BADEN POWELL Robert

BADEN POWELL​​ (1857-1977)

Giacomo Grasso

 

1. La vita

2. Il metodo

2.1. Premessa

2.2. Gli scritti

2.3. La proposta

 

Con la sigla B.P. duecentocinquanta milioni di ragazzi hanno indicato il fondatore del più diffuso e interessante movimento giovanile che la storia ricordi: lo scautismo. Duecentocinquanta milioni, in ottant’anni di diffusione del movimento in tutte le parti del mondo. Ragazzi di ogni Paese — non sempre in ogni Paese, perché qui e là, durante questi ottant’anni, regimi poco favorevoli alla libertà di aggregazione hanno soppresso le associazioni scaut —, di ogni fede religiosa — non è ammissibile essere scout e areligioso —, hanno giocato e giocano ancora l’avventura scaut fedeli alle indicazioni, ai metodi, allo stile di B.P.

Per questo grande seguito B.P. merita di essere conosciuto e ricordato: grande seguito che trova il fondamento in quello che è in sé lo scautismo, avverato dall’accoglienza prima dei ragazzi inglesi di ottant’anni fa, poi dei ragazzi di tutto il mondo, anche assai diversi, per tempi e cultura, da quelli che per primi lessero «Scautismo per ragazzi»,​​ entusiasmandosene in tal maniera da spingere

B. P. ad organizzarli in un «movimento». Come è noto B.P. non solo non era cattolico romano, ma in un certo senso non aveva preoccupazioni «pastorali». Eppure Paolo VI — dopo la celebrazione del Vaticano II — disse che il Concilio aveva «canonizzato il metodo», e Giovanni Paolo II ha parlato più volte di lui sino a collocarlo tra i santi non canonizzati.

Prima di parlare di B.P., per evitare equivoci, e per meglio coglierne le caratteristiche, occorre notare almeno due cose: e cioè che lo scautismo​​ comunque​​ consegna una «spiritualità», e che un rilevante ruolo ha giocato e gioca nella nostra Chiesa lo scautismo dei cattolici, anch’esso si può dire da ottant’anni.

 

1.​​ La vita

Robert Stephenson Smyth Baden Powell nacque — dodicesimo di quattordici figli — il 22 febbraio 1857. Suo padre, membro della Società Reale, professore di teologia e di geometria ad Oxford, pastore anglicano, ebbe otto figli dalla prima moglie e sei dalla seconda, Henriette Grace Smyth, madre di Robert e di altri cinque figli. Si era sposata ventiduenne nel 1846. Suo marito ne aveva cinquanta. Sarebbe morto sessantaquattrenne nel 1860 lasciandole il peso di una numerosa famiglia.

Orfano di padre a tre anni, «Ste» (così lo chiamavano in famiglia) ebbe nel nonno materno, l’ammiraglio Smyth, e nella madre, due rilevanti educatori. Nel 1876 terminò gli studi, compiuti, come allora usava, stando lontano da casa. Mantenne, però, una settimanale corrispondenza con la madre, e i collegamenti con i fratelli durante l’estate. Sempre nel 1876 iniziò la carriera militare: in India sino al 1884, poi per circa un anno in Sud Africa. Seguono due anni che lo vedono impegnato in missioni per il suo Paese in Germania, in Russia e in altre nazioni, finché nel 1887 torna in Sud Africa. Altri tre anni (dal 1890 al 1893) nell’Intelligence Service.​​ Sono gli anni in cui, da Malta dove risiede, viaggia in diversi Paesi del Mediterraneo, Italia compresa. Altri due anni li passa in Irlanda, per poi essere trasferito in Costa d’Oro per la Campagna contro gli Ashanti. Intanto è divenuto Colonnello e comanda un Reggimento. Il suo stile è sempre quello di puntare molto sulla fiducia e sul senso dell’onore. Riesce a trasformare spedizioni punitive in iniziative pacificatrici. Nuovamente in Inghilterra, riparte per il Sud Africa nel 1899. Siamo alla vigilia della guerra anglo-boera. Si stabilisce, come comandante della frontiera nord-occidentale, a Mafeking. Scoppia in ottobre la guerra, Mafeking è assediata. L’assedio dura più di duecento giorni. Nel territorio assediato Baden-Powell fa stampare moneta, francobolli, e organizza un corpo di Cadetti, ragazzi addetti a servizi di pubblica utilità: notando i buoni risultati comincia a rendersi conto di come possa forgiarli lo​​ scouting​​ (lo scautismo, l’essere impegnati sulla frontiera...).

L’assedio, il 16 maggio 1900, è spezzato. Londra esulta, la Regina Vittoria, che regna da sessantatré anni, nomina B.P. maggior-generale, a quarantatré anni!

Seguono ancora alcuni anni in Sud Africa, interrotti da un soggiorno in Patria per malattia, poi alcuni anni di attività come Ispettore Generale della Cavalleria in Gran Bretagna. Nel 1907 è messo quasi in disparte. È proprio però il 1907 l’anno del suo primo esperimento di​​ scouting​​ con una ventina di ragazzi nell’isola di Brownsea. Nel 1908 appaiono le dispense di​​ scautismo per ragazzi.​​ Poiché i suoi giovani lettori si entusiasmano e vogliono un movimento, nasce lo scautismo che a poco a poco avrà anche una sua organizzazione. Nel 1910 lascia definitivamente l’esercito. Il suo movimento è affermato. Re Edoardo VII lo crea Baronetto di Giwell. B.P. comincia ad essere noto a centinaia di migliaia di ragazzi e anche di ragazze: le ragazze-esploratrici, o guide. Nel 1912 sposa Olave St. Claire Soames che gli darà tre figli e assumerà la direzione del movimento femminile. Lady Olave, di trent’anni più giovane, sarà Capo Guida del Mondo fino alla morte, avvenuta nel 1977.

Lo scoppio della guerra, nel 1914, non trova impreparato B.P. che, da buon conoscitore della situazione politico-militare, l’aveva prevista. E ne aveva previsto le tragedie. Militare di carriera B.P. non fu mai un militarista, e svolse una grande opera per la pace: negli anni di guerra svolgendo un’azione educatrice tesa ad eliminare ogni forma di odio, subito dopo coordinando gli scouts di tutto il mondo per ricostruire la pace. Così nel 1920 organizza a Olimpia (Londra) il primo Jamboree (incontro) mondiale. Nasce informalmente la Conferenza Mondiale dello Scautismo. Da quell’anno, ogni due anni, si riunirà la Conferenza. Fino al 1941, anno della morte di Baden-Powell, si terranno altri quattro Jamboree mondiali e tre Rover-Moot (incontri per giovani: in un primo tempo lo scautismo era stato pensato per ragazzi dai 12 ai 17-18 anni; ben presto però si aggiunsero i Lupetti, 8-12 anni, e i Rovers, dai 18 anni in su. Attualmente gli archi di età sono un po’ mutati, tenendo anche conto delle situazioni dei diversi paesi. Esiste anche, con un collegamento internazionale, il movimento degli Adulti Scouts e Guide).

In Italia il movimento approdò verso il 1911, ebbe una sua consistenza organizzativa dal 1914 (Corpo Nazionale dei Giovarti Esploratori. Nel 1916 sorse l’Associazione Scautistica Cattolica Italiana. Soppresse dal fascismo nel 1927 e 1928 le due associazioni risorsero a guerra finita dando origine alla Federazione. Accanto ad esse due associazioni femminili, pure federate. Ora sono entrambe fuse: il CNGEI e l’AGESCI).

 

2. Il metodo

 

2.1. Premessa

Prima di presentare sommariamente i tratti di un’entusiasmante impresa pedagogica come lo scautismo, davvero adattabile ovunque nel mondo giovanile, si ritorna ancora un momento su quanto accennato a proposito di «spiritualità» dello scautismo e di scautismo dei cattolici.

Lo scautismo come metodo educativo «semina il buon grano di una spiritualità». Sono parole di B.P., scritte nel 1909, quasi per rispondere ad un’accusa rivolta a​​ Scautismo per ragazzi.​​ Le ha recentemente citate uno dei più profondi studiosi di storia dello scautismo, Mario Sica. Baden-Powell lascia agli educatori le forme concrete di questa spiritualità, comunque individuabile. È il metodo stesso a diventare così, nelle mani di un cristiano, «la parabola scaut», e in questo senso si è mossa​​ l’équipe​​ dell’AGESCI che ha approntato il​​ Progetto Unitario di Catechesi.

Quanto allo scautismo dei cattolici: gruppi scauts di cattolici nacquero subito, già in Inghilterra. Poi nacquero associazioni (tra le più antiche quella italiana, già citata). Negli anni ’30 ebbero un grande sviluppo quella francese, quelle belghe, quella olandese. Così, dopo la guerra, e con l’apporto di quella tedesca e austriaca, nonché di tanti altre minori, si organizzò una Conferenza Internazionale dello Scautismo Cattolico, molto attiva anche in America Latina e in Africa. Essa favorì, come la corrispondente delle Guide, non solo i collegamenti e i reciproci scambi, ma anche l’approfondimento del ruolo evangelizzatore dello scautismo. In questo senso la​​ Carta Internazionale Cattolica dello Scautismo e del Guidismo,​​ approvata dalla Santa Sede nel 1977. Entrambe le Conferenze fanno parte delle Organizzazioni Internazionali Cattoliche presso il​​ Pontificium Consilium prò Laicis.​​ Nei paesi di tradizione anglofona non si hanno associazioni di cattolici, ma comitati di cattolici nell’unica organizzazione nazionale.

