CREATIVITÀ

 

CREATIVITÀ

Il termine CR ha avuto una fortuna notevole negli ultimi trent’anni, prima nella psicologia e poi nella prassi scolastica e professionale. Anche nella C. a poco a poco questo termine è stato usato con tutte le sue potenzialità e le sue ambiguità. Il rapporto tra CR e liturgia, ad es., è oggi nell’ambito della C. e della pastorale una tematica oggetto non solo di interesse, ma anche di tensioni.

Come la parola stessa suggerisce, un primo significato globale indica capacità di produrre nuove idee, nuove cose, nuovi oggetti d’arte, nuove soluzioni, ecc. Sembra così costituirsi un primo livello semantico connesso con il carattere di novità e di originalità del prodotto umano. Tuttavia emerge subito anche l’ambiguità di questa accezione. Nel caso dei bambini si è infatti spesso parlato di CR di fronte a un comportamento che è nuovo od originale soggettivamente, in quanto il bambino o manifesta inaspettate reazioni all’ambiente o diventa capace di nuove prestazioni. Analogamente è stato attribuito il carattere di CR a ogni espressione dell’uomo, in quanto nuova sintesi soggettiva. In questo senso ogni atto umano ha sempre un carattere di novità, in quanto posto in nuovi contesti e nuove coordinate spazio-temporali. La tendenza a valorizzare modelli di autoeducazione e di autosviluppo, ecc., ha portato ad accentuare l’esigenza della CR, intesa come soggettivo svolgersi della propria storia ed espressione personale del proprio mondo e dei propri sentimenti.

L’analisi sia teoretica che psicologica ha però un po’ raffreddato questa tendenza. Si è cercato così di giungere a definizioni più oggettive e operazionali. Sono state individuate alcune componenti della CR: la fluidità, intesa come flessibile capacità di aprirsi al nuovo e di generare nuove idee ed espressioni; l’originalità, capacità di produrre nuove soluzioni rispetto a quelle fino allora disponibili. Guilford ha contrapposto due momenti dinamici del pensare: il momento divergente, esplorativo, e quello convergente, selettivo. La CR viene quindi assimilata alla capacità di pensiero divergente; mentre la criticità a quella di pensiero convergente.

Attorno al concetto di CR sono così venute addensandosi molte forme verbali che evidenziano ulteriormente questi caratteri di genericità e di ambiguità. Fra le tante merita ricordare: espressività, produttività, originalità, sensibilità, flessibilità, capacità di adattamento, capacità di trovare soluzioni nuove, divergenza, apertura al nuovo, inventività.

Nell’educazione e nella C. il problema della CR si pone in maniera differente secondo gli approcci prescelti. Se si accentua l’attenzione al processo autonomo di sviluppo dello spirito umano, creatività si assimila sempre più a soggettività e a espressività. Se si sottolineano la componente comunicativa e l’influsso dell’educatore e del catechista nello sviluppo personale, CR si assimila a un grado superiore di capacità di pensiero: il superare quanto è trasmesso, il giungere a integrazioni nuove, partendo da quanto è stato acquisito e consolidato nel processo formativo.

Una C. creativa può essere quindi intesa come capacità di trovare soluzioni nuove ai problemi posti dall’annuncio di fede e dall’educazione alla fede in contesti e situazioni differenti, soluzioni però che si basano su un’attenta ricognizione delle componenti del problema e su una mediazione sistematica tra le esigenze e gli apporti del sapere e dei contenuti cat. e le specificità del contesto e dei destinatari. Fare una C. attenta o sensibile alla CR significa non solo offrire elementi di conoscenza o dare norme di comportamento, ma aiutare a utilizzare e gli uni e le altre nell’analisi, nell’elaborazione di giudizi e nelle scelte che le digerenti situazioni umane comportano. Sembra invece poco produttivo insistere su aspetti puramente soggettivi, in quanto renderebbero totalmente insignificante l’azione educativa e di annuncio.

Bibliografia

A. Beaudot,​​ Il problema della creatività nella scuola,​​ Torino, SEI, 1974; C. Bucciarelli,​​ Creatività e fede religiosa: dialogo possibile?,​​ in “Orientamenti Pedagogici” 24 (1977) 787-816; M. Fattori,​​ Creatività ed educazione,​​ Bari, Laterza, 1968; M. Mencarelli,​​ Creatività,​​ Brescia, La Scuola, 1976; C. W. Taylor (ed.),​​ Creativity: Progress and Potential,​​ New York, Wiley, 1964.

Michele Pellerey

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CREATIVITÀ

La c. è la rara capacità di alcuni individui di scoprire rapporti tra idee, cose e situazioni, di produrre nuove idee, di avere delle intuizioni e di concludere il processo mentale con un prodotto valido e utile nel settore scientifico, estetico, sociale e tecnico di una determinata cultura; il prodotto poi esercita un certo influsso sulla vita degli altri arricchendola oppure producendo in essa un positivo cambiamento. Nella c. vengono distinti tre aspetti: la persona, il processo e il prodotto.

1.​​ La persona.​​ È caratterizzata da​​ ​​ abilità generali, speciali e da alcuni​​ ​​ tratti della personalità che costituiscono la sua motivazione alla produzione creativa. La persona creativa possiede in alto grado i processi ipotetico-deduttivi; risulta alta in fluidità ideativa che consiste nella produzione di idee nuove che vanno incontro a bisogni sociali; la c. può essere verbale (ricca produzione di parole), associativa (combinazione di concetti differenti) ed espressiva (produzione grafica o gestuale). La persona creativa è flessibile mentalmente in quanto riesce ad adattarsi a situazioni nuove; è in grado di cogliere ed assimilare nuovi contributi; possiede pure la fluidità categoriale, in quanto passa facilmente da un contenuto all’altro; infine produce con facilità delle associazioni libere: associa, cioè, contenuti, fatti, concetti ed idee in modo insolito, ma socialmente accettabile. Padroneggia pure processi «metasistemici» in quanto comprende bene la struttura di un sistema e riesce a confrontarlo con gli altri e quindi è in grado di valutarli adeguatamente, di trascenderli e di vedere la situazione in una nuova luce. Questa sua abilità la rende sensibile ai problemi di un determinato settore, a raccogliere le informazioni per definirli, a rendersi conto delle incongruenze, a scoprire assunti ed eventuali distorsioni (pregiudizi) o sofismi, a dare delle spiegazioni, a formulare delle ipotesi e a verificarle. Perché tale persona possa produrre un’opera significativa deve possedere anche delle abilità specifiche in una determinata area come quella verbale, numerica, spaziale, oppure in quelle combinate: percettive, psicomotorie e sociali; deve cioè possedere delle abilità straordinarie in uno specifico settore. Oltre ai due tipi di abilità la persona per essere creativa deve possedere in uno specifico settore delle ampie conoscenze che sono presupposto per ogni produzione creativa. Deve possedere il sapere consolidato acquisito con un prolungato studio ed esercizio. Lubart (1994) nota che senza le conoscenze di uno specifico settore è difficile scoprire un problema, capirlo e procedere nella giusta direzione per risolverlo. La conoscenza è un presupposto anche per una scoperta casuale, tanto che Pasteur ha detto: «Il caso favorisce solo una mente preparata». Ogni produzione creativa inizia con il processo algoritmico (soluzione prestabilita) seguito poi dal processo euristico (soluzione innovativa). Il primo è basato sull’intelligenza cristallizzata (sapere consolidato) mentre il secondo è fondato su quella fluida (sapere da ordinare ed elaborare). L’eccessivo possesso del sapere consolidato è però dannoso alla c. in quanto la persona ricorre al metodo collaudato per la soluzione dei problemi e non tenta soluzioni nuove; inoltre esso riduce la versatilità mentale. Per la produzione artistica abbondanti modelli possono essere dannosi in quanto portano all’imitazione e a non cercare soluzioni originali. Lubart (1994) nota che scarse e ricche conoscenze riducono la c. Accanto alle abilità e alle conoscenze è fondamentale la​​ ​​ motivazione, che è una forza interna che spinge la persona all’azione e alla produzione. Essa ha origine in alcuni tratti della personalità che distinguono le persone creative da quelle non creative. Essi sono di tre tipi:​​ temperamentali:​​ introverso, disinvolto, emotivo, individualista, tollerante dell’incertezza;​​ intellettivi:​​ curioso, indipendente, predisposto ad un ragionevole rischio, conscio del suo valore, di chiara identità, di precisi obiettivi, versatile, flessibile;​​ etici:​​ volitivo, tenace, sensibile al vero e al bello. In sintesi si può dire che le abilità del soggetto sono «calate» in una personalità che possiede delle caratteristiche favorevoli alla produzione creativa.

2.​​ Processo e prodotto.​​ Il processo creativo si articola in quattro fasi: 1ª la​​ preparazione​​ in cui viene scoperto e definito il problema (o l’argomento); segue la raccolta di informazioni e si prospetta la sua soluzione iniziale. 2ª l’incubazione:​​ il problema viene «rimuginato» sotto la soglia della coscienza, vengono associate nuove informazioni a concetti già posseduti, si fanno considerazioni da punti differenti in un processo parallelo (ogni filone di riflessione procede senza incrociarsi con un altro); in questo processo vi è un continuo passaggio dall’incubazione alla preparazione e viceversa. 3ª l’illuminazione:​​ si approda alla soluzione del problema o alla coscienza dell’esistenza di un nuovo prodotto; esso poi viene rifinito ed il suo valore viene esaminato nella 4ª e conclusiva fase: di​​ valutazione.​​ Le quattro fasi si addicono meglio al processo creativo scientifico che a quello artistico. Il prodotto viene valutato dagli esperti del rispettivo settore, deve essere originale e deve risultare utile. Per la valutazione della produzione creativa degli alunni sono state elaborate alcune scale per renderla più oggettiva.

3.​​ Formazione.​​ La produzione creativa avviene in stretto rapporto con l’ambiente socioculturale il quale ad essa offre dei criteri sia per la valutazione dei contenuti che dei metodi. L’abilità creativa si forma principalmente in due ambiti: familiare e scolastico. Perché il figlio possa essere creativo deve essere incoraggiato all’indipendenza. Sfortunatamente i genitori incoraggiano l’indipendenza, l’autosufficienza ed il senso di responsabilità più nel figlio che nella figlia. Di conseguenza i figli maschi ottengono maggiore successo a scuola, lo attribuiscono alle loro abilità e all’impegno, mentre le figlie lo ascrivono più alla fortuna e al caso. L’effetto di questo atteggiamento differenziato per sesso si manifesta già nella scuola dell’obbligo in quanto il numero degli alunni creativi risulta sensibilmente superiore a quello delle alunne. L’ambiente scolastico formerà alla c. se incoraggerà e sosterrà le scelte autonome e stimolerà l’apprendimento divergente (​​ stili di apprendimento).

4.​​ Diagnosi e promozione.​​ L’accertamento delle potenzialità creative degli alunni è reso difficile dalla loro grande varietà. Vengono usati: test attitudinali e di c., scale di valutazione destinate agli insegnanti, esperti e genitori, test sociometrico, colloquio, tecniche proiettive ed anche voti scolastici. Nel contesto scolastico si cerca di promuovere l’abilità creativa degli alunni con i contenuti delle discipline anticipandoli oppure arricchendoli. Tutti e due i modi si attuano nel normale corso delle lezioni e hanno effetto positivo sulla capacità creativa degli alunni. La conduzione dell’accelerazione e dell’arricchimento è affidata ad insegnanti scelti, abili nell’insegnamento, competenti in settori specifici, flessibili mentalmente e molto motivati. Esistono però anche appositi programmi per sviluppare la c. (De Bono, 1992); essi sono impostati sull’apprendimento delle strategie di soluzioni di problemi. Nello stesso tempo viene esercitata la capacità critica dell’alunno e migliorata la sua capacità decisionale. Data l’impostazione cognitiva del procedimento esso è più efficace nel settore scientifico che in quello artistico.

5.​​ Suggerimenti.​​ La capacità creativa degli alunni può essere promossa anche durante il regolare insegnamento: a) valorizzando la produzione originale degli alunni; b) rendendoli sensibili alle valide stimolazioni dell’ambiente sociale; c) incoraggiandoli ad approfondire le loro idee; d) gestendo un modello aperto di apprendimento (possibili estensioni dell’argomento); e) incoraggiando ed apprezzando l’apprendimento autoregolato; f) dando la possibilità di gestire il curricolo in modo autonomo; g) facendo una lineare esposizione di un argomento presentando anche le interpretazioni alternative; h) formando negli alunni l’abitudine di sviluppare a fondo le implicanze delle proprie idee portandole alle estreme conseguenze; i) coltivando processi superiori dell’apprendimento (applicazione, sintesi e valutazione); j) proponendo le attività che facilitano l’esplorazione; k) usando vari metodi di insegnamento: letture personali, discussioni, lavori di gruppo, escursioni e progettazioni. La formazione delle abilità creative rappresenta uno degli obiettivi più ambiziosi dell’ educazione; infatti la capacità creativa è collegata alla piena maturità intellettuale della persona (Poláček, 1994) che la rende libera (trascende i sistemi) ed altamente produttiva.

