COMUNICAZIONE
Emil Santos
1. La comunicazione in ambito pastorale
1.1. Precisazioni di linguaggio
1.2. Ambito di ricerca
1.3. Compiti delia riflessione teologico-pastorale
2. Rilettura in chiave comunicativa della prassi pastorale della Chiesa
2.1. Attuale riflessione esplicita circa la comunicazione pastorale
2.2. Prassi comunicativa nel cristianesimo delle origini
2.3. Prassi comunicativa nel cristianesimo successivo
2.4. Uso dei mezzi di comunicazione nella storia del cristianesimo
3. Riflessione del magistero e della teologia
3.1. L’interesse del magistero per i mezzi di comunicazione prima del Vaticano II
3.2. L ’orientamento della teologia alla vigilia del Vaticano II
3.3. Orientamenti del Vaticano II
3.3.1. Il decreto «Inter mirifica»
3.3.2. Prospettiva comunicativa di altri documenti
3.4. Orientamenti del magistero postconciliare
3.5. Indicazioni delle altre Chiese cristiane
3.6. Orientamento della riflessione teologica
4. Nuovi modelli di comunicazione pastorale
4.1. I mass-media
4.2. Verso nuovi modelli di comunicazione in ambito pastorale
4.2.1. Tre modelli di comunicazione pastorale
4.2.2. Tipi emergenti di comunicazione pastorale
5. Verso una teologia della comunicazione pastorale: proposta di metodo
1. La comunicazione in ambito pastorale
Affrontare un tema così denso di significato e così vasto d’orizzonti in poche pagine è impresa pressoché impossibile se non lo si colloca entro una visuale precisa e determinata. Dizionari e opere monografiche hanno reso palese il carattere complesso, multidisciplinare e interdisciplinare di questa tematica. In effetti l’hanno affrontata con differenti approcci: ad es., sociologico, psicologico, pedagogico, filosofico, semiotico, teologico, ecc.
Alcune voci di dizionario si sono limitate a privilegiare l’aspetto tecnico, toccando le diverse prospettive e i vari problemi connessi con i mezzi di comunicazione sociale.
Senza dire poi che in alcuni dizionari ed enciclopedie, anche di argomento religioso o filosofico, la voce «comunicazione» non compare neppure; per trovare spunti attinenti la comunicazione occorre cercarli in temi paralleli, quali linguaggio, simbolismo, dialogo, comunione, evangelizzazione, audiovisivi, Chiesa, ecc.
1.1. Precisazioni di linguaggio
Dovendosi configurare nel quadro di un dizionario di pastorale giovanile e per evitare un discorso equivoco, questo articolo intende affrontare la tematica della comunicazione da un’angolatura precisa, quella teologico-pastorale. Parte dalla premessa che gli argomenti in esso proposti hanno uno stretto legame con la pastorale giovanile. L’attuale crescente ricerca volta a rilevare gli aspetti di comunicazione nella teologia e, viceversa, la dimensione teologica in temi di comunicazione, ha aperto nuove prospettive circa la comunicazione nell’ambito della teologia fondamentale e della dogmatica. Questo studio vuole andare oltre: esso si interessa della comunicazione in senso ampio, ma a partire da una prospettiva teologico-pastorale.
Anche il termine «pastorale» sottende differenti significati. Per ora basti precisare che con «pastorale» si vuole indicare la prassi religiosa cristiana ed ecclesiale e, inoltre, il tipo di riflessione teologica che si produce su di essa.
Tale riflessione concentra l’attenzione sulla prassi pastorale, ponendo l’accento sulla sua dimensione comunicativa, sui mezzi di comunicazione e sui processi comunicativi all’interno e all’esterno della Chiesa.
Tale riflessione è pure animata da un atteggiamento dialogico; fa una lettura valutativa e teologica del fenomeno delle comunicazioni di massa, prospetta delle mete e segnala una strategia adeguata per raggiungerle.
1.2. Ambito di ricerca
Se la teologia pastorale prende in esame tutte le attività della Chiesa, sia ad intra che ad extra, e cioè tutte quelle interazioni in cui sono coinvolti Chiesa e cristiani per edificare il regno di Dio in una determinata congiuntura storica e per dialogare ed impegnarsi nel mondo, allora un discorso sulla comunicazione pastorale non può fare a meno oggi di affrontare seriamente e tempestivamente i mezzi della comunicazione sociale nell’ambito dell’evangelizzazione e della promozione umana in cui la Chiesa, per natura sua, è protagonista.
Si sa che la riflessione del magistero come della teologia ha costantemente privilegiato appunto gli strumenti della comunicazione sociale. Oggi però il discorso si è allargato alla comunicazione in quanto tale: essa dovrebbe caratterizzare tanto i rapporti umani, quanto le relazioni intra ed extra-ecclesiali e, quindi, l’intera sua azione pastorale. Di conseguenza, la teologia pastorale contemporanea presta particolare attenzione alla centralità della comunicazione nella prassi cristiana ed ecclesiale, alla dimensione comunicativa dell’azione pastorale e al come la metodologia antropologica della comunicazione possa aiutare e favorire nella comunità cristiana una maggiore capacità comunicativa ed evangelizzatrice.
Infine, questa disciplina si applica metodicamente all’analisi dello stato e della qualità dei processi comunicativi all’interno della Chiesa, e progetta, come sua caratteristica ottimale, processi indicati con il trinomio comunione-partecipazione-comunicazione.
Come tesi di partenza, perciò, questo saggio rifiuta una visione della comunicazione intesa in senso puramente tecnico o strumentale. Cerca piuttosto di evidenziare un asserto fondamentale, cioè che una riflessione teologico-pastorale sulla comunicazione abbraccia una pluralità di contenuti, aspetti, atteggiamenti, metodi e modalità attinenti la comunicazione pastorale. La riflessione pastorale esprime pure un atteggiamento di apertura e dialogo da parte della Chiesa nei confronti del mondo attuale, dei mass media, della cultura massicciamente mediata da reti di comunicazione su vasta scala. Di fronte poi ai problemi scottanti riguardanti la comunicazione all’interno della società, ne fa una lettura ed interpretazione in prospettiva teologica.