 

2.2. Gli scritti

B.P. scrisse diverse opere già prima di lanciare il suo metodo educativo basato sullo​​ scouting.​​ Sono scritti che riguardano o sue imprese militari o l’addestramento nell’esercito. In esse si coglie già il suo stile: grande attenzione alla realtà, spirito d’osservazione, valutazione e studio del carattere. Poi iniziò, dal 1908, la pubblicazione di opere scaut, a partire dal già citato​​ Scautismo per ragazzi,​​ apparso in molte edizioni e studiato criticamente da centinaia di studiosi di molte parti del mondo. Seguono, si può dire ogni anno, opere di respiro vario. Tra le più riuscite​​ La via verso il successo​​ (1922) che riguarda i giovani. Nel 1916 era stato pubblicato​​ II manuale dei lupetti,​​ per i fanciulli, dovuto in qualche modo all’intesa col Kipling de​​ II libro della Giungla.​​ Non vanno, infine, dimenticati i continui articoli redatti per riviste scaut, soprattutto per Capi educatori (in parte oggi raccolti in antologie curate a livello mondiale da Mario Sica), e la fitta corrispondenza. Stile immediato, di facile lettura, sempre molto concreto. Contenuti intrisi di ottimismo, di speranza, di fiducia anche quando Baden-Powell mostrava chiaramente di non ignorare la drammaticità della situazione storica in cui si trovava a vivere. Anche se comprensibilmente «datate» le sue pagine, sapendo estrapolare da alcune esemplificazioni che appartengono ai «suoi» tempi, propongono indicazioni che senza pretendere l’universalità (si tratta pur sempre di preoccupazioni «pedagogiche» anche se B.P. non avrebbe amato sentirle definire tali), continuano ad essere attuali perché si riferiscono a fanciulli, ragazzi e giovani colti nelle loro esigenze di base, quelle in qualche modo «naturali».

 

2.3. La proposta

Lo scopo che B.P. si è proposto è stato quello di aiutare con un metodo attraente e adeguato fanciulli, adolescenti e giovani nel loro crescere. Una crescita globale, non solo a livello di singoli ma di persone che fanno parte di una nazione dell’intera umanità. Per la crescita del singolo propone «quattro punti»: carattere, salute e forza fisica, abilità manuale, servizio. Questo ultimo si apre decisamente al sociale che si dilata nella «mondialità».

L’originalità di B.P. non sta tanto nelle annotazioni pedagogiche talora assunte dalla tradizione inglese del XVIII secolo, o nell’«impara facendo», né nell’attenzione verso la natura (esistevano molte organizzazioni in Gran Bretagna e in Germania che si occupavano dell’inserimento dei giovani negli ambienti «naturali»). L’originalità la si trova piuttosto nell’aver ben combinato insieme tanti diversi aspetti dando importanza, e responsabilità, ai ragazzi. Ne è un’espressione tipica la​​ Promessa​​ e la​​ Legge,​​ e l’organizzazione della vita del piccolo gruppo, per gli scouts e guide la «squadriglia». Il tutto senza mai esasperare nessuno dei «quattro punti». Il «carattere» non punta a «superuomini», ma a gente che impara ogni giorno a vivere in pienezza anche i fatti più consueti; la «salute e forza fisica» non esaspera queste doti, ma insiste perché anche chi è portatore di handicap risponda al meglio; l’«abilità manuale» non è protagonismo del «fai da te»; il «servizio» parte dal «bel colpo!» (in italiano si dice «buona azione»), quasi uno scherzo quotidiano, col quale però ci si abitua ad aiutare il prossimo.

È cosi che un generale vittoriano, ormai più che cinquantenne, è stato per altri trentatré anni (B.P. morì a Nyeri in Kenia ove si era ritirato a vivere, l’8 gennaio 1941) un animatore nel mondo giovanile. Uno che ha offerto a ragazzi e ragazze di tutto il mondo un metodo per vivere meglio e a ragazzi e ragazze in ambienti cristiani la possibilità di rendere matura la propria adesione all’evangelo. Lo ha fatto, come scrive lui stesso, incoraggiando «l’individuo a sviluppare da sé la propria personalità». Accusato, in ambienti cattolici, di essere un metodo «naturalista», lo scautismo di B.P. non ha avuto bisogno di difendersi con contro-polemiche. Quattro anni dopo la morte di B.P., uno scout e jocista francese, Marcel Callo, moriva la sera del 19 marzo 1945 nel campo di sterminio di Mauthausen tra le braccia di un compagno di prigionia, non credente, che acquistò la fede assistendo a quella morte. Nel proclamare Beato Marcel Callo, scout, jocista, martire, il 4 ottobre 1987, Giovanni Paolo II attribuì alla sua formazione scaut il merito di aver preparato quel giovane alle decisioni che lo portarono all’estrema testimonianza di fede.

In una «nota», trovata dopo la morte di Baden Powell, ma scritta probabilmente già nel 1929, si legge, a proposito dei capi degli scouts e delle guide: «voi non solo svolgete una grande opera per i figli del vostro prossimo ma contribuite anche in modo pratico a realizzare sulla terra il regno di Dio, basato sulla pace e sulla buona volontà». È un’affermazione che si può attribuire a B.P. che ha contribuito, come educatore, a questa realizzazione.

 

Bibliografia

Le principali opere di Baden-Powell sono edite in italiano dall’Editrice Ancora di Milano nella Collana​​ Orientamenti dello Scoutismo​​ e autorizzate dalla Federazione Italiana dello Scautismo.

Per ricerche su Baden-Powell e sullo scautismo è indispensabile far riferimento, in Italia, all’Archivio e alla Biblioteca del «Centro Studi M. Mazza», via Fassolo, 29 - 16126 Genova.

Sulla vita e le opere di Baden-Powell cf:

Bastin R.,​​ Lord Baden-Powell of Giwell, cittadino del mondo, Centro Librario Italiano, Roma 1955; Hansen W.,​​ Il lupo che non dorme mai, LDC, Leumann 1988; Janovitz F.,​​ B.P., una vita per la felicità, Boria, Roma 1977.

Per le conseguenze pastorali, cf:

Agesci,​​ Dalla promessa alla partenza, il Progetto Unitario di Catechesi, Ancora, Milano 1983, e le riviste per Capi e Assistenti Ecclesiastici​​ Scout, proposta educativa​​ e​​ Servire,​​ da richiedere ad AGESCI, p.za P. Paoli, 18 - 00186 Roma.

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BADEN POWELL Robert

BALBUZIE

 

BALBUZIE

Disturbo del linguaggio che si manifesta sotto forma di ritardi, arresti, ripetizioni delle parole, per cui il ritmo e la melodia del discorso appaiono fortemente alterati. La b. compromette i passaggi tra l’ideazione e la realizzazione verbale, deforma gli stili di​​ ​​ comunicazione, condiziona le modalità di relazione sociale, accresce i conflitti emotivi e pregiudica la​​ ​​ stima di sé. La b. è più frequente nei maschi che nelle femmine.

1. Vi sono differenti tipi di b.: a)​​ Tonica.​​ Caratterizzata da un arresto all’inizio della parola con prolungamento della sillaba o anche solo del fonema difficile da pronunciare. b)​​ Clonica.​​ Si verifica quando c’è la ripetizione più o meno continua di una sillaba, specie della prima. c)​​ Tonico-clonica.​​ La si riscontra quando si sommano prolungamento e ripetizione fino a rendere quasi impossibile la comunicazione. d)​​ Atonica.​​ È caratterizzata dal blocco della parola. e)​​ Parabolica.​​ Compare quando l’eloquio è interrotto da parole o suoni che non hanno alcun rapporto con il senso del discorso. Dal punto di vista evolutivo esistono due tipi di b.: a)​​ Primaria.​​ Quando compare fin dall’inizio dell’acquisizione del linguaggio e quindi prima dei tre anni. b)​​ Secondaria.​​ Se compare dopo un congruo periodo di linguaggio corretto.

2. L’eziologia della b. è diversamente spiegata. L’approccio​​ organicistico​​ sostiene che essa può essere determinata da alterazioni motorie, dalla predominanza dell’ortosimpatico, da fattori ereditari, da lesioni localizzate o diffuse del sistema nervoso centrale o periferico. L’approccio​​ psicologico​​ sottolinea che le spiegazioni di carattere organico non sono in grado di chiarire il perché ci sono delle b. che variano da un giorno all’altro in base: all’interlocutore, allo stato emotivo del soggetto, al contenuto del discorso, al contesto in cui si trova. Fa inoltre notare che la b. si attenua o addirittura scompare se il testo è conosciuto a memoria, se il soggetto canta, se parla con se stesso o con un animale. La b. è quindi vista come risultato del rapporto disturbato dell’Io con l’ambiente. Secondo la​​ teoria del conflitto appreso​​ la genesi della b. è legata ad un contesto familiare frustrante, per cui i genitori reagiscono in modo critico ai tentativi di pronunciamento delle prime parole da parte del bambino. Per la​​ teoria psicoanalitica​​ la b. è un sintomo che si colloca tra la nevrosi ossessiva e l’isteria di conversione. Sullo sfondo sono interessati l’erotismo orale, anale e fallico, vissuti in modo estremamente ambivalente (amore-odio). Più precisamente, la b. che insorge nella prima infanzia è interpretabile soprattutto come conflitto tra autonomia-dipendenza dalla madre, mentre quella che compare in età scolare va intesa come sintomo di ansia di competizione, dove sono più presenti aspetti della fase anale (trattenere-espellere) e della fase fallico-edipica (esibizione-antagonismo).

3. A seconda delle spiegazioni eziologiche fornite, vengono proposti: interventi ortofonici, psicoterapeutici o di tipo misto (correzione dell’articolazione fonatoria e psicoterapia).

Bibliografia

Anzieu A. et al.,​​ Psicoanalisi e linguaggio. Dal corpo alla parola,​​ Roma, Borla, 1980; Cippone De Filippis A.,​​ Turbe del linguaggio e riabilitazione, Roma, Armando, 1993; Minuto I.,​​ Le patologie del linguaggio infantile,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1994; Strocchi M. C.,​​ B. Il trattamento cognitivo-comportamentale, Gardolo, Erickson, 2003; D’ambrosio M.,​​ B. Percorsi teorici e clinici integrati, Milano, McGraw-Hill, 2005; Bitetti A.,​​ B., Roma, Armando, 2006.