Bibliografia

Glover J. A. - R. R. Ronning - C. R. Reynolds (Edd.),​​ Handbook of creativity,​​ New York, Plenum Press, 1989; De Bono E.,​​ Strategie per imparare a pensare,​​ Torino, Omega, 1992; Lubart T. I., «Creativity», in R. J. Sternberg (Ed.).​​ Thinking and problem solving,​​ San Diego, Academic Press,21994; Poláček K.,​​ In che cosa consiste la maturità intellettuale?,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 41 (1994) 207-218; Runco M. A. - S. R. Pritzker (Edd.),​​ Encyclopedia of creativity,​​ 2 voll., San Diego, Academic Press, 1999; Kaufman J. C. - R. J. Sternberg (Edd.),​​ The international handbook of creativity,​​ Cambridge, Cambridge University Press, 2006; Kaufman J. C. - J. Baer (Edd.), Creativity and reason in cognitive development,​​ Ibid., 2006; Sternberg R. J.- H. L. Roediger - D. F. Halpern (Edd.).​​ Critical thinking in psychology,​​ Ibid., 2006.

K. Poláček

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CREATIVITÀ

CREAZIONE

 

CREAZIONE

1.​​ La fede in Dio creatore appartiene alla sostanza fondamentale del credo cristiano. Le radici bibliche assolutamente chiare, la costante riflessione teologica, avvalorata dal → Magistero della Chiesa (recentemente il Vaticano I e II), la sua incalcolabile rilevanza per la comprensione dell’uomo, del mondo e della storia, hanno fatto sì cbe la CR sia argomento presente nella C. di ogni tempo (DCG 51; EN 26), tanto come contenuto specifico cbe come prospettiva-chiave per comprendere il rapporto Dio-uomo, materialespirituale, natura-grazia, uomo-mondo... Rimane vero che le diverse condizioni culturali hanno influito sulle espressioni cat., soprattutto a proposito dell’interpretazione dei dati biblici, e in rapporto con le scienze che studiano le origini dell’uomo e del mondo (v. 3). Per questo è indispensabile che la C. della CR da una parte tenga conto della fede genuina della Chiesa colta alle fonti, e dall’altra ne proponga una comprensione vitale mediante il confronto con altre concezioni di CR presenti nelle grandi religioni, nei sistemi di pensiero più significativi, e anche nella prassi attuale di vita (uso delle cose, senso della esistenza e della storia, del lavoro, del progresso, della tecnica...).

2.​​ Nella Bibbia​​ il tema della CR solca tutti e due i Testamenti (Gn​​ 1-2;​​ Sai​​ 8; 19; 104;​​ Is​​ 40,26ss; 42,5...;​​ Sap​​ 13,1-9;​​ Rm​​ 1,20; 8,19-22;​​ Eb​​ 1,2;​​ Gv​​ l,3ss...), con una sua specificità del tutto originale rispetto alle cosmogonie di ambiente. In particolare, la riflessione teologica ha posto in risalto:​​ l’assolutezza,​​ la spiritualità e la potenza di Dio contro ogni cattura mitologica (“Disse e fu fatto”); la​​ creaturalità​​ radicale e la costante dipendenza dell’uomo e del mondo dalle mani di Dio (Sai​​ 8,7); la​​ positività​​ intrinseca e permanente della CR, anzitutto nel senso che un Principio divino positivo personale vi presiede; nel senso poi che viene riconosciuto il valore autonomo (secolare) della realtà nella sua composizione di materia e spirito.

Particolarmente esplicita è la centralità dell’uomo-donna, come “immagine di Dio” (Gn​​ 1,28); e infine, tratto decisivo, si ricava che il tema della CR va inquadrato in quello della → storia della salvezza, e precisamente compreso alla luce sia dell’esperienza storica dell’esodo (v. II Isaia e l’origine della tradizione Jahvista e Presbiterale in​​ Gn​​ 2 e 1: G. von Rad), sia dell’esperienza di Cristo (Eb​​ 1,2;​​ Col​​ 1,13-17;​​ Gv​​ 1,3-17). In questo modo l’ordine della CR, come rivelazione generale, viene a saldarsi con quello della redenzione, come rivelazione speciale; viene in primo piano il mistero di Cristo, per il quale e in vista del quale la CR è iniziata e si va compiendo (1 Cor​​ 8,6) nell’escatologia del nuovo cielo e della nuova terra (Ap​​ 21,1); e così la ferita del peccato che fin dagli inizi (→ peccato originale) ha provocato nell’uomo un’ombra permanente di sospetto su Dio creatore e di malessere dentro di sé in quanto incapace di godere della CR come dono di vita, viene superata, fin da oggi, nella speranza. Concretamente ciò infonde il coraggio di pensare e volere la CR esistente secondo il progetto generoso di Dio: un mondo di tutti e per tutti come segno dell’amore senza limiti di Dio e profezia anticipata della vita eterna offertaci da Gesù Cristo.

3.​​ Una corretta C. della CR si inserisce di necessità nel cammino di fede che la C. intende realizzare. Assume il ruolo di verità ed esperienza gerarchicamente primaria, e quindi può e deve essere presente nella C. di tutte le età, pur assumendo diversi livelli di approfondimento critico. In linea generale si supererà una concezione troppo statica, oggettivistica e archeologica di C. (un evento puntuale nel passato primordiale).

Un primo aspetto assolutamente indispensabile sta nella​​ genuina comprensione dei testi biblici​​ di CR: genere letterario di​​ Gn​​ 1 e 2; distinta origine e contenuto dei due racconti; altre testimonianze bibliche sulla CR; collegamento storico-salvifico con l’esodo e con il successivo compimento in Gesù Cristo, per cui il racconto dell’arché o inizio si pone come potente e dinamica profezia di tutta la storia.

Un secondo aspetto da considerare riguarda le ricchezze del​​ messaggio​​ di CR: è rivelazione della creaturalità dell’uomo e del mondo quale relazione fondamentale e permanente con Dio; fa parte costitutiva della → storia della salvezza, per cui “la CR è base esterna dell’ → alleanza, mentre questa fa da base interiore della CR” (K. Barth); è fonte di compito etico in quanto ogni uomo assume la responsabilità di realizzare il comando del Creatore di essere e vivere come immagine di Dio (Gn​​ 1,26-28), nella molteplice relazione con il cosmo da rispettare e sviluppare (ecologia), con gli altri uomini, in particolare nel rapporto uomo-donna, con cui vivere in comunione, con Dio medesimo, da ringraziare e glorificare (v. il sabato in​​ Gn​​ 2,1-4; la preghiera delle offerte nella Messa).

Infine, terzo aspetto da considerare, avendo presente la dolorosa esperienza di conflitto, a partire dall’epoca moderna (il caso Galileo), sul problema delle origini (del cosmo, della vita, dell’uomo) si dovrà affrontare, specialmente nell’ → IR nella scuola​​ il rapporto​​ fra dati della → fede e delle scienze in termini non concordistici, ma nemmeno di contraddizione reale, ricordando la prospettiva strettamente religiosa storico-salvifica, e non per sé scientifica del messaggio cristiano (cf DV 11).

Da un punto di vista​​ pedagogico-didattico,​​ oltre alle cose fin qui dette, urge la riconsiderazione del senso di CR mediante l’invenzione di nuove categorie concettuali e linguistiche (esistenziali e sociali insieme) e la riconsiderazione dei segni elementari di CR incarnati nelle esperienze fondamentali della vita (→ esperienza religiosa).

Mai forse come nel nostro tempo, nel gioco tormentoso di definire i rapporti fra trascendenza e immanenza, fra senso religioso e secolare del mondo, fra autonomia e responsabilità, fra ordine naturale e intervento di trasformazione, la verità della CR deve potersi esprimere nella sua qualità di dono universale (benedizione) e come messaggio di riconciliazione fra carne e spirito, fra temporalità ed eternità, fra possibilità non predeterminata di sviluppo e realistica percezione dei propri limiti di creature e degli errori come peccatori.

Bibliografia

G. Colombo,​​ Creazione,​​ in​​ Dizionario di Teologia,​​ Roma, Ed. Paoline, 1982; M.​​ Flick –​​ J. Alszeghy,​​ Fondamenti di una antropologia teologica,​​ Firenze, LEF, 1970; G. Gozzelino,​​ Vocazione e destino dell’uomo in Cristo,​​ Leumann-Torino, LDC, 1985; G.​​ von​​ Rad,​​ Genesi​​ (1-12), Brescia, Paideia, 1969; G.​​ Stachel,​​ Das​​ Bekenntnis des Schöpfers”​​ (Gen​​ 1,1 -​​ 2,4a),​​ in “Katechetische Blätter» 103 (1978)​​ 345358.

Cesare Bissoli

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CREAZIONE

CREDENZE

 

CREDENZE

Durante tutta la sua storia, l’uomo ha sempre cercato di stabilire un rapporto cognitivo con la realtà che lo circonda attraverso una molteplicità di approcci. Accanto all’uso della razionalità strumentale, intesa come l’elaborazione di risposte pragmatiche ai problemi quotidiani del vivere, va sottolineata l’ampia produzione delle c., cioè di conoscenze che si pongono su un piano nettamente distinto da quello della razionalità, anche se non necessariamente contrapposto a quello.

1. Tra i tipi più diffusi di c. vi sono quelle religiose, che possono essere definite come l’insieme degli atteggiamenti che gli individui hanno nei confronti di un essere superiore o di una potenza percepita come trascendente. Le c. religiose possono indicare anche un complesso di dogmi o di verità di fede che vanno identificate di volta in volta nelle varie religioni storiche: in questo senso sono proposizioni formulate verbalmente o meno, a cui una persona conferisce pieno assenso. Esse, come confermano molti studiosi, hanno a che fare con i significati ultimi dell’esistenza umana. Quasi tutte le religioni storiche hanno elaborato compiute rappresentazioni del mondo e dell’uomo fondate sul principio dell’immortalità dell’essere umano, anche se non sempre collegate all’idea dell’esistenza dell’aldilà. Inoltre, le c. religiose hanno bisogno di istituzioni come supporto necessario per fornire una struttura di plausibilità alle c. stesse. Ogni c. richiede un simile sostegno sociale ma le c. religiose ne hanno particolarmente bisogno, a causa del carattere straordinario e trascendente delle loro affermazioni.

2. Seguendo diverse indicazioni provenienti dalla storia, dalla fenomenologia e dalla sociologia, si può dire che il​​ ​​ mito è una forma primordiale di c. religiosa in quanto tipo originario di appercezione e di espressione delle realtà religiose primitive. Esso è un’intuizione teorico-pratica di carattere sostanzialmente partecipativo, che tende ad accentuare gli aspetti emotivi, affettivi, vitali. Nella percezione mitica il rapporto tra soggetto e oggetto sacro è per sua natura fluido e fluttuante. Il sacro appare nella sua caratteristica di diverso e di separato, ma allo stesso tempo come qualcosa che esprime necessariamente un rapporto con il soggetto. I miti sono anche la prima forma di spiegazione intellettuale delle percezioni religiose. Essi ripetono le eterne domande – Perché siamo qui? Da dove veniamo? Perché ci comportiamo in un certo modo? Perché si muore? –, interrogativi che la curiosità intellettuale dell’uomo è pronta a porre e a cui risponde nel mito con un linguaggio immaginativo, cioè simbolico. Fondamentalmente il mito trascende la razionalizzazione. Le c. religiose e la dottrina sono la seconda forma di spiegazione intellettuale del problema religioso. Sul piano della comprensione sociologica si rivela utile l’intuizione durkheimiana secondo cui ogni gruppo umano tende a consacrare su un piano di assolutezza i valori cui affida la legittimazione del proprio esistere (​​ Durkheim, 1963). La fede religiosa, tra tutte le forme di c., sembra possedere un potere di integrazione e di propulsione sia a livello individuale sia a livello sociale, relativamente superiore a quello della altre filosofie di vita.