1.3. Compiti della riflessione teologico-pastorale
Compiti urgenti della teologia pastorale oggi sono: affrontare la cultura attuale mediata dai mass-media; proporre linguaggi e modi adeguati per comunicare la fede ai giovani d’oggi; chiamare in causa i processi comunicativi intra-ecclesiali e, con l’aiuto delle scienze della comunicazione, esaminare la dimensione comunicativa dell’azione pastorale all’interno e all’esterno della Chiesa. Essa fa tale analisi critica della prassi o situazione comunicativa vigente in base a criteri teologico-pastorali e, in vista di migliorare la situazione vagliata, progetta obiettivi e una strategia capace di pilotare tale cammino di miglioramento.
Parlando di comunicazione, si possono invocare, anche in ambito pastorale, numerosi punti di riferimento e non pochi modelli: ad es. la comunicazione riferita al linguaggio, all’arte, alla cultura, al dialogo, alla trasmissione e all’informazione; la comunicazione intesa come processo, come interazione soggettiva o come contenuto. Essendo connessi con la prassi pastorale, tutti questi aspetti entrano in gioco nella comunicazione pastorale e nella relativa riflessione.
Questo articolo si prefigge appunto di offrire una lettura sintetica della prassi ecclesiale in chiave comunicativa; inoltre di proporre una sintesi di quanto il magistero e il pensiero teologico hanno elaborato nell’ambito della riflessione teologico-pastorale sulla comunicazione; infine di indicare i modelli significativi della comunicazione pastorale oggi. Affronta questa tematica seguendo lo sviluppo storico di questo tipo di riflessione.
2. Rilettura in chiave comunicativa della prassi pastorale della chiesa
2.1. Attuale riflessione esplicita circa la comunicazione pastorale
Nella Chiesa la prassi generalmente ha sempre preceduto la dottrina o la riflessione. Fino a questi ultimi decenni, la comunicazione non è mai stata oggetto di una riflessione teologica esplicita e sistematica. Oggi, invece, l’azione pastorale (catechesi, predicazione, attività missionaria, liturgia, azione caritativa, ecumenismo) della Chiesa viene definita in termini di «prassi comunicativa», di «comunicazione pastorale» o di «comunicazione religiosa popolare». In essa l’aspetto o la dimensione comunicativa viene esplicitata e in modo paritario con la pastoralità. Per dimostrare l’emergente centralità della comunicazione, parecchi autori contemporanei rileggono la storia della Chiesa in chiave comunicativa e sostengono la teoria, secondo cui la scelta e la modalità di determinati modi, stili, mezzi e strategie di comunicazione pastorale del passato contenevano una teologia almeno implicita della comunicazione pastorale.
In ogni caso, se in passato il riferimento a visuali di tipo comunicativo era scarso o inesistente, oggi risulta palese e consistente.
2.2. Prassi comunicativa nel cristianesimo delle origini
Senza dubbio il cristianesimo è una religione di tipo comunicativo: si fonda sull’autocomunicazione di Dio all’umanità, avvenuta nell’evento dell’incarnazione di Gesù di Nazaret. I primi cristiani erano vivamente coscienti dell’urgenza del mandato ricevuto da Cristo di annunciare il vangelo a tutto il mondo. Dopo la Pentecoste, la Chiesa si diffuse nutrendosi della parola scritta e della tradizione tramandata: così si formarono comunità ecclesiali in base alla condivisione dei valori evangelici tramite la loro comunicazione tra i membri.
Sullo sfondo di una comunicazione diretta e indiretta, i fedeli della Chiesa primitiva propagarano la buona novella del regno sotto forma di testimonianza (marturìa), di annuncio (kérigma), di culto (leiturgìa), di amore fraterno (koinonìa) e di impegno sociale (diakonia).
2.3. Prassi comunicativa nel cristianesimo successivo
Nella sua storia, la Chiesa ha messo in risalto la sua vitalità attraverso lo sforzo compiuto per adattare testimonianza e annuncio evangelico alle forme culturali e ai mezzi di comunicazione offerti da determinate congiunture storiche. Dato che la sua maggiore preoccupazione era quella di comunicare il vangelo, il passaggio da una lingua all’altra, l’uso di certi mezzi di comunicazione e l’assunzione di diverse forme culturali non le ponevano gravi difficoltà. Per comunicare le verità della fede, i missionari viaggiarono su cocchi, in nave e in cammello, scrissero lettere e libri su papiri e pergamene, si servirono dei mezzi visivi dell’arte figurativa (pitture e ikone ad es. nelle case e nelle catacombe), della scultura e architettura (ad es. nelle chiese e nelle basiliche), inventarono lingue (ad es. quella slava) e scritture. Si pensi agli scritti dei grandi Padri della Chiesa di indole apologetica: da un lato difendevano la nuova religione e dall’altra spiegavano la fede in linguaggi e simboli comprensibili ai credenti e ai non-credenti.
Quando si presentarono problemi all’interno e all’esterno della comunità cristiana, i loro vescovi e capi si riunirono in concili o sinodi o assemblee (comunicazione ad intra) e vi diedero una risposta, denunciando errori che turbavano la comunicazione intraecclesiale (ad es. le eresie) e formulando le verità della fede in simboli ricavati dalla cultura ebraico-ellenista (comunicazione ad extra). Sovente la comunicazione religiosa si espresse nelle forme proprie della retorica: basti ricordare i trattati e le omelie di sant’Agostino e di san Gregorio Nazianzeno.
Il teatro non godette stima nell’antichità cristiana né trovò posto nell’azione pastorale dei Padri della Chiesa. Nel medioevo invece le devozioni e le rappresentazioni sacre divennero una forma efficace di istruzione religiosa e morale.