V. L. Castellazzi

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BALBUZIE

BAMBINI – Catechesi dei

 

BAMBINI (Catechesi dei)

1.​​ Chiamiamo CdB quella rivolta all’infanzia fino all’età scolare. Si tratta di vera e propria​​ evangelizzazione​​ perché risuoni anche nel “mondo dei B.” l’eco gioiosa del mistero di Gesù. Non è identificabile con una generica “educazione religiosa” e neppure come appendice didattica della C. dei fanciulli e dei giovani. In questa ultima accezione si tratterebbe soltanto di adattamento e di riduzione infantile. La CdB è singolare e ben caratterizzata, e costituisce il primo momento di un​​ itinerario di iniziazione​​ cristiana che avrà successivi sviluppi. Questi saranno favoriti o arrestati dalla carenza o dall’erronea impostazione di questa C.

2.​​ Si fonda sulla consapevolezza die ogni B. è persona fin dal suo nascere e non frammento del suo divenire; ed è costituito soggetto di diritti nella Chiesa per il battesimo. Inoltre i B. sono presenti nella Rivelazione divina. I libri dell’AT e del NT parlano molte volte di loro. I “libri della Legge” li riconoscono come parte viva del popolo d’Israele e non come cose appartenenti agli adulti: sono del Signore (Gn​​ 4,1; 22,1-2;​​ Es​​ 13,1). Questi libri offrono modelli di un’educazione che include i B. nell’Alleanza tra Iahvè e il popolo (Dt​​ 6,4-6; 20-25;​​ Es​​ 12,26-27). I libri dei profeti, poi, denunciano al popolo l’oppressione dei​​ poveri,​​ tra i quali sono i B., specialmente gli orfani. I libri del NT annunciano che il Padre manda suo Figlio: concepito per opera dello Spirito, diventa uomo nel grembo di Maria e nasce “bambino”. E il B. “Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc​​ 2,52).

3.​​ Gesù guarda i B. presentati a lui, li prende sulle ginocchia, li accarezza (Is​​ 66,12;​​ Mc​​ 10,13-14.16), pone le mani su di loro, benedicendoli. Siamo sollecitati a considerare questa C. come​​ “gesti” che sono realizzazione di annunci profetici (Ir 66,12) e diventano “parola”, buona novella d’amore (Is​​ 49,15).

4.​​ Ci sono nel mondo i piccoli, i B., che hanno bisogno di essere accolti. Molte volte, nella considerazione degli adulti, i B. sono ritenuti poveri di significato e di valore; spesso sono emarginati ed esclusi in varia misura dalla convivenza umana. La parola di Dio mette continuamente in discussione ciascuna persona, ogni comunità, ogni civiltà e cultura, che opprima i B. La dignità dei B. alla luce della Parola è di tutti i B., senza eccezione, perché tutti sono chiamati a conoscere il Padre, a divenire suoi figli e fratelli di Gesù.

5.​​ Alcuni di loro sono chiamati durante l’infanzia. Altri saranno chiamati in età successive. Nel battesimo, lo Spirito chiama anche i piccoli, prima ancora che essi siano in grado di cercarlo. La prassi di battezzare i B. appena nati impone oggi alle famiglie e alle comunità cristiane di interrogarsi sul significato che esse danno a questa celebrazione. All’infuori di una prospettiva di fede, che faccia di questo atto della Chiesa una manifestazione dell’amore preveniente del Padre, è difficile giustificare questa prassi: sia di fronte alle obiezioni del pensiero laico, sia di fronte all’impegno di conversione, che è connesso col battesimo. La scelta di battezzare comporta per i genitori e per le comunità cristiane, dai fedeli ai vescovi, che condividono con i genitori la responsabilità della medesima scelta, l’impegno della CdB.

6.​​ Come per Gesù, così anche di ogni B. si può parlare di un “avvento”, di un “natale”, di una “epifania”.

Avvento:​​ oggi si è tutti unanimi nel riconoscere che l’educazione del B., e di conseguenza la sua evangelizzazione, comincia prima che egli nasca. La C. pre-nuziale (→ matrimonio) è irrinunciabile per la formazione degli*sposi anche come educatori nella fede (e così dicasi della C. successiva) per i misteriosi ma reali rapporti intercorrenti tra il bambino e la madre, che lo porta in grembo.

7.​​ Il natale-,​​ è l’ingresso del B. nella strada dell’esistenza. L’antica espressione “venire alla luce” risuona gioiosamente di una buona novella: “Gesù è la luce di ogni uomo che viene a questo mondo”. Ma questo B. viene anche alla “luce” che è la sua famiglia, la sua casa, la comunità del popolo che lo riconosce come “uno dei suoi”. Su questo volto possono anche esserci segni di malattia e di morte. In questi casi occorre che un’intera comunità si stringa intorno ai genitori per una solidarietà piena che duri nel tempo e così catechizzi la dignità divina di ogni B.

8.​​ La manifestazione o epifania:​​ anche i B. crescono in sapienza, età e grazia, davanti a Dio e agli uomini. All’inizio appaiono dipendenti da altri. Si direbbero vasi vuoti da riempire, eppure giorno dopo giorno ci si accorge che sono un mondo con una sua cultura, una sua civiltà, una sua religiosità potenziali, ricco di immagini, sentimenti, attitudini nascoste che gradualmente si svegliano, vengono alla luce, prendono consistenza. Tra gli adulti e i B. si scopre la possibilità di comunicazione. I messaggi vengono scambiati con immediatezza prima delle parole che potranno essere dette. Il linguaggio dell’adulto non deve diventare uno strumento di pressione perché i B. eseguano ordini, ma un veicolo di comunicazione per una​​ comunione, per camminare insieme.

9.​​ Lo stesso messaggio della fede è comunicato gradualmente nell’ambito di questo rapporto genitori-figli (→ C. familiare; genitori). Si tratta di una comunicazione, che avviene inevitabilmente, anche quando i genitori non ne sono consapevoli. A contatto con loro, come con gli altri adulti (→ scuola materna), i B. sviluppano sempre un certo modo di vedere la realtà. Infatti c’è un giorno nella vita di ogni B. in cui per la prima volta risuona al suo orecchio un nome: Gesù. Se questo primo incontro con Gesù è sotto il segno “della vita e dell’amore”, gli sviluppi successivi saranno più facili. Se questo primo incontro fosse sotto il segno della morte e della paura, del ricatto o della tristezza, allora negli sviluppi successivi vi sarebbero certamente motivi di insofferenza e di rigetto per qualsiasi discorso cat.

10.​​ Molte volte e in diversi modi i B. colgono la presenza di Dio al di fuori e prima di parlare con lui. Quando i B. sono aiutati ad​​ ascoltare, osservare, contemplare,​​ allora diventano capaci di​​ rispondere, di parlare, di unire il gesto alle parole.​​ E la​​ preghiera​​ si fa C. Le parole e i gesti che gli adulti possono offrire ai B. per pregare, debbono essere sempre a servizio della loro spontaneità. Ma per imparare a pregare hanno bisogno di rivolgersi a chi già per primo si è rivolto a loro con amore: non possono imparare a pregare in nome di un dovere astratto.

11.​​ Tutti i B. hanno poi il diritto di sapere ciò che il Padre ha voluto rivelare ai suoi figli e in che modo lo ha rivelato. Nella persona di Gesù possono trovare questa prima intuizione d’insieme. È opportuno ricordare che la C. è sempre un servizio alla Scrittura anche quando si tratta di B. Perciò i genitori e gli educatori sono impegnati ad approfondire i grandi temi della Bibbia. Poi si tratta di​​ raccontare​​ con la semplicità dei B., nel momento più propizio (occasionalità) e nel modo più opportuno (linguaggio); senza contaminarla con fiabe e leggende non autentiche. Racconto occasionale, ma nella mente di chi lo narra deve trovare una sua organicità. Ora le​​ feste cristiane​​ restano in ogni modo le prime e principali occasioni per parlare a molti B., in modo organico e in maniera interessante, di ciò che i libri della Bibbia dicono di Gesù. Un racconto infantile non significa infantilismo: un Gesù adulto presentato in modo adatto ai B. è più interessante per loro di quanto non lo sia un Gesù bambino presentato in modo adatto agli adulti.

12.​​ Oggi c’è grande varietà di sussidi cat. per B: non tutti sono libri “di fede” o trasmettono una immagine d’insieme corretta. Si richiede un attento discernimento.

Bibliografia

CEI,​​ Il catechismo dei bambini,​​ Roma 1973; S. Cavalletti,​​ Il potenziale religioso del bambino,​​ Roma, Città Nuova, 1979; H. Lubienska de Lenval,​​ Pedagogia sacra,​​ Leumann-Torino, LDC, 1969; K. Tilmann,​​ Stupore ed esperienza, vie a Dio,​​ Roma, Ed. Paoline, 1969; R. Vianello,​​ La religiosità infantile,​​ Firenze, Giunti Barbera, 1976.

Gianfranco Fregni

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BAMBINI – Catechesi dei

BAMBINO

 

BAMBINO

Con questo termine viene indicato l’essere umano nell’età dell’infanzia (0-6 anni); a livello internazionale tuttavia è diffusa la tendenza ad usare questa parola anche per indicare il fanciullo e il preadolescente.

