BONTÀ

 

BONTÀ

La b. è eccellenza nell’essere e nel fare; è promozione del bene nella linea dei bisogni fondamentali e dei progetti esistenziali di vita; è espressione di autorealizzazione. Essa soddisfa​​ i bisogni di appartenenza e di stima,​​ i quali dispongono ad una positiva identità personale e sociale​​ (​​ Maslow).

1. La b. orienta nei fini e nei metodi educativi. La b. dei fini attiva la b. dell’essere; la b. nel fare manifesta la b. dell’essere. L’esperienza della b. «ricevuta» stimola le energie interattive di appartenenza nella sicurezza dell’identità sociale, e quelle di stima d’identità personale, base diretta dello sviluppo nell’auto-realizzazione. L’eccellenza dell’esser buono è unita alla competenza del ben fare. L’​​ ​​ educando abbisogna dei segni di b. e di​​ ​​ amorevolezza; si sente stimolato se si sente amato. La b. è accettazione positiva incondizionata (​​ Rogers): ci sono sempre delle ragioni per amare, e l’amore è l’ottimo stimolo per un funzionamento ottimo.

2. L’​​ ​​ educatore buono è un «essere-per-l’altro». Egli dispone di risorse di benevolenza-b.: obiettività, generosità, tolleranza, delicatezza, modestia, empatia, cordialità, collaborazione, compassione, affetto, allegria. La b. genera fiducia: la fiducia garantisce l’efficacia dell’​​ ​​ intervento educativo, e fonda l’accettazione vicendevole. Pure l’obbedienza è conseguenza naturale della fiducia e della b. La b. definisce l’educatore nell’uso del potere. La forza della b. desta apertura e ricettività, apre all’​​ ​​ obbedienza: questa è conseguenza della fiducia in un clima di libertà e spontaneità. Così, si promuove, nell’ordine, la speranza del bene. La b. introduce l’educazione nel «sistema della b.». L’educatore buono, per la sua buona eccellenza e la sua buona competenza, fa buoni gli educandi. Lo stile delle relazioni definisce l’educatore: la b. è stile che facilita il bene dell’identità personale e sociale. La b. fa buono l’educando in eccellenza e competenza: nella cultura della volontà d’amore.

Bibliografia

Pavanetti E.,​​ La bondad. Ensayo,​​ Madrid,​​ Oriens,​​ 31963;​​ Remplein H.,​​ Psychologie der Persönlichkeit,​​ München, Reinhardt,​​ 61976; Gatti G.,​​ Professione: educatore cristiano; le sue risorse: religione,​​ ragione,​​ amorevolezza,​​ testimonianza,​​ coscienza dei propri limiti, Leumann (TO), Elle Di Ci, 1995; Todisco O.,​​ Averroè nel dibattito medievale: verità o b.?, Milano, Angeli, 1999.

A. Sopeña

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BONTÀ

BORROMEO Carlo

 

BORROMEO Carlo

n. ad Arona nel 1538 - m. a Milano nel 1584, riformatore ed educatore religioso, santo.

1.​​ Vita.​​ Figlio del conte Gilberto, feudatario di Arona, viene fatto abate a 12 anni, si laurea in diritto a Pavia a 21, viene chiamato a Roma dallo zio, il papa Pio IV, come cancelliere della Chiesa e nominato cardinale e arcivescovo di Milano a 22. A 27 anni, dopo la morte del papa, fa ingresso nella sua diocesi e lavora alacremente alla riforma di essa e delle diocesi suffraganee, adoperandosi per la riapertura e conclusione del Concilio di Trento, fino alla morte, vent’anni dopo, all’età di 46 anni.

2.​​ L’opera educativa.​​ B. fu un grande organizzatore, il massimo del sec. XVI. Organizzò il Concilio e la vita ecclesiastica; diede le​​ Regole​​ per organizzare i Seminari, le​​ ​​ Scuole della Dottrina Cristiana, il clero e le confraternite; organizzò la carità in tempo di carestia, i soccorsi durante la peste. Promosse scuole e collegi per l’educazione dei laici. Incaricò l’umanista​​ ​​ Antoniano di scrivere il trattato​​ Dell’educazione cristiana dei figliuoli,​​ e il card. Valerio di comporre un’opera di retorica. Fondò nel seminario di Milano una tipografia per la diffusione della buona stampa. Personalmente e con il gruppo degli amici si era interessato, fin dagli anni di Roma, di dispute letterarie e teologiche, dimostrando di possedere una solida cultura.

3.​​ Il​​ contributo all’educazione religiosa.​​ Fondò o restaurò i santuari di Rho, Varallo, Cannobio, ecc.; promosse il rito ambrosiano. Passò alla storia come il modello del nuovo vescovo riplasmato dal Concilio di Trento, le cui decisioni venivano prese a modello in innumerevoli altre diocesi. Promosse vigorosamente l’educazione e le​​ ​​ Scuole della Dottrina Cristiana, inserendole nel cuore della pastorale parrocchiale; a Milano, durante il suo episcopato, esse passarono da poche decine a 740, con circa 50 mila iscritti. Diede loro figura giuridica, impegnandosi personalmente a stenderne le​​ Regole,​​ entrate in vigore fin dal 1579, anche se stampate solo nel 1585. Il governo delle Scuole e della Compagnia della Dottrina Cristiana viene centralizzato a livello diocesano. Particolarmente intensa è l’insistenza sulla conversione e sulla pietà personale del maestro catechista e di tutti i membri della Compagnia e sul loro spirito comunitario. San Carlo vuole che le classi siano piccole: da 4 a 6 fanciulli / e. La separazione dei sessi è di rigore. Il tempo è la domenica pomeriggio. Si usano premi piccoli e grandi, e severi castighi per i renitenti. Grande importanza assume la disputa / gara, non a scopo didattico, ma dimostrativo e selettivo.

Bibliografia

Premoli O.,​​ S.C.B. e la cultura classica,​​ in «La Scuola Cattolica» 45 (1917) 427-440; Mols R.,​​ St. Charles Borromée,​​ pionnier​​ de la pastorale moderne,​​ in «Nouvelle Revue Théologique» 79 (1957) 600-622; Deroo A.,​​ S.C.B.,​​ il cardinale riformatore,​​ Milano, Ancora, 1965; Giuliani A.,​​ La catechesi a Milano nel secolo di S.C.,​​ in «La Scuola Cattolica» 118 (1984) 580-615; Toscani X.,​​ Le «Scuole della Dottrina Cristiana» come fattore di alfabetizzazione,​​ Novara, Studi Novaresi, 1985.

U. Gianetto

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BORROMEO Carlo

BOSCO Giovanni

 

BOSCO Giovanni

Il sac. G.B. (1815-1888), fondatore della Società di S. Francesco di Sales (1859) e dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1872), ambedue congregazioni insegnanti, fu educatore religioso e formatore di educatori religiosi. Con il suo impegno personale e per mezzo delle sue istituzioni, nel Piemonte dove era nato, e fino ai lontani paesi di missione (America Latina) — dove, a partire dal 1875, mandò i suoi figli — egli formò dei “buoni cristiani” (formula alla quale era affezionato) fedeli alla Chiesa. Durante tutta la sua carriera non cessò di rivolgersi, con la parola e con gli scritti, ai giovani, la sua clientela preferita, e agli adulti. Secondo la sua terminologia, nelle sue istituzioni scolastiche il catechista era, insieme con il superiore principale, il responsabile della formazione religiosa dei giovani. Coloro che identificano C. ed educazione religiosa non hanno nessuna difficoltà a sostenere che G.B. fu eminentemente catechista, e ciò dalla tenera infanzia (a partire da cinque anni, essi dicono) fino all’ultimo respiro (cf per es. il libro di G. C. Isoardi, bibl.).

Occorre però fare un discorso più rigoroso. Nel senso primario la C. è un atto di insegnamento religioso, oppure il contenuto di tale insegnamento. L’operatore della C. viene chiamato catechista. Egli istruisce il catecumeno o il fedele, giovane o adulto che sia, in forma diretta per mezzo della parola o in forma indiretta tramite i libri (si aggiungerebbe oggi tramite i diversi mezzi di comunicazione sociale). Il libro in questione​​ può​​ anche essere un riassunto della dottrina cristiana, sotto forma di domande e risposte. Anche in questo significato più stretto G.B. fu per tutta la durata della vita un catechista perseverante e attento.

La sua teologia lo portò a essere catechista. In quanto educatore di cristiani non poteva immaginarsi una siffatta educazione che facesse a meno di un insegnamento nel vero senso del termine. Il cattolico — l’unico che secondo G.B. poteva attribuirsi senza abuso il titolo di cristiano — è essenzialmente un credente in cammino verso la salvezza. Battezzato nella Chiesa, egli crede a tutte le verità che la Chiesa insegna. Rifiutare tale adesione significherebbe compromettere la felicità eterna. G.B. affermava: “Senza piegare la nostra volontà all’autorità divina, cioè senza la fede, è impossibile piacere a Dio, dice S. Paolo. La fede è la sostanza delle cose che dobbiamo sperare da Dio. La fede è la base e il fondamento di ogni nostra giustificazione, dice la Chiesa a nome di Dio” (Mese di maggio,​​ giorno settimo). Per aderire alla fede occorre però essere informati o istruiti. La C. delle verità di fede da parte della Chiesa cattolica gli sembrava quindi indispensabile per una autentica educazione cristiana di salvati e di santi. “Niuno può essere santo fuori di questa Chiesa, giacché soltanto in essa s’insegna la vera dottrina di Gesù Cristo, in essa soltanto si pratica la sua fede, la sua legge” (ibid.,​​ giorno quarto).

G.B. era coerente con i propri principi. L’opera degli Oratori festivi, cronologicamente la prima opera della sua vita — e che i suoi successori considerano ancora oggi la più significativa del suo metodo educativo — mirava anzitutto alla catechizzazione dei giovani. Il primo incontro di oratorio, con un unico giovane (1841), fu un incontro di catechismo. “In quel catechismo — raccontava testualmente G.B. — mi trattenni a fargli apprendere il modo di fare il segno della Croce e a fargli conoscere Dio creatore e il fine per cui ci ha creati” (Memorie dell’Oratorio,​​ ed. E. Ceria, 126-127).

Per i giovani come per gli adulti il suo insegnamento partiva da ciò che è essenziale, da ciò che è fondamentale. A cominciare dal 1872 pubblicò, con il titolo​​ Fondamenti della Cattolica Religione,​​ un libretto che già vent’anni prima aveva diffuso sotto il titolo (più corretto):​​ Avvisi ai Cattolici.​​ La Chiesa Cattolica-Apostolica-Romana è la sola e vera Chiesa di Gesù Cristo (Torino, 1850). Leggendo i suoi libri di pietà (Il Giovane provveduto, La Chiave del Paradiso)​​ si nota che insisteva sulle​​ massime eterne,​​ sui grandi mezzi e sui principali operatori della salvezza. Il suo​​ Mese di maggio​​ (Ia​​ ed. 1858) è sorprendente per la ricchezza e l’ampiezza dottrinale della trentina di letture quotidiane. Era un riassunto non solo di C. mariana, ma di C. globale. G.B. vi parlava successivamente di Dio, dell’anima, della redenzione, della Chiesa, della fede, dei sacramenti, della fine dell’uomo... Senza dubbio non faceva che ripetere la teologia del XIX secolo (nessuna esposizione sullo Spirito Santo, l’incarnazione pensata in funzione della sola opera redentrice, nessuna esplicitazione della dimensione misterica della Chiesa...). L’intenzione dell’autore era però evidente: egli voleva catechizzare il suo uditorio spiegando le verità religiose primarie, dalla creazione alla devozione mariana.

La C. di G.B. attribuiva ampio spazio alla Bibbia e alla storia. A trent’anni pubblicò una​​ Storia ecclesiastica ad uso delle scuole, utile ad ogni ceto di persone​​ (Torino, 1845); e, a trentadue anni, una​​ Storia sacra per uso delle scuole, utile ad ogni stato di persone​​ (Torino, 1847), ambedue con manifesto orientamento cat. Le sue esposizioni dottrinali partivano dall’insegnamento ordinario della Chiesa (cf, per es., le definizioni dei sette sacramenti, nell’ottavo giorno del​​ Mese di maggio).​​ Nel suo vocabolario c’erano pure parole dotte, quali le​​ specie​​ del pane e del vino nell’eucaristia, o la​​ giustificazione​​ nella storia della salvezza. Nell’insieme però usava con molta parsimonia i termini tecnici. Preferiva riportare frasi bibliche o sentenze di autori spirituali, anziché riferire le conclusioni dei teologi. Illustrava le sue spiegazioni ricorrendo a​​ esempi​​ concreti atti a edificare i suoi lettori o ascoltatori. G.B. amava parlare la lingua della gente, soprattutto degli umili e dei piccoli, verso i quali si sentiva chiamato. Per interessarli ricorreva al dialogo e alla controversia. La sua C. era allo stesso tempo autentica e popolare.

Bibliografia

P. Braido,​​ L'inedito “Breve catechismo per i fanciulli ad uso della diocesi di Torino” di Don Bosco,​​ Roma, LAS, 1979; G. C. Isoardi,​​ L'azione catechetica di San Giovanni Bosco nella pastorale giovanile,​​ Leumann-Torino, LDC, 1974; P. Stella,​​ Don Bosco nella storia della religiosità cattolica,​​ 2 vol., Zürich, PAS-Verlag, 1968-1969.

Francis Desramaut

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S. GIOVANNI BOSCO

(1815-1888)

 

José Manuel Prellezo

 

1. Formazione pedagogico-pastorale

1.1. L ’ambiente familiare

1.2. La scuola umanista

1.3. Gli studi teologici

1.4. Il perfezionamento pastorale

2. Scelta privilegiata dei giovani

2.1. I più «abbandonati e pericolanti»

2.2. I fattori della scelta

3. Proposta edueativo-pastorale

3.1. Fiducia nei giovani

3.2. «Conoscere i nostri tempi»

3.3. Schietta preoccupazione religiosa

3.4. Integralità della proposta

3.5. Ragione, religione, amorevolezza

3.6. «Amare quello che piace ai giovani»

3.7. In dima di famiglia

4. «Padre e maestro dei giovani»

4.1. Santità e impegno edueativo-pastorale

4.2. Aspetti problematici

4.3. Significato e attualità

 

Giovanni Melchiorre Bosco (=​​ DB)​​ nacque ai Becchi, nel comune di Castelnuovo d’Asti il 16 agosto 1815; mori a Torino il 31 gennaio 1888. Ordinato sacerdote (1841), iniziò il suo lavoro edueativo-pastorale a Torino (Oratori festivi).