3. Più che la scomparsa della​​ ​​ religione si constata oggi una molteplicità dei segni religiosi. A riguardo del senso della vita, del richiamo ai valori ultimi, del fondamento dell’eticità, la società è piena di segni religiosi e di nuovi credenti, ma la religione non è considerata un’eredità da accogliere e sviluppare ed è sempre meno legittimata dalle interpretazioni approvate dalla tradizione e dalle religioni istituzionalizzate. Esiste una situazione di pluralismo in senso sincretistico che indica il miscuglio, l’intreccio di molteplici e differenti elementi religiosi parziali. Oggi tutti i credenti sono esposti a un’illimitata offerta di culti, pratiche, letterature, c. di altre tradizioni religiose. La diversità religiosa si inserisce all’interno dell’individuo. Così l’uso dei modelli di comportamento religioso si sposta da una religiosità istituzionalizzata e fissa a una individuale ed elettiva che attinge da varie sorgenti. Rimangono però le tracce della religiosità privata e i molteplici sostituti dell’esperienza religiosa. Nella situazione moderna tocca a ciascuno elaborare per proprio conto le sue risposte religiose; in altre parole, il declino della religiosità tradizionale si paga con la fatica dell’essere soggetto.

4. Nella religiosità moderna prevalgono la dimensione soggettiva e l’esperienza personale indipendente da ogni contenuto dogmatico definito. Essa non ha bisogno di proiettarsi in rappresentazioni definite, articolate in corpi dottrinali e socialmente condivise; le sue modalità non producono quasi mai sintesi del tutto compiute, ma piuttosto forme sincretistiche, selezione, giustapposizione, assimilazione, fusione di tratti religiosi diversi. Sempre più frequentemente il sincretismo si costruisce con assetti sia religiosi sia secolari. In questo processo i primi rappresentano una risorsa epistemologica, un orizzonte con funzione soprattutto cognitiva e legittimatrice. Ciò che è nuovo nella percezione delle c. moderne è la grande mobilità, la dispersione in molteplici direzioni, la diversità degli oggetti in cui si realizza, la differenziazione delle funzioni a cui assolve.

Bibliografia

Durkheim É.,​​ Le forme elementari della vita religiosa,​​ Milano, Edizioni di Comunità, 1963; Crespi P.,​​ La coscienza mitica,​​ Milano, Giuffré, 1970; Eliade M.,​​ Storia delle c. e delle idee religiose,​​ Firenze, Sansoni, 1990; Acquaviva S. - E. Pace,​​ Sociologia delle religioni. Problemi e prospettive,​​ Roma, NIS, 1992; Berger P.,​​ A far glory.​​ The quest for faith in an age of credulity,​​ New York, The Free Press, 1992; Berzano L.,​​ Religiosità del nuovo areopago.​​ C. e forme religiose nell’epoca postsecolare,​​ Milano, Angeli, 1994; Rizzi E.,​​ La giustificazione «critica» delle nostre c. sul mondo, Firenze, Polistampa, 2000.

J. Bajzek

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CREDENZE

CREDIBILITÀ

 

CREDIBILITÀ

Dal punto di vista pedagogico, la c. può essere intesa come la condizione di persone, istituzioni, contenuti di proposte e inviti educativi che innestano dinamiche di coinvolgimento affettivo e spirituale e muovono al consenso.

1. La c. può essere condizione globale di un sistema e di un rapporto o riferirsi a un singolo fattore e atto dell’educazione. Appartiene alla pedagogia della​​ ​​ motivazione. Abitualmente gli esiti educativi buoni si attribuiscono agli educatori, le risposte negative o difettose alle condizioni del soggetto educando o dell’ambiente. Il primo si giudica poco disponibile, soprattutto a proposte e richieste valide e impegnative. Il secondo di solito viene rimproverato di scarsa collaborazione, di moltiplicazione delle difficoltà, d’essere responsabile oggi della quasi impossibilità di una buona educazione.

2. La c. si tende a darla quasi per scontata. Invece, oggettivamente, la responsabilità prima e ultima dell’intervento educativo è legata a un sistema di c., delle persone e delle comunità educatrici, alle loro proposte, alla qualità delle loro mediazioni, alla loro presenza o assenza. Credibili sono le persone che testimoniano, che pagano di persona, che mostrano amore e zelo, dedizione, pazienza. Credibili sono le proposte che si mostrano significative e ottengono per questo profonda risonanza interiore anche di fronte ad attese esigenti e critiche o dubbiose. Credibile è ciò che agisce in profondità, esprime valori permanenti, ma insieme corrisponde allo spirito dei tempi, alla pluralità delle condizioni e delle disponibilità. Credibile è un sistema che presenta le prove, i segni di valore e la forza dei contenuti che propone. Credibili sono le personalità e i modi della mediazione che suscitano dinamiche di attenzione e di fiducia, e spingono ad assumere in profondità e convinzione quanto viene proposto (v. anche​​ ​​ autorità educativa).

Bibliografia

Gianola P., «I giovani e la vita religiosa oggi: tra disponibilità e c.», in CIS,​​ Vocazioni giovanili e comunità d’accoglienza,​​ Roma, Rogate, 1982, 25-46; Guardini R., «La c. dell’educatore», in Id.,​​ Persona e libertà, Brescia, La Scuola, 1987.

P. Gianola

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CREDIBILITÀ

CRISI

 

CRISI

Termine di origine gr. (krino =​​ scelgo, discrimino, separo) usato dalla medicina ippocratica per indicare il momento decisivo del decorso d’una malattia.

1.​​ Definizione.​​ In ambito psicopedagogico si riferisce a una fase della vita caratterizzata dalla rottura dell’equilibrio precedentemente acquisito e dalla capacità di trasformare quegli schemi di atteggiamento e di comportamento che si rivelano inadeguati a far fronte alla nuova situazione.

2.​​ Tipologia.​​ La tendenza attuale della moderna​​ ​​ psicopedagogia è quella di distinguere tra vari tipi di c. alla luce di due criteri: la​​ natura del legame​​ della c. stessa con le fasi o gli eventi della vita, e la​​ libertà del soggetto​​ d’affrontare le varie situazioni di c. Prendendo in considerazione, anzitutto, il rapporto tra c. ed esistenza, avremo due tipi di situazioni critiche: a) c.​​ essenziali,​​ perché legate, direttamente o indirettamente, all’evolversi naturale della vita. Tali c., a loro volta, possono esser ancora di due tipi:​​ evolutive,​​ quelle connesse intrinsecamente alle stagioni classiche dell’esistenza umana (infanzia, adolescenza ecc., oggetto della psicologia evolutiva), o a particolari settori di sviluppo (e avremo allora le varie teorie dello sviluppo intellettuale di​​ ​​ Piaget, affettivo-sessuale di​​ ​​ Erikson, morale di​​ ​​ Kohlberg...). Tali c. sono prevedibili o, in ogni caso, è possibile preparare l’individuo ad affrontarle, espletando i corrispondenti «compiti evolutivi». Altro tipo di c. essenziale è la c.​​ vocazionale,​​ legata di per sé a un preciso passaggio evolutivo, quello che dalla​​ ​​ preadolescenza porta all’adolescenza e poi alla giovinezza, lungo il quale il soggetto decide della sua identità ideale e, all’interno d’essa, del suo futuro. Di fatto tale c. dovrebbe accompagnare in qualche modo tutta l’esistenza. b) Il secondo tipo di situazione esistenziale critica è rappresentato dalle c.​​ accidentali,​​ legate a eventi traumatici imprevedibili e indipendenti dalla persona, come lutti, malattie, cambi repentini, incidenti vari e quant’altro venga a turbare in modo emotivamente rilevante e spesso improvviso un certo assetto intrapsichico. La c. accidentale può esser determinata anche da eventi non del tutto imprevedibili né indipendenti dal soggetto, come possono essere situazioni d’infedeltà e incoerenza personali rispetto al proprio piano ideale di vita. Anche la c. accidentale può divenire fattore di sviluppo, purché il soggetto sia aiutato a integrare il limite esistenziale e personale. Prendendo in considerazione il grado di libertà interiore con cui si affronta la c. avremo queste due fondamentali distinzioni: a)​​ c. vera e propria d’identità:​​ è quella che è legata al concetto d’identità, concetto che è per natura sua dinamico al punto da comprendere l’idea stessa di c. Il senso dell’io, infatti, a partire da un nucleo di riferimento sostanzialmente positivo e stabile, deve continuamente riorganizzarsi nella definizione sempre più accurata dei suoi elementi costitutivi (io attuale e io ideale) e del rapporto interno a essi (di consistenza o inconsistenza), lungo i diversi stadi di sviluppo. Tale c. d’identità è normale e salutare per la crescita, poiché indica un io forte e pure duttile, disponibile a cogliere, di volta in volta, la non corrispondenza tra identità personale, esigenze e provocazioni della realtà esterna, e libero di lasciarsi sfidare dalle mutevoli situazioni della vita; b)​​ diffusione-dispersione d’identità​​ (Identity diffusion):​​ è di natura opposta alla precedente. È una situazione di contrasto fra «stati dell’Io vicendevolmente dissociati» (Kernberg, 1980, 222), come un conflitto interno che la persona non riesce a gestire ed armonizzare e che ne assorbe tutte le energie, impedendole di comunicare con la realtà esterna e di coglierne gli stimoli critici come opportunità educative. Tale chiusura segnala debolezza d’identità e preclude ogni possibilità di formazione permanente. In una prospettiva credente tale distinzione tra c. dell’io e diffusione d’identità prelude a un’altra e corrispondente distinzione, quella tra​​ c. psicologica​​ e​​ c. spirituale: la prima è un conflitto intrapsichico e senza sbocco, d’una parte dell’io contro un’altra parte; la seconda indica la lotta con Dio e i suoi desideri, un confronto con la sua parola e la sua volontà che è sempre oltre il progetto solo umano. È lotta biblica (cfr. Es 32,23-33) e sana, perché espone l’uomo alla massima provocazione e all’autentica realizzazione di sé.

3.​​ C. e opportunità educativa.​​ È ormai un dato acquisito dalle scienze pedagogiche la fondamentale ambiguità del concetto di c. che, infatti, nella lingua cinese, viene rappresentato dalla combinazione di due ideogrammi che indicano pericolo e opportunità. La «pedagogia della c.» è oggi sempre più orientata a studiare come sfruttare e non solo come evitare la c., e a capire come rendere la c. fattore di sviluppo e non di stasi o regressione, momento evolutivo e non involutivo, sottolineando le seguenti caratteristiche della c. «buona» o feconda (in opposizione a quella regressiva-sterile). Essa dev’essere: a)​​ Preparata,​​ almeno per quanto è possibile preparare i passaggi evolutivi dell’esistenza. Basti pensare a certi passaggi strategici, come quello tra preadolescenza e adolescenza, o tra vita attiva e ritiro dall’azione; una c. preparata è spesso una c. prevenuta. b) A volte la c. va addirittura​​ provocata.​​ È l’arte educativa finissima del sapere sfruttare certe «situazioni pedagogiche», come i momenti apparentemente negativi di frustrazione, assenza, silenzio, attesa, desiderio inappagato, domanda, lotta, nei quali emerge, in realtà, una dimensione ulteriore e inesplorata dell’uomo, o la verità più profonda del mistero umano. Sapere sfruttare significa la fatica di aiutare a scrutare questa verità, di cogliere il senso più autentico dell’attesa, «scavando domanda e desiderio» (Godin, 1983, 181ss.) per capire cosa il singolo stia cercando anche se non lo sa. La c. vocazionale, ad es., può esser intelligentemente provocata. c) Per esser fattore di sviluppo la c. deve però esser​​ proporzionata,​​ su misura del reale indice di maturità del soggetto, che non potrebbe «intendere» una provocazione eccessiva, né sarebbe adeguatamente sollecitato da proposte o ambienti educativi inferiori al suo livello di maturazione e dunque non abbastanza stimolanti. Secondo Kohlberg, l’autentica situazione critica educativa è quella che propone un compito e una sfida a un livello immediatamente superiore a quello raggiunto dal soggetto (Duska-Whelan, 1975, 65-66). d) Infine, condizione importante è che la c. sia​​ accompagnata​​ da un «fratello maggiore», che aiuti a individuarne la radice profonda, per verificare poi il tipo di risposta. Tale presenza amica, che nella tradizione ascetica cristiana è la guida spirituale, dovrà saper dosare accoglienza e provocazione, pazienza e urgenza, capacità di comprendere e confrontare, e quanto insomma consenta al giovane di vivere intensamente la sua c., e di non evitarla per paura o ignoranza.