1. Considerato​​ homunculus​​ nel mondo classico, il b. è messo in particolare luce nel Vangelo, dove si afferma il primato dell’infanzia nel Regno, e lo si riconosce quindi come persona, il cui valore deriva dalla sua origine divina, e come titolare di una dignità che gli è coesseziale. Tuttavia nel corso dei secoli è stato considerato e rappresentato in coerenza con le istanze culturali prevalenti e la sua vita è stata fortemente condizionata da quella degli adulti e in particolare della famiglia. Dall’Ottocento in poi sono sorte e si sono affermate specifiche istituzioni educative (asili e giardini infantili,​​ ​​ asili-nido, scuole materne, scuole dell’infanzia) ed è stata elaborata, con il concorso di numerose scienze umane (pedagogia, psicologia, sociologia, antropologia culturale...) una cultura dell’infanzia che riconosce il b. come soggetto attivo, capace di interazione con i pari, gli adulti, l’ambiente, e quindi di perseguire competenze di tipo comunicativo, espressivo, logico, operativo, di maturare e di organizzare in maniera equilibrata le componenti affettive, sociali, morali e cognitive della sua personalità, grazie alle sue potenzialità che l’educazione è chiamata a promuovere.

2. A questa cultura è legato il riconoscimento di diritti inalienabili del b. in quanto persona: alla vita, alla salute, all’educazione e al rispetto dell’identità individuale, etnica, linguistica, culturale e religiosa.

Bibliografia

Paparella N.,​​ Sviluppo del b. e crescita della persona, Brescia, La Scuola, 1984; Macchietti S. S. (Ed.),​​ Il b. e… l’educazione, Roma, Euroma-La Goliardica, 2005; Macchietti S. S. (Ed.),​​ B. protagonisti tra scuola e famiglia, Ibid., 2006.

S. S. Macchietti

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BAMBINO

BARNABITI

 

BARNABITI

Chierici Regolari di s. Paolo - Ordine religioso fondato a Milano nel 1530 da s. Antonio Maria Zaccaria (1502-1539).

1. I B., chiamati così dal nome della loro prima sede, la chiesa milanese di s. Barnaba, si propongono originariamente la riforma dei costumi e l’educazione religiosa del popolo mediante l’apostolato delle «confessioni, predicazioni, opere di pietà e di misericordia». La codificazione definitiva delle costituzioni dell’Ordine viene realizzata, nel 1579, sotto la guida di s. Carlo​​ ​​ Borromeo.

2. All’inizio del Seicento, ha luogo un deciso mutamento nell’orientamento di fondo: l’Ordine comincia a occuparsi dell’educazione dei giovani, e l’impegno nella scuola finisce per caratterizzare in seguito l’opera dei B., divenuta più intensa con la soppressione dei​​ ​​ Gesuiti (sec. XVIII). Il documento pedagogico più significativo,​​ Exterarum scholarum disciplina​​ (1666), è una sorta di​​ ratio​​ molto vicina a quella gesuitica e segna l’impegno dei B. nel campo dell’educazione: «Sebbene essi non siano nati, contrariamente all’opinione corrente, per l’educazione della gioventù, dalle loro scuole e collegi sono uscite schiere di alunni illustri in ogni campo; nell’insegnamento universitario e nella ricerca scientifica hanno contato autentici maestri» (Erba, 1975, 948).

3. Tra gli istituti educativi prestigiosi diretti dai B. vanno ricordati il collegio Carlo Alberto di Moncalieri (1838), per la formazione dei quadri dirigenti del Piemonte e dell’Italia risorgimentale, e quello di s. Giovanni alle Vigne di Lodi. Alcuni scritti pedagogici dei B., come quelli di A. Teppa (1806-1871), hanno avuto notevole influsso sugli educatori cristiani dell’Ottocento (v. anche​​ ​​ Congregazioni insegnanti maschili).

Bibliografia

Erba A. M, «Chierici Regolari di San Paolo (B.)», in G. Rocca (Ed.),​​ Dizionario degli Istituti di Perfezione,​​ vol. 2, Roma, Paoline, 1975, 946-974; Bianchi A.,​​ L’istruzione secondaria tra barocco ed età dei lumi. Il collegio di S. Giovanni alle Vigne di Lodi e l’esperienza pedagogica dei B.,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1993; Bonora E.,​​ I conflitti della Controriforma. Santità e obbedienza nell’esperienza religiosa dei primi B., Milano, Le Lettere, 1998; Prellezo​​ J. M.,​​ «B., pedagogia dei»,​​ in​​ Enciclopedia filosofica, vol. 2, Milano, Bompiani / Fondaz. C.S.F. Gallarate, 2006, 1059-1060.

J. M. Prellezo

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BARNABITI

BARTOLOMEA CAPITANIO

S. BARTOLOMEA CAPITANIO

(1807-1833)

 

Agnese Quadrio

 

1. La vita

2. Linee della sua azione pastorale

2.1. L’attenzione alle giovani

2.2. L’attenzione alle giovani «pericolanti»

2.3. Tipi di intervento pastorale

2.4. Attenzioni caratteristiche

1. La vita

Bartolomea Capitanio (1807-1833) nasce e trascorre i suoi ventisei anni di vita a Lovere (in provincia di Bergamo e diocesi di Brescia), un paese che si distende sulla costa del lago d’Iseo, nell’estremità nord-occidentale.

Dal suo ambiente, aperto alla comunicazione, allo scambio, all’attività commerciale, Bartolomea assimila uno spirito intraprendente e creativo: bambina, progetta giochi e fa la maestra alle compagne, proponendosi già piccoli scopi di bene; adolescente, riconosce nel gioco delle «buschette» la chiamata alla santità e risponde con un coraggioso programma di vita. Trascorre quattro anni nell’educandato delle Clarisse per completare la sua formazione e altri due come assistente della scuola e prefetta.

Ritorna in famiglia a diciassette anni, nel 1824, già consacrata a Dio con il «voto di castità verginale perpetua» e si inserisce nell’attività parrocchiale, sostenuta dal suo direttore spirituale, don Angelo Bosio, e dal prevosto don Rusticiano Barboglio, che hanno colto in lei una non comune disponibilità a «giovare al prossimo».

Nel clima politico della Restaurazione, la parrocchia di Lovere è impegnata a ripristinare la pratica religiosa scossa dagli eventi del periodo rivoluzionario e napoleonico, promovendo iniziative pastorali con particolare attenzione ai giovani: missioni popolari, esercizi spirituali, oratori.

Bartolomea esplica le sue spiccate attitudini apostoliche e caritative nella scuola privata, aperta nel 1825 nella casa paterna, nell’oratorio femminile, a cui dà un decisivo impulso, nelle associazioni che ella suscita o anima, nell’ospedale, di cui, nel 1826, diviene direttrice ed economa.

Attraverso intensi rapporti di amicizia, incoraggia e sostiene simili iniziative anche nei paesi vicini.

E mentre opera «a vantaggio del prossimo», cerca di comporre in sé la forte attrattiva alla «contemplazione» con l’insistente richiamo di «quella benedetta carità col prossimo» che «troppo le rincrescerebbe lasciare», per entrare in un monastero (Scritti​​ I 198). Gradualmente, attraverso mozioni interiori e la constatazione del bisogno del suo tempo, le si chiarisce pure la «speciale chiamata» a fondare un istituto «il cui scopo sia le opere di misericordia» (Scritti​​ III 14). Incomincia a scriverne il progetto il 26 aprile 1831, lasciandosi ispirare dalla carità dell’«amabilissimo Redentore» e proponendone alle future figlie del suo istituto l’imitazione «fino a dare anche il sangue per il bene dei prossimi»​​ (Scritti​​ I 516).

Nasce così, il 21 novembre 1832, l’istituto «tutto fondato sulla carità». Bartolomea vi dà inizio in una casa detta Gaia, con la sua prima compagna, Caterina Gerosa.

Nel giugno del 1833 firmano insieme l’atto costitutivo della società: è un momento di fede e di coraggio profetico, poiché Bartolomea è gravemente malata e Caterina si ritiene inadeguata a continuarne l’opera.

Un mese dopo, il 26 luglio, la fondatrice muore e l’istituto passa nelle mani della compagna come una preziosa ma impegnativa eredità.

 

2.​​ Linee della sua azione pastorale

Dal momento che Bartolomea Capitanio a ventisei anni ha già concluso la sua vicenda terrena, viene spontaneo chiedersi che senso possa avere il ricercare nella sua breve esperienza e nei suoi scritti — redatti tra i diciassette e i venticinque anni — le linee caratterizzanti la sua azione presso i giovani. Eppure proprio per questo ella può efficacemente testimoniare che la pastorale giovanile non è solo azione della comunità ecclesiale «adulta» «per» i giovani, ma anche, più integralmente, azione dei giovani stessi, che vivono in modo creativo la loro esperienza di fede nella Chiesa e responsabilmente realizzano un servizio verso gli altri che condividono la loro condizione di crescita. «Il contenuto del servizio della Chiesa alla gioventù sarebbe menomato se i giovani fossero visti solo come destinatari e oggetto di questo servizio, senza essere essi stessi inseriti in misura crescente nel processo di diaconia» (Sinodo Nazionale Tedesco,​​ Scopo e compiti della pastorale giovanile,​​ in​​ Note di pastorale giovanile,​​ 8 [1974] 5,57).

La Capitanio porta i segni del suo tempo sia per quanto riguarda l’impostazione educativa, sia per ciò che concerne la spiritualità. Tuttavia ritroviamo nella sua esperienza alcune intuizioni preziose e originali. Esse non sono raccolte in trattazioni specifiche sul tema, ma disseminate qua e là nei numerosi scritti: lettere, metodi di vita, meditazioni, regole di pie unioni, ecc.

Un testo particolarmente riassuntivo delle linee fondamentali della sua azione pastorale presso i giovani è quello con cui si aprono le «Carte di fondazione». Sono brevi note nelle quali Bartolomea delinea il progetto del nuovo Istituto religioso che da lei prenderà vita. Lì si condensa in qualche modo quello che è andato via via maturando nella sua giovane esperienza ecclesiale.