Fondò la Società di San Francesco di Sales (Salesiani, 1859) e delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1872), due congregazioni religiose dedicate all’educazione della gioventù, soprattutto povera e abbandonata. Fondò anche la Pia Unione dei Cooperatori Salesiani (1876). Fu canonizzato da Pio XI il 1 aprile 1934.

 

1. Formazione pedagogico-pastorale

Nell’esperienza biografica di​​ DB​​ e nelle prime tappe della formazione teorico-pratica (focolare domestico, scuola umanistica, studi teologici, perfezionamento pastorale al Convitto ecclesiastico torinese) «si radicano alcuni tratti tipici della sua personalità di sacerdote amico dei giovani, pastore e educatore» (Braido, 1981, 302).

 

1.1. L’ambiente familiare

Vanno rilevati innanzitutto i valori dell’ambiente familiare, vissuti nel contesto rurale: vivo senso dell’intervento di Dio nella storia umana (la morte del padre, quando Giovanni ha due anni, è considerata «grave sciagura» con cui «Dio misericordioso» colpì la famiglia), pratica sacramentale, devozione mariana, culto dei santi, attaccamento al dovere, abitudine al sacrificio. Particolarmente significativo è il ruolo della madre, Margherita Occhiena, prima educatrice e maestra di​​ DB.​​ Questi, nello scritto​​ Memorie dell’Oratorio​​ ( =​​ MO),​​ ricorda che lei lo preparò alla prima comunione, gli insegnò le preghiere, lo accompagnò nelle confessioni finché lo giudicò «capace di fare degnamente da solo». E, a più riprese, sottolinea la saggezza dei consigli materni: fuggire i cattivi discorsi, frequentare amici devoti della Madonna, accostarsi degnamente ai sacramenti (« non tacer alcuna cosa in confessione», guardarsi «dal fare sacrilegi»). Negli ultimi anni della vita ricorda ai suoi giovani che, prima di andare a riposo, recita le preghiere che gli insegnò la «buona mamma» (Scritti, 285).

1.2. La scuola umanista

L’incontro con «buoni preti», dal portamento «grave e cortese», con i quali però non riuscì a «contrarre alcuna famigliarità», provocò in​​ DB,​​ appena adolescente, la reazione che egli stesso racconterà più tardi: «Se io fossi prete, vorrei fare diversamente; vorrei avvicinarmi ai fanciulli, vorrei dire loro delle buone parole, dare dei buoni consigli»​​ (MO​​ 44).

Negli anni di studio nel Collegio di Chieri (1831-1835), entrò in contatto con un tipo di scuola classico-umanistica che troverà largo spazio nel suo futuro lavoro di iniziatore di opere educative. Egli conservò un ricordo vivo di questo periodo, in cui «la religione faceva parte dell’educazione». Le pratiche di pietà in uso (messa quotidiana, preghiera prima e dopo le lezioni; nei giorni festivi: lettura spirituale, uffizio della Madonna, messa, spiegazione del vangelo e, alla sera, catechismo, vespro, istruzione) saranno, fondamentalmente, quelle che, più tardi, proporrà ai ragazzi delle sue «case». Con chiara intenzione educativa e di testimonianza per i suoi, presenta come la «più fortunata avventura» l’aver scelto fin d’allora un confessore stabile, che lo incoraggiava a confessarsi e comunicarsi con più frequenza, in un momento in cui era «cosa assai rara a trovare chi incoraggiasse alla frequenza dei sacramenti»​​ (MO​​ 55).

La vivace natura dello studente dei Becchi trovò una sbocco apostolico nelle adunanze della «congregazione» diretta dai gesuiti, e nelle riunioni della «Società della allegria», organizzata con un gruppo di amici, che si proponeva di cercare tutto ciò che potesse «contribuire a stare allegri», ed evitare invece quello «che cagionasse malinconia, specialmente le cose contrarie alla legge del Signore»​​ (MO​​ 52). Il desiderio di diventar prete, sbocciato negli anni infantili, si fece ormai decisione matura.

 

1.3. Gli studi teologici

Sulla vita nel seminario di Chieri (1835-1841), si trovano alcune pennellate oscure. La mancanza di familiarità tra superiori e seminaristi accese però nel giovane studente il desiderio di essere presto sacerdote per poter trattenersi «in mezzo ai giovanetti, per assisterli, ed appagarli ad ogni occorrenza»​​ (MO​​ 91). Il giudizio positivo sulle pratiche di pietà, che si «adempivano assai bene», può spiegare, d’altro lato, che esse abbiano poi costituito l’ossatura della proposta fatta ai suoi collaboratori: messa quotidiana, meditazione, rosario, lettura a tavola, confessione ogni quindici giorni e comunione nei giorni festivi (poi quotidiana). Tra le letture fatte (in margine ai trattati filosofici e teologici),​​ DB​​ manifesta una chiara predilezione per le opere di carattere didascalico e storico-apologetico (scritti di Calmet, Marchetti, Fleury, Cavalca, Passavanti, Segneri, Henrion) nelle quali potè trovare le prime ispirazioni per il suo lavoro di scrittore su temi storico-catechistici e popolari. La lettura del​​ De imitatione Christi​​ (verso il 1837) ebbe un notevole peso nel passaggio dal gusto «profano» (libri, giochi) a una forte tensione ascetico-religiosa.

1.4. Il perfezionamento pastorale

Nel Convitto ecclesiastico di Torino (1841-1844) si preparò alla «vita pratica del sacro ministero». L’impostazione del programma formativo rispondeva assai bene alle attese e mentalità di​​ DB,​​ il quale dichiara soddisfatto: «Qui si impara ad essere preti. Meditazione, lettura, due conferenze al giorno, lezioni di predicazione, vita ritirata, ogni comodità di studiare, leggere buoni autori, erano le cose intorno a cui ognuno deve applicare la sua sollecitudine»​​ (MO​​ 121). In don Cafasso trovò non solo il professore di morale, ma la guida saggia che lo orientò ad attività caratteristiche del ministero pastorale: visita ai carcerati, predicazione, catechismi domenicali e quaresimali, con speciale attenzione per i giovani immigrati e-o sbandati. Alla sua scuola,​​ DB​​ ricavò e confermò «tratti tipici di spiritualità: la speranza cristiana, la preferenza per la fiducia in Dio oltre e più che il timore; il senso del dovere come stile di vita religiosa coerente; la fondamentalità della pratica sacramentale nella azione pastorale; la fedeltà alla Chiesa e al Papa; l’orientamento apostolico ai giovani abbandonati; il pensiero dei novissimi e l’esercizio della buona morte» (Braido 1981, 305).

Per quanto riguarda gli orientamenti morali, di particolare rilevanza nella prassi educativa e pastorale donboschiana, in quel momento «era agitatissima la questione del probabilismo e del probabiliorismo»​​ (MO​​ 122). Lo sforzo di rinnovamento della pastorale, pur in un clima non privo di preoccupazioni conservatrici, portò i responsabili del Convitto a superare l’antinomia tra corrente benignista e corrente austera, privilegiando la figura e la dottrina, «evangelicamente sana, ma mite», di sant’Alfonso.

DB​​ maturò, da parte sua, la convinzione che con la bontà piuttosto che con il rigore si possono attirare le anime, specialmente giovanili, alla frequenza dei sacramenti e alla pratica religiosa. A questo riguardo, non è irrilevante il fatto che uno dei suoi scritti, compilato poco dopo aver lasciato il Convitto, porti il titolo​​ Esercizio di divozione alla Misericordia di Dio​​ (pubblicato anonimo nel 1847).

In questo momento​​ DB​​ prese pure contatto ideale con altre grandi figure di santi dalla spiccata sensibilità educativa e pastorale: Carlo Borromeo, Filippo Neri, Francesco di Sales.

Più tardi, nei suoi scritti pedagogici ricorderà la mitezza e carità di san Filippo nel trattare con i ragazzi, e ai collaboratori organizzati in società religiosa darà come modello e patrono san Francesco di Sales, alla cui dolcezza e pazienza dovevano ispirarsi nell’educazione dei giovani.

 

2.​​ La scelta privilegiata dei giovani

Gli inizi dell’apostolato sacerdotale del santo torinese si situano in un contesto complesso (passaggio da un periodo di restaurazione politico-religiosa a un regime democratico, con nuovi problemi: libertà di culto e di stampa, leggi anticlericali, disaffezione dalla Chiesa, moti rivoluzionari, aspirazione all’unità nazionale, questione romana).

 

2.1. I più «abbandonati e pericolanti»

DB​​ ricusò di entrare nell’arena politica. Sentì la sua «vita sostanzialmente impegnata quasi soltanto nel problema educativo, avvertito come quello che avrebbe dato soluzione globale a quello religioso e civile» (Stella, 1979, 254). Con formula semplice indicava così gli obiettivi della sua opera: «Fare quel po’ di bene che posso ai giovanetti abbandonati, adoperandomi con tutte le forze affinché diventino buoni cristiani in faccia alla religione, onesti cittadini in mezzo alla civile società»​​ (MO​​ 218).

In un momento di preludi dell’industrializzazione, l’attrazione della città esercitava particolare fascino sui giovani contadini, alla ricerca di un tenore di vita meno duro. E non erano pochi quelli che, orfani o senza lavoro e abbandonati a sé stessi, finivano in prigione. Frequentando le carceri di Torino,​​ DB​​ si rende conto della gravità della situazione: la «maggior parte» dei reclusi sono «poveri giovani» venuti da lontano, e condotti più volte in quel «luogo di punizione» dove «diventano peggiori»​​ (Cenno,​​ 40). Per questa «classe di giovani come più abbandonati e pericolanti», apre il suo oratorio festivo (riunioni domenicali con insegnamento del catechismo, formazione religiosa, giochi, musica, divertimenti). Si inserì in un movimento ecclesiale-educativo che presentava realizzazioni valide nella capitale del Piemonte.​​ DB​​ non si limita ad aspettare i ragazzi all’oratorio. Si pone alla loro ricerca. Li incontra dove essi si trovano (carceri, cantieri, botteghe, contrade).

 

2.2. I fattori della scelta

Nella scelta dei giovani, come destinatari del lavoro apostolico sono intervenuti fattori decisivi: l’influsso di don Cafasso, il contatto diretto con i carcerati e con i gruppi di ragazzi «poveri e abbandonati» che, soprattutto nei giorni festivi, «vagano per le vie e per le piazze» della città (spazzacamini, muratori, stuccatori, selciatori...). Questi incontri contribuirono a maturare un interesse vocazionale che affondava le sue radici nelle precoci esperienze catechistiche di​​ DB​​ il quale, ancora fanciullo, insegnava il catechismo ai coetanei e, giovane studente, organizzava la «Società dell’allegria» con scopi di dichiarata esemplarità religiosa.

Il fondatore della Congregazione salesiana si sentì chiamato da Dio a una impegnativa missione a favore dei giovani, specialmente più poveri e abbandonati. Si rese conto, sempre più chiaramente, che la rigenerazione cristiana della società era condizionata dall’educazione della gioventù: «Se la gioventù è ben educata avremo col tempo una generazione migliore; se non, fra poco sarà composta di uomini sfrenati ai vizi, al furto, all’ubriachezza, al mal fare»​​ (BS​​ 1882, 81).

In prospettiva schiettamente religiosa, la scelta e l’impegno educativo di​​ DB​​ si fondavano pure su una salda «convinzione teologica», assimilata nel clima spirituale contemporaneo; è spronato ad agire con urgenza sui giovani, perché è convinto che la «loro salvezza eterna dipende dal tempo della gioventù». Ancora bambino, era rimasto colpito dalle parole ascoltate in una missione popolare: «necessità di darsi a Dio per tempo e non differire la conversione» (MO 34). Lo stesso pensiero che, giovane prete, svilupperà nella sua fortunata opera​​ Il giovane provveduto​​ (1847): Se «noi cominciamo una buona vita ora che siamo giovani, buoni saremo negli anni avanzati, buona la nostra morte e principio di una eterna felicità» (Scritti, 30).

 

3.​​ Proposta educativo-pastorale

DB,​​ uomo d’azione, non ha elaborato una trattazione organica e completa del suo pensiero pedagogico né una metodologia pastorale. E significativa però la «sensibilità di don Bosco a nuclei dottrinali di notevole pregnanza operativa» (Stella, 1988, 32).

 

3.1. Fiducia nei giovani

Sono documentabili l’ottimismo educativo e la fiducia nel giovane. I contatti iniziali con i carcerati gli fecero conoscere «che in generale la gioventù non è cattiva da per sé; ma che per lo più diventa tale pel contatto dei tristi e che gli stessi tristi gli uni separati dagli altri sono suscettibili di grandi cangiamenti morali»​​ (Cenno,​​ 39). Nuove esperienze, vissute nel clima spirituale del suo tempo (con una particolare sensibilità alle conseguenze del peccato originale), mossero​​ DB​​ a parlare più volte della leggerezza e mobilità giovanili, della mancanza di tenacia per portare avanti gli impegni assunti, e, di conseguenza, della necessità dell’opera preventiva dell’educazione. Assumendo il paragone classico della pianta che prende cattiva piega se non è coltivata, scrisse: «così voi, miei cari figliuoli, piegherete sicuramente al male se non vi lasciate piegare da chi ha cura d’indirizzar vi».

In questo contesto si comprende l’importanza data alla «assistenza», cioè alla presenza degli educatori in mezzo ai ragazzi, per impedire il male.​​ DB​​ si mostrò però sempre convinto che in ogni ragazzo, anche nel più disgraziato, esiste «un punto accessibile al bene», che l’educatore deve cercare di trovare. Alla radice di tale convinzione c’è pure una visione di fede: il giovane, figlio di Dio, caduto e redento da Cristo.​​ DB​​ non è vicino alla concezione giansenista né a quella di Rousseau; ma, realisticamente, e pur sempre da un’ottica religiosa, riconosce gli influssi (positivi e negativi) dell’ambiente sociale.

 

3.2. «Conoscere i nostri tempi»

«Bisogna che cerchiamo di conoscere i nostri tempi e cerchiamo di adattarvici» (Annali​​ I, 471).

Questo consiglio dato ai membri della sua Congregazione (1883) costituisce un nucleo dottrinale e, allo stesso tempo, un orientamento pratico dell’opera di​​ DB.​​ Attento ai bisogni del momento storico, cercò di darvi una risposta efficace. L’opera salesiana, iniziata come un «semplice catechismo» (1841), si allargò progressivamente, rispondendo con stile peculiare a necessità sempre più pressanti nel campo educativo e pastorale: oratori festivi per ragazzi sradicati e immigrati senza parrocchia, scuole domenicali, diurne e serali per giovani analfabeti, laboratori per la formazione dei giovani operai, collegi, ospizi, convitti, centri missionari con prevalente preoccupazione giovanile. In sintonia con il proprio tempo,​​ DB​​ concepisce la stampa come una vera missione: è direttore responsabile del giornale «L’Amico della Gioventù» (1848); prepara testi scolastici:​​ Storia ecclesiastica ad uso delle scuole​​ (1845),​​ Storia sacra per l'uso delle scuole​​ (1847); pubblica e diffonde le «Letture cattoliche» a partire dal 1853, organizza la «Biblioteca della gioventù italiana», la collana di «classici latini profani e cristiani».