Bibliografia

Duska R. - M. Whelan,​​ Lo sviluppo morale nell’età evolutiva,​​ Una guida a Piaget e Kohlberg,​​ Torino, Marietti, 1975; Godin A.,​​ Psicologia delle esperienze religiose. Il desiderio e la realtà,​​ Brescia, Morcelliana, 1983; Guardini R.,​​ Le età della vita. Loro significato educativo e morale,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1992; Del Core P. (Ed.),​​ Difficoltà e c. nella vita consacrata,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1996; Tripani G., «Perché non posso seguirti ora?» Momenti di prova e formazione permanente,​​ Milano, Paoline, 2004; Grun A.,​​ 40 anni: età di c. o tempo di grazia?,​​ Padova, Messaggero, 2006; Parolari C.,​​ Vivere le prove con sincerità di cuore,​​ in «Tre Dimensioni» 2 (2006) 207-211.

A. Cencini

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CRISI

CRISOSTOMO Giovanni

 

CRISOSTOMO Giovanni

1.​​ Nacque ad Antiochia da madre greca tra il 340 e il 350. Studiò filosofia, lettere e retorica presso Libanio. Tosto si diede a una vita ritirata e ascetica in famiglia, e a vent’anni ricevette il battesimo. Frequentò l’asceterio di Diodoro, poi vescovo di Tarso, illustre esegeta, e in questo ambiente-cenobio e centro di cultura di Antiochia fu iniziato all’esegesi biblica. Dal 372 al 376 visse sul monte Silpio, presso Antiochia, ponendosi dapprima sotto la direzione di un eremita, poi si ritirò in una caverna nello studio delle Scritture e nella rigida ascesi per due anni. Ammalatosi, ritornò ad Antiochia, dove riprese le sue funzioni di lettore nella comunità, purtroppo divisa (scisma d’Antiochia).

Nel 381 il suo vescovo Melezio lo ordinò diacono, nel 386 il nuovo vescovo Flaviano lo ordinò prete. Per dodici anni (386-397) predicò ad Antiochia. Dopo l’improvvisa elezione a vescovo e patriarca di Costantinopoli, si impegnò con intransigenza alla riforma del clero, della corte e dei laici. L’azione convergente di alcuni vescovi, specie di Teofilo di Alessandria, incapace di rassegnarsi alla elevazione al trono patriarcale del CR, e dell’ambiziosa imperatrice Eudossia, più volte da questi ripresa per la sua condotta, gli fu fatale. Nel sinodo della Quercia (403), presieduto da Teofilo e formato da 35 vescovi ostili al CR, questi fu condannato in base a 29 falsi capi d’accusa, e deposto. Subì due duri esili, uno in Bitinia, un secondo a Cucuso in Armenia, e nel viaggio per giungere sul mar Nero, morì a Comana nel Ponto​​ (149-407).

2.​​ Le opere cat. sono costituite da 12 C., tenute ad Antiochia tra il 387 e il 390 circa. L’orientamento fondamentale del pensiero cat. sta nel nesso tra fede-sacramento-vita cristiana.

a)​​ La​​ fede​​ è necessaria prima del battesimo. Suo oggetto è il vero Dio, il Cristo consustanziale al Padre, incarnato, crocifisso-risorto, e lo Spirito Santo, assieme a tutti gli altri articoli del Simbolo che il CR spiega (Cat. I, 19-23; S. Ch. 50, pp. 118-120). La fede è poi rapportata alla rinunzia al diavolo (è la conversione): “Rinunzio a te, Satana” (= “apotaxis” o rinuncia totale) e alla promessa a Cristo: «Mi unisco a te, Cristo» (= “syntaxis” o adesione) (Cat. II, 18-21; S. Ch. 50, pp. 143-145). “La fede in Cristo e il ritorno alla virtù si chiama nuova creazione” (Cat. IV, 16; S. Ch. 50, p. 191). Quanto si attua nel rito “abbisogna di fede e degli occhi dell’anima” (Cat. II, 9; S. Ch. 50, p. 138). “Gli occhi della fede vedono le cose invisibili come se fossero visibili (cf​​ Eb​​ 11,1)» (ibid.).​​ Si stabilisce un rapporto tale per cui il sacerdote è semplice ministro di Cristo: “Chi compie tutto è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, la Trinità indivisibile: la fede nella Trinità procura la remissione dei peccati e questa confessione ci dona l’adozione filiale” (Cat. II, 26; S. Ch. 50, p. 148): Dio risponde alla fede e non all’acqua.

b)​​ Il​​ sacramento del battesimo​​ è ricevuto dall’illuminando dopo i digiuni, le istruzioni insieme ai fedeli o riservate (poche), le letture bibliche, esorcismi, unzione sulla fronte, professione di fede, in un contesto comunitario (padrini, esorcisti, prete e vescovo, comunità) e liturgico (spiegazione di riti e loro conferimento). Il CR spiega la natura del battesimo, comprensibile solo con gli “occhi della fede”: il battesimo è matrimonio spirituale tra Cristo e l’anima (cf 2​​ Cor​​ 11,2), sebbene deforme (Cat. I, 3; S. Ch. 50, p. 110). L’anima sposa il Cristo, nell’obbedienza della fede, e ne accetta il giogo. Il battesimo si chiama poi: bagno di rigenerazione, illuminazione, battesimo, sepoltura, circoncisione, croce (Cat. I, 2 ad illum.; PG 49, 225) e i suoi effetti sono dieci. Circa il peccato originale è poco chiaro (Cat. III, 6; S. Ch. 50, p. 154). Divenuto figlio di Dio, il neoilluminato possiede la nuova luce per sempre, diviene “fedele”, perché, accordata la sua fede a Dio, questi gli ha affidato i doni del battesimo, destinati a svilupparsi nella collaborazione grazia-volontà umana, su cui tanto insiste il CR (Cat. II, 1 ad illum.; PG 49, 232). Dopo il sacramento del battesimo, ecco il​​ sacramento dell’eucaristia​​ (alla confermazione il CR non accenna, ma non si può concludere che non l’ammetta): “Il sangue prezioso di Cristo” è il prezzo del nostro riscatto (Cat. II, 5 ad illum.; PG 49, 239); dal sangue della croce derivò il battesimo di purificazione: “La croce è battesimo” (Cat. III, 4; ed. Papadopoulos, p. 159), anzi, dal fianco di Cristo uscì acqua e sangue, la prima simbolo del battesimo, il secondo dell’eucaristia (Cat. III, 16; S. Ch. 50, p. 160). Come dal fianco di Adamo fu formata Èva, così dal proprio fianco aperto Cristo formò la Chiesa, sposa comprata col sangue. Il CR, catecheta del sangue di Cristo, insisterà perché l’incoerenza dei neofiti e dei fedeli non vanifichi questo sangue.

c)​​ Dalla fede al sacramento e dal sacramento alla vita cristiana:​​ nelle C. post-battesimali il CR accentua non la mistagogia (come fanno molti Padri), ma la C. morale, poiché la nuova vita deve penetrare di sé ogni comportamento del neofita e manifestarsi agli altri, come testimonianza (è il tema della luce, che sono le opere buone). Essendo spirituali i doni ricevuti, “dovranno essere spirituali anche le nostre opere e tutte le nostre azioni” (Cat. IV, 27; S. Ch. 50, p. 196), mostrando così ai fratelli la potenza di Colui che abita in noi (Cat. IV, 18; S. Ch. 50, p. 192). Teoria e prassi sono interdipendenti, in un contesto caratterizzato dalla convergenza viva di C. e liturgia, ed è questa la lezione che i Padri offrono alle Chiese di oggi-

Bibliografia

1.​​ Fonti

Catechesis prima et secunda ad illuminando!,​​ PG 49, 223-240; A. Ceresa – Castaido (ed.),​​ G. Crisostomo. Le catechesi battesimali,​​ Roma, Città Nuova, 1982; A. Wenger (ed.),​​ J. Chrysostome, Huit catéchèses baptismales inédites,​​ Paris, Ceri, 1957 (S.Ch. 50); ivi, 19702​​ (S.Ch. 50bis).

2.​​ Studi

A. Ceresa – Gastaldo,​​ Teoria e prassi nella catechesi battesimale di S. Giovanni Crisostomo,​​ in S. Felici (ed.),​​ Catechesi battesimale e riconciliazione nei Padri del IV secolo,​​ Roma, LAS, 1984, 57-63; O. Pasquato,​​ Catechesi ecclesiologica nella cura pastorale di G. Crisostomo,​​ in S. Felici (ed.),​​ Ecclesiologia e catechesi patristica,​​ Roma, LAS, 1982, 123-172 (137-143); Id.,​​ Croce e iniziazione cristiana di G. Crisostomo. Catechesi dottrinale e catechesi morale,​​ in F. Vattioni (ed.),​​ Sangue e Antropologia,​​ 5, Roma, Ed. Pia Unione Prez.mo Sangue, 1986, 19; H. M. Riley,​​ Christian Initiation,​​ Washington, Cat. Univ. of America, 1974; S. ZlNCONE,​​ Lo Spirito Santo nelle “catechesi” di G. Crisostomo,​​ in S. Felici, (ed.),​​ Spirito Santo e catechesi patristica,​​ Roma, LAS, 1983, 23-31.

Ottorino Pasquato

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S. GIOVANNI CRISOSTOMO

(345-407)

 

Ottorino Pasquato

 

1. Vita

2. Contesto socio-culturale e religioso

2.1. Antiochia di Siria

2.2. Costantinopoli

3. Linee di pastorale giovanile

3.1. In generale. Significato e «luoghi» della pastorale giovanile nel Crisostomo

3.2. In particolare

3.2.1. I due trattati

3.2.2. Le omelie

3.2.2.1 L’educazione dei figli è impegno priori torio dei genitori

3.2.2.2. Dimensioni dell’intervento pedagogico-pastorale

3.2.2.3. Le fasi di sviluppo psicofisico-spirituale del giovane

3.2.3. L’incidenza del vissuto ecclesiale sui giovani

1. Vita

Nacque ad Antiochia di Siria tra il 345 e il 355 da famiglia probabilmente cristiana e agiata, e ricevette dall’ottima madre greca Antusa, rimasta presto vedova, la prima accurata educazione. Studiò filosofia presso Andragazio, lettere e retorica presso il celebre Libanio, che tanta stima ebbe per Giovanni. A diciott’anni si mise a «correre le arringhe del foro e ad appassionarsi al teatro».

Ma si diede tosto a una vita ritirata e ascetica in famiglia e a vent’anni ricevette il battesimo. Frequentò l’asceterio di Diodoro, poi vescovo di Tarso, illustre esegeta e in questo ambiente-cenobio e centro di cultura fu iniziato all’esegesi biblica.

Nel 372 salì al monte Silpio, presso Antiochia, ponendosi dapprima sotto la direzione di un eremita. Dopo quattro anni si ritirò in una caverna, dedito alla meditazione delle Scritture, con un tenore di vita assai rigido, per due anni. Ammalatosi, ritornò ad Antiochia, dove riprese le funzioni di lettore nella comunità cristiana, divisa (scisma d’Antiochia). Nel 381 il suo vescovo Melezio lo ordinò diacono, nel 386 il nuovo vescovo Flaviano lo ordinò prete. Per 12 anni predicò ad Antiochia, divenendo celebre oratore (Bocca d’oro).

L’improvvisa elezione a vescovo e patriarca di Costantinopoli, morto il patriarca Nettario, aprì lo sventurato periodo della sua vita. Applicatosi con intransigenza alla riforma dei costumi del clero, dei monaci, dei laici e della corte imperiale, pur benemerito per molte iniziative caritativo-sociali e amato assai dal popolo, finì vittima di una forte opposizione, specie dopo che egli depose in un sinodo ad Efeso sei vescovi simoniaci. L’azione convergente di alcuni vescovi, specie di Teofilo di Alessandria, incapace di rassegnarsi alla elevazione del Crisostomo al trono patriarcale di Costantinopoli, e dell’ambiziosa imperatrice Eudossia, più volte da lui ripresa per la sua condotta, gli fu fatale. Nel sinodo della Quercia (a. 403), presieduto da Teofilo e composto da 36 vescovi ostili al Crisostomo, questi fu condannato in base a 29 capi d’accusa falsi, e deposto.

Subiti due duri esili, uno in Bitinia, un secondo a Cucuso in Armenia, destinato infine a Pizio sul mar Nero orientale, nel viaggio per giungervi, morì a Comana nel Ponto (14.9.407). Nel 438 la sua salma fu trasportata trionfalmente a Costantinopoli. Papa Innocenzo I, cui il Crisostomo si era rivolto prima di lasciare Costantinopoli, ne riconobbe l’innocenza.

 

2.​​ Contesto socio culturale e religioso

Antiochia e Costantinopoli furono le due città del Crisostomo.