«L’istituto che si fonderà in Lovere sia tutto fondato sulla Carità, e questo deve essere il suo scopo principale, specialmente esso istituto ha da essere utile alle giovani pericolanti, non escludendone nessuna di qualunque età, condizione, carattere, purché sia bisognosa o spiritualmente, o corporalmente, e che l’Istituto possa giovarle; esso si deve prestare in ogni cosa, perché per questa sorta di gioventù pochi mezzi vi sono per ridurle al bene, se non questo di allontanarle dai pericoli, ecc.» (Scritti​​ I 508).

 

2.1. L’attenzione alle giovani

Emerge subito, nel brano, l’attenzione particolare per i giovani. Va però notato che essa si colloca entro un orizzonte più ampio, quello della «Carità».

Il servizio ai giovani è visto dalla Capitanio come una delle espressioni di quella sintesi fattiva ed incarnata dell’amore di Dio e dell’uomo che è la carità (cf il «voto di carità»,​​ Scritti​​ III 696-699). Ciò non è senza rilievo. L’azione a favore dei giovani che ella realizza e progetta intende essere strumento di un amore trascendente che salva, nella ricerca del bene totale dell’uomo. Il termine «carità» ha però in lei anche una connotazione di estrema concretezza: carità è l’amore che si fa gesto quotidiano, che si prende cura (cf​​ ibidem).​​ Perciò la carità verso i giovani è per lei impegno operoso di risposta ai loro molteplici e particolari bisogni.

La sua azione pastorale interviene sui diversi aspetti della vita (istruzione, preparazione professionale, iniziazione religiosa, tempo libero, formazione morale...). C’è però uno «scopo principale» che percorre tutti questi interventi e che potremmo riassumere nell’intenzione di promuovere il «bene» dei giovani (cf​​ Scritti​​ I 516; III 646). «Bene» che trova attuazione integrale entro il rapporto filiale con Dio, in una vita che si realizza nella disponibilità al suo disegno d’amore: «Cercherò di non acquietarmi mai finché non le vegga tutte dedicate al servizio di Dio»​​ (Scritti​​ III 164); «...faccia di loro e di me tanti istrumenti della sua gloria» (Vita​​ I 218).

 

2.2. L’attenzione alle giovani «pericolanti»

« ...specialmente esso istituto ha da essere utile alle giovani pericolanti, non escludendone nessuna».

Nell’impegno di servizio all’uomo nella carità, la Capitanio avverte particolarmente importante quello orientato ai giovani e tra questi specifica «le giovani pericolanti». Sono due sottolineature che tornano ripetutamente nei suoi scritti: «Mi terrò sommamente cara la gioventù, tutto il mio amato Oratorio. Avrò distintamente a cuore quelle giovani che sono più lontane da voi» (Scritti​​ III 697). «Ma soprattutto m’ingegnerò di giovare alle anime della gioventù del mio sesso. Terrò presso di me memoria di quelle che sono più bisognose...»​​ (Scritti​​ III 164).

Esse sembrano svolgere non tanto la funzione di restringere il campo di intervento, quanto quella di garantire la reale incisività dei diversi interventi.

Infatti, benché ella progetti un istituto religioso che si pone a servizio non solo dei giovani, ma anche degli ammalati e dei «poveri» in senso più ampio, pure indica quale criterio di discernimento vocazionale l’essere «per inclinazione amanti della gioventù»​​ (Scritti​​ I 510). E benché di fatto l’intervento presso i giovani che ella attua e progetta non riesca a escludere alcuna categoria di persone (« Per iscopo di questo istituto — scrive — ... la Carità colle Figliuole, e povere, e bisognose, e ricche, e di qualunque genere che a tutte deve estendersi»,​​ (Scritti​​ I 511) tuttavia l’ampliarsi dell’intervento si realizza sempre nel riferimento ai «più bisognosi»: «...oltre la Scuola esterna, fatta alle povere per carità, che l’istituto tenga anche Educazione interna per tutte quelle giovinette o del paese, od estere che bramassero essere ivi istrutte, massime se avessero intenzione di far la Maestra, o se fossero di buona indole, da cui si sperasse buon riuscimento anche per prestarsi alla carità del prossimo»​​ (Scrìtti​​ I 510).

L’attenzione ai giovani pare essere per lei condizione per un’autentica capacità di accostare l’uomo e servirlo nell’ampiezza del suo bisogno, e la messa a fuoco dell’intervento pastorale, sui giovani «più bisognosi» condizione per una vera educazione nella fede di tutti i giovani.

Un tale punto prospettico indica, tra l’altro, che ella non vede possibilità di autenticità per il giovane e per l’educazione stessa fuori dalla logica della carità. Questa ha la sua «misura» nell’attenzione a chi è più bisognoso ed esige in chi la attua particolari «qualità umane» che ella sintetizza in quell’«amanti della gioventù».

 

2.3. Tipi di intervento pastorale

Il «bisogno» di cui parla non è limitato a un qualche aspetto della persona. «Bisogno» è qualunque condizione «corporale» o «spirituale» che appelli a un sostegno, a una risposta. Perciò scrive: «Terrò presso di me memoria di quelle che sono più bisognose o per la mancanza di chi le sorveglia, o per la povertà in cui si trovano, o per i pericoli da cui sono circondate, o per le cattive inclinazioni da cui sono dominate, o per la vivezza del temperamento»​​ (Scritti​​ III 164). L’azione in favore dei giovani assume la loro situazione di vita così come essa si trova e pone in atto tutto ciò che può aiutarne una crescita piena. Tale azione deve infatti «essere utile», deve poter «giovare».

Emerge qui l’intuizione che l’operare per il bene dei giovani deve avere una efficacia anche «storica», deve produrre situazioni nuove di esistenza. È perciò necessario che chi opera in questo campo sia disponibile a «prestarsi in ogni cosa».

Ella ha imparato dalla sua stessa esperienza che ogni aspetto dell’esistenza umana può diventare strada di maturazione verso il bene (inteso nel senso detto sopra), ed ha anche sperimentato che più sfavorevoli sono le condizioni sociali, psicologiche, morali..., più necessario è partire da alcune esigenze immediatamente sentite per condurre il giovane entro un contesto di valore che lo possa nuovamente formare.

 

2.4. Attenzioni caratteristiche

Da quanto abbiamo cercato fin qui di evidenziare, si possono comprendere alcune attenzioni che hanno caratterizzato la sua azione pastorale.

C’è anzitutto l’attenzione costante a «piegare» al particolare: a passare dalla proclamazione del valore alla individuazione degli atteggiamenti e comportamenti che conseguono, a cercare di scrivere dentro i ritmi consueti di ogni giorno l’adesione al mistero di Cristo.

È quanto ritroviamo nei numerosi «metodi di vita», «voti», «pratiche»..., che Bartolomea prepara per sé, per le amiche, per le più giovani (cf​​ Scritti​​ II). Così nel «Voto di

Carità», dopo aver detto: «Tutto ciò che Iddio mi ha concesso non lo considererò più mio, ma tutto datomi per impiegarlo a vantaggio del mio prossimo», specifica: «La vita, la sanità, il talento, i pensieri, le parole, le azioni, la roba, e tutto ciò che potrò avere in mio potere, lo rivolgerò al vantaggio e sollievo dei miei cari fratelli»​​ (Scritti​​ III 696). Si tratta di un’attenzione tipicamente educativa, tesa alla costruzione di una personalità conforme ai valori scelti. Lo stesso biografo in qualche modo la coglie: «Bartolomea facea consistere la pietà e la devozione non tanto nella recita di preghiere devote, quanto nell’esercizio pratico del vincer sé stessi e le proprie passioni...»​​ (Vita​​ I 177).

Nelle note della Capitanio tornano molto spesso espressioni come: «m’ingegnerò di giovare», «cercherò tutti i mezzi per insinuarmi nei loro cuori», «mi industrierò»... Esse indicano una particolare consapevolezza della ricerca attiva e intelligente che il lavoro pastorale presso i giovani richiede per trovare le strategie educative e i linguaggi comunicativi più adeguati.

È interessante, al proposito, una specie di «tracciato di metodo» che abbozza in un suo scritto: «Di queste tali [le giovani più bisognose] in modo distinto, supporrò d’essere madre, mi studierò prima di guadagnarmi il loro amore, poi cercherò tutti i mezzi per insinuare in loro l’orrore del peccato, la pratica della virtù, la frequenza dei Sacramenti. Coltiverò la loro amicizia, cercherò di vederle spesso, di trattenermi con loro, di secondarle dove io possa, e di non acquietarmi mai, finché non le vegga tutte dedicate al servizio di Dio»​​ (Scritti​​ III 164).

Alcune testimonianze sottolineano: «Studiava, penetrava l’indole e l’inclinazione di ciascuna, assecondandola quando non fossero illecite e così le guadagnava a Dio. Per esempio con una si metteva a cantare, ad un’altra insegnava il ricamo...»​​ (Vita​​ I 202); «...le andavamo incontro salterellando allegramente, mentre suonava il cembalo con nostro grande piacere ed edificazione, perché la sua pietà quant’era grande e sincera, altrettanto era simpatica ed efficace»​​ (Vita​​ I 187). L’animazione e diffusione di «Compagnie» e «Pie Unioni» sono strumenti che la Capitanio usa con preferenza nella sua «pastorale giovanile». Queste forme aggregative del tempo sono per essa una preziosa occasione per vivere quella condivisione nella fede dell’impegno per il Regno che è tipica dell’esperienza ecclesiale: «Avvi tra varie buonissime giovani una Santa Lega, mediante la quale vicendevolmente si animano a far del bene»​​ (Scritti​​ I 325); «La bontà e misericordia del Signore... ha posta insieme e formato questa divota adunanza... Il primo scopo e fine [è] di far rivivere nei Confratelli e Consorelle di questa Unione [dei sacri cuori di Gesù e Maria], il fervore e la pietà dei primitivi Fedeli... Non deve bastare alle persone di essa di vivere e condurre una vita discretamente buona, devono anzi tutti e tutte aspirare alla perfezione e santità...