 

3.3. Schietta preoccupazione religiosa

Al centro dell’intera attività di​​ DB,​​ c’è una schietta preoccupazione religiosa. Il motto scelto in occasione dell’ordinazione sacerdotale («Da mihi animas coetera tolle») illumina la motivazione profonda di tutto l’impegno donboschiano, che acquista ancora spessore se si tiene presente un altro motto, ricorrente nella letteratura ascetica del tempo: «animam salvasti, animam tuam praedestinasti». In quest’orizzonte di riferimento trova significato l’attività educativa e pastorale. L’obiettivo primario che si propone​​ DB​​ è l’educazione cristiana del giovane, cioè del credente maturo che mette al centro della sua vita Dio e la salvezza eterna, ben istruito nelle verità cattoliche, attento al magistero del papa, con vivo senso di Chiesa, esatto nei propri doveri, impegnato in opere di carità e apostolato.

La religione, nel pensiero e nella prassi di​​ DB,​​ non solo occupa un posto centrale nelle finalità da raggiungere, ma si colloca nel cuore stesso dell’opera formativa come base e fondamento di ogni educazione veramente compiuta. Con il termine «religione» sono intese le pratiche di pietà adatte alla condizione dei ragazzi, ma anche il senso di Dio, l’amicizia con Gesù e soprattutto una accurata e autentica vita sacramentale. Anche per​​ DB,​​ come per il mondo di cui fa parte, «i sacramenti costituiscono il cuore dell’esistenza, la quale, per essere pienamente umana, era impensabile fuori di un contesto religioso» (Schepens, 16). L’esperienza educativa gli fa poi scoprire, sempre più chiaramente, che la penitenza e l’eucaristia sono i fattori più importanti per il progresso spirituale dei giovani. Nello scritto sul sistema preventivo​​ DB​​ scrisse senza reticenze: «La frequente confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edificio educativo, da cui si vuole tener lontano la minaccia e la sferza»​​ (Scritti,​​ 168).

 

3.4. Integralità della proposta

Sottolineando le esigenze religiose e la dimensione trascendente dell’educazione, non sono trascurati gli aspetti umani e la realtà storica del giovane: vitto, vestito, alloggio, cura del corpo, formazione intellettuale, valori etici, preparazione professionale, tempo libero. Gli obiettivi da raggiungere, espressi con formule semplici alla portata dei ragazzi («salute, saggezza, santità»; «allegria, studio, pietà», «lavoro, istruzione, umanità»), si inseriscono in un programma globale di impegno umano e cristiano. Sensibile alle richieste dei ragazzi,​​ DB​​ ama parlare di gioia, di allegria, di divertimenti. Riconosce l’istanza profondamente radicata nell’uomo alla felicità. Crede però che la felicità non è in contrasto con la vita cristiana. Anzi, che soltanto la religione può dare la «vera felicità». Nel​​ Giovane provveduto,​​ l’autore vuole offrire alla gioventù «un metodo di vita cristiano», formulato sinteticamente con l’espressione: «servire al Signore e stare sempre allegri». Realtà umane e valori trascendenti trovano un orizzonte unitario nella prospettiva scelta. Parlando delle origini del suo lavoro tra i giovani abbandonati e pericolanti, aveva scritto: «Quando mi sono dato a questa parte di sacro ministero intesi di consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime, intesi di adoperarmi per fare buoni cittadini in questa terra, perché fossero poi un giorno degni abitatori del cielo»​​ (Cenno,​​ 38). Negli interventi e negli scritti posteriori al​​ Giovane provveduto​​ ricorrerà spesso una formula sintetica che diventerà espressione classica delle finalità educative di​​ DB:​​ «onesti cittadini e buoni cristiani».

Opera pastorale e impegno educativo, formazione personale e riforma della società si intrecciano unitariamente nella proposta: «Lavorate intorno alla buona educazione della gioventù, di quella specialmente più povera e abbandonata, che è in maggior numero, e voi riuscirete agevolmente a dare gloria a Dio, a procurare il bene della religione, a salvare molte anime e a cooperare efficacemente alla riforma, al bene della civile società»​​ (BS​​ 1883, 104).

 

3.5. Ragione, religione, amorevolezza

Oltre alla considerazione dell’integralità del programma educativo-pastorale,​​ DB​​ ha lasciato preziosi orientamenti e indicazioni per metterlo in atto. Nel noto volumetto​​ II sistema preventivo nell’educazione della gioventù​​ (1877), rifiuta il «sistema repressivo» e assume il «sistema preventivo», scrivendo che la pratica del medesimo è poggiata tutta sulle parole di san Paolo: «La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo». Orientamenti, mezzi e interventi si polarizzano attorno a un trinomio caro a​​ DB.​​ Egli ama ripetere che il suo sistema di educazione si basa su «la ragione, la religione e la amorevolezza».

Al centro, dal punto di vista metodologico, si colloca l’amorevolezza, che non è solo sentimento umano né solo carità soprannaturale: essa esprime una realtà complessa sostanziata di atteggiamenti, sentimenti, relazioni e condotte caratteristici. L’amorevolezza però «non è debolezza, sentimentalismo, sensibilità torbida, perché è costantemente illuminata e purificata dalla ragione e dalla religione» (Braido, 1981, 358).​​ DB​​ usava anche i termini «dolcezza e carità» per esprimere questo tratto fondamentale del suo stile educativo, che si esprime anzitutto nel rispetto verso la persona dei giovani, specialmente quando si tratta di proporre loro valori importanti come quelli etici e religiosi. Dopo aver parlato della confessione e della eucaristia come «colonne» dell’edifizio educativo,​​ DB​​ aggiunge subito: «Non mai annoiare né obbligare i giovanetti alla frequenza de’ santi Sacramenti, ma porgere loro la comodità di approfittarne»​​ (Scritti,​​ 168).

DB ha pure un vivo senso della dignità dei sacramenti, insistendo in particolare sulle disposizioni richieste per accostarsi alla confessione. Superata una certa «mentalità rigida», ancora diffusa nel suo ambiente (riscontrabile nei primi scritti), troverà una soluzione pastoralmente efficace nel clima di apertura e di fiducia creato dal confessore educatore, che aiuta il giovane a superare la paura e il rispetto umano: «Accogliete con amorevolezza ogni sorta di penitenti, ma specialmente i giovanetti»​​ (Opere,​​ XIII, 181).

 

3.6. «Amare quello che piace ai giovani»

L’amorevolezza (sempre nell’orizzonte della ragione e della religione) si esprime ancora in gesti e comportamenti benevoli da parte dell’educatore, sempre presente in mezzo ai giovani, disposto a qualsiasi sacrificio pur di riuscire nel suo impegno: l’educazione scientifica, civile, morale e religiosa del ragazzo. Non basterà però sacrificarsi e amare i giovani. Sarà necessario, si legge nella nota lettera da Roma, «che i giovani non solo siano amati, ma che essi conoscano di essere amati. [...] Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono col partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino a veder l’amore in quelle cose che naturalmente lor piacciono poco; quali sono la disciplina, lo studio, la mortificazione di sé stessi e queste cose imparino a far con amore» (Scritti, 294). Perciò l’educatore deve essere solidale con il mondo degli interessi, problemi e attività giovanili; ma senza rinunciare al suo compito di persona adulta matura, capace di proporre obiettivi ragionevoli, di dialogare, di stimolare iniziative valide, di correggere con amorevole fermezza condotte riprovevoli.

In questa prospettiva sono chiaramente privilegiate le relazioni personali. I responsabili delle istituzioni formative devono comportarsi come «padri, fratelli e amici» del giovane. Già nei primi scritti, riflettendo sulle prime tappe dell’oratorio e sugli svariati mezzi usati per attirare i ragazzi (giochi, regali, musica, divertimenti)​​ DB​​ concludeva: «Ma ciò che più di tutto attrae i giovanetti sono le buone accoglienze»​​ (Cenni,​​ 67). Questa constatazione divenne convinzione teorica e soprattutto orientamento pratico della sua azione educativa e pastorale: nel colloquio personale con i ragazzi, nel cortile, nella «parolina all’orecchio», nelle «buone notti», nella direzione spirituale, nella confessione. Perciò poteva ripetere autorevolmente ai suoi più stretti collaboratori: «Studia di farti amare prima di farti temere. La carità, la pazienza ti accompagnino costantemente nel comandare, nel correggere, e fà in modo che ognuno dai tuoi fatti e dalle tue parole conosca che tu cerchi il bene delle anime»​​ (Scritti,​​ 79).

 

3.7. In clima di famiglia

Per definire il rapporto corretto tra giovani ed educatori,​​ DB​​ adopera il termine «famigliarità». Una lunga esperienza lo aveva portato alla convinzione che senza familiarità non si può dimostrare l’amore, e senza tale dimostrazione è impossibile creare quel clima di confidenza che è presupposto indispensabile per la accettazione dei valori proposti dall’adulto. Il quadro delle finalità, il programma, gli orientamenti metodologici trovano concretezza ed efficacia precisamente in istituzioni improntate a schietto spirito di famiglia, cioè in ambienti sereni, gioiosi e stimolanti. È questa una delle istanze più valide della pedagogia che​​ DB​​ seppe mettere in pratica con stile personale nelle sue «case» di educazione. Esse, ispirate al modello familiare, sono concepite e attuate come vere comunità, in cui sono promossi il dialogo, la corresponsabilità di tutti, l’impegno civile, la crescita personale e la santità.

 

4.​​ «Padre e maestro dei giovani»

È il titolo della lettera di Giovanni Paolo II pubblicata in occasione del centenario della morte di​​ DB​​ (1888-1988) ed è un’espressione ormai classica che sintetizza felicemente i tratti più caratteristici della figura e dell’opera del santo piemontese.

 

4.1. Santità e impegno educativo-pastorale

L’opzione preferenziale per i giovani attraversa e unifica l’inesauribile e multiforme attività di​​ DB​​ (fondatore di congregazioni religiose, iniziatore e propulsore di opere missionarie, assimilatore e organizzatore di iniziative benefiche e apostoliche, creatore di istituzioni educative, predicatore, confessore, scrittore popolare...). La sua sollecitudine pastorale trova la realizzazione più completa e privilegiata nell’ambito dell’educazione.

Apostolato sacerdotale e lavoro educativo costituiscono due aspetti qualificanti e inseparabili nell’opera di​​ DB,​​ vissuta come missione e strada di salvezza. Egli «realizza la sua personale santità mediante l’impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico» e «sa proporre, al tempo stesso, la santità quale meta della sua pedagogia. Proprio un tale interscambio tra “educazione” e “santità” è l’aspetto caratteristico della sua figura»​​ (Iuvenum patris,​​ n. 5).​​ DB,​​ educatore santo, formò giovani santi: san Domenico Savio.

 

4.2. Aspetti problematici

La proposta educativo-pastorale di​​ DB​​ appare condizionata dal tempo in cui egli visse e dalla formazione ricevuta: un certo «moralismo», «esuberante devozionalismo», «prevalenza di motivi di obbligazione, dovere, peccato, castighi e novissimi su quelli della Grazia come realtà di presenza, di inabitazione, di inserzione nel Corpo Mistico ed infine accentuata insistenza sulla castità o “purità” e minore utilizzazione degli aspetti positivi di motivazione e di aiuto connessi con una esplicita visione e presentazione delle virtù cristiane della fede, della speranza e della carità» (Braido, 1965, XXXII). La sottolineatura delle ombre non impedisce però di individuare gli aspetti luminosi e fecondi.

 

4.3. Significato e attualità

Testimonianze numerose e concordi mettono in risalto fatti ed elementi per spiegare il segreto della riuscita dell’opera di​​ DB​​ sacerdote di ricca umanità e di fede profondamente radicata, personalità vigorosa e mite, uomo dotato di simpatia e di bonaria furbizia, straordinario organizzatore, capace di suscitare consensi e adesioni, tenace nel proseguire gli scopi e flessibile di fronte alle situazioni concrete, coraggioso nel proporre mete formative e attento alle esigenze individuali del giovane e ai bisogni del tempo. L’ampio spazio dato alle relazioni interpersonali, al tratto amichevole, al clima di spontaneità e di famiglia non ha perso per nulla significato e attualità. Anche se il linguaggio appare talvolta datato, ha ancora notevole pregnanza operativa il suo discorso religioso e pastorale attento al processo educativo e inserito in un quadro di salvezza totale. E questo discorso di​​ DB,​​ padre e maestro dei giovani, non va rivolto a piccoli gruppi privilegiati ma si allarga alle masse giovanili, per una rigenerazione cristiana della società: «Basta che siate giovani perché io vi ami assai» (Scritti, 30). Sono privilegiati unicamente i «più poveri, abbandonati e pericolanti».

 

Bibliografia

Fonti

Cenno storico dell’Oratorio di San Francesco di Sales,​​ Cenni storici intorno all’Oratorio di San Francesco di Sales,​​ in:​​ Don Bosco nella Chiesa a servizio dell’umanità.​​ Studi e testimonianze,​​ a cura di P. Braido, LAS, Roma 1987, pp. 38-81;​​ Epistolario di San Giovanni Bosco​​ 4 vol., a cura di E. Ceria, SEI, Torino 1955-1959;​​ Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales dal 1815 al 1855, a cura di E. Ceria, SEI, Torino 1946;​​ Opere edite. Prima serie:​​ Libri e opuscoli​​ 37 vol. (ristampa anastatica), LAS, Roma 1977-1978;​​ Scritti pedagogici e spirituali,​​ a cura di J. Borrego, P. Braido, A. Ferreira, F. Motto, J. M. Prellezo, LAS, Roma 1987.

Studi

Braido P.,​​ Significato e limiti della presenza del sistema educativo di don Bosco nei suoi scritti, in: S. G. Bosco, Scritti sul sistema preventivo nell’educazione della gioventù, La Scuola, Brescia 1965, pp. XII1-LVII; Idem,​​ Il progetto operativo di don Bosco e l’utopia della società cristiana, LAS, Roma 1982; Braido P. (ed.),​​ Esperienze di pedagogia cristiana nella storia​​ vol. II: sec. XVII-XIX, LAS, Roma 1981; Ceria E. (ed.),​​ Annali delta Società Salesiana​​ 4 vol., SEI, Torino 1941-1951; Desramaut F.,​​ Don Bosco et la vie spirituelle, Beauchesne, Paris 1967; Palumbieri S.,​​ Don Bosco e l’uomo nell’orizzonte del personalismo,​​ Gribaudi Editore, Torino 1987; Schepens J.,​​ L ’activité littéraire de don Bosco au sujet de la pénitence e de l’eucharistie, in «Salesianum» 50 (1988) 9-50; Stella P.,​​ Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, 2 voll., LAS, Roma 1979-1981; Idem, «Lo studio e gli studi su don Bosco e sul suo pensiero pedagogico-educativo: problemi e prospettive», in: Vecchi J. E. - J. M. Prellezo,​​ Prassi educativa pastorale e scienze dell’educazione, Editrice SDB, Roma 1988, pp. 15-33; Vecchi J. - J. M. Prellezo (edd.),​​ Progetto educativo pastorale. Elementi modulari, LAS, Roma 1984.

