello di T. R. Malthus. Più che per l’impostazione dei problemi e la raccolta di documenti economici e demografici, il suo nome è ricordato per un’opera (Saggio sul principio della popolazione,​​ edita per la prima volta nel 1798) in cui teorizza il legame tra sviluppo demografico e sussistenza: la popolazione tenderebbe a crescere più velocemente (progressione geometrica) dei mezzi di sostentamento (progressione aritmetica) se non vi fosse il freno dei limiti dei mezzi di sussistenza. Le vedute di Malthus furono criticate da opposti punti di vista, ma al suo nome si continua a far riferimento anche oggi. Gli esempi riportati sopra sono limitati agli albori della d., in quanto non è possibile riassumere, anche solo schematicamente, il vasto e rigoglioso sviluppo degli studi demografici da Süssmilch ai nostri giorni.

3.​​ Temi di studio.​​ Punto di partenza può essere considerata l’informazione relativa all’ammontare della popolazione e alla sua distribuzione ed evoluzione. Un primo approfondimento riguarda aspetti strutturali: composizione per sesso ed età; stato civile. Ma anche altri caratteri sociali (livello di istruzione, professione, luogo di dimora: città-campagna) vengono presi in considerazione perché in grado di fornire indicazioni per un esame più approfondito del comportamento demografico. Particolare attenzione viene dedicata all’esame dell’andamento della natalità e mortalità, per il loro determinante contributo all’evoluzione dell’ammontare e della struttura della popolazione. Il movimento migratorio viene seguito con crescente attenzione per le conseguenze che può esercitare sull’ammontare della popolazione, sulla sua struttura e soprattutto per le ripercussioni di ordine economico, culturale e sociale ad esso collegate. In questo contesto vanno collocate anche le previsioni demografiche, cioè i tentativi di descrivere l’andamento futuro della popolazione sia nella sua consistenza globale che nella distribuzione secondo il sesso, l’età, lo stato civile, ecc. Di esse si avverte l’utilità, e cresce la domanda al riguardo soprattutto in vista di decisioni da prendere per far fronte ai problemi che lo sviluppo della popolazione pone. Gli studiosi di problemi demografici si sono gradualmente convinti che l’oggetto dei loro interessi rappresenta un punto d’incontro tra scienze che studiano l’influsso dei fattori naturali (genetici, biologici, dell’ambiente naturale) e di quelli sociali (culturali, economici, legislativi) sugli sviluppi della popolazione. La constatazione dei complessi legami tra fattori naturali e sociali porta a riconoscere alla ricerca demografica un esplicito carattere interdisciplinare. Di qui il fiorire e l’ampliarsi di nuovi settori di ricerca che tentano di approfondire i diversi aspetti (esigenza imposta dalla complessità dei fattori in gioco) ma anche di organizzare i risultati delle ricerche in vista della proposta di modelli con finalità applicativa. Un promettente sviluppo hanno assunto anche le ricerche di d. storica, volte allo studio di testimonianze sull’evoluzione passata delle popolazioni e sulle loro caratteristiche. Più in particolare la d. permette di disporre di informazioni di grande interesse relative alla famiglia e ai suoi problemi (andamento della nuzialità, separazioni legali e divorzi...), alla natalità (evoluzione nel tempo, nati legittimi e naturali), alla mortalità (evoluzione nel tempo, durata media della vita, mortalità infantile...). Confronti internazionali aiutano a collocare i dati relativi ad un Paese nel più ampio contesto mondiale.

4. Dato l’impatto che l’andamento demografico ha su tutti i grandi settori della società (politico, economico, sociale, etico...), viene dedicata grande attenzione alla documentazione seria e sistematica in proposito. Ad essa provvedono a diversi livelli, appositi uffici statistici come quello delle Nazioni Unite, attraverso il​​ Demographic Yearbook, e le pubblicazioni di EUROSTAT (Ufficio Statistico della UE), il cui accesso è gratuito. Per l’Italia, in particolare, va ricordato il Sistema Statistico Nazionale, affidato all’ISTAT, di cui fanno parte gli uffici di statistica ai diversi livelli. Per quanto riguarda la d., l’ISTAT dispone di un sito ufficiale per la diffusione delle statistiche demografiche,​​ D. in​​ cifre​​ (http: / / demo.istat.it) a cui si può accedere liberamente, scaricando i dati che interessano, in formato direttamente utilizzabile. Data la valenza «educativa» dei contributi al Dizionario, va sottolineato anche qui (​​ Statistica) la preoccupazione di rendere familiari agli studenti i prodotti della statistica attraverso la collaborazione con la scuola e con l’Università (http: / / www.istat.it / servizi / studenti /​​ ). Nel contesto della d., in particolare, è importante sottolineare il loro compito di documentazione quantitativa che intende aiutare a meglio conoscere i consistenti cambiamenti che si stanno realizzando nei diversi aspetti delle popolazioni, valutandoli responsabilmente e traendone opportuni insegnamenti, senza la pretesa di trarre solo da essi indicazioni sul modo di porsi di fronte ai grandi problemi che riguardano il significato dell’esistenza e della convivenza umana.