Tutte le persone di questa pia Unione si considereranno nel Signore come altrettanti Fratelli e Sorelle...»​​ (Scritti​​ II lss).

All’interno di queste «compagnie» Bartolomea vive e stabilisce amicizie significative, mediante le quali coinvolge le sue coetanee in un servizio creativo e responsabile verso i giovani: «Il bisogno del vostro paese è molto, la gioventù in ispecie abbisogna molto della vostra assistenza»​​ (Scritti​​ I 197); «Pregommi a comporre una simile unione anche nel mio paese, ond’io formai un drappello di giovani, perciò ella mi promise di star meco in relazione intorno a quello che occorreva...» (dalla testimonianza di un’amica:​​ Vita​​ I 228). Ella stessa, in Lovere, dà vita con altre a nuove strutture di servizio: l’oratorio e l’ospedale.

Potremmo dire che questi strumenti vengono posti a servizio di una fede che cerca gradualmente la sua condizione «adulta». Ne è segno la maturazione vocazionale che all’interno delle varie unioni avveniva e per la quale ella stessa aveva una particolare attenzione. Mentre vive personalmente un itinerario di ricerca vocazionale intenso e combattuto, si fa guida di altre che cercano di conoscere il volere di Dio nella loro vita, indicando i fondamentali criteri di un discernimento: la lettura delle personali inclinazioni, l’appello proveniente dalla storia, e le necessarie condizioni: la piena disponibilità al volere di Dio, la fiducia in lui, la stima delle diverse forme vocazionali, la preghiera, l’impegno nel presente​​ (Scritti​​ 196-198).

La «pastorale giovanile» della Capitanio trova il suo «senso», la sua «direzione», nella formazione di personalità che giungono a «definirsi» secondo Gesù Cristo, per il Regno; un Regno che si offre coi suoi «beni» ai giovani stessi, anzitutto ai «più bisognosi».

 

Bibliografia

Scritti

Mazza L.,​​ Scritti spirituali della venerabile Maria Bartolomeo Capitanio, 3 volumi, Modena 1904.

Vita; Mazza L.,​​ Della vita e dell’Istituto della venerabile Maria Bartolomeo Capitanio, 2 volumi, Modena 1905.

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BARTOLOMEA CAPITANIO

BASILIO DI CESAREA

 

BASILIO DI CESAREA

n. a Cesarea di Cappadocia nel 330 ca. - m. nel 379, padre della Chiesa, santo.

1. Nato in una famiglia nobile e cristiana, compie brillanti studi a Cesarea, Costantinopoli e Atene, dove diviene amico di Gregorio di Nazianzo. Il giovane B. si dedica con entusiasmo agli studi classici. Gli viene offerta la cattedra di «retore», a Neocesarea, che egli rifiuta: è il tempo della sua conversione e del suo ritiro, è la scoperta di Dio. Poi è la volta della scoperta della via alla perfezione, cioè la meditazione della Scrittura (Lett.​​ 2, 3; PG 32, 288), alla base delle sue​​ Regole.​​ Terminati gli studi, verso il 358 chiede il battesimo; si dà alla vita ascetica di cui diviene legislatore. Nel 370 è nominato vescovo di Cesarea. Scrive tra l’altro, il​​ Discorso ai giovani.

2. I monasteri di B. offrono anche scuole (paragonabili agli attuali seminari minori) per ragazzi. L’educatore ha il compito d’insegnare al giovane «dall’inizio le nozioni elementari» del bene e del male, di presentargli «esempi di pietà», in modo che l’educando possa giudicare prontamente ciò che è bene e ciò che è male; ne deriverà, infine, che «l’abitudine acquisita gli procurerà la facilità di agire bene» (cfr.​​ 15a​​ Grande Regola;​​ PG 31, 952-957). Sullo sfondo del​​ Discorso​​ si avverte il problema dell’incontro / scontro storico fra Cristianesimo e cultura pagana (o esterna). Il significato del​​ Discorso,​​ che si rivolge a giovani studenti (15 / 16 anni), parenti di B., e indirettamente a persone di cultura, è di proporre consigli per utilizzare gli scritti della letteratura classica e, al tempo stesso, offrire una proposta di ascesi cristiana. L’operetta, finalizzata a valorizzare l’ideale monastico presso giovani, parenti di B. e legati alla cultura classica, sarà ripresa in seguito e messa alla portata di tutti i giovani.

3. La struttura del​​ Discorso,​​ si articola in due parti: nella prima sono presi in considerazione gli scritti della letteratura profana, nella seconda sono oggetto di riflessione i comportamenti positivi presenti nella cultura e nella vita dei pagani, la cui utilità non è da disattendere. La conclusione riafferma il motivo dominante dell’operetta, quello di una certa qual convergenza a livello pedagogico degli autori profani e della Scrittura, che rappresenta il vertice della​​ ​​ paideia​​ cristiana. In concreto, ai giovani frequentatori della scuola pagana, B. illustra la funzione propedeutica di essa nel comprendere i sacri insegnamenti dei misteri. La finalità fondamentale del​​ Discorso ai giovani​​ è formare nell’animo giovanile la capacità di compiere scelte critiche, prospettando alla loro libertà di giudizio i criteri essenziali. Ma per essere cristianamente critico il giudizio di scelta dev’essere in grado di discernere quanto ci riguarda specificamente.

Bibliografia

Jaeger W.,​​ Cristianesimo primitivo e paideia greca,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1966; Naldini M. (Ed.),​​ B.d.C.,​​ Discorso ai giovani. Oratio ad adolescentes, Firenze, Nardini,​​ 21990, 9-77; Pasquato O.,​​ Educazione classica e educazione cristiana nella storiografia di H. I. Marrou,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 34 (1987) 11-40; Spidlik T., «S.B.d.C.», in M. Midali - R. Tonelli (Edd.),​​ Dizionario di pastorale giovanile,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci,​​ 21992, 1094-1097.

O. Pasquato

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BASILIO DI CESAREA

BASILIO DI CESAREA

S. BASILIO DI CESAREA

(330-379)

 

Tomàs Spidlik

 

1. Vita e opere

2. La scoperta di Dio

3. La scoperta della S. Scrittura

4. La scoperta del mondo

5. La scoperta dei confratelli nella Chiesa

6. La scoperta dei giovani

1. Vita e opere

Basilio nacque intorno al 330 in Cesarea di Cappadocia (Asia Minore); compì brillanti studi a Cesarea, Costantinopoli e Atene, dove strinse intima amicizia con Gregorio di Nazianzo. Nel 358 rinunziò alla carriera e si ritirò in una proprietà di famiglia ad Annesi per cominciare la vita ascetica. Ben presto acquistò una grande autorità presso i monaci. I discepoli l’invitavano spesso a rispondere ai loro quesiti e da queste risposte nacque prima il​​ Piccolo Asceticon​​ e poi il​​ Grande Asceti con​​ (trad. ital. Roma 1854; nuova di M.B. Artioli, Torino 1980).

Nel 370 divenne vescovo di Cesarea, fra molte difficoltà: difese la fede contro gli ariani (scritto​​ Contro Eunomio),​​ in mezzo alle calamità costruì una città ospedaliera: «Basiliade». Continuò a scrivere. Da quel tempo provengono​​ Le omelie sull’Exaemeron​​ (sulla creazione del mondo),​​ il Trattato sullo Spirito Santo,​​ il​​ Discorso ai giovani sulla cultura ellenica​​ (trad. ital. di C. Mazzel, Alba 1975; a cura di N. Naldini, Firenze 1984), vari discorsi (ital.​​ Omelie scelte,​​ trad. A.M. Ricci, Firenze 1732)​​ Lettere​​ (trad. ital. di M. Forlin Patrucco, vol. I, lettere 1-46, Torino 1983). Morì il 1° gennaio 379, esausto di lavoro.

A causa delle sue​​ Regole​​ egli è noto soprattutto come fondatore e legislatore del monacheSimo cenobitico. Ma il suo pensiero è ricco anche sotto altri aspetti. Cerchiamo di indicarne i principali.

 

2.​​ La scoperta di Dio

Al giovane Basilio, venuto dalla provincia, la città di Atene, con tutte le sue scuole, doveva apparire come un canto delle Sirene che prometteva dì insegnargli tutto. Basilio si dedicò con ardore giovanile agli studi. San Gregorio Nazianzeno gli rende, nel​​ Discorso funebre​​ (PG 36,525-528), questa testimonianza: «Chi, nella retorica, poteva resistere al soffio del suo fuoco potente..., chi gli fu pari nella grammatica..., nella filosofia...? Sarebbe più facile trovare una uscita nei labirinti che fuggire la forza dei suoi argomenti..., ecc.». Finiti gli studi universitari, Basilio ricevette l’offerta dalla città di NeoCesarea della cattedra di «retore». Ma in quel tempo egli si convertì. Nella​​ Lettera​​ 223 (PG 32,824) egli stesso ci parla di questo cambiamento: «Fio passato molto tempo nella vanità, ho perso quasi tutta la mia giovinezza lavorando per acquistare degli insegnamenti di una saggezza che fu dichiarata da Dio stoltezza. Finalmente, un giorno mi sono svegliato come da un sonno profondo e rivolsi gli occhi verso la verità del vangelo...».

Le scuole filosofiche dell’antichità erano differenti, però avevano un principio fondamentale comune: la ricerca della felicità. Come tanti altri, Basilio ha scoperto che l’unica vera felicità si trova in Dio. Perciò il libro dei Salmi, dice Basilio, comincia giustamente con la promessa: «Beato l’uomo...» (PG 29.216A).