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BOSCO Giovanni

n. nella località dei Becchi nel comune di Castelnuovo d’Asti nel 1815 - m. a Torino nel 1888, educatore italiano, fondatore della Società di S. Francesco di Sales (Salesiani di Don B., SDB) e dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA).

1. Don B. nasce al termine del periodo rivoluzionario-napoleonico (1789-1815) e la sua formazione culturale e sacerdotale (1815-1844) si compie in piena Restaurazione: prima in ambiente socio-religioso rurale, poi nella cittadina di Chieri, infine a Torino, capitale del regno sardo (Piemonte, Liguria, Sardegna, contea di Nizza e ducato di Savoia), una delle dieci entità politiche nelle quali era stata divisa l’Italia al Congresso di Vienna. Giovanni è il figlio minore in una famiglia di modesti agricoltori, costituita dai genitori Francesco e Margherita Occhiena, la nonna paterna, il fratellastro Antonio, il fratello maggiore Giuseppe. Orfano di padre a 21 mesi (1817), apprende i primi elementi del leggere e dello scrivere da un sacerdote di un paese vicino, fa la prima comunione nel 1826, è garzone di campagna dal febbraio 1828 all’autunno 1829, frequenta la prima scuola elementare regolare dal dicembre 1830 all’estate 1831. In quattro anni percorre a Chieri le sei classi del «collegio» (la prima inferiore, le tre classi di grammatica, l’anno di umanità e quello di retorica) e, in seminario (1835-1841), i due anni del corso di filosofia e, in quattro anni, i cinque del corso di teologia. Sacerdote nel giugno del 1841, durante il triennio di qualificazione pratico-pastorale nel Convitto Ecclesiastico di Torino (1841-1844) ha i primi contatti con ragazzi immigrati dalla campagna e dalla montagna in cerca di lavoro o incontrati in sporadiche visite nelle carceri o nelle strade e piazze della capitale subalpina.

2. Nel biennio 1844-1846, assunto in una delle opere della nobile vandeana Juliette Colbert vedova del marchese Falletti di Barolo, dà forma al suo «oratorio», in gran parte ambulante. Si rivelano subito due caratteristiche fondamentali della sua personalità: mentalità e cultura ispirata alla religiosità popolare delle origini, arricchita dalla familiarità con libri di storia ecclesiastica, affinata nel Convitto grazie allo studio della morale alfonsiana assimilata soprattutto nei suoi aspetti applicativi (in particolare nella pratica del sacramento della confessione e nella direzione delle anime); insieme, vivacità di intelligenza pratica, coinvolgente intuizione delle problematiche situazioni umane proprie di una città in crescita, concretezza realizzatrice. Dal novembre del 1846 Don B., che in estate si era sciolto da ogni impegno con la Barolo, si dedicava a tempo pieno al suo oratorio, stabilito all’estremo nord-est di Torino, nel borgo Dora, località Valdocco. Ivi perfeziona e amplia le sue iniziative benefiche: attività religiose e ricreative, classi di alfabetizzazione domenicali e serali, ricerca di lavoro e assistenza morale dei giovani apprendisti; contemporaneamente si dà alla predicazione popolare e scrive i primi libri di storia religiosa e devozionali. L’assistenza ai giovani e l’attività letteraria assumono carattere di accentuata «prevenzione» e difesa in seguito all’acuirsi dei fenomeni determinati dalla svolta politica, religiosa, sociale, culturale, intervenuta nel regno sardo tra il 1847 e il 1855: la liberalizzazione della stampa, il moltiplicarsi dei giornali di opinione, il proselitismo protestante, il distacco delle istituzioni civili da vincoli ecclesiastici, lo scontro tra Stato e Chiesa (1850 e 1855). In favore delle classi popolari Don B. propugna le ragioni della fede cattolica con un giornale di breve durata (tra la fine di ottobre 1848 e inizio maggio 1849), opuscoli e libri apologetici, in particolare, dal 1853, la fortunata pubblicazione quindicinale delle «Letture Cattoliche» (uscite fino alla seconda metà del ’900). Sul versante educativo, oltre che nei tre oratori torinesi (s. Francesco di Sales, s. Luigi Gonzaga, Angelo Custode), egli opera con primario impegno nella «casa annessa» al primo oratorio di Valdocco, un «ospizio» nel quale organizza laboratori interni di arti e mestieri (legatori, calzolai, sarti, falegnami, fabbri, tipografi, librai) (1853-1862) e le cinque classi del «ginnasio» (1855-1859).

3. A sostegno delle opere in espansione (l’Oratorio di S. Francesco di Sales di Valdocco arriverà negli anni ’60 a 800 ospiti, studenti e artigiani), Don B. riesce ad attirare l’appoggio di larghe cerchie di amici, benefattori, collaboratori, pubblicisti: papi (Pio IX e Leone XIII), re (Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II, Umberto I), principi e principesse di Casa Savoia, gente di corte, nobili e banchieri, autorità religiose e civili, municipali, provinciali, ministeri (in specie degli Interni e della Guerra), direttori di giornali, ecclesiastici e laici di tutte le estrazioni sociali, suscitando la fattiva simpatia anche di personaggi non benevoli verso il clero, come Urbano Rattazzi, e deputati della sinistra liberale e radicale. Il coinvolgimento diventa particolarmente pressante in occasione della fondazione e dell’ampliamento delle varie opere educative, nella diffusione delle «Letture Cattoliche», nell’organizzazione delle grandi lotterie, nella costruzione di chiese (s. Francesco di Sales, 1852-1853, Maria Ausiliatrice, 1864-1868, s. Giovanni Evangelista a Torino, 1878-1882, Sacro Cuore di Gesù a Roma, 1880-1887). L’intraprendenza, il consenso di giovani collaboratori, le crescenti richieste di fondazioni da parte di autorità religiose e civili (vescovi, sacerdoti, municipi, notabili) e i generosi aiuti mai venuti meno spingono Don B. ad estendere gradualmente le sue istituzioni giovanili, che oltretutto gli permettono di uscire da scomode strettoie locali. Dal 1863 si avventura fuori Torino, dal 1869 in Liguria, nel 1875 in Francia e in Argentina con l’apertura missionaria verso la Patagonia (1880), in Uruguay, in Brasile, in Spagna, in Cile, in Ecuador (ultima tappa, lui vivente). Non è solo estensione quantitativa di opere, ma anche versatilià delle loro espressioni. L’oratorio originario per esterni, sempre prediletto sul piano affettivo, lascia spazio sempre maggiore a case di educazione per gli «interni», più decisamente «preventive», sotto forma di collegi con scuole per studenti della classe media e di ospizi per studenti e artigiani di classi più umili.

4. Per garantire continuità e stabilità alle sue opere torinesi e a quelle successive, intorno al 1854 Don B. aveva incominciato a pensare a una qualche forma più stabile di organizzazione spirituale e regolamentata dei potenziali collaboratori nell’«opera degli oratori», intesa nel senso più esteso e vario, approdando in tappe successive alla fondazione dei due istituti di vita consacrata, maschile e femminile, denominati​​ Società di s. Francesco di Sales​​ (1859-1869) (​​ Salesiani) e​​ Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice​​ (o Suore Salesiane)​​ (1872). Nelle Costituzioni della Società di s. Francesco di Sales Don B. aveva introdotto anche la figura dei soci «esterni». Negata per essi l’approvazione romana, arrivava attraverso diverse approssimazioni (Associati alla Congregazione di S. Francesco di Sales, 1873,​​ Unione cristiana,​​ 1874,​​ Associazione di buone opere,​​ 1875) all’Unione dei Cooperatori Salesiani​​ (1876), una «specie» di terz’ordine di ecclesiastici e laici che aveva «per fine principale la vita attiva nell’esercizio della carità del prossimo e specialmente della gioventù pericolante» (Cooperatori salesiani ossia un modo pratico per giovare al buon costume ed alla civile società,​​ 1877, in​​ Opere Edite​​ XXVIII, 365-369). Per essa egli lanciava subito come organo di informazione e di collegamento il​​ Bollettino Salesiano, un mensile di vastissima diffusione in più lingue, ancor oggi vivo e vitale in tutti i continenti.

5. Nell’ultimo ventennio si crea, soprattutto negli ambienti cattolici moderati, in Italia, in Germania, in Francia, in Spagna, l’immagine di un Don B. educatore «nuovo» della «gioventù povera e abbandonata», «pericolante» per sé e «pericolosa» per l’ordine morale e sociale; risolutore del problema sociale dei giovani operai; e taumaturgo, in specie accanto al santuario di Maria Ausiliatrice a Torino e nei due viaggi trionfali a Parigi (1883) e a Barcellona (1886). La straordinaria attività, l’instancabile ricerca di sussidi finanziari, il carattere conservatore e talora retrivo di certe fasce di sostenitori e ammiratori non mancarono di attirargli le critiche e le aggressioni satiriche di certa stampa laicista e anticlericale. Peraltro, esse furono nettamente superate dall’ammirazione illimitata da parte di grandi masse e della stampa cattolica e da valutazioni positive di apprezzabili settori del mondo laico italiano ed estero (Traniello [Ed.], 1987, 209-251).

6. Segno di contraddizione ha continuato ad essere Don B., per altro verso, lungo il difficoltoso​​ iter​​ del processo di beatificazione e canonizzazione (1890-1934). Esso fu seguito con fiducia ed entusiasmo dalle schiere vastissime degli ammiratori e devoti, mentre fu oggetto di qualche riserva da talune esigue cerchie di ecclesiastici e di laici cattolici meno convinti del tipo di spiritualità da lui espresso. Gli si rimproverava eccessivo attivismo, si manifestavano perplessità circa un presunto squilibrio tra impegno temporale e vita di preghiera, tra ricorsi e accorgimenti umani e fiducia nella provvidenza, tra diplomazia e rettitudine di intenzione; si credette di trovare elementi conflittuali tra difesa della propria congregazione e ossequio alla gerarchia, tra rigido concetto della vita religiosa e insufficienza dei mezzi formativi (noviziato, studi teologici, formazione spirituale). Sono riserve che una seria storiografia critica ha potuto agevolmente dissolvere, approdando alla lucida immagine di un tipo di autentica santità, radicata profondamente nella tradizione cattolica e, insieme, aperta alle esigenze della «modernità» a tutti i livelli: santipersonale, pedagogia, pastorale giovanile e popolare, spiritualità, socialità, ecclesialità, visione rinnovata della «vita consacrata» in funzione di una «nuova educazione» (Stella, 1988).

7. Come educatore e catechista e quale fondatore di Istituti di consacrati e di consacrate Don B. ha scritto moltissimo, in gran parte ricorrendo a fonti di seconda mano, talvolta quasi rielaborando pubblicazioni altrui, ma con tratti personali inconfondibili e non raramente geniali. Importanti sono gli scritti relativi al suo sistema educativo, il​​ ​​ «sistema preventivo», e quelli legati alla fondazione della Società salesiana e all’approvazione delle sue​​ Costituzioni. Ma la gran parte della produzione libraria (con iniziative tipografiche ed editoriali parallele) fu rivolta soprattutto alla gioventù e al popolo. Si accenna ai principali gruppi: a) scritti per l’educazione scolastica e catechistica:​​ Storia ecclesiastica ad uso delle scuole​​ (1845),​​ Il sistema metrico decimale ridotto a semplicità​​ (1846),​​ Storia sacra per uso delle scuole​​ (1847),​​ Maniera facile per imparare la storia sacra​​ (1855),​​ Storia d’Italia raccontata alla gioventù​​ (1855); b) le biografie di tre alunni dell’Oratorio di Valdocco, s. Domenico Savio (1859), Michele Magone (1861), Francesco Besucco (1864); e i racconti semibiografici su Giuseppa ne​​ La conversione di una valdese,​​ Pietro ne​​ La forza della buona educazione​​ (1855),​​ Valentino​​ (1866),​​ Severino​​ (1868),​​ Angelina​​ (1869),​​ Massimino​​ (1874); c) scritti devozionali e agiografici:​​ Il giovane provveduto​​ (1847),​​ La chiave del paradiso​​ (1856),​​ Porta teco cristiano​​ (1858),​​ II mese di maggio​​ (1858), seguito da vari fascicoli sulla Madonna, venerata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (1865), inoltre,​​ Associazione de’ divoti di Maria Ausiliatrice canonicamente eretta in Torino​​ (1869),​​ Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni allo stato ecclesiastico​​ (1875); la vita di s. Martino (1855), s. Pancrazio (1856), s. Pietro (1856), s. Paolo (1857), s. Giuseppe (1867),​​ Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso esposta in due ragionamenti funebri​​ (1860); d) scritti in difesa della fede, della Chiesa cattolica e del papa:​​ La Chiesa cattolica-romana è la sola vera Chiesa di Gesù Cristo​​ (1850),​​ Avvisi ai cattolici​​ (1853),​​ Il​​ cattolico istruito nella sua religione​​ (1853),​​ Conversazioni tra un avvocato ed un curato di campagna sul sacramento della confessione​​ (1855),​​ Due conferenze tra due ministri protestanti ed un prete cattolico intorno al purgatorio e intorno ai suffragi dei defunti​​ (1857), la lunga serie di​​ Vite dei papi​​ dei primi tre secoli della Chiesa​​ (1857-1865); e) scritti ameni e azioni sceniche:​​ Novella amena di un vecchio soldato di Napoleone I​​ (1862),​​ Fatti ameni della vita di Pio IX​​ (1871),​​ Dramma. Una disputa tra un avvocato ed un ministro protestante​​ (1853),​​ La casa della fortuna. Rappresentazione drammatica​​ (1865).