Bibliografia

Boldrini M.,​​ D.,​​ Milano, Giuffrè, 1956; Pressat R.,​​ L’analyse démographique,​​ Paris, PUF, 1969 (trad. it.: 1970); Natale M. (Ed.),​​ Economia e popolazione.​​ Alcuni aspetti delle interrelazioni tra sviluppo demografico ed economico, Milano, Angeli, 2002; Golini A.,​​ La popolazione del pianeta, Ibid., 2003; Istituto Centrale di Statistica,​​ Annuario Statistico Italiano 2006,​​ Roma, ISTAT, 2006; Id.,​​ Rapporto annuale 2006,​​ Ibid.,​​ 2006: Società Ital. Statistica (Ed.),​​ Rapporto sulla popolazione​​ italiana, Bologna, Il Mulino, 2007; Dumont G. F.,​​ La population du monde, Paris, A. Colin, 2006; Caselli G. - J. Vallin - G. Winsch,​​ D.​​ La dinamica delle popolazioni, Roma, Carocci, 2006.

S. Sarti

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DEMOGRAFIA

DEONTOLOGIA PROFESSIONALE

 

DEONTOLOGIA PROFESSIONALE

In questa sede ci si occuperà in particolare della d. delle professioni educative. Intesa in senso largo, la d.p. s’identifica con 1’​​ ​​ etica in generale in quanto applicata all’esercizio delle professioni. Ordinariamente però essa indica l’insieme delle norme di etica professionale codificate, più o meno ufficialmente, dagli organi di autogoverno di una professione (i cosiddetti «codici di d.p.»). Questi codici hanno, rispetto all’etica professionale intesa in senso largo, contenuti minimali ma più precisi e coattivamente esigibili, più debole rimando ai valori e l’assenza di qualsiasi scelta riguardo ai fondamenti di senso. A causa dell’assenza di uno specifico codice di d.p. dell’educatore e del profondo coinvolgimento etico dell’educatore nell’esercizio della sua professione, in questa voce il lemma d.p. sarà inteso nel senso più largo, aperto a tutto lo spessore della problematica etica.

1.​​ L’educazione come promozione umana.​​ L’elemento che, dal punto di vista etico, più specificamente caratterizza la professione educativa è il fatto di occuparsi in modo diretto e immediato dell’umanità dell’​​ ​​ uomo. In questo senso, essa differisce radicalmente dalle professioni orientate alla produzione di beni economici o di servizi sociali. La professione educativa promuove questa specificità umana nelle persone concrete degli educandi, favorendo il loro passaggio da quella potenzialità ricchissima ma germinale che essi sono, ad un’attuazione pienamente sviluppata, quale si dà nell’adulto riuscito. La maturazione promossa dall’educazione riguarda tutta la ricchezza umana dell’​​ ​​ educando: intelligenza, razionalità, abilità pratiche, sensibilità estetiche, sentimenti e affettività, coscienza morale, responsabilità sociale, protagonismo storico, esperienza morale e religiosa.