 

2.1. Antiochia di Siria

Era splendida per posizione geografica, per edifici come palazzi, teatri, terme, bagni, fori e chiese, per il commercio intenso e per la cultura oltre che per la sua bellezza, per cui fu chiamata la Parigi, e per la sua cultura composita, la Vienna orientale del IV secolo. La sua popolazione, forse di 500.000 abitanti, d’origine e di spirito greco, risultava tuttavia composta di diversità etniche. Antiochia, dove si parlava oltre il greco anche il siriaco, era sede di una famosa scuola di retorica con l’illustre Libanio; era pure centro d’intensa vita commerciale e agricola, ma era anche caratterizzata da un profondo divario tra ricchi e poveri: da qui l’infuocata predicazione di Crisostomo in materia. Il popolo era leggero, ironico, ridanciano, irrequieto, spensierato e dissoluto. La vita cristiana, anche dei giovani, era condizionata ancora da forme di paganesimo, specie sul fronte degli spettacoli. Ma la vita liturgica fu intensamente sviluppata dal nostro pastore (catechesi battesimale, predicazione e celebrazione eucaristica, pietà popolare con culto ai martiri, processioni e pellegrinaggi, non privi di forme spettacolari). Il Crisostomo si sforzò di creare uno stretto legame tra famiglia e chiesa, a livello di educazione e formazione cristiana, nonostante il disimpegno educativo e pastorale dei genitori, preoccupati unicamente di avviare i figli a una carriera umana redditizia e onorevole.

 

2.2. Costantinopoli

Sede patriarcale e capitale dell’impero, comportava un contesto socio-culturale e religioso notevolmente diverso. La posizione geografica, anzitutto, era ancora più splendida di quella di Antiochia, l’urbanistica era ricca di palazzi (tra cui spiccava la sede imperiale), di ippodromi, di teatri, di bagni, di terme, di fori e di chiese, di cui la più famosa era quella di santa Sofia. La popolazione, forse di 400.000 o 500.000 abitanti circa, era cosmopolita, ma lo spirito della città era greco, anche se l’elemento gotico giocava un ruolo rilevante sotto la guida di Gaìnas, cui si contrapponeva il partito dell’eunuco Eutropio, caduto poi in disgrazia dell’imperatore Arcadio. Il problema fu risolto, sotto Arcadio, con la vittoria di Costantinopoli sui goti.

Qui la cultura era ellenistica; la vita economica, caratterizzata da scambi commerciali tra oriente e occidente, era segnata da un ferreo monopolio statale, che finiva per soffocare l’iniziativa privata: ricchi e poveri come ad Antiochia. Il lusso e lo sfarzo della corte imperiale e dei ricchi erano sfrontati. Non pochi erano gli schiavi. Il popolo si costituiva anche come forza politico-militare; il ruolo degli spettacoli, specie all’ippodromo, era rilevante. La vita cristiana era condizionata dalla presenza di monaci, ecclesiastici, non pochi dei quali non edificavano per la loro condotta, priva di zelo apostolico, ambiziosa, intrigante e parassita.

L’azione pastorale di Crisostomo per i giovani trovava maggiori ostacoli che ad Antiochia, specie a motivo dei molteplici impegni di carattere socio-caritativo e anche politico in cui il vescovo della capitale si trovava coinvolto. L’ampliarsi dell’orizzonte pastorale e sociale, l’impegno intenso di riforma a tutti i livelli da lui intrapreso, non lo distolsero dall’interessamento vigile per la pastorale dei giovani.

 

3.​​ Linee di pastorale giovanile

Meraviglia lo scarso interesse dei Padri in genere circa il problema pastorale dei giovani, attenti per lo più al rapporto dei giovani con la cultura pagana (cf Basilio,​​ Lettera ai giovani).​​ Persisteva infatti il principio ellenistico della formazione dell’uomo adulto (adultismo) come fine educativo primario, che il Marrou sintetizza nella formula: «L’uomo contro il fanciullo» (Storia dell’educazione nell’antichità,​​ pp. 294s). Se ne sente l’eco in san Paolo: «Per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, questi non differisce in nulla dallo schiavo»​​ (Gal​​ 4,1). Vi fa eccezione il Crisostomo. Il primato poi, così presente in lui, dell’educazione morale rispetto all’istruzione, evidente nel fatto dell’evoluzione semantica del termine pedagogo da schiavo accompagnatore a educatore in senso pieno, già vigeva nell’educazione ellenistica.

 

3.1. In generale. Significato e «luoghi» della pastorale giovanile nel Crisostomo

Egli ebbe un’attenzione speciale al problema formativo giovanile, pur condizionato da strutture ecclesiastiche prive di riferimento diretto ai giovani. Il fenomeno ecclesiastico-sociale perdurerà per tutto il medioevo. Il dovere dei genitori cristiani a educare i figli secondo il vangelo si basa su​​ Ef​​ 6,1-4. «Sorprende che i Padri, ad eccezione di Giovanni Crisostomo, che su questo testo ha tenuto un’omelia​​ (In ep. ad Eph.​​ hom. 21), non affrontino in rapporto con questo testo del​​ NT​​ i problemi controversi dell’educazione cristiana» (M. L. W. Laistner).

Notiamo come il dialogo​​ Sul sacerdozio​​ del Crisostomo costituisca anche una splendida esposizione teorica della funzione educativo-pastorale del sacerdote e del vescovo.

Per il Crisostomo la pastorale consiste nell’aver cura di tutto il Corpo di Cristo​​ (Sulsacerdozio,​​ IV,2). Il pastore, come un medico, deve essere sollecito verso ognuno in base alle sue peculiari necessità​​ (ivi,​​ 11,4).

La cura pastorale dei giovani, membra privilegiate del Corpo di Cristo, sono oggetto di assidua preoccupazione del nostro pastore, per il quale il sacerdote deve avere nei confronti dei fedeli l’atteggiamento del padre verso i figli​​ (ivi,​​ V,4).

Egli deve visitare le famiglie, stabilendo rapporti coi genitori che hanno figli da educare​​ (ivi,​​ 111,17; VI,4); in tal modo egli esercita un’azione pastorale sui giovani, almeno indiretta​​ (ivi,​​ V,4).

Due trattati pedagogici,​​ Contro i detrattori della vita monastica​​ e​​ Sulla vanagloria e sull’educazione dei figli​​ offrono linee espositive sistematiche di carattere pastorale. Ambito inoltre di cura pastorale diretta dei giovani è quello catecumenale: il Crisostomo contrappone la gioia, che pervade il rito battesimale di chi lo riceve nel pieno vigore delle sue forze, alla tristezza di chi invece lo riceve sul letto di morte​​ (Cat. agli illuminandi​​ 1,1).

Nella sua catechesi il Crisostomo ha di fronte, oltre che adulti, anche giovani, come ci mostrano le 12 catechesi, uniche rimasteci e tenute ad Antiochia tra il 387 e 390 circa. La struttura fondamentale di esse, cioè il nesso inscindibile tra fede-sacramento-vita cristiana, offre un modello di formazione anche giovanile estremamente valido (cf la nostra voce​​ Giovanni Crisostomo,​​ in​​ Dizionario di Catechetica,​​ pp. 185-6).

Il nostro pastore raggiunge i giovani abitualmente soprattutto nella liturgia della parola, la prima parte della celebrazione eucaristica, in cui essi, catecumeni o fedeli, sono mescolati agli adulti: i riferimenti ai figli sono frequenti, anche in rapporto alle fasi successive di maturazione, come vedremo.

 

3.2. In particolare

Prendiamo in esame il pensiero pastorale sui giovani nelle due operette citate e nelle omelie del Crisostomo.

 

3.2.1. I due trattati

I due trattati offrono una esposizione organica circa la formazione cristiana dei giovani. In primo luogo, il​​ Contro i detrattori della vita monastica (PG​​ 47,319-386) sostiene la tesi estremista, ossia la necessità d’inviare i figli, temporaneamente, nei monasteri in vista di una educazione cristiana radicale, a motivo dell’inadeguatezza, a tale compito, dei genitori e della profonda corruzione dell’ambiente urbano. Egli disapprova che ai figli venga permesso di vivere lontano da casa per attendere agli studi letterari o di alloggiare in casa del maestro pur di apprendere l’arte meccanica o una più vile, mentre si cerca di affrettarne il ritorno in famiglia allorché si tratti di educarli alla sapienza celeste​​ (ivi,​​ 111.18). La permanenza dei giovani nei monasteri viene da lui stabilita dapprima da dieci a vent’anni, poi a data indeterminata, fino cioè alla maturità spirituale: ritroviamo qui trasposto il criterio del ginnasio secondo cui l’aumento della efficienza fisica è in rapporto diretto della durata delle esercitazioni corporali​​ (ivi,​​ l.c.). Egli ha così buon gioco nel passaggio dal piano spirituale a quello fisico e viceversa: la primarietà della formazione cristiana ne esce in sé vincitrice, ma egli non riesce a far breccia sugli ostinati padri​​ (ivi,​​ 111.19).

I motivi della scelta del Crisostomo sono da lui così elencati: «l’imperizia dei maestri, l’eventuale ottusità del giovane, la negligenza dei pedagoghi e dei padri, la penuria di denaro, la diversità di costumi e la cattiveria dei condiscepoli, la smodata emulazione e molti altri fattori, compromettenti il buon esito educativo; nelle scuole monastiche invece basta l’impegno del giovane»​​ (ivi,​​ 111,13). Tale posizione verrà da lui abbandonata non appena l’esperienza pastorale antiochena lo renderà più realista.

Il secondo trattato,​​ Sulla vana gloria e sull’educazione dei figli (Sch​​ 188) che pare datato al 396-397 (Max von Bonsdorff), rappresenta il superamento del primo: l’educazione cristiana è affidata ai genitori in famiglia e l’istruzione alle pubbliche scuole. La famiglia appare qui di capitale importanza in quanto cellula della società e della Chiesa. 1 genitori vengono responsabilizzati a proteggere e sviluppare l’originale bontà del fanciullo. La prima parte,​​ Sulla vana gloria​​ (cc. 115), presenta i padri unicamente preoccupati della professione futura dei figli, finalizzata alla ricerca e alla gloria umana. La seconda parte,​​ Sull’educazione dei figli​​ (cc. 1690), descritta la deprecabile situazione educativa (cc. 16-18), pone in termini positivi il problema di una riuscita formazione cristiana dei figli (cc. 19-22), passando poi ad esporre i criteri e i modi di soluzione del problema (cc. 23-90). Offre indicazioni circa i metodi di educazione dei sensi esterni (cc. 2763) e quelli della formazione della vita spirituale (cc. 68-87). Seguono, a conclusione, istruzioni sul matrimonio e sulla formazione delle giovani (cc. 88-90).

Caratteristica è l’idea centrale secondo cui il padre è come un re con il compito di edificare una città, ossia l’animo del fanciullo. Esso è davvero una città con diversi pensieri ed emozioni, che esigono leggi (cc. 23-25.27). I membri poi della città corrispondono alle parti dell’anima platonica: il coraggio, la brama, la ragione avente per sede rispettivamente il cuore, il fegato e il cervello (cc. 64-65). L’operetta, che non ha pretese scientifiche, si presenta come una omelia o istruzione a genitori.

E da notare che essa è la prima operetta di un Padre della Chiesa che tratti in modo organico della formazione cristiana in famiglia. Emerge la necessità dell’educazione morale: «C’è bisogno di un diligente pedagogo, perché si curi del fanciullo, e non di oro» (c. 16). «Alleva un atleta per Cristo e, mentre è nel mondo, educalo sin dalla prima età» (c. 19), tanto più che il fanciullo è facilmente recettivo: «Se i buoni insegnamenti si imprimono nell’anima ancor tenera, nessuno potrà poi cancellarli, quando diverranno duri come impronte, proprio come avviene per la cera» (c. 20); importante prevenire: «L’intemperanza tenta straordinariamente le anime dei giovani. Prima che il giovane ne faccia esperienza, insegnagli ad essere sobrio, vigilante» (c. 22).