La fondazione di grandi ordini religiosi come i Francescani e i Domenicani risvegliò il senso religioso di intere popolazioni e promosse l’istruzione tra gli ignoranti. La Chiesa divenne prestigioso centro di elaborazione e diffusione culturale: le opere classiche vennero copiate a mano dagli amanuensi nelle sedi arcivescovili e nelle abbazie; le università e i centri di studi fondati dalla Chiesa esercitarono un significativo influsso sulla cultura del tempo.
Il Rinascimento vide meravigliose opere di noti artisti: la pittura, gli affreschi e i mosaici delle cattedrali mantennero vivo l’impegno comunicativo di tipo religioso. Nel secolo XV ebbe inizio l’era di Gutenberg che rivoluzionò i metodi e i prodotti della comunicazione. La Chiesa seppe servirsi della stampa e la utilizzò con maggior efficacia. La riforma di Lutero mise certamente in crisi la comunicazione religiosa, ma provocò pure una Controriforma carica di efficaci strategie di comunicazione.
Basti accennare prima di tutto alla comunicazione interna realizzata con il concilio di Trento, e poi alla fondazione dei Gesuiti, alla testimonianza di grandi santi della Chiesa, alle spedizioni missionarie in Africa, America ed Asia. Chiave di volta della comunicazione missionaria fu l’impegno di comunicare la fede, esplorando possibili aree di contatto con le culture locali e cercando di riformularla in simboli autoctoni.
2.4. Uso dei mezzi di comunicazione nella storia del cristianesimo
Dalla pace di Costantino (310) alla prima metà del secolo XIX la Chiesa esercitò un ruolo determinante nelle forme culturali e nei mezzi di comunicazione, che divennero così parte integrante della stessa cultura e spiritualità cattolica. La lettura dei libri di ispirazione cristiana, per es., provocò delle conversioni (sant’Ignazio di Loyola). Si può dire in generale che la Chiesa è stata maestra nell’inventare e utilizzare diversi modi, stili, forme, strategie e mezzi di comunicazione pastorale. In tale situazione, non si sentì il bisogno di sviluppare una riflessione teologica sistematica sulla comunicazione.
In un periodo in cui la Chiesa perdeva man mano il suo influsso, insidiata da forze politiche ed ideologie contrarie, nacquero i mezzi di comunicazione di massa: i giornali negli anni 1830, poi il cinema, la radio e la televisione. Di fronte a questi mezzi l’autorità ecclesiastica assunse un atteggiamento di sfiducia, di rigetto e, a volte, ambivalente. Mentre in precedenza le forme culturali e i mezzi di comunicazione popolare erano sotto la sua influenza, ora i mass-media sorti e sviluppatisi fuori dalla sua sfera, sfuggivano al suo controllo. Come strategia di comunicazione al suo interno e al suo esterno essa invocò allora l’ideologia della «società perfetta» e diede origine a una propria cultura destinata a fronteggiare una società «corrotta» e ostile alle sue istituzioni. Così la Chiesa creò le sue scuole «cattoliche», i suoi giornali, i suoi sindacati e movimenti.
Dalla seconda metà dell’800 fino alla seconda guerra mondiale le missioni popolari nelle parrocchie registrarono un successo pastorale-comunicativo. Parallelamente a questi interventi, i papi si sono lanciati a fondare e favorire reti radiofoniche come la Radio Vaticano e la Radio Veritas a Manila e a riunire le forze in associazioni mondiali, quali l’UCIP (Union catholique internationale de presse), l’UNDA (organizzazione cattolica internazionale per la radio e la televisione) e l’OCIC (Organization catholique internazionale de cinema).
Considerando la sua dimestichezza con i mezzi di comunicazione fino all’arrivo delle comunicazioni di massa, la Chiesa da alcuni decenni a questa parte si sta interrogando sul come potrebbe servirsi dei mezzi elettronici al fine di utilizzarne al massimo l’efficacia per la causa del Vangelo. Con il recente avvento poi delle «scienze della comunicazione» ci si sta pure avviando a elaborare una cosiddetta «Teologia della Comunicazione» riguardante sia il sapere teologico in generale sia quello pastorale in particolare.
3. Riflessione del magistero e della teologia
3.1. L’interesse del magistero per i mezzi di comunicazione prima del Vaticano II
Gli interventi del magistero circa la comunicazione nel lungo periodo pre-conciliare sembrano limitarsi generalmente ai mezzi di comunicazione. Papi, concili, sinodi e singoli vescovi si pronunciarono su determinati argomenti attinenti l’uso di strumenti o forme di comunicazione, per es. i libri, le traduzioni della Bibbia, gli spettacoli, le arti figurative, il teatro.
Molti di questi interventi hanno, secondo i casi, un carattere cautelativo e condannatorio nei confronti di determinati utilizzi di questi mezzi e prendono posizione su problemi di fede e morale da essi sollevati. Mentre se ne condanna un uso dannoso per la vita cristiana, se ne rilevano pure i vantaggi pastorali e comunicativi. Ad es. contro gli iconoclasti il concilio di Nicea II (787) diede questo orientamento pastorale-comunicativo sulle immagini: «Difendiamo con ogni diligenza e cura le venerande e sante immagini che rappresentano la croce veneranda e salutare con tessere di mosaico (...). In tal modo, guardando queste immagini dipinte, ognuno che le contempli sia indotto a ricordare e a imitare i prototipi, a prestare loro il saluto e la dovuta venerazione». In tali interventi normativi prevalsero quindi motivi pastorali, morali e istituzionali. Ciò sta a indicare che il magistero si interessò poco o nulla della comunicazione come tale; ciò che gli premette era l’aspetto strumentale o tecnico di essa. I pronunciamenti del magistero riguardanti le comunicazioni sociali o i mass-media cominciarono con l’enciclica Mirari Vos (1832) di Gregorio XVI. In essa il papa condannò la libertà di stampa. Questo documento inaugurò una posizione ambivalente (per non dire prevalentemente negativa e moralistica) del magistero di fronte agli strumenti della comunicazione sociale; tale posizione si svilupperà poi nel magistero di Pio IX, Leone XIII, Pio X, Pio XI e Pio XII.