2.​​ Un dovere di giustizia.​​ Queste considerazioni gettano una luce particolare sulla responsabilità morale dell’​​ ​​ educatore. Se si pensa al suo influsso sulla riuscita o sul fallimento dell’uomo in quanto uomo, essa è difficilmente misurabile. Spesso però la sua responsabilità assume il carattere preciso e rigoroso di un dovere di giustizia: di fatto nella nostra società l’educatore svolge la sua professione, accettando questo incarico da parte delle famiglie o da parte della società civile, con una qualche forma di contratto o quasi-contratto implicito che carica l’esercizio della sua professione di doveri precisi di giustizia contrattuale nei confronti delle famiglie e della società. Nella misura in cui questi doveri sono contenuti, almeno implicitamente, in quella specie di patto con cui i genitori affidano i loro figli ad altri educatori, tali obblighi assumono anche una precisa rilevanza contrattuale. Gli educatori operano anche in quanto rappresentanti della società civile e dello Stato di cui fanno parte; a loro è perciò affidata anche la cura delle attese e degli interessi di tutta la società. Il rapporto tra la società, come contesto educativo o «educatore globale» da una parte, e il singolo educatore o agenzia educativa dall’altra è necessariamente complesso, e non raramente conflittuale. Tali conflitti toccano la responsabilità morale dell’educatore e creano spesso penosi «casi di coscienza». Uno degli obblighi più seri che incombono sull’educatore e sull’insegnante è quello di una adeguata formazione permanente. Necessaria già in forza degli inevitabili limiti di ogni formazione di base, essa lo è ancora di più in un mondo in cui il ritmo dei cambiamenti culturali supera sempre le capacità di adeguamento spontaneo delle singole persone.

3.​​ Educare nella scuola.​​ Una forma particolarmente seria e chiaramente determinata di obblighi di giustizia contrattuale verso la società e lo Stato è quella cui gli educatori sono vincolati quando operano all’interno della scuola. Nelle società industriali avanzate, l’istituzione scolastica ha assunto dimensioni e rilevanza mai raggiunte in passato, e svolge un insieme di funzioni diverse, decisive per la formazione umana e per lo sviluppo e il benessere della società. Il fatto di operare all’interno di un’istituzione pubblica, o comunque legata agli utenti da un vero e proprio rapporto contrattuale, esclude dalla professione dell’​​ ​​ insegnamento ogni aspetto di puro volontariato o di sola gratuità. Non nel senso che simili atteggiamenti le siano preclusi, ma nel senso che, prima ancora di ogni gratuità e prescindendo da ogni volontariato, l’​​ ​​ insegnante è tenuto all’esercizio competente e serio della sua professione in forza di un obbligo antecedente di giustizia. Questo debito stretto di giustizia nei confronti degli allievi, ma anche delle loro famiglie e dell’intera società, investe tutti gli ambiti della professione insegnante: la preparazione culturale e pedagogica, remota e prossima, l’aggiornamento e la​​ ​​ formazione permanente, lo svolgimento delle lezioni, la correzione dei compiti e le interrogazioni, i consigli di classe e i contatti con i genitori, la sperimentazione didattica e la guida intellettuale individuale, la valutazione imparziale ed equanime delle capacità, diligenza, profitto, attitudini degli allievi, che legge e tradizione affidano in misura considerevole ai docenti e agli organi collegiali scolastici. Anche se non espressamente contemplata in nessun contratto collettivo di lavoro, va considerata come dovere di giustizia contrattuale una certa «passione per l’insegnamento e l’educazione», che del resto è un tratto essenziale della personalità morale di ogni educatore.

4.​​ L’educazione come promozione morale.​​ Il carattere tendenzialmente unitario, anche se estremamente complesso, dell’esistenza umana fa sì che la promozione dello sviluppo dell’uomo, anche solo in un settore particolare della sua vita, coinvolga colui che se ne fa carico nella promozione di tutto l’uomo e quindi, dato il carattere etico di ogni pienezza umana, nell’​​ ​​ educazione morale. Tale finalità viene di fatto perseguita anche quando l’educatore non intende farlo in modo esplicito; anzi perfino quando egli non credesse nella sensatezza e praticabilità di una educazione morale, egli farebbe comunque educazione (o diseducazione) morale, attraverso quello che qualcuno chiama​​ hidden curriculum,​​ il curricolo occulto, ma non per questo meno efficace, costituito dalle sue implicite prese di posizione nei confronti dei valori in cui crede o che rifiuta, attraverso la testimonianza della sua vita personale e le modalità del suo stesso​​ ​​ rapporto educativo.

5.​​ L’educazione come fatto di comunicazione.​​ Ogni dinamismo educativo si risolve in una forma di​​ ​​ comunicazione: l’etica della professione educativa è quindi anche una forma di etica della comunicazione, l’etica appunto della comunicazione educativa. Un’importante qualità morale della comunicazione educativa è l’autenticità,​​ che è la modalità specifica della veracità in questo campo. La veracità riguarda anche i contenuti oggettivi del messaggio educativo, ma riguarda soprattutto la verità esistenziale dell’educatore stesso: egli deve comunicare se stesso per quello che veramente è, senza infingimenti e ipocrisie. Attraverso la testimonianza, ciò che egli comunica è la verità stessa del suo essere: egli educa con quello che è, prima ancora che con quello che dice, proprio perché nella globalità di quanto dice e di quanto fa egli esprime se stesso.