Al padre viene detto: «Pensa di essere un re, che ha come città sottomessa, l’anima del figlio: una città è realmente l’anima» (c. 23); «una città che ha cittadini stranieri, inesperti di tutto. ... coloro che sono inesperti di tutto, facilmente sarebbero disposti ad accogliere le leggi da te» (c. 25). «Imponi dunque delle leggi e bada attentamente ad esse: la nostra legislazione infatti riguarda tutta la terra e noi oggi fondiamo una città. Siano dunque muri e porte i quattro sensi; tutto il resto del corpo sia come una fortezza e le sue porte gli occhi, la lingua, l’udito, l’olfatto, se vuoi, anche il tatto, poiché attraverso queste porte entrano ed escono i cittadini di questa città, cioè i pensieri mediante queste porte hanno esito cattivo e buono» (c. 27). Circa l’udito, il Crisostomo propone l’ascolto di racconti biblici: la storia di Caino e Abele: «Narragli questo racconto in una sola sera a cena», gli si chieda di ridirlo; la sua utilità è di infondere in lui il timore di Dio (c. 40). Se sarà condotto in Chiesa, quando verrà letto questo racconto, egli ne gioirà, perché lo conosce già: «Da quel momento il fatto è riposto nella sua memoria» (c. 41). Si racconti poi la storia di Giacobbe e di Esaù (cc. 43-45). Quando il giovane avrà 15 anni o anche più senta parlare dell’inferno, quando è più giovane, del diluvio e di Sodoma e dei fatti dell’Egitto: racconti tutti pieni di castighi. Quando sarà più maturo senta anche i fatti del​​ NT.

Pur nell’accentuazione del castigo, c’è posto anche per il premio: «Così infatti anche Dio regge il mondo col timore dell’inferno e la promessa del regno» (c. 67). Alla castità, virtù centrale, corrisponde da un lato la continenza e dall’altro la lussuria; bisogna far sì che né si prostituisca, né si dia alla fornicazione (c. 76). Quanto al freno, egli asserisce: «Non ne conosco altro, se non quello dell’inferno»​​ (ivi).​​ Il giovane eviti gli spettacoli con l’aiuto di un coetaneo esemplare: «Nulla è tanto educativo quanto l’emulazione» (c. 77). «Inoltre ricorriamo per lui ad altri piaceri non dannosi. Conduciamolo da uomini santi, procuriamogli una distensione. Onoriamolo con molti doni...: e al posto di quegli spettacoli presenta dilettevoli racconti, praterie e magnifici edifici» (c. 78).

Al fanciullo non si avvicini nessuna fanciulla, ma solo la serva, anziana (c. 79). Si rechi in chiesa. «Impari a pregare con grande cura e compunzione.... in breve, s’imprima nel fanciullo il carattere di un uomo santo» (c. 80). Il fidanzamento abbia luogo presto: «Presentagli presto la sposa... Credi forse che sia piccola cosa fare in modo che con le nozze un uomo vergine si unisca ad una vergine?» (c. 81). La saggezza poi è la cosa principale per il fanciullo, essa fa capo alla ragione: «Per la sapienza di Dio basta il timore e l’avere il discernimento per le cose degli uomini quanto conviene averne.... Pensa quale dono egli sarà per la sposa» (c. 87). Le nozze siano celebrate con semplicità: «Chiamiamo qui Cristo: ormai lo sposo è degno di lui (c. 88).

 

3.2.2. Le omelie

Con le numerose omelie rivolte al popolo, spesso nel contesto della celebrazione eucaristica, il Crisostomo raggiunge i giovani presenti in chiesa in modo diretto. Talora anzi ne rimprovera la scompostezza, l’atteggiamento distratto o sconveniente alla casa di Dio. Non risparmia, però, rimproveri ai genitori che non hanno condotto in chiesa i propri figli​​ (In illud, Si esurierit inimicus,​​ 3). Se il pastore non tralascia di indirizzarsi direttamente a loro, più spesso però si rivolge ai loro genitori, affinché questi comunichino in casa ai figli ciò che hanno udito in chiesa. Il Crisostomo, consapevole che la pastorale della gioventù passa attraverso la liturgia e la famiglia, intensifica il suo intervento nella duplice direzione: i due canali sono strettamente collegati.

 

3.2.2.1. L’educazione dei figli è impegno prioritario dei genitori

«Si posponga tutto all’interessamento per i figli e alla loro educazione nella disciplina e nell’insegnamento del Signore»​​ (In ep. ad Eph.​​ hom. 21,2). Infatti «non la sola procreazione rende padre, ma anche la cura di essa»​​ (In ep. 2 ad Cor.​​ hom. 15,3). Non il partorire rende madre, ma l’educare​​ (De Maccab.​​ 1,3). «Tutta la cattiveria della gioventù è dovuta alla nostra indolenza»​​ (In illud, Vidua eligatur,​​ 10). Perciò i giovani «scorrazzano privi di castità, svilendosi in disonestà, in giochi d’azzardo, in ritrovi e divertimenti disonesti»​​ (In Matth.​​ hom. 59,7). La strategia pastorale di Crisostomo nei confronti dei giovani si basa sulla formazione dei genitori, formatori a loro volta dei figli, cui trasmettono l’insegnamento della Chiesa: il padre in famiglia è come il vescovo nella diocesi. Ma tutti in famiglia sono coralmente coinvolti nella educazione cristiana dei figli, anche gli schiavi.​​ L’ambiente​​ gioca un ruolo determinante nella pastorale giovanile del Crisostomo. Ciò non toglie il ruolo primario del​​ padre,​​ in particolare verso i figli maschi​​ (I Tm​​ 3,4). «Sei maestro di tutta la famiglia» per mandato divino​​ (In ìllud, Vidua eligatur​​ 9). Ruolo subalterno tiene la​​ madre,​​ discepola del marito; suo compito peculiare è l’educazione delle figlie.

 

3.2.2.2. Dimensioni dell’intervento pedagogico-past orale

Pur nella sua visione accentuatamente escatologica della vita, la concezione educativa del Crisostomo è integrale e carica di significato: «L’anima del giovane è la statua più preziosa di tutte»​​ (Contro i detrattori della vita monastica​​ III,7). La dimensione​​ corporale​​ (nutrimento, sonno, vesti, bagni, ginnastica) è caratterizzata dalla temperanza, in quanto il corpo è strumento dell’anima.

Il nostro pastore si muove con equilibrio e vero umanesimo. La dimensione​​ intellettuale,​​ con la sofferta evoluzione già da noi descritta, comporta non la proibizione della cultura, ma solo quella «di aderire con l’animo ai mali in essa presenti»​​ (In ep. adEph.​​ hom. 21,2). Dopo aver sostenuto che «i giovani non solo avrebbero dovuto interessarsi di quanto ascoltano in chiesa, che anzi questa avrebbe dovuto essere la loro unica attrazione» aggiunge: «tuttavia non intendo pretendere tanto da voi, a causa della vostra debolezza, né distogliere i vostri figli dalla frequenza delle pubbliche scuole, né tanto meno impedirvi di compiere i vostri doveri di cittadini»​​ (In Joh.​​ hom. 3,1). In fondo, il rischio della frequenza della scuola pagana induceva una più seria pastorale familiare ed ecclesiale.

La dimensione​​ religioso-morale​​ (la «vera filosofia»): nella misura in cui il Crisostomo procede nella vita pastorale coglie l’urgenza di immettere nella società cristiani animati dal vangelo per essere luce agli altri. Essi sono i veri filosofi portatori della sapienza del vangelo; sono le nuove generazioni che possono rinnovare la società. Educatori ne sono i genitori, insieme alla Chiesa: la pastorale familiare è presenza, attenzione, ma anche intervento attivo. Base di ogni azione pastorale è la fede, specie nella vita ultraterrena. Centrale nella pastorale del Crisostomo è il problema sessuale; l’impurità è alla radice di altri peccati​​ (In Gen.​​ hom. 59,5). «Né il desiderio di denaro, né di gloria, né nessun altro tormenta questa età quanto l’attrattiva dei corpi»​​ (In ep. ad Tit.​​ hom. 4,2). Utile è ripresentare ai figli i modelli biblici di purezza, dal predicatore esposti nell’omelia. Si riporti in casa il messaggio biblico ascoltato in chiesa, si imbandiscano due mense, quella spirituale e quella materiale: «Fa’ della tua casa una chiesa»​​ (In Gen. senno​​ VI,2).

 

3.2.2.3. Le fasi di sviluppo psicofisico-spirituale del giovane

Infanzia-fanciullezza: il Crisostomo vi dedica la maggiore attenzione. La prima educazione incide in modo determinante per l’innata aspirazione alla virtù, la malleabilità del fanciullo, per il quale l’abitudine sortisce a legge​​ (In ep. 1 ad Tim.​​ hom. 9,2).​​ Adolescenza-giovinezza: si estende fino al fidanzamento: «All’infanzia segue il mare dell’adolescenza, dove i venti soffiano violenti, come nell’Egeo, perché in noi cresce... la concupiscenza»​​ (In Matth.​​ hom. 81,5). L’intervento educativo è necessario anche qui: «Per certo il giovane da solo non è in grado di praticare la virtù»​​ (Adpop. antioch.​​ 6,7). I giovani sono come cavalli indomiti. Oltre l’impurità, anche il desiderio della ricchezza comincia a prendere piede. L’educazione porta benefici ai giovani, ai genitori e ai discendenti.

Fidanzamento-matrimonio',​​ è la fase più curata dal Crisostomo, dopo quella della fanciullezza. «Alla giovinezza succede l’età propria degli uomini adulti, nella quale sopraggiungono gli impegni di famiglia: è il tempo di cercar moglie»​​ (In Matth.​​ hom. 81,5). Il fidanzamento sia in età appena matura per un sollecito matrimonio: «Unite presto i figli giovani in matrimonio. ... nel periodo a questo precedente adoperatevi per la loro continenza...; giunta però l’ora di sposarsi nessuno la differisca»​​ (In ep. 1 ad Thess.​​ hom. 5,3). Eccone la motivazione: «Se infatti

10 sposo accosterà da giovane una sposa casta, se avrà visto solo il corpo di lei, il desiderio di unirsi a lei sarà forte e maggiore il timore di Dio: ... essi si doneranno reciprocamente, non avendo sperimentato altre unioni»​​ (In ep. 1 ad Thess.​​ hom. 5,3).

11 matrimonio non procrastinato dà ai giovani una sposa casta e saggia, in grado di allontanarli da rapporti disonesti e di frenare questi puledri. Ed ecco la concezione restrittiva e negativa di matrimonio nel Crisostomo, ben nota: «Il vantaggio del matrimonio è di conservare puro il corpo. Se ciò non avviene, il matrimonio è inutile». I genitori invece procrastinano il matrimonio dei figli​​ (In Matth.​​ hom. 59,7). Le madri poi preparino con cura le figlie al matrimonio sorvegliandone la ritiratezza, la pietà, la modestia nel vestire. Nello statuto familiare del Crisostomo la sposa ha un ruolo decisivo quasi «fermento nella massa», ossia nella famiglia​​ (In ep. 1 ad Tim.​​ hom. 9,2). La celebrazione delle nozze infine avvenga sotto il segno della modestia e della semplicità, senza canti e musiche scomposte​​ (De Anna sermo​​ III,4).

 

3.2.3. L’incidenza del vissuto ecclesiale sui giovani

Accenniamo solo al dato primordiale e fondamentale per la vita cristiana dei giovani costituito dal loro essere inseriti nella comunità ecclesiale in una interazione arricchente reciproca, anche se essi non vi si trovano come destinatari o agenti esclusivi. Ciò è tanto più vero e importante da notare per la Chiesa antica, priva com’era di strutture ecclesiali specifiche in ordine a una pastorale dei giovani. Ricordiamo appena «luoghi» o momenti in cui i giovani insieme agli adulti vengono raggiunti da azione pastorale non priva di incisività: il cammino catecumenale, tanto curato dal Crisostomo, la celebrazione eucaristica, il culto ai martiri e alle reliquie in forme attraenti, talora spettacolari da lui promosse, i pellegrinaggi, le processioni e l’elemento, così influente sui giovani, del canto e della musica.

È noto lo sforzo pastorale di inculturazione del Crisostomo tendente a offrire un sostitutivo, sia pure improprio, agli spettacoli pagani mediante Io sviluppo creativo di forme liturgiche avvincenti e anche spettacolari (trasporto notturno di reliquie attraverso il mare...). È scontato che tale pastorale coinvolgeva anzitutto i giovani. Ciò però che può trasformarli in profondità è la partecipazione alla celebrazione eucaristica: qui «la Chiesa fa l’eucaristia e l’eucaristia fa la Chiesa»; vi agisce Cristo che «prende la mia carne per santificarmi e dona il suo Spirito per salvarmi»​​ (In nat. Christi​​ 2). La celebrazione eucaristica era espressione e costruzione di Chiesa, mediante la parola, a tutti destinata e la stessa mensa posta davanti a tutti: «Noi beviamo dal medesimo calice, simbolo della più perfetta carità»​​ (In Matth.​​ hom. 32,7). L’assemblea riunita («Chi può dire la potenza di tutta la Chiesa riunita?»,​​ In ep. 2 ad Cor.​​ hom. 18,3) in preghiera universale, il gesto di pace, il canto comune tendono a stabilire i fedeli in unità, aprendoli all’esercizio del sacerdozio comune verso i prossimo, specie i poveri (i laici offrono il sacrificio, ossia l’opera di carità, sull’altare che è Cristo nella persona del povero). Essi si devono sentire missionari nel proprio ambiente (ogni categoria di persone si interessi dei propri membri: «I giovani dei giovani»,​​ Adv. Jud.​​ 1,8), collaboratori della vita ecclesiale e del governo della Chiesa.