L’enciclica Vigilanti Cura (1936) di Pio XI è il primo documento pontificio interamente dedicato al cinema; in esso prevale l’orientamento indicato dal titolo, ma vi è anche espresso un giudizio positivo sul cinema definito «dono di Dio». Un orizzonte più aperto e conciliante e un’analisi più esaustiva si registra nell’enciclica Miranda Prorsus (1957) di Pio XII, in cui, per la prima volta, il magistero pontificio tratta del cinema, della radio e della televisione presi nel loro insieme e offre i primi spunti teologici. «Dio, essendo sommo bene, elargisce incessantemente i suoi doni, alcuni sono per le anime, altri sono in uso per questa vita terrena; e, manifestamente, questi ultimi sono subordinati ai primi, come il corpo deve essere subordinato all’anima, alla quale, prima di comunicarsi nella visione beatifica, Dio si unisce mediante la fede e la carità (...). Inoltre, desideroso di ritrovare nell’uomo il riflesso della propria perfezione, Dio ha voluto farlo partecipe di questa divina liberalità e lo ha associato alla propria opera facendolo messaggero, largitore e dispensatore di tutti questi beni ai suoi fratelli e a tutta l’umanità (...). Tutti, quindi, gli strumenti di comunicazione umana (...) devono essere indirizzati all’eccelso fine di rendere l’uomo, anche in questo campo, quasi dispensatore di Dio» (ivi 24-25). Oltre gli strumenti di comunicazione, l’enciclica tratta pure dell’opinione pubblica.
Prima ancora dell’apertura del Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII con l’enciclica Mater et Magistra (1961) formulò giudizi positivi nei confronti della socializzazione, che è l’orrizzonte più vasto in cui vanno collocati i mass-media.
3.2. L’orientamento della teologia alla vigilia del Vaticano II
Se, nel periodo esaminato, il magistero dimostrò una visione piuttosto strumentale o mediale della comunicazione, il pensiero teologico, negli anni che precedettero immediatamente il Vaticano II, aperse prospettive più ampie di riflessione teologica. Non limitò il suo interesse ai mezzi di comunicazione, ma allargò il suo discorso alla comunicazione in generale e studiò settori (come il cinema, l’informazione, i mass-media, la stampa) o aspetti (come l’immagine, il simbolismo, gli audiovisivi, il linguaggio) della comunicazione dal punto di vista morale, dogmatico e pastorale.
Vari autori presero in considerazione le attività pastorali come la catechesi, la predicazione, la liturgia, l’attività missionaria, proponendo spunti pastorali circa l’uso dei massmedia o la dimensione comunicativa inerente ad essi.
3.3. Orientamenti del Vaticano II
Una lettura in chiave comunicativa del Vaticano II dimostra che papa Giovanni XXIII convocandolo, volle rilanciare una Chiesa rinnovata nella sua azione pastorale e nella sua capacità comunicativa. Spiegando «il carattere prevalentemente pastorale» del concilio, il papa fece questa precisazione: «È necessario anzitutto che la Chiesa non si discosti dal sacro deposito della verità, ricevuto dai Padri; e al tempo stesso deve anche guardare al presente, alle nuove condizioni e forme di vita, introdotte nel mondo moderno, le quali hanno aperto nuove strade all’apostolato cattolico (...). Il nostro servizio pastorale (...) non ha altro fine e altro desiderio che la conoscenza e la penetrazione del Vangelo di Cristo nel nostro tempo».
Ci sono autori che qualificano il Vaticano II come il concilio della comunicazione, per due motivi principali:
1) perché per la prima volta un concilio ecumenico dedica un documento ufficiale (l’Inter Mirifica) agli strumenti della comunicazione sociale;
2) perché i suoi documenti principali (la Lumen Gentium sulla Chiesa, la Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, la dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa) si presentano come catalizzatori del cambiamento di modelli di comunicazione pastorale sia ad intra che ad extra della Chiesa.
3.3.1. Il decreto «Inter Mirifica»
Con il decreto sugli strumenti della comunicazione sociale (Inter Mirifica) promulgato nel 1963, il concilio riconosce i profondi mutamenti socio-culturali provocati dalla cultura mediata dai mass-media e rivendica il dovere e il diritto della Chiesa di utilizzare questi mezzi di grande portata nell’opera evangelizzatrice e nella promozione dell’uomo. «Istituita da Cristo Signore per arrecare la salute a tutti gli uomini e mossa dalla necessità di diffondere il messaggio evangelico, la Chiesa Cattolica giudica suo dovere predicare l’annuncio della salvezza anche mediante gli strumenti di comunicazione sociale, nonché indirizzare gli uomini al retto uso degli stessi» (IM 3). Con questa apertura la Chiesa istituzionalizza e accetta le comunicazioni sociali nella sua agenda quotidiana. Discusso e approvato nella seconda sessione del concilio, il decreto propone principi dottrinali e morali da cui ricava norme e orientamenti di tipo pratico-pastorale.
L’Inter Mirifica ha suscitato polemiche e riserve; alcune di esse ne denunciarono l’orientamento moralistico e ristretto che rivelerebbe una mentalità ancora preconciliare, ed inoltre il suo vuoto teologico inteso come carenza di un contenuto teologico-dogmatico. Ad ogni modo, uno dei meriti notevoli del decreto è quello di aver proposto un’istruzione pastorale che avrebbe coinvolto nel suo insieme il magistero del concilio.