Bibliografia

Flitner W. - J. Derbolav,​​ Problemi di etica pedagogica,​​ Brescia, La Scuola, 1988;​​ Günzler C. et al.,​​ Ethik und Erziehung,​​ Stuttgart, Kohlhammer,​​ 1988;​​ Thévenot X. et al.,​​ Pour une éthique de la pratique éducative,​​ Tournai, Desclée, 1991;​​ Gatti G.,​​ Etica delle professioni formative, Leumann (TO), Elle Di Ci, 1992; Bárcena F. - J.​​ C. Mélich,​​ La educación como acontecimiento ético, Barcelona, Paidós, 2000.

G. Gatti

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DEONTOLOGIA PROFESSIONALE

DEPRESSIONE

 

DEPRESSIONE

Il termine d. indica un​​ continuum​​ di stati emotivi più o meno penosi, che vanno dai normali sentimenti passeggeri di tristezza esistenziale, alla sofferenza più prolungata connessa al lutto normale per la morte di una persona cara, o per la rottura di una relazione affettiva o per la perdita di un ruolo significativo, fino ad una vera e propria sindrome di un grave stato patologico caratterizzato principalmente dai seguenti sintomi: umore disforico, apatia, senso di apprensione angosciosa, debole​​ ​​ stima di sé, tendenza alla lamentela, incapacità di provare piacere, perdita di significato, percezione dolorosa del presente, incapacità di usare le esperienze piacevoli del passato e angoscia del futuro, corpo vissuto come evento di perdita, gravi angosce ipocondriache, indebolimento dell’istinto di conservazione.

1. La d. è una delle patologie più diffuse nella società contemporanea ed è in costante aumento. Si ritiene che nel corso della vita il 17-20% della popolazione denunci una qualche patologia depressiva. Circa la distribuzione tra i sessi, il rapporto maschi-femmine è di 1 a 3.

2. Esistono due tipi fondamentali di d.: la​​ d. nevrotica​​ e la​​ d. psicotica.​​ La d. nevrotica si caratterizza per la relativa stabilità ed integrità delle rappresentazioni del Sé e della realtà, per la tollerabilità del senso di​​ ​​ colpa, del senso di solitudine e di abbandono, per un uso piuttosto moderato dei meccanismi della negazione e dell’idealizzazione. Nella d. nevrotica inoltre riveste un ruolo notevole la conflittualità edipica, per cui l’individuo appare dominato dal primato dell’immaginario triangolare. Stante la sua comparsa a seguito della perdita di un qualcosa che è vissuto come oggetto significativo, fonte di una sicurezza di base, la d. nevrotica è detta anche​​ reattiva.​​ Il calo di senso di benessere, che segue al trauma, mette in luce l’esistenza di una sottostante struttura di personalità più o meno debole. La d. psicotica comporta invece la destrutturazione del nucleo del Sé e quindi un grave deterioramento delle relazioni con gli oggetti interiorizzati. Inoltre l’esame di realtà risulta essere gravemente compromesso e disturbato da allucinazioni e deliri. All’origine della d. psicotica sta il fallimento del processo di separazione-individuazione nella prima fase della vita.