La pastorale del Crisostomo tende a formare i giovani a sentirsi e ad agire come membra delForganismo vivo ecclesiale; la famiglia, piccola chiesa, rinvia alla grande chiesa, che, prolungando l’impegno formativo della famiglia, accoglie i figli, ormai giovani, quali catecumeni e in seguito quali fedeli tra il popolo di Dio: famiglia e chiesa, in stretta e reciproca unione, esplicano il comune compito pastorale in rapporto ai giovani.

 

Bibliografia

Fonti

Giovanni Crisostomo,​​ Contro i detrattori della vita monastica,​​ PG 47,319-380; Id.,​​ Sulla vana gloria e sull’educazione dei figli,​​ a cura di A. Ceresa-Gastaldo, Città Nuova Editrice, Roma 1977; ediz. critica: Sch 188 (A. M. Malingrey); Id.,​​ Omelie,​​ PG 47-64.

Studi

Militello C.,​​ Donna e Chiesa. La testimonianza di Giovanni Crisostomo, Ed. Oftes, Palermo 1985; Pasquato O.,​​ Gli spettacoli in S. Giovanni Crisostomo. Paganesimo e cristianesimo ad Antiochia e Costantinopoli nel IVsecolo​​ (= Or. Chr. An. 201), P.I.O.S., Roma 1976; Pasquato O.,​​ Catechesi ecclesiologica nella cura pastorale di Giovanni Crisostomo, in Felici S. (a cura),​​ Ecclesiologia e catechesi patristica, «Sentirsi Chiesa», LAS-Roma 1982, pp. 123-172; Id.,​​ Il culto al sangue dei martiri e di Cristo nelle omelie sui martiri di Giovanni Crisostomo, in Vattioni F. (cur.), Sangue e antropologia nella letteratura cristiana, 3-III, Ed. Pia Unione Prez. Sangue, Roma 1983, pp. 1267-1300; Id.,​​ Rapporto tra genitori e figli. Eredità giudaica in Giovanni Crisostomo, in Augustinianum 28-1-2 (1988) 391-404; Id.,​​ Eredità giudaica e famiglia cristiana. La testimonianza di Giovanni Crisostomo, in Lateranum 54-1 (1988) pp. 58-91; Id.,​​ Eucaristia e Chiesa in Giovanni Crisostomo, in Ephemerides Liturgicae, 103-1 (1989) p. 240-252; Id.,​​ Pastorale familiare. La testimonianza di Giovanni Crisostomo, in Salesianum, 51-1 (1989) p. 3-46; Rentinck P.,​​ La cura pastorale nel IVsecolo, Univ. Gregoriana Ed., Roma 1970; Stiernon D.,​​ Giovanni Crisostomo, in Bibliotheca Sanctorum, VI, Città Nuova Editrice, Roma 1965, coll. 669-700.

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CRISOSTOMO Giovanni

n. ad Antiochia di Siria nel 345 / 355 - m. a Comana nel 407, padre della Chiesa, santo.

1. Frequenta gli studi filosofici e letterari. Nel 372, ritiratosi tra i monti attorno ad Antiochia, rientra nel 378 ad Antiochia, vi è ordinato diacono (381) e poi presbitero (386). Volle da sempre essere solo «uomo ecclesiastico» e non monaco. Esercita il ministero ad Antiochia per dodici anni, fino alla sua elezione a vescovo e patriarca di Costantinopoli. Contestato oltretutto per le sue riforme, viene esiliato due volte. Muore di stenti a Comana nel Ponto. Possediamo di lui molte​​ Omelie​​ a commento (specie morale) della Scrittura,​​ Lettere​​ e diverse​​ Operette,​​ tra cui due trattati pedagogici:​​ Contro i detrattori della vita monastica​​ e​​ Sulla vanagloria e sull’educazione dei figli.

2. Il pensiero di C. subisce un’evoluzione dovuta alla progressiva esperienza pastorale. Nel trattato​​ Contro i detrattori della vita monastica,​​ egli sostiene la tesi estremista d’inviare i figli nei monasteri fino alla loro maturità spirituale. Ma più tardi (396-397), il trattato​​ Sulla vanagloria e sull’educazione dei figli​​ rappresenta il superamento del precedente: l’educazione morale-religiosa del fanciullo è da lui affidata ai genitori in famiglia, e l’educazione alle pubbliche scuole. La prima parte del trattato (1-15) presenta l’esclusiva preoccupazione dei padri per la futura professione civile dei figli, finalizzata alla gloria umana (Sulla vanagloria);​​ la seconda parte (16-90) pone in termini positivi il problema di una riuscita formazione cristiana dei figli (19-22), passando poi ad esporre i criteri e i modi di soluzione del problema (23-90) (Sull’educazione dei figli).​​ Emerge, per la prima volta in apposita operetta patristica, la necessità dell’educazione morale dei fanciulli in famiglia, il cui animo, molle come cera (20), deve essere educato fin dalla prima età (19). Le stesse​​ Omelie​​ offrono materiale pedagogico. Le fasi di sviluppo psicofisico-spirituale del giovane vengono individuate nell’infanzia-fanciullezza; adolescenza-giovinezza e fidanzamento-matrimonio. Particolarmente significativa è l’incidenza del vissuto ecclesiale sui giovani, in un tempo di mancanza di forme di associazionismo giovanile e di dominio dell’adultismo.

Bibliografia

Pasquato O.,​​ Pastorale familiare. La testimonianza di G.C.,​​ in «Salesianum» 51 (1989) 3-46; Xodo C., «C. G.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia Pedagogica,​​ vol. II, Brescia, La Scuola, 1989, 3369-3373; Pasquato O.,​​ «De inani gloria et de educandis liberis», di G.C., in «OCP» 58 (1992) 253-264; Id., «S.G.C.» (345 / 355-407), in M. Midali - R. Tonelli (Edd.),​​ Dizionario di pastorale giovanile,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci,​​ 21992, 1125-1131 (ora in CDr);​​ Id.,​​ Katechese (Katechismus),​​ in «RAC», Bd. XX (2003) 447-449; Id.,​​ I laici in G.C. Tra Chiesa,​​ famiglia e città, Roma, LAS,​​ 32006.

O. Pasquato

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CRISOSTOMO Giovanni

CRISTIANESIMO

 

CRISTIANESIMO

Il C., fin dalle sue origini, si è sempre occupato di educazione, sia pure con modalità molto diverse.

1. Le chiese cristiane, lungo la loro storia, hanno sempre avuto a che fare con problemi pedagogici e scolastici, anche se questi non furono predominanti. L’influsso del pensiero cristiano sulla prassi educativa, sulle istituzioni e dottrine pedagogiche è innegabile, ma non va neppure sottovalutato l’influsso che la formazione culturale e la scuola ebbero sulla vita delle comunità cristiane. Queste constatazioni sono interpretate e valutate in modi assai differenti – e talora opposti – dalle varie confessioni cristiane. Anche dopo il Conc. Vaticano II, non tutte le divergenze sono state superate; tuttavia si sta sempre più rafforzando, tra le differenti denominazioni cristiane, un fruttuoso dialogo ecumenico (​​ Ecumenismo) in questo settore.

2. Lo studio dei rapporti tra C. e educazione dovrebbe essere sia di ordine teoretico che storico, però è talmente vasto da non poter essere compreso sotto un’unica voce. Si è costretti pertanto a suddividerne la trattazione e a collocarla sotto differenti voci. Qui ci limitiamo a segnalarne le principali. Per le trattazioni di ordine​​ storico,​​ cioè riguardanti i rapporti che nei due millenni di vita del C. le chiese e le comunità cristiane hanno instaurato con le istituzioni educative e scolastiche presenti nelle varie culture, si possono vedere le seguenti voci: Agazzi, Agostino, Aporti, Barnabiti, Basilio, Benedetto, Borromeo, Bosco, Calasanz, Casotti, Clemente Alessandrino, Comenio, Congregazioni insegnanti, Da Silva, Deontologia, Direzione spirituale, Dottrina sociale della Chiesa, Dupanloup, Ebraismo, Erasmo, Förster, Francke, Figlie di Maria Ausiliatrice, Fratelli delle Scuole cristiane, Gesuiti, Giansenismo, Giussani, Guanella, Guardini, Isidoro di Siviglia, La Salle, Lutero, Manjón, Maritain, Medioevo, Monachesimo, Movimenti ecclesiali, Nebreda, Pietismo, Protestantesimo, Salesiani, Scolopi, Tommaso d’Aquino,​​ Willmann.

3. Lo studio​​ teoretico​​ dei rapporti tra C. e educazione è di natura essenzialmente teologica ed è assai complesso. Comprende anzitutto un primo gruppo di problemi riguardanti il​​ perché​​ la Chiesa – la cui missione di ordine essenzialmente spirituale sarebbe quella di essere «sacramento» del Regno di Dio nel mondo –​​ debba​​ occuparsi anche di educazione e di scuola, che sono invece attività e istituzioni temporali. Questo primo gruppo di interrogativi fa parte della più ampia problematica concernente i fondamenti teologici dell’azione della Chiesa nel temporale. Un secondo gruppo riguarda invece il​​ come​​ la Chiesa possa occuparsi di educazione e di scuola (e, in generale, delle realtà e finalità temporali), senza venir meno alla sua missione spirituale di servizio del regno di Dio. Anche in questo caso la trattazione di questa problematica (che verrà fatta in un clima di dialogo ecumenico, pur privilegiando la prospettiva teologica della Chiesa Cattolica) viene suddivisa in una pluralità di voci, che segnaliamo: Bibbia, Catechesi, Catechismo, Catecumenato, Chiesa, Educazione cristiana, morale, religiosa, spirituale, Esperienza religiosa, Formazione vocazionale, Gruppi di ascolto, Insegnamento della religione cattolica, Pastorale, Pedagogia cristiana, Preghiera, Relativismo morale, Sistema preventivo, Spiritualità, Teologia dell’educazione, Virtù.

Bibliografia

Corallo G., «Il C. e l’educazione», in L. Volpicelli (Ed.),​​ Pedagogia,​​ vol. 8:​​ Storia della pedagogia,​​ Milano, Vallardi, 1972, 171-221; Quacquarelli A.,​​ Scuola e cultura dei primi secoli cristiani,​​ Brescia, La Scuola, 1974; Braido P. (Ed.),​​ Esperienze di pedagogia cristiana nella storia,​​ 2 voll., Roma, LAS, 1981; Sagramola O.,​​ Alle radici della pedagogia cristiana: educazione,​​ cultura e scuola nel C. dei primi secoli, Manziana (RM), Vecchiarelli, 2003.

G. Groppo

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CRISTIANESIMO

CRISTOCENTRISMO

 

CRISTOCENTRISMO

Nell’uso cat. CR è una formula per esprimere non tanto la centralità del mistero di Gesù Cristo (cosa per sé ovvia), quanto il ruolo determinante di esso nella presentazione e spiegazione dell’intero messaggio rivelato. “Si tratta di una onnipresenza del Cristo, di una irradiazione della sua personalità, che getta luce fin nei minimi dettagli della dottrina, fino ai tempi più occasionali della predicazione”: è un’affermazione di → J. A. Jungmann (1952, 573) che proprio per la sua pregnanza esige che la categoria così sistematizzante del CR sia ben compresa alla luce della storia del concetto e della scienza cat. sorretta dal Magistero.