Bibliografia

B. G.,​​ Opere edite​​ (ediz. anastatica), 38 voll., Roma, LAS, 1976-1977, 1987; Id.,​​ Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales. Dal 1815 al 1855,​​ a cura di A. Ferreira , Ibid., 1991; Id.,​​ Epistolario,​​ a cura di F. Motto, voll. I-IV (1835-1875), Ibid., 1991, 1996, 1999, 2003; Caviglia A.,​​ «D.B.». Profilo storico,​​ Ibid.,​​ 31934; Ceria E.,​​ San G.B. nella vita e nelle opere,​​ Torino, SEI, 1937; Lemoyne G. B. - A. Amadei - E. Ceria,​​ Memorie biografiche di D. (del Beato... di San) G.B.,​​ 18 voll., San Benigno Canavese (Torino), SAID-Buona Stampa / SEI, 1898-1937; Cerrato N.,​​ Il​​ linguaggio della prima storia salesiana. Parole e luoghi delle «Memorie biografiche di D.B.»,​​ Roma, LAS, 1991; Stella P.,​​ Gli scritti a stampa di San G.B.,​​ Ibid., 1977; Id.,​​ D.B. nella storia della religiosità cattolica,​​ 3 voll., Ibid., 1979-1988; Id.,​​ Don B. nella storia economica e sociale (1815-1870),​​ Ibid., 1980; Tuninetti G., «L’immagine di Don B. nella stampa torinese (e italiana) del suo tempo», in​​ Don B. nella storia della cultura popolare,​​ a cura di F. Traniello, Torino, SEI, 1987;​​ Don B. nella storia,​​ a cura di M. Midali, Atti del 1° Congresso Internazionale di Studi su Don B., Roma, LAS, 1990 (in sp. a cura di J. M. Prellezo, Ibid., 1990; in ing. a cura di P. Egan e M. Midali, Ibid., 1993); Gianotti S. (Ed.),​​ Bibliografia generale di don B.,​​ vol. I:​​ Bibliografia italiana 1844-1992,​​ Ibid., 1995; Desramaut F.,​​ Don B. en son temps (1815-1888),​​ Torino, SEI, 1996; Diekmann H.,​​ Deutschsprachige Don-B.-Literatur 1883-1994, Roma, LAS, 1997;​​ Stella P.,​​ Don B., Bologna, Il Mulino, 2001; Braido P.,​​ Don B. prete dei giovani nel secolo delle libertà, 2 voll., Roma, LAS,​​ 22003.

P. Braido

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BOSCO Giovanni

BOSCO Giovanni

 

BOSCO Giovanni

Il sac. G.B. (1815-1888), fondatore della Società di S. Francesco di Sales (1859) e dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1872), ambedue congregazioni insegnanti, fu educatore religioso e formatore di educatori religiosi. Con il suo impegno personale e per mezzo delle sue istituzioni, nel Piemonte dove era nato, e fino ai lontani paesi di missione (America Latina) — dove, a partire dal 1875, mandò i suoi figli — egli formò dei “buoni cristiani” (formula alla quale era affezionato) fedeli alla Chiesa. Durante tutta la sua carriera non cessò di rivolgersi, con la parola e con gli scritti, ai giovani, la sua clientela preferita, e agli adulti. Secondo la sua terminologia, nelle sue istituzioni scolastiche il catechista era, insieme con il superiore principale, il responsabile della formazione religiosa dei giovani. Coloro che identificano C. ed educazione religiosa non hanno nessuna difficoltà a sostenere che G.B. fu eminentemente catechista, e ciò dalla tenera infanzia (a partire da cinque anni, essi dicono) fino all’ultimo respiro (cf per es. il libro di G. C. Isoardi, bibl.).

Occorre però fare un discorso più rigoroso. Nel senso primario la C. è un atto di insegnamento religioso, oppure il contenuto di tale insegnamento. L’operatore della C. viene chiamato catechista. Egli istruisce il catecumeno o il fedele, giovane o adulto che sia, in forma diretta per mezzo della parola o in forma indiretta tramite i libri (si aggiungerebbe oggi tramite i diversi mezzi di comunicazione sociale). Il libro in questione​​ può​​ anche essere un riassunto della dottrina cristiana, sotto forma di domande e risposte. Anche in questo significato più stretto G.B. fu per tutta la durata della vita un catechista perseverante e attento.

La sua teologia lo portò a essere catechista. In quanto educatore di cristiani non poteva immaginarsi una siffatta educazione che facesse a meno di un insegnamento nel vero senso del termine. Il cattolico — l’unico che secondo G.B. poteva attribuirsi senza abuso il titolo di cristiano — è essenzialmente un credente in cammino verso la salvezza. Battezzato nella Chiesa, egli crede a tutte le verità che la Chiesa insegna. Rifiutare tale adesione significherebbe compromettere la felicità eterna. G.B. affermava: “Senza piegare la nostra volontà all’autorità divina, cioè senza la fede, è impossibile piacere a Dio, dice S. Paolo. La fede è la sostanza delle cose che dobbiamo sperare da Dio. La fede è la base e il fondamento di ogni nostra giustificazione, dice la Chiesa a nome di Dio” (Mese di maggio,​​ giorno settimo). Per aderire alla fede occorre però essere informati o istruiti. La C. delle verità di fede da parte della Chiesa cattolica gli sembrava quindi indispensabile per una autentica educazione cristiana di salvati e di santi. “Niuno può essere santo fuori di questa Chiesa, giacché soltanto in essa s’insegna la vera dottrina di Gesù Cristo, in essa soltanto si pratica la sua fede, la sua legge” (ibid.,​​ giorno quarto).

G.B. era coerente con i propri principi. L’opera degli Oratori festivi, cronologicamente la prima opera della sua vita — e che i suoi successori considerano ancora oggi la più significativa del suo metodo educativo — mirava anzitutto alla catechizzazione dei giovani. Il primo incontro di oratorio, con un unico giovane (1841), fu un incontro di catechismo. “In quel catechismo — raccontava testualmente G.B. — mi trattenni a fargli apprendere il modo di fare il segno della Croce e a fargli conoscere Dio creatore e il fine per cui ci ha creati” (Memorie dell’Oratorio,​​ ed. E. Ceria, 126-127).

Per i giovani come per gli adulti il suo insegnamento partiva da ciò che è essenziale, da ciò che è fondamentale. A cominciare dal 1872 pubblicò, con il titolo​​ Fondamenti della Cattolica Religione,​​ un libretto che già vent’anni prima aveva diffuso sotto il titolo (più corretto):​​ Avvisi ai Cattolici.​​ La Chiesa Cattolica-Apostolica-Romana è la sola e vera Chiesa di Gesù Cristo (Torino, 1850). Leggendo i suoi libri di pietà (Il Giovane provveduto, La Chiave del Paradiso)​​ si nota che insisteva sulle​​ massime eterne,​​ sui grandi mezzi e sui principali operatori della salvezza. Il suo​​ Mese di maggio​​ (Ia​​ ed. 1858) è sorprendente per la ricchezza e l’ampiezza dottrinale della trentina di letture quotidiane. Era un riassunto non solo di C. mariana, ma di C. globale. G.B. vi parlava successivamente di Dio, dell’anima, della redenzione, della Chiesa, della fede, dei sacramenti, della fine dell’uomo... Senza dubbio non faceva che ripetere la teologia del XIX secolo (nessuna esposizione sullo Spirito Santo, l’incarnazione pensata in funzione della sola opera redentrice, nessuna esplicitazione della dimensione misterica della Chiesa...). L’intenzione dell’autore era però evidente: egli voleva catechizzare il suo uditorio spiegando le verità religiose primarie, dalla creazione alla devozione mariana.

La C. di G.B. attribuiva ampio spazio alla Bibbia e alla storia. A trent’anni pubblicò una​​ Storia ecclesiastica ad uso delle scuole, utile ad ogni ceto di persone​​ (Torino, 1845); e, a trentadue anni, una​​ Storia sacra per uso delle scuole, utile ad ogni stato di persone​​ (Torino, 1847), ambedue con manifesto orientamento cat. Le sue esposizioni dottrinali partivano dall’insegnamento ordinario della Chiesa (cf, per es., le definizioni dei sette sacramenti, nell’ottavo giorno del​​ Mese di maggio).​​ Nel suo vocabolario c’erano pure parole dotte, quali le​​ specie​​ del pane e del vino nell’eucaristia, o la​​ giustificazione​​ nella storia della salvezza. Nell’insieme però usava con molta parsimonia i termini tecnici. Preferiva riportare frasi bibliche o sentenze di autori spirituali, anziché riferire le conclusioni dei teologi. Illustrava le sue spiegazioni ricorrendo a​​ esempi​​ concreti atti a edificare i suoi lettori o ascoltatori. G.B. amava parlare la lingua della gente, soprattutto degli umili e dei piccoli, verso i quali si sentiva chiamato. Per interessarli ricorreva al dialogo e alla controversia. La sua C. era allo stesso tempo autentica e popolare.

Bibliografia

P. Braido,​​ L'inedito “Breve catechismo per i fanciulli ad uso della diocesi di Torino” di Don Bosco,​​ Roma, LAS, 1979; G. C. Isoardi,​​ L'azione catechetica di San Giovanni Bosco nella pastorale giovanile,​​ Leumann-Torino, LDC, 1974; P. Stella,​​ Don Bosco nella storia della religiosità cattolica,​​ 2 vol., Zürich, PAS-Verlag, 1968-1969.

Francis Desramaut

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BOSCO Giovanni

BOSCO Giovanni

 

BOSCO Giovanni

Il sac. G.B. (1815-1888), fondatore della Società di S. Francesco di Sales (1859) e dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1872), ambedue congregazioni insegnanti, fu educatore religioso e formatore di educatori religiosi. Con il suo impegno personale e per mezzo delle sue istituzioni, nel Piemonte dove era nato, e fino ai lontani paesi di missione (America Latina) — dove, a partire dal 1875, mandò i suoi figli — egli formò dei “buoni cristiani” (formula alla quale era affezionato) fedeli alla Chiesa. Durante tutta la sua carriera non cessò di rivolgersi, con la parola e con gli scritti, ai giovani, la sua clientela preferita, e agli adulti. Secondo la sua terminologia, nelle sue istituzioni scolastiche il catechista era, insieme con il superiore principale, il responsabile della formazione religiosa dei giovani. Coloro che identificano C. ed educazione religiosa non hanno nessuna difficoltà a sostenere che G.B. fu eminentemente catechista, e ciò dalla tenera infanzia (a partire da cinque anni, essi dicono) fino all’ultimo respiro (cf per es. il libro di G. C. Isoardi, bibl.).

Occorre però fare un discorso più rigoroso. Nel senso primario la C. è un atto di insegnamento religioso, oppure il contenuto di tale insegnamento. L’operatore della C. viene chiamato catechista. Egli istruisce il catecumeno o il fedele, giovane o adulto che sia, in forma diretta per mezzo della parola o in forma indiretta tramite i libri (si aggiungerebbe oggi tramite i diversi mezzi di comunicazione sociale). Il libro in questione​​ può​​ anche essere un riassunto della dottrina cristiana, sotto forma di domande e risposte. Anche in questo significato più stretto G.B. fu per tutta la durata della vita un catechista perseverante e attento.

La sua teologia lo portò a essere catechista. In quanto educatore di cristiani non poteva immaginarsi una siffatta educazione che facesse a meno di un insegnamento nel vero senso del termine. Il cattolico — l’unico che secondo G.B. poteva attribuirsi senza abuso il titolo di cristiano — è essenzialmente un credente in cammino verso la salvezza. Battezzato nella Chiesa, egli crede a tutte le verità che la Chiesa insegna. Rifiutare tale adesione significherebbe compromettere la felicità eterna. G.B. affermava: “Senza piegare la nostra volontà all’autorità divina, cioè senza la fede, è impossibile piacere a Dio, dice S. Paolo. La fede è la sostanza delle cose che dobbiamo sperare da Dio. La fede è la base e il fondamento di ogni nostra giustificazione, dice la Chiesa a nome di Dio” (Mese di maggio,​​ giorno settimo). Per aderire alla fede occorre però essere informati o istruiti. La C. delle verità di fede da parte della Chiesa cattolica gli sembrava quindi indispensabile per una autentica educazione cristiana di salvati e di santi. “Niuno può essere santo fuori di questa Chiesa, giacché soltanto in essa s’insegna la vera dottrina di Gesù Cristo, in essa soltanto si pratica la sua fede, la sua legge” (ibid.,​​ giorno quarto).

G.B. era coerente con i propri principi. L’opera degli Oratori festivi, cronologicamente la prima opera della sua vita — e che i suoi successori considerano ancora oggi la più significativa del suo metodo educativo — mirava anzitutto alla catechizzazione dei giovani. Il primo incontro di oratorio, con un unico giovane (1841), fu un incontro di catechismo. “In quel catechismo — raccontava testualmente G.B. — mi trattenni a fargli apprendere il modo di fare il segno della Croce e a fargli conoscere Dio creatore e il fine per cui ci ha creati” (Memorie dell’Oratorio,​​ ed. E. Ceria, 126-127).

Per i giovani come per gli adulti il suo insegnamento partiva da ciò che è essenziale, da ciò che è fondamentale. A cominciare dal 1872 pubblicò, con il titolo​​ Fondamenti della Cattolica Religione,​​ un libretto che già vent’anni prima aveva diffuso sotto il titolo (più corretto):​​ Avvisi ai Cattolici.​​ La Chiesa Cattolica-Apostolica-Romana è la sola e vera Chiesa di Gesù Cristo (Torino, 1850). Leggendo i suoi libri di pietà (Il Giovane provveduto, La Chiave del Paradiso)​​ si nota che insisteva sulle​​ massime eterne,​​ sui grandi mezzi e sui principali operatori della salvezza. Il suo​​ Mese di maggio​​ (Ia​​ ed. 1858) è sorprendente per la ricchezza e l’ampiezza dottrinale della trentina di letture quotidiane. Era un riassunto non solo di C. mariana, ma di C. globale. G.B. vi parlava successivamente di Dio, dell’anima, della redenzione, della Chiesa, della fede, dei sacramenti, della fine dell’uomo... Senza dubbio non faceva che ripetere la teologia del XIX secolo (nessuna esposizione sullo Spirito Santo, l’incarnazione pensata in funzione della sola opera redentrice, nessuna esplicitazione della dimensione misterica della Chiesa...). L’intenzione dell’autore era però evidente: egli voleva catechizzare il suo uditorio spiegando le verità religiose primarie, dalla creazione alla devozione mariana.

La C. di G.B. attribuiva ampio spazio alla Bibbia e alla storia. A trent’anni pubblicò una​​ Storia ecclesiastica ad uso delle scuole, utile ad ogni ceto di persone​​ (Torino, 1845); e, a trentadue anni, una​​ Storia sacra per uso delle scuole, utile ad ogni stato di persone​​ (Torino, 1847), ambedue con manifesto orientamento cat. Le sue esposizioni dottrinali partivano dall’insegnamento ordinario della Chiesa (cf, per es., le definizioni dei sette sacramenti, nell’ottavo giorno del​​ Mese di maggio).​​ Nel suo vocabolario c’erano pure parole dotte, quali le​​ specie​​ del pane e del vino nell’eucaristia, o la​​ giustificazione​​ nella storia della salvezza. Nell’insieme però usava con molta parsimonia i termini tecnici. Preferiva riportare frasi bibliche o sentenze di autori spirituali, anziché riferire le conclusioni dei teologi. Illustrava le sue spiegazioni ricorrendo a​​ esempi​​ concreti atti a edificare i suoi lettori o ascoltatori. G.B. amava parlare la lingua della gente, soprattutto degli umili e dei piccoli, verso i quali si sentiva chiamato. Per interessarli ricorreva al dialogo e alla controversia. La sua C. era allo stesso tempo autentica e popolare.