Preparata per sopperire a tali lacune, l’istruzione pastorale Communio et Progressio (1971) amplifica l’orizzonte dell’Inter Mirifica e offre nuovi orientamenti circa il contenuto (tratta della comunicazione interna della Chiesa e dell’opinione pubblica) e le prospettive in cui vedere la comunicazione: in tutto ciò approfondisce dal punto di vista dottrinale il magistero conciliare. La sua tesi di fondo arricchisce la visione cristiana dei mass-media, stabilendo la comunione e la promozione integrale dell’uomo quale frutto e criterio della comunicazione umana e dei suoi mezzi. In prospettiva teologica, essa presenta la comunione trinitaria, l’incarnazione e la vita di Cristo, perfetto comunicatore, come modelli di ogni comunicazione umana.
3.3.2. Prospettiva comunicativa di altri documenti
Per quanto riguarda una maggiore apertura sia alla moderna tecnologia delle comunicazioni e alla cultura pluralistica, sia al cambio di modelli di comunicazione pastorale, non sono tanto l’Inter Mirifica o la Communio et Progressio i documenti che hanno dato un’impronta catalizzatrice, quanto piuttosto altri testi fondamentali del Concilio come la Lumen Gentium, la Sacrosanctum Concilium, la dichiarazione Dignitàtis Humanae e la Gaudium et Spes.
Considerata in un’ottica pastorale, l’ecclesiologia conciliare di comunione e partecipazione, il dialogo col mondo e con la cultura pluralista, i modelli di ministero, i nuovi metodi di fare teologia inaugurati dal Concilio, l’ecumenismo, ecc. hanno cambiato profondamente l’atteggiamento della Chiesa nei confronti dei mass-media; hanno riorientato la prassi pastorale comunicativa e gettato semi fecondi per l’elaborazione di una teologia della comunicazione pastorale.
3.4. Orientamenti del magistero postconciliare
Il magistero postconciliare ha seguito il cammino tracciato dal concilio: gli strumenti della comunicazione sono entrati in quasi tutti i suoi documenti di carattere pastorale. Basti ricordare le dichiarazioni della Conferenza episcopale latinoamericana a Medellin (1968), i numerosi discorsi di Paolo VI in occasione della Giornata Mondiale per la comunicazione sociale, la sua lettera Octogesima Adveniens (1971), il Direttorio Generate Catechistico (1971), l’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi (1975); inoltre il documento di Puebla (1979) e tanti altri interventi durante il pontificato di Giovanni Paolo II. In tutti questi documenti la riflessione pastorale evidenzia la rilevanza e l’urgenza di adoperare le comunicazioni sociali nell’evangelizzazione e nella promozione umana. Non manca, però, una sensibilità critica nei confronti del gioco di potere, della manipolazione e spersonalizzazione dei mass-media.
Il discorso sui mezzi di comunicazione sociale è assai chiaro e impegnativo, mentre la comunicazione pastorale in generale viene sottolineata nei discorsi sull’inculturazione, il dialogo, la catechesi, il simbolismo, ecc. Anche se il punto centrale di parecchi interventi concerne la problematica dei mass-media o dei group-media, per quanto riguarda la pastorale la preoccupazione principale è l’autenticità dei processi comunicativi alla luce dei valori cristiani. Basti ricordare l’intervento del DECOS-CELAM al Sinodo del 1974 che metteva in crisi i mass-media e proponeva l’opzione pastorale dei group media nel contesto ecclesiale dell’America Latina. Le loro obiezioni erano le seguenti:
1) il modo di comunicare dei mass-media è unidirezionale, vale a dire non permette il dialogo;
2) i mass-media si rivolgono a masse eterogenee ed impongono un loro ritmo, mentre un’autentica evangelizzazione deve partire da situazioni concrete e personali dell’evangelizzando e ne deve rispettare i ritmi di risposta;
3) i mass-media si rivolgono a persone isolate e non ne realizzano una con-presenza, mentre nell’evangelizzazione è preferibile la comunicazione-esperienza comunitaria del gruppo ecclesiale;
4) i mass-media non convertono, ma tendono piuttosto a conservare lo status quo del pubblico, il quale oggi è quello che è: agnostico, se non a-cristiano; e le attuali strutture socio-economiche che maneggiano i massmedia sono tutt’altro che evangeliche;
5) infine, i fatti hanno vanificato il miraggio di chi ha visto nei mass-media la soluzione moderna del problema dell’evangelizzazione; infatti non si conosce alcun esperimento di evangelizzazione efficace compiuto con i soli media.
Enrico Baragli rispose dettagliamente a queste obiezioni. A livello di magistero è sufficiente citare l’esortazione apostolica di Paolo VI, l’Evangelii Nuntiandi del 1975, che offre una risposta equilibrata. Dichiara che «la Chiesa si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi (...); servendosi di essi la Chiesa “predica sui tetti” il messaggio (...); in loro essa trova una versione moderna ed efficace del pulpito. Grazie ad essi riesce a parlare alle moltitudini (...); il messaggio evangelico dovrebbe, per loro tramite, giungere a folle di uomini, ma con la capacità di penetrare nella coscienza di ciascuno, come se questi fosse l’unico, con tutto ciò che ha di più singolare e personale, e ottenere a proprio favore un’adesione, un impegno del tutto personale». (EN 45).
3.5. Indicazioni delle altre Chiese cristiane
In questi ultimi decenni è rilevabile un intervento decisivo e profetico specialmente da parte delle Chiese uscite dalla riforma protestante, innanzi tutto rispetto ai mass-media e in secondo luogo nei confronti dei processi comunicativi nella pastorale e nella vita della Chiesa.