1.​​ Si è soliti — e giustamente — attribuire allo Jungmann un ruolo decisivo nell’attuale CR della C. Ma è proprio di questo autore aver messo in luce — raggiungendo così il più ampio e corretto quadro del CR in teologia, in liturgia e anche nella spiritualità — la struttura cristocentrica del messaggio cristiano fin dalle origini (cf​​ 1 Cor​​ 2,2;​​ 1 Gv​​ l,lss). Tale caratteristica fu mantenuta dalla visione storico-salvifica dei Padri (→ Ireneo, Origene). Durante il medioevo, mentre da una parte si assiste a una diminuita attenzione allo schema storico-salvifico nella teologia scolastica, dall’altra emerge una nuova forma di CR devozionale che enfatizza l’esistenza umana di Gesù. Di esso sono improntate C. e predicazione. Un certo naturalismo cristologico si diffuse poi nel periodo rinascimentale. La Riforma ripropone il CR in termini piuttosto soggettivi (pietismo), accentuando Gesù Cristo come centro della devozione personale. Con l’Illuminismo assistiamo a una razionalizzazione della teologia la cui conseguenza più clamorosa, per quanto riguarda la C., è stata — salvo l’eccezione delle cosiddette C. bibliche (→ Fleury,​​ Hirscher)​​ — l’appiattimento della figura di Gesù Cristo, esaltato del resto ormai più come uomo sublime, campione di morale nell’ambito della teologia liberale. È nel sec. XX, sullo sfondo della teologia dialettica (fra i protestanti) e quella → kerygmatica (fra i cattolici), che alcuni catecheti, segnatamente lo Jungmann, ripropongono con forza la tradizionale concezione storico-salvifica dei Padri e quindi la centralità unificante e in certo modo sistematizzante del mistero di Cristo nel cammino catechistico. Dal Vaticano II, che riafferma il CR nel pensiero e nella vita di fede specialmente nel documento sulla Chiesa e sulla liturgia, e anche nelle relazioni della Chiesa con il mondo, partono quegli impulsi che recepiti da Paolo VI (DCG; EN) e da Giovanni Paolo II (CT) determinano il CR della C. odierna, ormai affermato in tutti i progetti cat. nazionali.

2.​​ Il DCG (1971) sottolineando l’impossibilità di andare a Dio senza Cristo, dice al n. 40: “Cristo Gesù costituisce all’interno della storia della salvezza il centro del messaggio evangelico ... A lui fa capo ogni realtà ... Pertanto la C. deve essere necessariamente cristocentrica”. CT (1979) riprende al n. 5 lo stesso motivo affermando: “Al centro stesso della C. noi troviamo essenzialmente una persona: quella di Gesù di Nazaret ... L’oggetto essenziale e primordiale della C. è il mistero di Cristo ... Lo scopo definitivo della C. è di mettere qualcuno non solo in contatto, ma in comunione, in intimità con Gesù Cristo”. È facile notare che il CR nella C. assume qui valenza oggettiva e soggettiva, nel senso di configurare il mistero di Cristo come il compito della C., nell’educare sia alla fides quae, sia alla fides qua. La stessa Esortazione al n. 6 evidenzia un aspetto inedito del CR catechistico, allorquando esorta l’operatore catechistico ad essere lui per primo fedele a Gesù Cristo, attento a trasmettere la dottrina e la vita di Gesù e non le opinioni e opzioni personali (spiritualità del catechista). Merita segnalare il modello cristocentrico proposto in Italia dal RdC (1970) e attuato con diversa fortuna ma con indiscutibile coerenza nei cinque catechismi nazionali. Tre sono i motivi addotti: teologico, con evidente richiamo alla singolare, unica e decisiva collocazione di Cristo nell’economia della salvezza (nn. 57, 59, 61, 62, 82); pastorale, in quanto il richiamo a Gesù permette una personalizzazione del messaggio al quale gli uomini del nostro tempo sono particolarmente sensibili (n. 58); didattico, giacché intorno all’evento Gesù si concentra organicamente tutta la grande cattedrale della fede.

3.​​ Come tutte le categorie sistematizzanti, anche il CR è esposto a​​ gravi fraintendimenti.​​ Dipende dalla concezione teologica che si ha di Cristo. Lo Jungmann trent’anni orsono, alla vigilia della sua morte, denunciava la “pietà ignorante di tipo monofisita” operante in tanti catechisti, predicatori e semplici cristiani. Oscurando cioè la piena realtà umana di Gesù, in qualche modo si identifica Dio con Gesù, per cui basta parlare di Gesù per dire il tutto del cristianesimo, con evidenti contraccolpi sulla verità della fede: in primis questo cristomonismo emargina come irrilevante la C. trinitaria; evacua il significato dell’AT, bastando, come si afferma non di rado, la conoscenza dei Vangeli; privilegia eccessivamente l’approccio kerygmatico, sottraendo il cammino alla necessaria investigazione razionale e apologetica; rischia di emarginare, per insufficienza di campo, i germi di verità delle altre religioni e culture non cristiane. Non si dovrebbe dimenticare, di fronte a certi itinerari cat., quasi ossessivamente dedicati a parlare del solo Gesù, il pericolo di un deduttivismo integristico, riscontrabile in certi modelli di educazione cristiana degli anni fra il ’40 e il ’60, secondo cui Gesù veniva presentato come sommo educatore e il suo modo di agire come pedagogia, anzi come metodologia rivelata pronta per il buon catechista (→ pedagogia di Dio); ma soprattutto si ricorderà la traiettoria di un CR teologico falsato: dall’esaltazione del solo Gesù Cristo della teologia liberale, si è passati al Cristo senza Gesù del radicalismo bultmanniano, per approdare al Gesù senza Cristo e senza Dio del cosiddetto ateismo cristiano.

4.​​ In effetti i documenti citati del Magistero richiamano immediatamente il teocentrismo trinitario nella C. quando, come fa il DCG (n. 41), si afferma: «Come Cristo è il centro della storia della salvezza, così il mistero di Dio è il centro da cui questa storia trae la sua origine e a cui è orientata come a suo fine” (v. pure CT​​ 5).​​ I catecheti nei loro manuali richiamano alla globalità del discorso cat. secondo tutte le dimensioni del messaggio, chiarendo come si deve attuare la rilettura e presentazione cristoc. dei diversi contenuti, in termini oggettivi (o di verità) e soggettivi (o di formazione interiore): così il mistero di Dio, dell’uomo, della Chiesa, dell’escatologia, della creazione, della vita morale (cf RdC, cc. IV e V). Ancor più in concreto, si tratta — come annota lo Jungmann — di ridire in termini cristocentrici l’abituale terminologia religiosa (es. la grazia santificante da intendersi come vita di amicizia e di unione con Gesù Cristo); di valorizzare il valore di credibilità che la figura di Gesù porta alla Chiesa; di nutrire la vita spirituale partendo da Gesù dei Vangeli (es. le parabole) (Jungmann 1952, 577-581).

Ben più ardua è la realizzazione di catechismi che rispettino tutte le esigenze in gioco.

Oggi, e non a caso, si assiste ad una ripresa più attenta della formula trinitaria nella compaginazione del testo cat. Con molta più cura si mette in guardia dal ridurre il CR “in un universalismo cristologico che faccia di Cristo la categoria comprensiva del reale, dissolvendone la individualità e la storicità” (G. Moioli 1977, 221), anche impoverendo pericolosamente la ricchezza umana e religiosa della realtà, entro cui Cristo è al centro come alfa ed omega (Ap​​ 21,6), ma senza che si possa dire che Cristo è tutta la realtà. In questa prospettiva, mentre si mantiene come inalienabile verità il CR nella C., e quindi la persona, anzi il mistero di Cristo come pilastro, angolo di visuale di tutta la dottrina rivelata e dell’esperienza di essa, si terrà aperto ogni modello cristocentrico concreto (come testo e come cammino vivente) verso un miglioramento sempre maggiore, in una misura che antropocentrismo, teocentrismo e cristocentrismo possano interagire nella pienezza dei loro significati.

Bibliografia

J. A. Jungmann,​​ Christus als Mittelpunkt religiöser Erziehung,​​ Freiburg, Herder, 1939; Id.,​​ La place de​​ Jésus-Christ​​ dans​​ la catéchèse et la prédication,​​ in “Lumen Vitae” 7 (1952) 573-582; Id.,​​ Catechetica,​​ Alba,​​ Ed. Paoline, 19633; J. Millet,​​ Lieu ou le Christ? Les​​ conséquences​​ de l’expansion du​​ christocentrisme​​ dans​​ l’Église​​ catholique du XVIIime​​ siècle à​​ nos jours,​​ Paris, Ed.​​ de Trévise,​​ 1980; G. Moioli,​​ Cristoccntrismo,​​ in​​ Nuovo Dizionario di Teologia,​​ Roma, Ed. Paoline, 1977; G. Nosengo,​​ L'arte educativa di Gesù Maestro,​​ 2 vol., Roma, AVE, 1967​​ (cf​​ C. Bissoli,​​ Bibbia e educazione,​​ Roma, LAS, 1981, 42ss); G. Re,​​ Il cristoccntrismo della vita cristiana,​​ Brescia, Morcelliana, 1968; G.​​ Roatta,​​ L’orientamento cristocentrico della nuova catechesi,​​ in “Via Verità e Vita” 19 (1970) 26, 81-90 (commento al RdC).

Cesare Bissoli

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CRISTOCENTRISMO

CRITICA

 

CRITICA

È un termine filosofico, relativo alla natura e al senso razionale della conoscenza, che ha diverse applicazioni in sede di pedagogia e di educazione.

1. Il termine (dal gr.​​ kritiké téchne,​​ arte di giudicare) rimanda alla tecnica di analisi testuale e valutazione delle fonti, al giudizio di opere letterarie e artistiche, e da​​ ​​ Kant in poi, sta alla base del criticismo filosofico, che si caratterizza per l’esame radicale a cui viene razionalmente sottomessa la conoscenza e la ragione stessa nei suoi diversi modi di porsi. È noto che​​ ​​ Lombardo Radice prospettò una c. didattica, intesa come filosofia vissuta che discute e passa al vaglio l’opera didattica, cioè l’istituzione, i metodi, gli atteggiamenti e i comportamenti scolastici concreti; la produzione didattica e pedagogica; gli esperimenti di innovazione didattica e scolastica. In tal modo credette di poter superare il tecnicismo e la pedanteria erudita; di stimolare la formazione degli insegnanti e l’opinione pubblica; di far penetrare nella scuola e nelle famiglie idee pedagogiche nuove e atteggiamenti più rispettosi della​​ ​​ creatività del fanciullo. Negli anni settanta, nel generale clima di radicale contestazione della scuola e della pedagogia, soprattutto negli ambienti tedeschi, si parlò di scienza c. dell’educazione, così come di didattica c. per una educazione e una comunicazione non-autoritaria nella scuola. Oggetto suo proprio sarebbe dovuto essere la denuncia dei condizionamenti ideologici e strutturali, che impediscono una comunicazione dialogica, un apprendimento riflessivo-critico, la ricerca dell’autonomia soggettiva e l’emancipazione individuale e collettiva. Negli anni novanta, a fronte della complessificazione della vita e della crisi della modernità occidentale, si è ripreso a parlare in Italia di pedagogia c. al fine di superare impostazioni scientistiche, riduttive, schematiche, unilaterali; di ricercare itinerari di razionalità educativa; di valorizzare la particolarità, la storicità, la soggettività, la varietà delle situazioni, la ricchezza delle differenze individuali, esistenziali, culturali; di saldare dimensioni epistemologiche, etiche, valoriali, politiche ed operative.

2. In tal senso la c. pedagogica può essere vista come un compito fondamentale della teoria e della​​ ​​ filosofia dell’educazione che indaga e discute pubblicamente le idee e le pratiche educative per saggiarne la validità, l’attendibilità, l’adeguatezza e la significatività sia rispetto ai bisogni educativi e alla domanda sociale di formazione attuale e futura sia rispetto alle esigenze della razionalità e della scientificità contemporanea. A sua volta, in sede di educazione la criticità è tradizionalmente indicata come una caratteristica essenziale dell’educazione moderna e specialmente dell’educazione scolastica, in un più ampio quadro di educazione alla ragione, di​​ ​​ educazione scientifica e tecnologica, di educazione ai​​ ​​ valori della tradizione, alle novità e​​ ​​ mode del tempo. In particolare l’educazione al​​ ​​ pensiero critico si raccomanda oggi a fronte del vasto pluralismo, della multicultura e della complessità vitale che caratterizzano l’esistenza contemporanea.

Bibliografia

Lombardo Radice G.,​​ Lezioni di didattica e ricordi di esperienza magistrale,​​ Palermo, Sandron, 1936; Bertoldi F.,​​ C. della certezza pedagogica, Roma, Armando, 1981; Cambi F. - G. Cives - R. Fornaca,​​ Complessità,​​ pedagogia c.,​​ educazione democratica,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1991; Granese A.,​​ Il labirinto e la porta stretta. Saggio di pedagogia c., Ibid., 1993; Ragnedda M.,​​ Eclisse o tramonto del pensiero critico? Il ruolo dei mass media nella società post-moderna, Roma, Aracne, 2006; Sartori G.,​​ Homo videns. Televisione e post-pensiero, Roma / Bari, Laterza, 2007.

C. Nanni

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