Bibliografia

P. Braido,​​ L'inedito “Breve catechismo per i fanciulli ad uso della diocesi di Torino” di Don Bosco,​​ Roma, LAS, 1979; G. C. Isoardi,​​ L'azione catechetica di San Giovanni Bosco nella pastorale giovanile,​​ Leumann-Torino, LDC, 1974; P. Stella,​​ Don Bosco nella storia della religiosità cattolica,​​ 2 vol., Zürich, PAS-Verlag, 1968-1969.

Francis Desramaut

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S. GIOVANNI BOSCO

(1815-1888)

 

José Manuel Prellezo

 

1. Formazione pedagogico-pastorale

1.1. L ’ambiente familiare

1.2. La scuola umanista

1.3. Gli studi teologici

1.4. Il perfezionamento pastorale

2. Scelta privilegiata dei giovani

2.1. I più «abbandonati e pericolanti»

2.2. I fattori della scelta

3. Proposta edueativo-pastorale

3.1. Fiducia nei giovani

3.2. «Conoscere i nostri tempi»

3.3. Schietta preoccupazione religiosa

3.4. Integralità della proposta

3.5. Ragione, religione, amorevolezza

3.6. «Amare quello che piace ai giovani»

3.7. In dima di famiglia

4. «Padre e maestro dei giovani»

4.1. Santità e impegno edueativo-pastorale

4.2. Aspetti problematici

4.3. Significato e attualità

 

Giovanni Melchiorre Bosco (=​​ DB)​​ nacque ai Becchi, nel comune di Castelnuovo d’Asti il 16 agosto 1815; mori a Torino il 31 gennaio 1888. Ordinato sacerdote (1841), iniziò il suo lavoro edueativo-pastorale a Torino (Oratori festivi).

Fondò la Società di San Francesco di Sales (Salesiani, 1859) e delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1872), due congregazioni religiose dedicate all’educazione della gioventù, soprattutto povera e abbandonata. Fondò anche la Pia Unione dei Cooperatori Salesiani (1876). Fu canonizzato da Pio XI il 1 aprile 1934.

 

1. Formazione pedagogico-pastorale

Nell’esperienza biografica di​​ DB​​ e nelle prime tappe della formazione teorico-pratica (focolare domestico, scuola umanistica, studi teologici, perfezionamento pastorale al Convitto ecclesiastico torinese) «si radicano alcuni tratti tipici della sua personalità di sacerdote amico dei giovani, pastore e educatore» (Braido, 1981, 302).

 

1.1. L’ambiente familiare

Vanno rilevati innanzitutto i valori dell’ambiente familiare, vissuti nel contesto rurale: vivo senso dell’intervento di Dio nella storia umana (la morte del padre, quando Giovanni ha due anni, è considerata «grave sciagura» con cui «Dio misericordioso» colpì la famiglia), pratica sacramentale, devozione mariana, culto dei santi, attaccamento al dovere, abitudine al sacrificio. Particolarmente significativo è il ruolo della madre, Margherita Occhiena, prima educatrice e maestra di​​ DB.​​ Questi, nello scritto​​ Memorie dell’Oratorio​​ ( =​​ MO),​​ ricorda che lei lo preparò alla prima comunione, gli insegnò le preghiere, lo accompagnò nelle confessioni finché lo giudicò «capace di fare degnamente da solo». E, a più riprese, sottolinea la saggezza dei consigli materni: fuggire i cattivi discorsi, frequentare amici devoti della Madonna, accostarsi degnamente ai sacramenti (« non tacer alcuna cosa in confessione», guardarsi «dal fare sacrilegi»). Negli ultimi anni della vita ricorda ai suoi giovani che, prima di andare a riposo, recita le preghiere che gli insegnò la «buona mamma» (Scritti, 285).

1.2. La scuola umanista

L’incontro con «buoni preti», dal portamento «grave e cortese», con i quali però non riuscì a «contrarre alcuna famigliarità», provocò in​​ DB,​​ appena adolescente, la reazione che egli stesso racconterà più tardi: «Se io fossi prete, vorrei fare diversamente; vorrei avvicinarmi ai fanciulli, vorrei dire loro delle buone parole, dare dei buoni consigli»​​ (MO​​ 44).

Negli anni di studio nel Collegio di Chieri (1831-1835), entrò in contatto con un tipo di scuola classico-umanistica che troverà largo spazio nel suo futuro lavoro di iniziatore di opere educative. Egli conservò un ricordo vivo di questo periodo, in cui «la religione faceva parte dell’educazione». Le pratiche di pietà in uso (messa quotidiana, preghiera prima e dopo le lezioni; nei giorni festivi: lettura spirituale, uffizio della Madonna, messa, spiegazione del vangelo e, alla sera, catechismo, vespro, istruzione) saranno, fondamentalmente, quelle che, più tardi, proporrà ai ragazzi delle sue «case». Con chiara intenzione educativa e di testimonianza per i suoi, presenta come la «più fortunata avventura» l’aver scelto fin d’allora un confessore stabile, che lo incoraggiava a confessarsi e comunicarsi con più frequenza, in un momento in cui era «cosa assai rara a trovare chi incoraggiasse alla frequenza dei sacramenti»​​ (MO​​ 55).

La vivace natura dello studente dei Becchi trovò una sbocco apostolico nelle adunanze della «congregazione» diretta dai gesuiti, e nelle riunioni della «Società della allegria», organizzata con un gruppo di amici, che si proponeva di cercare tutto ciò che potesse «contribuire a stare allegri», ed evitare invece quello «che cagionasse malinconia, specialmente le cose contrarie alla legge del Signore»​​ (MO​​ 52). Il desiderio di diventar prete, sbocciato negli anni infantili, si fece ormai decisione matura.

 

1.3. Gli studi teologici

Sulla vita nel seminario di Chieri (1835-1841), si trovano alcune pennellate oscure. La mancanza di familiarità tra superiori e seminaristi accese però nel giovane studente il desiderio di essere presto sacerdote per poter trattenersi «in mezzo ai giovanetti, per assisterli, ed appagarli ad ogni occorrenza»​​ (MO​​ 91). Il giudizio positivo sulle pratiche di pietà, che si «adempivano assai bene», può spiegare, d’altro lato, che esse abbiano poi costituito l’ossatura della proposta fatta ai suoi collaboratori: messa quotidiana, meditazione, rosario, lettura a tavola, confessione ogni quindici giorni e comunione nei giorni festivi (poi quotidiana). Tra le letture fatte (in margine ai trattati filosofici e teologici),​​ DB​​ manifesta una chiara predilezione per le opere di carattere didascalico e storico-apologetico (scritti di Calmet, Marchetti, Fleury, Cavalca, Passavanti, Segneri, Henrion) nelle quali potè trovare le prime ispirazioni per il suo lavoro di scrittore su temi storico-catechistici e popolari. La lettura del​​ De imitatione Christi​​ (verso il 1837) ebbe un notevole peso nel passaggio dal gusto «profano» (libri, giochi) a una forte tensione ascetico-religiosa.

1.4. Il perfezionamento pastorale

Nel Convitto ecclesiastico di Torino (1841-1844) si preparò alla «vita pratica del sacro ministero». L’impostazione del programma formativo rispondeva assai bene alle attese e mentalità di​​ DB,​​ il quale dichiara soddisfatto: «Qui si impara ad essere preti. Meditazione, lettura, due conferenze al giorno, lezioni di predicazione, vita ritirata, ogni comodità di studiare, leggere buoni autori, erano le cose intorno a cui ognuno deve applicare la sua sollecitudine»​​ (MO​​ 121). In don Cafasso trovò non solo il professore di morale, ma la guida saggia che lo orientò ad attività caratteristiche del ministero pastorale: visita ai carcerati, predicazione, catechismi domenicali e quaresimali, con speciale attenzione per i giovani immigrati e-o sbandati. Alla sua scuola,​​ DB​​ ricavò e confermò «tratti tipici di spiritualità: la speranza cristiana, la preferenza per la fiducia in Dio oltre e più che il timore; il senso del dovere come stile di vita religiosa coerente; la fondamentalità della pratica sacramentale nella azione pastorale; la fedeltà alla Chiesa e al Papa; l’orientamento apostolico ai giovani abbandonati; il pensiero dei novissimi e l’esercizio della buona morte» (Braido 1981, 305).

Per quanto riguarda gli orientamenti morali, di particolare rilevanza nella prassi educativa e pastorale donboschiana, in quel momento «era agitatissima la questione del probabilismo e del probabiliorismo»​​ (MO​​ 122). Lo sforzo di rinnovamento della pastorale, pur in un clima non privo di preoccupazioni conservatrici, portò i responsabili del Convitto a superare l’antinomia tra corrente benignista e corrente austera, privilegiando la figura e la dottrina, «evangelicamente sana, ma mite», di sant’Alfonso.

DB​​ maturò, da parte sua, la convinzione che con la bontà piuttosto che con il rigore si possono attirare le anime, specialmente giovanili, alla frequenza dei sacramenti e alla pratica religiosa. A questo riguardo, non è irrilevante il fatto che uno dei suoi scritti, compilato poco dopo aver lasciato il Convitto, porti il titolo​​ Esercizio di divozione alla Misericordia di Dio​​ (pubblicato anonimo nel 1847).

In questo momento​​ DB​​ prese pure contatto ideale con altre grandi figure di santi dalla spiccata sensibilità educativa e pastorale: Carlo Borromeo, Filippo Neri, Francesco di Sales.

Più tardi, nei suoi scritti pedagogici ricorderà la mitezza e carità di san Filippo nel trattare con i ragazzi, e ai collaboratori organizzati in società religiosa darà come modello e patrono san Francesco di Sales, alla cui dolcezza e pazienza dovevano ispirarsi nell’educazione dei giovani.

 

2.​​ La scelta privilegiata dei giovani

Gli inizi dell’apostolato sacerdotale del santo torinese si situano in un contesto complesso (passaggio da un periodo di restaurazione politico-religiosa a un regime democratico, con nuovi problemi: libertà di culto e di stampa, leggi anticlericali, disaffezione dalla Chiesa, moti rivoluzionari, aspirazione all’unità nazionale, questione romana).

 

2.1. I più «abbandonati e pericolanti»

DB​​ ricusò di entrare nell’arena politica. Sentì la sua «vita sostanzialmente impegnata quasi soltanto nel problema educativo, avvertito come quello che avrebbe dato soluzione globale a quello religioso e civile» (Stella, 1979, 254). Con formula semplice indicava così gli obiettivi della sua opera: «Fare quel po’ di bene che posso ai giovanetti abbandonati, adoperandomi con tutte le forze affinché diventino buoni cristiani in faccia alla religione, onesti cittadini in mezzo alla civile società»​​ (MO​​ 218).

In un momento di preludi dell’industrializzazione, l’attrazione della città esercitava particolare fascino sui giovani contadini, alla ricerca di un tenore di vita meno duro. E non erano pochi quelli che, orfani o senza lavoro e abbandonati a sé stessi, finivano in prigione. Frequentando le carceri di Torino,​​ DB​​ si rende conto della gravità della situazione: la «maggior parte» dei reclusi sono «poveri giovani» venuti da lontano, e condotti più volte in quel «luogo di punizione» dove «diventano peggiori»​​ (Cenno,​​ 40). Per questa «classe di giovani come più abbandonati e pericolanti», apre il suo oratorio festivo (riunioni domenicali con insegnamento del catechismo, formazione religiosa, giochi, musica, divertimenti). Si inserì in un movimento ecclesiale-educativo che presentava realizzazioni valide nella capitale del Piemonte.​​ DB​​ non si limita ad aspettare i ragazzi all’oratorio. Si pone alla loro ricerca. Li incontra dove essi si trovano (carceri, cantieri, botteghe, contrade).

 

2.2. I fattori della scelta

Nella scelta dei giovani, come destinatari del lavoro apostolico sono intervenuti fattori decisivi: l’influsso di don Cafasso, il contatto diretto con i carcerati e con i gruppi di ragazzi «poveri e abbandonati» che, soprattutto nei giorni festivi, «vagano per le vie e per le piazze» della città (spazzacamini, muratori, stuccatori, selciatori...). Questi incontri contribuirono a maturare un interesse vocazionale che affondava le sue radici nelle precoci esperienze catechistiche di​​ DB​​ il quale, ancora fanciullo, insegnava il catechismo ai coetanei e, giovane studente, organizzava la «Società dell’allegria» con scopi di dichiarata esemplarità religiosa.

Il fondatore della Congregazione salesiana si sentì chiamato da Dio a una impegnativa missione a favore dei giovani, specialmente più poveri e abbandonati. Si rese conto, sempre più chiaramente, che la rigenerazione cristiana della società era condizionata dall’educazione della gioventù: «Se la gioventù è ben educata avremo col tempo una generazione migliore; se non, fra poco sarà composta di uomini sfrenati ai vizi, al furto, all’ubriachezza, al mal fare»​​ (BS​​ 1882, 81).

In prospettiva schiettamente religiosa, la scelta e l’impegno educativo di​​ DB​​ si fondavano pure su una salda «convinzione teologica», assimilata nel clima spirituale contemporaneo; è spronato ad agire con urgenza sui giovani, perché è convinto che la «loro salvezza eterna dipende dal tempo della gioventù». Ancora bambino, era rimasto colpito dalle parole ascoltate in una missione popolare: «necessità di darsi a Dio per tempo e non differire la conversione» (MO 34). Lo stesso pensiero che, giovane prete, svilupperà nella sua fortunata opera​​ Il giovane provveduto​​ (1847): Se «noi cominciamo una buona vita ora che siamo giovani, buoni saremo negli anni avanzati, buona la nostra morte e principio di una eterna felicità» (Scritti, 30).

 

3.​​ Proposta educativo-pastorale

DB,​​ uomo d’azione, non ha elaborato una trattazione organica e completa del suo pensiero pedagogico né una metodologia pastorale. E significativa però la «sensibilità di don Bosco a nuclei dottrinali di notevole pregnanza operativa» (Stella, 1988, 32).