Il Consiglio Ecumenico delle Chiese, dopo un lungo itinerario di riflessione, si è pronunciato decisamente ad Uppsala nel 1968 e di nuovo a Vancouver nel 1983, ponendo delle enfasi interessanti, ad es. sull’esigenza di professionalità da parte delle Chiese nell’uso dei mass-media (Uppsala), sull’evangelicità e la trasparenza nei processi comunicativi intra-ecclesiali e extra-ecclesiali (Vancouver). Quasi tutti questi pronunciamenti, anche nell’affrontare attuali problemi scottanti come il nuovo ordine di informazione e comunicazione, la tutela delle culture indigene di fronte all’ondata del cosiddetto neo-colonialismo culturale, si prefiggono di promuovere l’umanizzazione dei processi comunicativi in tutti gli aspetti della vita e, in modo particolare, la comunicazione a doppio senso, la partecipazione nella dialettica comunicativa e nella democratizzazione delle strutture organizzative. Se negli anni ’60 e ’70 gli interventi delle Chiese erano caratterizzati dall’entusiasta accoglienza dei mass-media in vista dell’annuncio cristiano e della promozione umana, in questi ultimi anni si è verificato uno spostamento di accento verso una critica costruttiva dei poteri in gioco evidenziati dai mass-media e ormai si punta chiaramente ad un nuovo umanesimo sia nei mass-media, sia nei processi comunicativi.
3.6. Orientamento della riflessione teologica
Dal punto di vista della riflessione teologica, il tema della comunicazione si è incamminato in modo costante e crescente in una direzione pastorale, morale ed ecclesiologica. A differenza della Communio et Progressio che apre il discorso partendo dalla communicatio divina considerata modello e fondamento della comunicazione umana e dell’uso dei mass-media, ricavando in questo modo le basi dogmatiche dalla Scrittura, l’attuale riflessione teologica sulla comunicazione parte dalla consapevolezza dei problemi comunicativi attuali del vissuto cristiano ed ecclesiale e dalla loro analisi. Valori evangelici riguardanti la comunicazione sono invocati ma per valutare e riorientare tali processi oggi vigenti in ambito pastorale.
Ormai la problematica della «comunicazione» (più ampia di quella dei soli mezzi) diventa una preoccupazione primaria e non è più considerata «soltanto come periferia strumentale» della convivenza sociale ed ecclesiale. Di fronte alla sfida quanto mai urgente della secolarizzazione, ci si chiede: «come comunicare la fede oggi» all’uomo o ai giovani? Come stabilire rapporti ottimali per essere «Chiesa»? In che modo le scienze della comunicazione potrebbero dare degli apporti concreti e duraturi? Scrive Joos: «Quando si parla dunque di “gestire comunicativamente la Chiesa” non si parla o non si intende sviluppare al massimo i soli mezzi comunicativi dentro la Chiesa a favore della Chiesa, o partendo dalla Chiesa (...). Invece, si tratta precisamente di guardare quale aiuto la metodologia di comunicazione può dare per rendere effettiva l’offerta di salvezza, e la risposta da parte dell’uomo». Robert White elenca vari problemi che andrebbero approfonditi negli attuali dibattiti di carattere teologico-pastorale riguardanti l’ambito della comunicazione pastorale. Eccone un elenco.
— 1. I disaccordi attualmente esistenti circa gli approcci o le modalità nell’uso dei mezzi e di altre forme di comunicazione per l’annuncio cristiano ritenuti conformi o meno ai valori cristiani: ci si riferisce palesemente alla «Chiesa elettronica» dell’America del Nord e ai group-media dell’America Latina.
— 2. Il bisogno urgente di adattare le espressioni teologiche alla cultura contemporanea, ai modelli di pensiero dell’uomo moderno, ai linguaggi dei mass-media.
— 3. La discussione sul come integrare la comunicazione nella formazione dei futuri sacerdoti ed operatori pastorali. Su questo tema ci sono due livelli di approfondimento: il primo concerne il perché e il come formare i candidati ad usare i mass-media e le nuove forme di comunicazione con finalità pastorali; il secondo riguarda il come inserire un’adeguata formazione mass-mediale in tutto l’itinerario formativo-teologico.
— 4. I problemi di ermeneutica e quelli etico-morali. Chiunque cerchi di mettere a tema e di dare risposte a questi problemi fa un approccio di tipo teologico-pastorale alla comunicazione in ambito pastorale.
4. Nuovi modelli di comunicazione pastorale
Come frutto della svolta promossa dal Vaticano li, dell’influsso di una cultura pluralista nonché dello sviluppo delle scienze umane, si possono ora indicare e valutare i modelli emergenti di comunicazione pastorale, che del resto sono oggetto di studio da parte della teologia pastorale attinente il vasto campo della prassi religiosa, cristiana ed ecclesiale, cioè dell’azione pastorale della Chiesa. In un primo momento si concentrerà il discorso sull’uso dei mezzi moderni di comunicazione sociale da parte della Chiesa in vista dell’evangelizzazione e della promozione umana. Successivamente, si passerà dall’uso dei mezzi alla mediazione basilare con la quale la cultura attuale, mediata dai mass-media, condiziona modalità e linguaggi della comunicazione religiosa.
4.1. I mass-media
Per quanto riguarda il primo momento, sembra che le paure e la sfiducia del passato di fronte ai mass-media siano ormai superate e quasi si dia per scontato che, per adempiere il mandato di Cristo, la Chiesa non possa fare a meno oggi dal servirsi in pieno dei moderni mezzi di comunicazione sociale. Bisogna sottolineare, però, che assieme a questo atteggiamento di accettazione, le Chiese e il pensiero teologico non hanno trascurato il loro dovere profetico di denunciare e criticare i giochi di potere, la manipolazione spersonalizzante di certe reti di comunicazione di grande portata, in quanto contrastano i valori evangelici che in ambito cristiano si cerca di trasmettere. Inoltre hanno proposto processi comunicativi più rispondenti al Vangelo.
A questo riguardo, la riflessione teologico-pastorale ha sottolineato la comunicazione interpersonale portando avanti la scelta decisiva dei group-media in America Latina e dei cosiddetti «radio popular» quale strategia di comunicazione pastorale. Essa mette oggi in evidenza le caratteristiche dell’uomo nuovo dell’era elettronica, cioè, il nuovo cristiano nato e vissuto in questa cultura delle immagini, che resiste a concetti astratti e lineari, e che preferisce l’immaginazione emotiva e simbolica all’astrattismo ideologico. Gli rimane da approfondire lo studio dei nuovi linguaggi e dei nuovi simbolismi con cui la fede può e deve essere comunicata negli attuali contesti socio-culturali e religioso-ecclesiali. Superando atteggiamenti apocalittici di un lungo passato della Chiesa, l’attuale riflessione teologico-pastorale ha fatto un passo in avanti, proponendo che la poesia contemporanea, l’arte, i romanzi, il teatro o le arti popolari dei films e della televisione siano una fonte per la creatività religiosa e una sorgente di ispirazione per la fede nei nostri giorni.