 

3.​​ La scoperta della s. Scrittura

Ritiratosi nella solitudine, Basilio decise di seguire soltanto il volere di Dio, di sentire la voce del Padre celeste. Ma chi comunica questa voce quando uno è solo? Dalla villa rustica Basilio scrive all’amico Gregorio Nazianzeno: «Una maniera veramente efficace per mettersi sulla strada della perfezione è la meditazione della Scrittura, composta sotto l’ispirazione divina. Ivi troviamo la regola della nostra condotta... Si fermi ciascuno a quei brani che parlano di quelle virtù di cui abbia bisogno. Là, come nella farmacia, accessibile a tutti, vi si trova un rimedio adatto alla malattia di ciascuno»​​ (Ep.​​ 2,3; PG 32,288).

Un novizio che si avventurava nel deserto egiziano cercava di ottenere dalla bocca di qualche famoso «padre», ispirato da Dio, una parola di salvezza, un​​ logion​​ sul come vivere. San Basilio trovava una quantità enorme di tali «parole» nella Scrittura. Bastava leggere e trovare quella che è detta a ciascuno in ogni momento determinato.

Ben presto si raccolsero intorno a lui altri monaci che gli rivolgevano svariate domande. Diventò «padre» anche lui. Ma nelle risposte ai monaci rimase fedele alla sua persuasione. Non faceva che citare e spiegare sommariamente i testi della Scrittura. Così nacquero le sue​​ Regole​​ monastiche, uno dei più importanti documenti per capire la vita religiosa sia dell’Oriente sia dell’Occidente. Il loro principio fondamentale è: vivere secondo la S. Scrittura, unica vera regola del cristiano.

 

4.​​ La scoperta del mondo

Per dedicarsi allo studio della Scrittura bisogna chiudere gli occhi alle bellezze del mondo visibile? Basilio, come asceta, lo credeva, ma non a lungo e non in modo assoluto. Era un greco e i Greci trovarono Dio guardando l’universo.

Ciò che colpisce i lettori delle​​ Omelie sull’Exaemeron è​​ il sentimento per il​​ cosmos​​ e per la sua bellezza: «Vi sono alcuni che si appassionano alle rappresentazioni impure dei teatri, altri per le corse dei cavalli. Vi si lasciano prendere a tal punto che le sognano anche durante la notte. E noi? Il Signore, grande autore e artista delle meraviglie del mondo, ci invita allo spettacolo delle sue opere. Dobbiamo forse stancarci di contemplarle? Esiteremo ad ascoltare gli insegnamenti dello Spirito?»​​ (In Hex.​​ 4,1; PG 29,80AB). Le scuole hanno insegnato a Basilio a guardare il mondo «scientificamente», cioè a vedere la superficie delle cose. Ma che cosa è il mondo se non una parola creatrice di Dio fattasi carne, voce? Impariamo a capirla come parola di Dio e tutto il mondo visibile diventerà per noi una «scuola per le anime».

 

5.​​ La scoperta dei confratelli nella chiesa

Per essere solo con Dio solo, abbà Arsenio nel deserto egiziano non parlava a nessuno e si giustificava: «Non posso essere insieme con Dio e con gli uomini... Gli uomini hanno voleri molteplici» (PG 65,88A e 92A). Il problema si presentò con urgenza anche agli occhi di Basilio.

Da una parte egli si rese conto che la vita solitaria è opposta alla natura umana che è sociale. Ma d’altra parte si pose il problema psicologico: vivere con gli uomini non ci fa perdere il prezioso ricordo di Dio? Basilio risolve la difficoltà con la seguente esortazione: «Bisogna vivere con i fratelli che sono un’anima sola» (Epist. 22; PG 32.289B). Il monastero non è che una Chiesa esemplare che imita ciò che caratterizzava la Chiesa nascente a Gerusalemme: «La moltitudine dei credenti era un cuor solo e un’anima sola» (At 4,32). Ma questo prodigio si ripete dovunque è la vera Chiesa. Per Basilio, non vi è aspetto più confortante che il vedere uomini tanto diversi d’origine, di educazione, di cultura, i quali si uniscono insieme in armonia di fede, nel vincolo dell’amore​​ (Epist.​​ 20; PG 32,433).

 

6.​​ La scoperta dei giovani

Da questo punto di vista la 15a​​ Grande Regola​​ (PG 31,952-957) offre un interesse del tutto particolare e rimane ancora oggi attuale. I monasteri basiliani fondarono scuole per i ragazzi e molte di esse avevano lo stesso scopo che oggi hanno le così dette «scuole apostoliche» e i «piccoli seminari».

Il problema che essi sovente si pongono è se si riesce davvero a educare qualcuno ad abbracciare la vita religiosa, a far voto di verginità. Basilio rimane fermamente convinto che una professione monastica può essere il risultato solo «di una persuasione personale e del giudizio di chi fa il voto». Perciò «ogni candidato deve esaminarsi seriamente, dedicarsi a una lunga deliberazione; è opportuno che gli si permetta di concentrarsi su sé stesso e riflettere per parecchi giorni, affinché non sembri che lo si vuole attirare contro la sua volontà e commettere così una specie di furto».

Allora, a che cosa servirà poi l’educazione? La scuola claustrale potrebbe facilmente cadere in questo difetto, perché «l’anima del bambino è ancora plastica e maneggevole, tenera e molle come cera la quale si lascia facilmente modellare secondo le forme che gli si imprimono». Una scuola che forma in questo modo i ragazzi modelli non assicura in sé stessa ancora il successo dell’educazione. Certo, bisogna dall’inizio insegnare ai bambini come praticare il bene, senza mai però forzare la libertà, la quale, a un certo momento della maturità, deciderà essa stessa la sua sorte. Cosa possono allora fare gli educatori? Aiutare i giovani, affiché la scelta del bene sia per loro facile, «quando verrà la ragione e si svilupperà pienamente la facoltà del discernimento e del giudizio». Questo aiuto pedagogico offrirà al giovane tre elementi preziosi: 1) Il giovane imparerà «dall’inizio le nozioni elementari» del bene e del male. 2) Avrà davanti agli occhi «esempi di pietà che gli sono stati insegnati»; così la ragione giudicherà senza esitazione ciò che è bene o male. 3) Infine, «l’abitudine acquisita gli procurerà la facilità di agire bene». Quando questo scopo è raggiunto, la figura dell’educatore umano cede il posto all’autorità del Giudice giusto il quale ricompenserà ognuno secondo il suo merito con pene e castighi eterni. Se poi, in questo momento, uno decide di fare il voto di verginità «si devono come testimoni della sua risoluzione chiamare i Capi della Chiesa» e davanti a loro egli farà la sua consacrazione a Dio.

«Beato è colui che cerca la sua gioia non nelle cose considerate grandi in questa vita, ma nella gloria di Dio»​​ (Hom. in Ps. 61;​​ PG 29,476C).

 

Bibliografia

Amand E.,​​ L'ascése monastique desaint Basile, Maredsous 1949; Fedwick J. (ed.),​​ Basil of Caesarea: Christian, Humanist, Ascetic, 2 voll., Toronto 1981; Giet S.,​​ Les idées et l’action sociale de saint Basile le Grand, Parigi 1941; Gribomont J.,​​ Histoiredu texte de Ascétiques de S. Basite, Louvain 1953; Spidlìk T.,​​ La sophiologie de S. Basile, Roma 1961.

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BASILIO DI CESAREA

BATTESIMO

 

BATTESIMO

Fedele alla missione ricevuta da Cristo (Mt​​ 28,19-20;​​ Mc​​ 16,16) la Chiesa ha sempre considerato il B. come “il primo dei sacramenti”: non soltanto perché cronologicamente viene per primo, ma soprattutto perché segna “l’ingresso alla vita e al regno”, inizio di quel processo di conformazione a Cristo che verrà perfezionato negli altri sacramenti (cf Introduzione al rito nell’Ordo​​ Baptismi Parvulorum​​ [OBP] 1-3; LG 10; AA 3; AG 15).

Ma lungo i secoli tale primarietà del B. è stata percepita e vissuta in modo diverso, sia nella prassi pastorale che nella riflessione teologica.

I. La pastorale del B. lungo i secoli

1.​​ Nella Chiesa dei primi secoli,​​ l’azione pastorale è rivolta prevalentemente a suscitare e a nutrire la fede, come fondamento e inizio della salvezza. Il B. verrà dopo, come complemento e sigillo della salvezza che la fede ha già operato in chi ha accolto la Parola. Tanto che Paolo può dire: “Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il vangelo” (1 Cor​​ 1,17). Di qui la nascita del catecumenato come strumento di iniziazione alla fede e ai sacramenti, che perciò prevede anzitutto l’annuncio della Parola, la conversione e la professione di fede, e soltanto successivamente il B. e l’iniziazione mistagogica.

2.​​ Ai tempi di sant’Agostino​​ la prassi pastorale è ancora sostanzialmente identica a quella dei primi secoli. Ma c’è un elemento nuovo. L’eresia pelagiana (che riduceva il peccato originale nei discendenti di Adamo ad un semplice cattivo esempio) costringe la Chiesa a giustificare l’uso tradizionale di battezzare i bambini. La risposta del vescovo di Ippona rimarrà classica: la tradizione di battezzare i bambini conferma l’esistenza del peccato originale non soltanto come cattivo esempio (impossibile per i bambini) ma quale vero e proprio stato di privazione della grazia. Ma come è possibile battezzare i bambini, dal momento che non hanno la fede richiesta come disposizione personale? Facendo un parallelo con la fede della vedova di Nain che ha meritato la risurrezione del figlio (Lc​​ 7,12-15), Agostino conclude: La fede altrui (= fides aliena) può venire in aiuto al bambino che non può avere la fede personale. “I bambini sono portati a ricevere la grazia spirituale, non tanto da coloro che li tengono in braccio (anche se non ne sono esclusi, specialmente quando sono buoni fedeli) quanto piuttosto da tutta la comunità dei santi e dei fedeli” (Ep.​​ 98,5; PL 33,561).