 

3.1. Fiducia nei giovani

Sono documentabili l’ottimismo educativo e la fiducia nel giovane. I contatti iniziali con i carcerati gli fecero conoscere «che in generale la gioventù non è cattiva da per sé; ma che per lo più diventa tale pel contatto dei tristi e che gli stessi tristi gli uni separati dagli altri sono suscettibili di grandi cangiamenti morali»​​ (Cenno,​​ 39). Nuove esperienze, vissute nel clima spirituale del suo tempo (con una particolare sensibilità alle conseguenze del peccato originale), mossero​​ DB​​ a parlare più volte della leggerezza e mobilità giovanili, della mancanza di tenacia per portare avanti gli impegni assunti, e, di conseguenza, della necessità dell’opera preventiva dell’educazione. Assumendo il paragone classico della pianta che prende cattiva piega se non è coltivata, scrisse: «così voi, miei cari figliuoli, piegherete sicuramente al male se non vi lasciate piegare da chi ha cura d’indirizzar vi».

In questo contesto si comprende l’importanza data alla «assistenza», cioè alla presenza degli educatori in mezzo ai ragazzi, per impedire il male.​​ DB​​ si mostrò però sempre convinto che in ogni ragazzo, anche nel più disgraziato, esiste «un punto accessibile al bene», che l’educatore deve cercare di trovare. Alla radice di tale convinzione c’è pure una visione di fede: il giovane, figlio di Dio, caduto e redento da Cristo.​​ DB​​ non è vicino alla concezione giansenista né a quella di Rousseau; ma, realisticamente, e pur sempre da un’ottica religiosa, riconosce gli influssi (positivi e negativi) dell’ambiente sociale.

 

3.2. «Conoscere i nostri tempi»

«Bisogna che cerchiamo di conoscere i nostri tempi e cerchiamo di adattarvici» (Annali​​ I, 471).

Questo consiglio dato ai membri della sua Congregazione (1883) costituisce un nucleo dottrinale e, allo stesso tempo, un orientamento pratico dell’opera di​​ DB.​​ Attento ai bisogni del momento storico, cercò di darvi una risposta efficace. L’opera salesiana, iniziata come un «semplice catechismo» (1841), si allargò progressivamente, rispondendo con stile peculiare a necessità sempre più pressanti nel campo educativo e pastorale: oratori festivi per ragazzi sradicati e immigrati senza parrocchia, scuole domenicali, diurne e serali per giovani analfabeti, laboratori per la formazione dei giovani operai, collegi, ospizi, convitti, centri missionari con prevalente preoccupazione giovanile. In sintonia con il proprio tempo,​​ DB​​ concepisce la stampa come una vera missione: è direttore responsabile del giornale «L’Amico della Gioventù» (1848); prepara testi scolastici:​​ Storia ecclesiastica ad uso delle scuole​​ (1845),​​ Storia sacra per l'uso delle scuole​​ (1847); pubblica e diffonde le «Letture cattoliche» a partire dal 1853, organizza la «Biblioteca della gioventù italiana», la collana di «classici latini profani e cristiani».

 

3.3. Schietta preoccupazione religiosa

Al centro dell’intera attività di​​ DB,​​ c’è una schietta preoccupazione religiosa. Il motto scelto in occasione dell’ordinazione sacerdotale («Da mihi animas coetera tolle») illumina la motivazione profonda di tutto l’impegno donboschiano, che acquista ancora spessore se si tiene presente un altro motto, ricorrente nella letteratura ascetica del tempo: «animam salvasti, animam tuam praedestinasti». In quest’orizzonte di riferimento trova significato l’attività educativa e pastorale. L’obiettivo primario che si propone​​ DB​​ è l’educazione cristiana del giovane, cioè del credente maturo che mette al centro della sua vita Dio e la salvezza eterna, ben istruito nelle verità cattoliche, attento al magistero del papa, con vivo senso di Chiesa, esatto nei propri doveri, impegnato in opere di carità e apostolato.

La religione, nel pensiero e nella prassi di​​ DB,​​ non solo occupa un posto centrale nelle finalità da raggiungere, ma si colloca nel cuore stesso dell’opera formativa come base e fondamento di ogni educazione veramente compiuta. Con il termine «religione» sono intese le pratiche di pietà adatte alla condizione dei ragazzi, ma anche il senso di Dio, l’amicizia con Gesù e soprattutto una accurata e autentica vita sacramentale. Anche per​​ DB,​​ come per il mondo di cui fa parte, «i sacramenti costituiscono il cuore dell’esistenza, la quale, per essere pienamente umana, era impensabile fuori di un contesto religioso» (Schepens, 16). L’esperienza educativa gli fa poi scoprire, sempre più chiaramente, che la penitenza e l’eucaristia sono i fattori più importanti per il progresso spirituale dei giovani. Nello scritto sul sistema preventivo​​ DB​​ scrisse senza reticenze: «La frequente confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edificio educativo, da cui si vuole tener lontano la minaccia e la sferza»​​ (Scritti,​​ 168).

 

3.4. Integralità della proposta

Sottolineando le esigenze religiose e la dimensione trascendente dell’educazione, non sono trascurati gli aspetti umani e la realtà storica del giovane: vitto, vestito, alloggio, cura del corpo, formazione intellettuale, valori etici, preparazione professionale, tempo libero. Gli obiettivi da raggiungere, espressi con formule semplici alla portata dei ragazzi («salute, saggezza, santità»; «allegria, studio, pietà», «lavoro, istruzione, umanità»), si inseriscono in un programma globale di impegno umano e cristiano. Sensibile alle richieste dei ragazzi,​​ DB​​ ama parlare di gioia, di allegria, di divertimenti. Riconosce l’istanza profondamente radicata nell’uomo alla felicità. Crede però che la felicità non è in contrasto con la vita cristiana. Anzi, che soltanto la religione può dare la «vera felicità». Nel​​ Giovane provveduto,​​ l’autore vuole offrire alla gioventù «un metodo di vita cristiano», formulato sinteticamente con l’espressione: «servire al Signore e stare sempre allegri». Realtà umane e valori trascendenti trovano un orizzonte unitario nella prospettiva scelta. Parlando delle origini del suo lavoro tra i giovani abbandonati e pericolanti, aveva scritto: «Quando mi sono dato a questa parte di sacro ministero intesi di consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime, intesi di adoperarmi per fare buoni cittadini in questa terra, perché fossero poi un giorno degni abitatori del cielo»​​ (Cenno,​​ 38). Negli interventi e negli scritti posteriori al​​ Giovane provveduto​​ ricorrerà spesso una formula sintetica che diventerà espressione classica delle finalità educative di​​ DB:​​ «onesti cittadini e buoni cristiani».

Opera pastorale e impegno educativo, formazione personale e riforma della società si intrecciano unitariamente nella proposta: «Lavorate intorno alla buona educazione della gioventù, di quella specialmente più povera e abbandonata, che è in maggior numero, e voi riuscirete agevolmente a dare gloria a Dio, a procurare il bene della religione, a salvare molte anime e a cooperare efficacemente alla riforma, al bene della civile società»​​ (BS​​ 1883, 104).

 

3.5. Ragione, religione, amorevolezza

Oltre alla considerazione dell’integralità del programma educativo-pastorale,​​ DB​​ ha lasciato preziosi orientamenti e indicazioni per metterlo in atto. Nel noto volumetto​​ II sistema preventivo nell’educazione della gioventù​​ (1877), rifiuta il «sistema repressivo» e assume il «sistema preventivo», scrivendo che la pratica del medesimo è poggiata tutta sulle parole di san Paolo: «La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo». Orientamenti, mezzi e interventi si polarizzano attorno a un trinomio caro a​​ DB.​​ Egli ama ripetere che il suo sistema di educazione si basa su «la ragione, la religione e la amorevolezza».

Al centro, dal punto di vista metodologico, si colloca l’amorevolezza, che non è solo sentimento umano né solo carità soprannaturale: essa esprime una realtà complessa sostanziata di atteggiamenti, sentimenti, relazioni e condotte caratteristici. L’amorevolezza però «non è debolezza, sentimentalismo, sensibilità torbida, perché è costantemente illuminata e purificata dalla ragione e dalla religione» (Braido, 1981, 358).​​ DB​​ usava anche i termini «dolcezza e carità» per esprimere questo tratto fondamentale del suo stile educativo, che si esprime anzitutto nel rispetto verso la persona dei giovani, specialmente quando si tratta di proporre loro valori importanti come quelli etici e religiosi. Dopo aver parlato della confessione e della eucaristia come «colonne» dell’edifizio educativo,​​ DB​​ aggiunge subito: «Non mai annoiare né obbligare i giovanetti alla frequenza de’ santi Sacramenti, ma porgere loro la comodità di approfittarne»​​ (Scritti,​​ 168).

DB ha pure un vivo senso della dignità dei sacramenti, insistendo in particolare sulle disposizioni richieste per accostarsi alla confessione. Superata una certa «mentalità rigida», ancora diffusa nel suo ambiente (riscontrabile nei primi scritti), troverà una soluzione pastoralmente efficace nel clima di apertura e di fiducia creato dal confessore educatore, che aiuta il giovane a superare la paura e il rispetto umano: «Accogliete con amorevolezza ogni sorta di penitenti, ma specialmente i giovanetti»​​ (Opere,​​ XIII, 181).

 

3.6. «Amare quello che piace ai giovani»

L’amorevolezza (sempre nell’orizzonte della ragione e della religione) si esprime ancora in gesti e comportamenti benevoli da parte dell’educatore, sempre presente in mezzo ai giovani, disposto a qualsiasi sacrificio pur di riuscire nel suo impegno: l’educazione scientifica, civile, morale e religiosa del ragazzo. Non basterà però sacrificarsi e amare i giovani. Sarà necessario, si legge nella nota lettera da Roma, «che i giovani non solo siano amati, ma che essi conoscano di essere amati. [...] Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono col partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino a veder l’amore in quelle cose che naturalmente lor piacciono poco; quali sono la disciplina, lo studio, la mortificazione di sé stessi e queste cose imparino a far con amore» (Scritti, 294). Perciò l’educatore deve essere solidale con il mondo degli interessi, problemi e attività giovanili; ma senza rinunciare al suo compito di persona adulta matura, capace di proporre obiettivi ragionevoli, di dialogare, di stimolare iniziative valide, di correggere con amorevole fermezza condotte riprovevoli.

In questa prospettiva sono chiaramente privilegiate le relazioni personali. I responsabili delle istituzioni formative devono comportarsi come «padri, fratelli e amici» del giovane. Già nei primi scritti, riflettendo sulle prime tappe dell’oratorio e sugli svariati mezzi usati per attirare i ragazzi (giochi, regali, musica, divertimenti)​​ DB​​ concludeva: «Ma ciò che più di tutto attrae i giovanetti sono le buone accoglienze»​​ (Cenni,​​ 67). Questa constatazione divenne convinzione teorica e soprattutto orientamento pratico della sua azione educativa e pastorale: nel colloquio personale con i ragazzi, nel cortile, nella «parolina all’orecchio», nelle «buone notti», nella direzione spirituale, nella confessione. Perciò poteva ripetere autorevolmente ai suoi più stretti collaboratori: «Studia di farti amare prima di farti temere. La carità, la pazienza ti accompagnino costantemente nel comandare, nel correggere, e fà in modo che ognuno dai tuoi fatti e dalle tue parole conosca che tu cerchi il bene delle anime»​​ (Scritti,​​ 79).

 

3.7. In clima di famiglia

Per definire il rapporto corretto tra giovani ed educatori,​​ DB​​ adopera il termine «famigliarità». Una lunga esperienza lo aveva portato alla convinzione che senza familiarità non si può dimostrare l’amore, e senza tale dimostrazione è impossibile creare quel clima di confidenza che è presupposto indispensabile per la accettazione dei valori proposti dall’adulto. Il quadro delle finalità, il programma, gli orientamenti metodologici trovano concretezza ed efficacia precisamente in istituzioni improntate a schietto spirito di famiglia, cioè in ambienti sereni, gioiosi e stimolanti. È questa una delle istanze più valide della pedagogia che​​ DB​​ seppe mettere in pratica con stile personale nelle sue «case» di educazione. Esse, ispirate al modello familiare, sono concepite e attuate come vere comunità, in cui sono promossi il dialogo, la corresponsabilità di tutti, l’impegno civile, la crescita personale e la santità.

 

4.​​ «Padre e maestro dei giovani»

È il titolo della lettera di Giovanni Paolo II pubblicata in occasione del centenario della morte di​​ DB​​ (1888-1988) ed è un’espressione ormai classica che sintetizza felicemente i tratti più caratteristici della figura e dell’opera del santo piemontese.

 

4.1. Santità e impegno educativo-pastorale

L’opzione preferenziale per i giovani attraversa e unifica l’inesauribile e multiforme attività di​​ DB​​ (fondatore di congregazioni religiose, iniziatore e propulsore di opere missionarie, assimilatore e organizzatore di iniziative benefiche e apostoliche, creatore di istituzioni educative, predicatore, confessore, scrittore popolare...). La sua sollecitudine pastorale trova la realizzazione più completa e privilegiata nell’ambito dell’educazione.

Apostolato sacerdotale e lavoro educativo costituiscono due aspetti qualificanti e inseparabili nell’opera di​​ DB,​​ vissuta come missione e strada di salvezza. Egli «realizza la sua personale santità mediante l’impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico» e «sa proporre, al tempo stesso, la santità quale meta della sua pedagogia. Proprio un tale interscambio tra “educazione” e “santità” è l’aspetto caratteristico della sua figura»​​ (Iuvenum patris,​​ n. 5).​​ DB,​​ educatore santo, formò giovani santi: san Domenico Savio.

 

4.2. Aspetti problematici

La proposta educativo-pastorale di​​ DB​​ appare condizionata dal tempo in cui egli visse e dalla formazione ricevuta: un certo «moralismo», «esuberante devozionalismo», «prevalenza di motivi di obbligazione, dovere, peccato, castighi e novissimi su quelli della Grazia come realtà di presenza, di inabitazione, di inserzione nel Corpo Mistico ed infine accentuata insistenza sulla castità o “purità” e minore utilizzazione degli aspetti positivi di motivazione e di aiuto connessi con una esplicita visione e presentazione delle virtù cristiane della fede, della speranza e della carità» (Braido, 1965, XXXII). La sottolineatura delle ombre non impedisce però di individuare gli aspetti luminosi e fecondi.

 

4.3. Significato e attualità

Testimonianze numerose e concordi mettono in risalto fatti ed elementi per spiegare il segreto della riuscita dell’opera di​​ DB​​ sacerdote di ricca umanità e di fede profondamente radicata, personalità vigorosa e mite, uomo dotato di simpatia e di bonaria furbizia, straordinario organizzatore, capace di suscitare consensi e adesioni, tenace nel proseguire gli scopi e flessibile di fronte alle situazioni concrete, coraggioso nel proporre mete formative e attento alle esigenze individuali del giovane e ai bisogni del tempo. L’ampio spazio dato alle relazioni interpersonali, al tratto amichevole, al clima di spontaneità e di famiglia non ha perso per nulla significato e attualità. Anche se il linguaggio appare talvolta datato, ha ancora notevole pregnanza operativa il suo discorso religioso e pastorale attento al processo educativo e inserito in un quadro di salvezza totale. E questo discorso di​​ DB,​​ padre e maestro dei giovani, non va rivolto a piccoli gruppi privilegiati ma si allarga alle masse giovanili, per una rigenerazione cristiana della società: «Basta che siate giovani perché io vi ami assai» (Scritti, 30). Sono privilegiati unicamente i «più poveri, abbandonati e pericolanti».