3. Circa l’eziologia​​ esistono diversi modelli esplicativi. Il​​ modello organicistico​​ insiste sui fattori genetici e biochimici. Il​​ modello comportamentistico​​ ritiene che, a seguito di ricompense inadeguate da parte dell’ambiente, l’individuo apprende uno stato di inaiutabilità, fino a trovare una ricompensa nell’assumere il ruolo del depresso. Il​​ modello cognitivo​​ afferma che alla base della d. c’è una triplice configurazione cognitiva distorta e cioè una percezione negativa di sé, del mondo e del futuro. Il​​ modello socioculturale​​ sostiene che la d. è determinata da strutture socioculturali che non sono in grado di fornire all’individuo un senso della vita, per cui ci si trova a dover vivere senza ruoli precisi e finalità ben definite e dentro un contesto di rapidi cambiamenti, che impediscono di sostituire i vecchi valori perduti con altri in grado di fornire uguale sicurezza e stabilità. Il​​ modello psicoanalitico,​​ elaborato da S.​​ ​​ Freud (1917) nel famoso saggio​​ Lutto e melanconia,​​ ritiene che la causa della d. stia nella perdita precoce dell’oggetto della libido entro un quadro narcisistico. Ciò determina: a) una grave ferita al proprio Sé; b) una profonda sofferenza per l’oggetto perduto che, proprio perché tale, viene vissuto, oltre che come oggetto d’amore, anche come oggetto di odio; c) una negazione, attraverso l’introiezione, della perdita dell’oggetto; d) un’identificazione con l’oggetto introiettato. Si determina così uno stato d’indifferenziazione tra il Sé e l’oggetto, per cui il risultato finale è che l’individuo, attaccando sadicamente l’oggetto perché vissuto come frustrante in quanto assente, distrugge anche se stesso. Come giustamente sottolinea Freud, l’ombra dell’oggetto (cattivo) cade sull’Io, per cui quest’ultimo diviene bersaglio di critica, come lo è l’oggetto perduto. Ciò comporta sia la comparsa del senso di colpa nei confronti dell’oggetto, perché odiato, che il crollo della stima di sé. In particolare, il depresso sperimenta un grave senso di disperazione, in quanto non può appoggiarsi all’oggetto, perché vissuto come distrutto da lui stesso. In sintesi, secondo l’ottica psicoanalitica, la causa fondamentale della d. in età adulta va ricercata nelle esperienze di perdita primaria di un oggetto d’amore interiorizzato e percepito in modo ambivalente. Ne segue che ogni perdita comporta la perdita del proprio essere.

4.​​ D. in età evolutiva.​​ Al pari dell’​​ ​​ ansia, le manifestazioni depressive nell’età infantile, in generale possono essere considerate come una reazione psicobiologica fondamentale, di tipo transitorio, al fine di trovare un adattamento di fronte alle varie esperienze di separazione connesse con la crescita. Può comunque comparire anche una d. patologica, dove i sintomi più tipici sono: senso d’infelicità, attività autoerotiche, mancanza d’interessi, sensazione di non essere amati, insonnia, fobia della scuola, aggressività, disturbi psicosomatici, perdita dell’appetito. L’inizio dell’​​ ​​ adolescenza si caratterizza come un periodo in cui è considerata come normale la comparsa di sentimenti depressivi. Ciò è dovuto al fatto che il soggetto sperimenta una perdita sia sul versante narcisistico che oggettuale. Più precisamente, i cambiamenti a livello fisico, psichico e sociale espongono l’adolescente all’esperienza della perdita del corpo infantile, del ruolo infantile e dei genitori infantilmente vissuti. Ciò comporta la rinuncia all’immagine idealizzata del proprio corpo perfetto in quanto percepito come bisessuato, all’immagine grandiosa di sé e all’immagine dei genitori onnipotenti. Rispetto all’infanzia, nell’età adolescenzia-le, oltre che alla d. di tipo nevrotico, è possibile riscontrare una d. di tipo psicotico. Verso la fine dell’adolescenza può comparire anche la psicosi maniaco-depressiva o bipolare. Le cause principali della d. patologica nell’adolescenza vanno individuate nel fallimento del secondo processo di separazione-individuazione e quindi, nella persistenza di una relazione simbiotica e nella presenza di oggetti interni persecutori.

Bibliografia

Freud S., «Lutto e melanconia», in​​ Opere,​​ vol. 8, Torino, Bollati Boringhieri, 1976, 102-118; Jacobson E.,​​ La d. Studi comparativi degli stati normali,​​ nevrotici e psicotici,​​ Firenze, Martinelli, 1977; Beck T. A.,​​ La d.,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1978; Haynal A.,​​ Il senso della disperazione. La problematica della d. nella teoria psicoanalitica,​​ Milano, Feltrinelli, 1980; Kristeva J.,​​ Il sole nero. D. e melanconia,​​ Ibid., 1988; Castellazzi V. L.,​​ Psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza: La d.,​​ Roma, LAS, 1993; Stark K.,​​ La d. infantile, Gardolo, Erickson, 1995; Jervis G.,​​ La d., Bologna, Il Mulino, 2002; Palacio Espasa F.,​​ D. di vita,​​ d. di morte, Milano, Cortina, 2004; Arnoux D.,​​ La d. in adolescenza, Roma, Borla, 2005; Zuccardi Merli U. (Ed.),​​ Il soggetto alla deriva. D. e attacchi di panico, Milano, Angeli, 2005;​​ Chabert C. et al.,​​ Figure della d., Roma, Borla, 2006; Pancheri P. (Ed.),​​ La d. mascherata, Milano, Masson, 2006.

V. L. Castellazzi

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