4.2. Verso nuovi modelli di comunicazione in ambito pastorale
Anche se storicamente è stato collegato al fenomeno pluralistico e diversificato dei mass-media, oggi un discorso teologico-pastorale sulla comunicazione dovrebbe concentrarsi sulla prassi pastorale, in modo da evidenziare le caratteristiche dei modelli, stili, forme e strategie di comunicazione in essa presenti o emergenti, ed esaminarli criticamente in prospettiva teologico-pastorale. Tali modelli e la connessa riflessione vanno confrontati con l’ecclesiologia di comunione e partecipazione, con la nuova teologia della cultura, con le visioni teologiche e i tipi di ministero, realtà tutte proposte da una parte dal Vaticano II e, dall’altra, dalla cultura mediata dai mass-media e dalle moderne scienze dell’uomo.
Per quanto riguarda la strategia da adottare in fatto di comunicazione pastorale, a differenza del rapporto di distanza, che portò la Chiesa del secolo XIX e dell’inizio del secolo XX alla creazione di una cultura cattolica, la rinnovata teologia della cultura, proposta dalla Gaudium et Spes e dall’Apostolicam actuositatem, ha incoraggiato il dialogo con la società contemporanea e stimolato l’impegno pieno dei cristiani per il progresso umano e sociale al fine di rinnovare l’umanità dal di dentro.
Accettando la realtà di una società pluralista, la Chiesa conciliare ha superato un’immagine di sé settaria e trionfalista, e ha partecipato attivamente al dibattito pubblico, pronunciandosi chiaramente nei confronti della promozione integrale dell’uomo (giustizia, pace, disarmo, economia). È evidente che l’attuazione coerente di questi orientamenti operativi ha comportato e comporta un cambio radicale di modelli comunicativi della Chiesa nei confronti del mondo e della cultura contemporanea.
4.2.1. Tre modelli di comunicazione pastorale
Secondo Avery Dulles, dal Vaticano II si possono ricavare almeno tre distinte visioni teologiche, ognuna delle quali prospetta un differente modello di comunicazione pastorale. Al centro della sintesi teologica neoscolastica c’era un modello di Chiesa maestra autorevole, istituita da Cristo per comunicare le verità divine affidatele fin dai tempi apostolici. In tale modello il flusso comunicativo dei contenuti rivelati va, evidentemente, dall’alto al basso, cioè da Cristo ai fedeli per tramite del papa e dei vescovi. La realtà divina è conosciuta mediante parole e concetti intelligibili e non invece attraverso l’esperienza emotiva dell’immaginazione. Tali proposizioni, chiare e ben precise, riassunte nelle formule scritte e concise della Bibbia e del dogma, sono considerate al di sopra dei contesti culturali, e cioè, vanno applicate universalmente. Dulles osserva che questa teologia neoscolastica della rivelazione era una base solida per un insegnamento efficace della parola di Dio, specialmente per il fatto che si avvaleva del modello retorico di comunicare la fede, ad es. con la predicazione e l’uso di vari mezzi di comunicazione, ecc. L’abbandono delle teologie neoscolastiche, provocato da studi biblici e storici, ha dato vita a recenti teologie della rivelazione le quali indicano che l’espressione più caratteristica e appropriata dell’esperienza religiosa è il linguaggio simbolico. Questo movimento ha naturalmente conseguenze chiare per la comunicazione religiosa in modo particolare per quanto riguarda il linguaggio teologico e religioso. Lo stesso Vaticano II ha fatto proprio un linguaggio molto simbolico e biblico. Robert White osserva che nel periodo postconciliare l’omiletica e la catechesi sono passate gradualmente dall’istruzione ed esortazione basate su formule dottrinali e moralistiche dell’insegnamento della Chiesa alla riflessione sul significato dei brani biblici per la vita quotidiana dei fedeli. L’insistenza sulla dimensione simbolica, biblica e immaginativa nel discorso religioso ha arricchito il culto liturgico, l’arte religiosa e la musica sacra. In un terzo modello divenuto ormai d’uso corrente, molti simboli dell’immaginazione religiosa sono ricavati dalla poesia contemporanea, dai romanzi, dai films e dalle attuali arti popolari, come la televisione. E appare ormai pacifico che l’azione pastorale e la connessa riflessione teologico-pastorale deve lasciare oggi ampio spazio e un ruolo prioritario a linguaggi religiosi capaci di comunicare il messaggio evangelico in forme, criticamente vagliate, della cultura contemporanea.
4.2.2. Tipi emergenti di comunicazione pastorale
In riferimento ai modelli proposti dal Vaticano li e dalla cultura contemporanea, si possono rilevare nuove forme di comunicazione religiosa popolare emergenti oggi nella prassi ecclesiale e che manifestano palesi caratteristiche di tipo comunicativo.
Nel corso della sua storia la Chiesa ha privilegiato vari tipi di comunicazione religiosa, come i ritiri predicati, i pellegrinaggi, la predicazione tipica delle missioni popolari. Oggi invece la nuova forma di comunicazione in piccoli gruppi è spesso la base del rinnovamento religioso. Ormai le comunità ecclesiali di base, intese come attuale modo di essere Chiesa, e la proliferazione di gruppi di preghiera come i Cursillos de Cristiandad, i movimenti carismatici, i gruppi biblici, i gruppi giovanili e familiari, gli incontri di sposi, le varie forme di associazionismo giovanile, di volontariato e di movimenti ecclesiali, hanno prodotto nuovi modelli di comunicazione, generalmente con risultati apprezzabili.