 

Bibliografia

Fonti

Cenno storico dell’Oratorio di San Francesco di Sales,​​ Cenni storici intorno all’Oratorio di San Francesco di Sales,​​ in:​​ Don Bosco nella Chiesa a servizio dell’umanità.​​ Studi e testimonianze,​​ a cura di P. Braido, LAS, Roma 1987, pp. 38-81;​​ Epistolario di San Giovanni Bosco​​ 4 vol., a cura di E. Ceria, SEI, Torino 1955-1959;​​ Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales dal 1815 al 1855, a cura di E. Ceria, SEI, Torino 1946;​​ Opere edite. Prima serie:​​ Libri e opuscoli​​ 37 vol. (ristampa anastatica), LAS, Roma 1977-1978;​​ Scritti pedagogici e spirituali,​​ a cura di J. Borrego, P. Braido, A. Ferreira, F. Motto, J. M. Prellezo, LAS, Roma 1987.

Studi

Braido P.,​​ Significato e limiti della presenza del sistema educativo di don Bosco nei suoi scritti, in: S. G. Bosco, Scritti sul sistema preventivo nell’educazione della gioventù, La Scuola, Brescia 1965, pp. XII1-LVII; Idem,​​ Il progetto operativo di don Bosco e l’utopia della società cristiana, LAS, Roma 1982; Braido P. (ed.),​​ Esperienze di pedagogia cristiana nella storia​​ vol. II: sec. XVII-XIX, LAS, Roma 1981; Ceria E. (ed.),​​ Annali delta Società Salesiana​​ 4 vol., SEI, Torino 1941-1951; Desramaut F.,​​ Don Bosco et la vie spirituelle, Beauchesne, Paris 1967; Palumbieri S.,​​ Don Bosco e l’uomo nell’orizzonte del personalismo,​​ Gribaudi Editore, Torino 1987; Schepens J.,​​ L ’activité littéraire de don Bosco au sujet de la pénitence e de l’eucharistie, in «Salesianum» 50 (1988) 9-50; Stella P.,​​ Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, 2 voll., LAS, Roma 1979-1981; Idem, «Lo studio e gli studi su don Bosco e sul suo pensiero pedagogico-educativo: problemi e prospettive», in: Vecchi J. E. - J. M. Prellezo,​​ Prassi educativa pastorale e scienze dell’educazione, Editrice SDB, Roma 1988, pp. 15-33; Vecchi J. - J. M. Prellezo (edd.),​​ Progetto educativo pastorale. Elementi modulari, LAS, Roma 1984.

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BOSCO Giovanni

BOSSUET Jacques Benigne

 

BOSSUET Jacques Benigne

Bossuet​​ (Jacques​​ Bénigne)​​ 1627-1704: predicatore di corte, precettore del delfino, vescovo di​​ Meaux​​ dal 1681 al 1704. Con le sue doti di oratore, il suo sapere, i suoi interventi in tutte le controversie del tempo, fu guida morale della Chiesa di Francia. Preparato al sacerdozio da Vincenzo de’ Paoli, per tutta la vita si è ispirato a questa figura, particolarmente nella sua diocesi di​​ Meaux.​​ Egli visita le 230 parrocchie, predica con semplicità (sono conservate oltre 300 delle sue esortazioni pastorali), si occupa dei suoi 300 sacerdoti. Avendo sentito, otto mesi dopo il suo arrivo, che vi erano lamentele circa il catechismo della diocesi, si mette all’opera per comporne uno “a suo modo”. Nel 1686 annuncia ai suoi sacerdoti che il catechismo è pronto, e rinvia a “una ampia prefazione che deve ancora premettere, in cui insegnerà il metodo di fare bene (il catechismo)” (“Revue Bossuet”, 1904, 267). Il​​ Catéchisme du Diocèse de Meaux​​ appare nel 1687. Fu ristampato a Meaux fino al 1834, e il suo influsso andò largamente al di là della diocesi.

Di fatto, nel manuale di B. sono riuniti tre catechismi. Anzitutto le primissime preghiere che i padri e le madri di famiglia devono insegnare ai loro bambini non appena incominciano a parlare: “Sappiate che voi dovete essere i primi e i principali catechisti dei vostri figli”, dichiara la​​ Prefazione.​​ Quando i bambini giungono all’età della ragione, i genitori li devono portare in chiesa. B. propone allora due catechismi, poiché divide i fanciulli in due categorie: “quelli che di solito si preparano alla confermazione (attorno a 7-8 anni)”, “quelli che sono maggiormente progrediti nella conoscenza dei misteri e che si incomincia a preparare alla comunione (verso 11-12 anni)». Il primo catechismo sviluppa le quattro formule cat. fondamentali: Credo – Pater – Comandamenti – Sacramenti. Il secondo segue un altro piano, che corrisponde a un livello più riflessivo e più elaborato della C. Incomincia con un “breve sunto della storia sacra” in otto capitoli; poi cinque lezioni sulla caduta dell’uomo e la redenzione in Cristo. E ora, si domanda B., “non abbiamo forse più nulla da fare per essere salvati da Gesù Cristo?”. Risponde: “Bisogna credere in lui, e vivere secondo i suoi precetti e i suoi esempi”. Il catechismo parlerà perciò della fede, della speranza, della carità, poi dei “sacramenti che ci applicano la virtù della redenzione”. Dopo di ciò la C. non è terminata: “Voi sapete bene, dice il vescovo ai suoi sacerdoti, che una delle principali funzioni che la Chiesa si propone nell’istituzione delle feste è l’istruzione dei fedeli”. B. propone perciò un catechismo delle feste: 2 lezioni sulla domenica e sulla parrocchia; 14 sulle feste di nostro Signore, 7 sulle feste della Vergine, 14 per le feste dei santi.

“Ci è sembrato che il frutto della C. non dovrebbe essere soltanto nell’insegnare ai fedeli i primi elementi della fede, ma anche nel renderli capaci di istruzioni più solide: perciò è stato necessario incominciare a dar loro il gusto e fornir loro alcuni aspetti del linguaggio della Scrittura e della Chiesa” (Prefazione').​​ L’obiettivo di B. è quindi chiaro: introdurre al linguaggio della Scrittura e della Chiesa. Attraverso tutto il​​ Catechismo de Meaux​​ noi troviamo una presentazione globale del Mistero cristiano: “Vi esortiamo, dice ancora il vescovo ai suoi sacerdoti, a inserire sempre nelle vostre allocuzioni e nelle vostre prediche qualche elemento del catechismo e di ritornare sovente sui misteri di Gesù Cristo e sulla dottrina dei sacramenti, perché queste cose, se trattate bene, ispirano l’amore di Dio, e insieme con l’amore di Dio, tutte le virtù”. L’insistenza sui sacramenti e sulla liturgia è la caratteristica di questi catechismi. Si tratta di esporre davanti al catechizzando i misteri del Cristo attualizzati nella liturgia e nei sacramenti della Chiesa.

Bibliografia

Catéchisme du diocèse​​ de Meaux,​​ Paris,​​ Bénard,​​ 1687; E.​​ Germain,​​ Langages​​ de la​​ foi à travers l’histoire,​​ Paris, Fayard-Mame, 1972; F. Le Dieu,​​ Mémoires et journal sur la vie et les ouvrages de Bossuet​​ par l’abbé Guittée, Paris, Dedier,​​ 185657;​​ “Revue Bossuet”. Oeuvres inédites. Documents et bibliographie, Paris, St-Guillaume, 1900-1904.

Elisabeth Germain

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BOSSUET Jacques Benigne

BOYER André

 

BOYER André

Nato nel 1890, dal 1931 fu direttore dei catechisti volontari nella diocesi di Digione e dal 1938 ispettore dell’insegnamento religioso. Nel 1941 fu eletto membro della Commissione Nazionale del catechismo. Dal 1947 al 1954 fu direttore del Centro Naz. della C. Morì a Digione il 16 agosto 1976. Il can. B. ebbe per maestri due grandi vescovi di Digione: mons. Landrieux e mons. Petit de Julleville, ambedue interamente dedicati alla causa del catechismo. Le sue pubblicazioni in campo cat. cominciano nel 1933 con diversi opuscoli (1933-1936) editi presso il​​ Secrétariat​​ des catéchistes​​ di Digione. La prima opera che lo fa conoscere è​​ Le catéchisme vivant​​ (Paris, Desclée de Brouwer, 1935, 19382). Egli mise subito l’accento sullo sforzo pedagogico, che non doveva essere inferiore in nulla a quello della pedagogia laica. Una decina di anni dopo pubblica i due volumi:​​ Pédagogie chrétienne,​​ I.​​ Problèmes et méthodes​​ (Paris, Lethielleux, 1944) e IL​​ Catéchétique​​ (Paris, Lethielleux, 1947), che costituiscono una riflessione teorica sul meglio allora esistente in campo pedagogico-cat., “più una inchiesta oggettiva che un metodo personale” (P. Vernhet).

Idee interessanti egli espone nei volumetti della collana “Questions de pédagogie​​ catéchistique”, editi sempre da Lethielleux: 1.​​ Catéchisme et éducation,​​ 1943. 2.​​ La première​​ communion des petits enfants,​​ 1945. 3.​​ Du catéchisme vivant au catéchisme vécu,​​ 1943. 4.​​ Méthodes actives? Non. Pédagogie active? Oui. Catéchisme vivant? Mieux encore,​​ 1947. 5.​​ Du catéchisme vécu au catéchisme missionnaire,​​ 1949. 6.​​ Catéchisme et monde nouveau,​​ 1950.​​ Nel​​ 1939​​ (e poi nel​​ 1947)​​ pubblica, in collaborazione con il can. → Quinet, una edizione particolarmente curata dal punto di vista pedagogico del​​ Catéchisme à l’usage des diocèses de France​​ (ed. Marne, tre milioni di esemplari, tradotto in tedesco, polacco e sesoto), e nel 1941 (e 1947) il​​ Petit​​ catéchisme à l’usage des diocèses de France​​ (per i 7-9​​ anni:​​ un​​ milione​​ e 200​​ mila esemplari).​​ A​​ partire dagli anni ’50 il B., superate le fasi della​​ ricerca​​ e della​​ riflessione,​​ entra in una​​ fase costruttiva,​​ in cui edita tutta una serie di opere, presso le Éd. de​​ l’École,​​ raggruppate nella collana “Éducation​​ progressive​​ du chrétien”. Essa ha quattro sezioni: A. Prima dell’età di ragione: il risveglio religioso. B. All’età di ragione: l’iniziazione cristiana. C. Per l’infanzia adulta: la formazione cristiana. D. Per l’adolescenza.

Di B. si è detto che “mette ordine e chiarezza tra le novità metodologiche numerose e diseguali: lascia cadere le iniziative senza interesse, scoraggia gli sforzi senza avvenire, mette in valore e precisa con perspicacia ciò che deve durare” (Ranwez). Fin dal 1932 egli aveva collaborato con Quinet e Charles alla riv. “Cahiers Catéchistiques”​​ (19321939),​​ estimasi con la guerra, e poi alla “Documentation Catéchistique”, iniziata nel 1943. Nel 1946 il Centro Naz. di C., sotto la sua direzione, inizia la rivista pratica per i catechisti “Mon Catéchisme”​​ (a cui succederanno: nel 1955 “Catéchistes d’aujourd’hui”, e nel 1973 “Points​​ de​​ repère”).

B. fu un infaticabile organizzatore della C., prima a Digione e poi, dal Centro Nazionale, per tutta la Francia. Nel 1950 scrisse una​​ Guide​​ du visiteur​​ per il Centro Nazionale, e un altro opuscolo:​​ L'office catéchétique,​​ di tipo organizzativo. Si interessò, sostenuto dai cardinali Suhard e Feltin, alla difficile creazione dell’ →​​ Institut Supérieur​​ de Catéchétique in seno alla Facoltà di Teologia dell’Institut Catholique​​ di Parigi; esso iniziò le lezioni nel 1950-1951 sotto la direzione di​​ François​​ Coudreau. A partire dal 1948-1949, B. iniziò le​​ Journées Nationales,​​ o incontri nazionali di responsabili della C., che avranno un ruolo molto importante negli anni ’50 per la diffusione delle idee del rinnovamento cat. Nel suo volume autobiografico:​​ Un​​ demi-siècle...​​ (v. Bibl.) ci ha lasciato una testimonianza personale importante per la storia della C. francese nella prima metà del ’900. B. contribuì, “senza inventare molto, a diffondere le idee di altri, e in particolare di E. Charles, → M. Fargues e dei sostenitori della Scuola nuova; soprattutto, favorì la fondazione degli organismi necessari per l’espansione futura del movimento” (G. Adler – G. Vogeleisen). Egli vide il problema del catechismo sotto i vari aspetti: biblico e liturgico, individuale e comunitario. Forse non diede ancora sufficiente importanza a certi ambienti di vita, familiare e sociale, come farà la corrente pastorale-missionaria di Rétif, Daniel, Munich e Lanquetin. Il metodo di B. nasce sostanzialmente dalla preoccupazione pastorale di un’anima sacerdotale che con sincerità riconosce l’inefficacia e le manchevolezze della C. attuale e coraggiosamente e intelligentemente cerca di migliorarla. La sua opera si inserisce nella fioritura del movimento francese, presentando una soluzione equilibrata e costituendo una corrente nuova: quella attivo-educativo-missionaria. B. accettò, infatti, i valori della scuola di → Saint-Sulpice, di Dijon, di → Monaco e di Pichler, da una parte, e i migliori suggerimenti didattici della Scuola attiva, dall’altra.

Bibliografia

1.​​ Opere.​​ Abbiamo già citato le principali. Un elenco accurato di esse si può trovare nello studio di L.​​ Csonka,​​ e nel suo volume autobiografico, sotto indicati.

2.​​ Studi.​​ G. Adler – G. Vogeleisen,​​ Un siede de catéchèse en France,​​ Paris, Beauchesne, 1981, 186-192; A. Boyer,​​ Un demi-siècle au sein du mouvement​​ catéchistique​​ français,​​ Paris, Éd. de l’École, 1966; L. Csonka,​​ L'opera catechistica del Can. André Foyer,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 6 (1959) 773-801.

Ubaldo Gianetto

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BOYER André
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