In queste forme associative si possono identificare elementi comuni attinenti la comunicazione: la condivisione sentita e aperta di esperienza religiosa personale e di preghiera affettiva; la vicendevole accettazione; la ricerca comune di risposte capaci di rinsaldare e risanare i vincoli che uniscono i membri del gruppo; uno stile di guida del gruppo caratterizzato dalla presenza di un animatore visto come primo fra pari; la partecipazione attiva ed espressiva al dialogo collettivo; l’uso di varie dinamiche di gruppo; una celebrazione paraliturgica o sacramentale meno formale volta a far «celebrare» veramente il senso di comunione del gruppo e diretta a favorire il collegamento tra espressione di fede e riflessione biblica, da una parte, e impegno di servizio nella comunità o nella famiglia, dall’altra.
Molte forme tradizionali di comunicazione pastorale sono state influenzate da questo stile più partecipato, esplorativo, dialogico ed espressivo. I classici ritiri predicati hanno lasciato il posto a ritiri fatti individualmente sotto una guida e a ritiri caratterizzati dal dialogo di gruppo. Anche nuove esperienze di catechesi utilizzano ampiamente metodi di discussione di gruppo e impiegano, al posto dei metodi tradizionali, nuovi mezzi di comunicazione come base di riflessione.
5. Verso una teologia della comunicazione pastorale: proposta di metodo
Il vasto campo ricoperto dall’azione pastorale è affrontato oggi con approcci multidisciplinari e interdisciplinari. L’antropologia, la psicologia, la sociologia, la semiotica e la cibernetica hanno esaminato vari aspetti dell’azione pastorale e della vita ecclesiale apportando elementi significativi. Avanzando una proposta, vorrei suggerire una metodologia con cui si potrebbe avviare una riflessione teologico-pastorale sulla comunicazione in ambito pastorale.
Un segno tangibile dello sviluppo di una riflessione intesa in tale senso è riscontrabile in recenti tentativi di tipo epistemologico, che propongono vari metodi per tematizzare un aggiornato approccio teologico-pastorale. Enrico Baragli propone una «Teologia dei mass-media» in cui gli strumenti della comunicazione sociale, nel senso inteso dal magistero, dall’Inter Mirifica in poi, sono l’unico oggetto di una riflessione teologica comprendente tutte le sue prospettive: dogmatica, morale, pastorale, e attenta soprattutto ai modelli di ordine dogmatico proposti dalla Communio et Progressio.
Robert White propone di distinguere due prospettive che si intrecciano e si informano a vicenda, rispettivamente l’incidenza della comunicazione nel fare teologia e l’apporto di quest’ultima alla comunicazione. Egli identifica i contenuti della comunicazione di cui tale teologia dovrebbe interessarsi.
Avery Dulles a Paul Soukup fanno un discorso ampio e prospettano una teologia della comunicazione quale frutto del confronto sistematico e dell’interdipendenza tra l’ecclesiologia, i tipi di rapporto Chiesa-mondo, le visioni teologiche e i connessi modelli di comunicazione. Secondo loro, una teologia della comunicazione, centrata sia sui mass-media in ambito pastorale che sui processi di comunicazione intra-ecclesiali o extra-ecclesiali, dovrebbe partire da presupposti ricavati da tali modelli, perché sono detti presupposti quelli che giustificano, guidano e orientano sia la riflessione che la prassi comunicativa. L’approccio praticato da Soukup si preoccupa principalmente dei criteri teologico-pastorali o dei theologumena tratti dall’ecclesiologia e lascia in ombra il momento della riflessione che è ugualmente significativo. Mario Midali nel definire l’itinerario metodologico della teologia pastorale o pratica ne individua tre fasi principali: la fase kairologica, la fase progettuale e la fase strategica. La fase kairologica, nei suoi vari momenti, si prefigge di descrivere e interpretare o valutare una determinata situazione o prassi (in questo caso quella attinente la comunicazione pastorale) con l’ausilio sia delle scienze umane e sia della fede, al fine di cogliere le indicazioni che lo Spirito Santo offre alla comunità credente in una determinata congiuntura storica. Per il presente argomento sono di grande interesse tre punti chiave: 1) la prassi o la situazione riguardante i mezzi di comunicazione; 2) una situazione o prassi che privilegia la dimensione comunicativa; 3) il fatto che i modelli di comunicazione implicati vengono esaminati con una criteriologia teologica riconducibile ai presupposti ecclesiologici, a norme morali e a imperativi del ministero... Punto culminante di questa fase è proprio il momento kairologico in cui, in base ai criteri teologici, la riflessione mira a cogliere valori da conservare o da riattualizzare, aspetti da abbandonare, attese e aspirazioni a cui rispondere, problemi da risolvere, nuovi valori o espressioni culturali da recepire, fenomeni o eventi da denunciare, criticare, rigettare, secondo i casi. Nella seconda fase, progettuale, la riflessione focalizza il disagio che si sperimenta nell’uso o nella mancanza dei mezzi di comunicazione o rispetto ai vigenti processi comunicativi sia nell’azione pastorale che nella vita interna della Chiesa; essa inoltre aiuta a identificare gli obiettivi o le mete da raggiungere per ottenere una prassi rinnovata o riorientata, avvalendosi in tutto questo di criteri razionali e teologici. La terza fase, strategica, scende alla concretezza e prospetta una programmazione pastorale che faciliti il passaggio dalla situazione comunicativa vagliata a quella desiderata. Essa prende in esame i vari elementi implicati nella prassi comunicativa: gli operatori, i referenti, i metodi, gli itinerari, i tempi di attuazione, i mezzi necessari, la periodica verifica e rettifica. Tra tutti i metodi di teologia pastorale che ho potuto considerare, questo mi pare quello più completo e soddisfacente, perché più aderente alla realtà strutturale e dinamica della prassi comunicativa in ambito pastorale e più chiaramente configurato dal punto di vista teologico-pastorale.
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