3.​​ Nel medioevo,​​ la società in cui la Chiesa opera è ormai strutturalmente cristiana. La fede è pacificamente presupposta. Non occorre più accentuarne la necessità come inizio della salvezza, anche perché il B. è conferito prevalentemente ai bambini. Pur non mancando richiami significativi alla tradizione patristica (soprattutto da parte delle grandi scuole teologiche) l’interesse delle scuole minori e del clero è ormai rivolto agli aspetti moralistici e speculativi del B. (come di tutti i sacramenti): materia, forma, ministro, condizioni per il conferimento, spiegazione dell’efficacia. La preziosa riflessione di sant’Agostino sulla “fides aliena” è ormai utilizzata nel suo aspetto meno significativo: la relazione tra B. e peccato originale. Di qui il prevalere della concezione del B. come purificazione (favorita anche dall’evoluzione del rito), che doveva poi portare alla regola pastorale del conferimento “al più presto” (1442).

4.​​ La riforma protestante​​ contesta proprio questa situazione di accentuata importanza data alla pratica sacramentale a scapito della fede. Il principio di Lutero è perentorio: la sola fede basta alla salvezza. Perciò, almeno in un primo momento, rigetta tutti i sacramenti: l’unico strumento della salvezza è la Parola in quanto suscita e alimenta la fede. Anche se in seguito verrà riconosciuto il valore di alcuni sacramenti, specialmente del B. (compreso quello dei bambini), la primarietà esclusiva data alla fede come strumento di salvezza non potrà non avere conseguenze sulla prassi pastorale.

5.​​ La controriforma cattolica​​ tentò di ricomporre l’equilibrio. Il Concilio di Trento riaffermò solennemente la dottrina tradizionale: “La fede è l’inizio, il fondamento e la radice di ogni giustificazione” (Sess. VI, c. 8). Ma i tredici canoni posti dallo stesso Concilio a difesa dell’efficacia sacramentale “ex opere operato” (Sess. VII) finirono per attirare l’attenzione quasi esclusiva dei teologi e dei pastori: sua necessità (anche per i bambini), sua efficacia, condizioni per una buona amministrazione. In questa prospettiva, la “fides​​ aliena” richiesta per il B. dei bambini non è più integrata nell’organismo sacramentale della “Chiesa credente”, ma è vista quasi soltanto come garanzia esteriore per il valido conferimento del sacramento: “I bambini hanno la fede giustificante infusa dall’opus operatum del sacramento e non dall’opus operantis del ministro o della Chiesa” (Bellarmino).

6.​​ La Chiesa oggi​​ vive in un diverso contesto socio-culturale. L’ambiente (un tempo strutturalmente cristiano) tende sempre più a una sua autonomia di pensiero e di azione. La fede non è più un dato sociologico che identifica la comunità ecclesiale con quella civile. È una situazione nuova che pone la Chiesa di fronte a problemi nuovi di azione pastorale: in primo luogo proprio per la pastorale del B.

II. La riflessione teologica

L’azione pastorale non dipende soltanto dalla situazione socio-culturale in cui la Chiesa viene a trovarsi. Più o meno riflessamente, la pastorale è sempre la traduzione in termini operativi di una particolare visione teologica.

Sicché, una pastorale del B. attenta principalmente alle disposizioni personali dei battezzandi è sì condizionata dalla situazione di minoranza o di diaspora della comunità ecclesiale, ma trova la sua giustificazione teologica nello stretto rapporto tra fede e sacramenti, tanto da considerare il B. prevalentemente come “sacramento della fede” (SC 59; OBP 3). Viceversa, la prassi del B. conferito “al più presto” e al maggior numero di persone, pur dipendendo dalla condizione storica di “fede evidente”, affonda le sue radici in una visione del B. come “strumento di salvezza” che agisce “ex opere operato” (Concilio di Trento, sess. VII). Per comprendere il significato profondo delle istanze che oggi urgono un rinnovamento della pastorale del B., è quindi necessario tenere presenti alcuni punti essenziali della riflessione teologica che è venuta maturando sotto la spinta del Vaticano IL

1.​​ Mediante il battesimo,​​ gli uomini vengono inseriti nel mistero pasquale di Cristo: con lui morti, sepolti e risuscitati, ricevono lo Spirito dei figli adottivi che li fa esclamare: Abbà, Padre» (SC 6; cf LG 7; UR 22; AG 14).

2.​​ Con il battesimo​​ gli uomini vengono introdotti nella Chiesa, di cui diventano membri, partecipando alla dignità e alla funzione sacerdotale, profetica e regale che il suo capo, Cristo Signore, comunica al suo Corpo in modi diversi (cf LG 10, 11, 14, 31; SC 14; AA 3; AG 6, 15; PO 5).

3.​​ Il battesimo è inizio e fondamento​​ di una vita nello Spirito, tesa alla santità, deputata al culto e impegnata nella testimonianza (cf SC 14; LG 10, 11, 33, 40, 44; AA 3).

Come si vede, siamo ben lontani da una visione teologica apologetica, quale poteva essere quella dei Concili di Cartagine (contro i Pelagiani) e di Trento (contro i Riformatori). Qui non si tratta più di difendere aspetti dottrinali messi in discussione dagli eretici, bensì di andare a fondo dei problemi per scoprire la natura e il fine a cui tende l’attività sacramentale della Chiesa, anzi la natura e il fine della Chiesa stessa come “sacramento universale di salvezza” (SC 5). E il fondamento di tutta l’attività sacramentale della Chiesa è visto dal Vaticano II proprio nel B. come:

—​​ partecipazione al mistero pasquale di Cristo (= dimensione misterica);

—​​ incorporazione alla Chiesa, nuovo popolo di Dio (= dimensione ecclesiale);

—​​ inizio della vita nuova nello Spirito (= dimensione escatologica);

—​​ impegno di coerenza con la realtà nuova in cui Dio ci ha posti (= dimensione morale).

Il che vuol dire che non si tratterà più di giustificare il B. di un bambino o di un adulto come fatto isolato, né di affermarne la necessità per la purificazione dal peccato originale (nemmeno nominato a questo proposito), bensì di chiarire il senso stesso del B. in rapporto alla missione della Chiesa come strumento di salvezza.

Sarà proprio da questa nuova prospettiva teologica che nasceranno e si svilupperanno le nuove esigenze della pastorale del B. che stanno felicemente fermentando la comunità ecclesiale, anche se sono ben lungi dal trovare soluzioni adeguate.

III. Prospettive pastorali

Se l’indagine storica ha permesso di ricuperare aspetti importanti che la prassi pastorale del passato aveva acquisito e consolidato (ma anche perduto o deformato), la riflessione teologica ha permesso di collocare tale ricupero in una prospettiva pastorale attenta alle attuali esigenze della comunità cristiana (cf SC 23).

1.​​ Anzitutto si è riconosciuta la diversa situazione che caratterizza il B. dei bambini e quello degli adulti (cf​​ Orda initiationis christianae adultorum),​​ per le quali non soltanto è stato redatto un diverso “rito” per la celebrazione, ma soprattutto viene raccomandato un diverso itinerario di preparazione e di iniziazione. La realtà significata è la stessa (nascita a vita nuova nello Spirito e incorporazione alla Chiesa), ma diverso è il rapporto tra il dono di Dio e la risposta umana, anche se il modello-tipo di tale rapporto resta quello che si realizza nel B. degli adulti, essendo il B. “anzitutto il sacramento di quella fede con la quale gli uomini, illuminati dalla grazia dello Spirito Santo, rispondono al vangelo di Cristo” (praen. OBP 3).

2.​​ In secondo luogo, è sempre più avvertita l’esigenza della dimensione comunitaria del B: non soltanto nel momento della celebrazione, ma in tutto l’itinerario di preparazione e della successiva formazione cristiana. Nel caso del B. dei bambini, ciò comporta soprattutto il coinvolgimento dei genitori il cui ufficio “deve avere la preminenza rispetto a quello dei padrini” (OBP 5). Nel caso del B. degli adulti è più direttamente coinvolta l’intera comunità locale, che con gesti di evangelizzazione e di coerenza di vita deve aiutare “i candidati e i catecumeni in tutto il corso dell’iniziazione: dal precatecumenato al catecumenato, al tempo della mistagogia” (RICA 41).

3.​​ L’istanza pastorale di un itinerario di → iniziazione cristiana che faccia del B. non un evento isolato nella vita del singolo credente e dell’intera comunità, ma una dimensione costante della progressiva conformazione a Cristo, non deriva soltanto da un’esigenza pedagogica, ma prima di tutto dalla riscoperta dell’importante principio teologico del B. come “sacramento della fede”, della quale non è soltanto “inizio” (= fede come dono di Dio) ma anche “ratifica” da parte del singolo chiamato e di tutta la comunità ( — fede come risposta al dono di Dio). Una risposta impegnativa e mai perfetta, che perciò esige precise condizioni spirituali per la celebrazione del sacramento, ma soprattutto un impegno costante di approfondimento e di sviluppo.

4.​​ Di qui, appunto, il fiorire di quella varietà di iniziative pastorali che in modo diverso caratterizzano l’attuale impegno delle comunità cristiane di tutto il mondo: da forme più o meno organiche di → catecumenato e di iniziazione cristiana, a impegni più vasti di evangelizzazione che coinvolgono non soltanto i candidati al B. ma l’intera comunità cristiana a tutti i livelli: fanciulli, giovani, adulti; battezzandi, battezzati, persone in ricerca, indifferenti.

5.​​ Iniziative spesso improvvisate, non sempre fondate su motivazioni teologiche e pastorali approfondite, ma che indicano in modo inequivocabile le nuove prospettive di una pastorale del B. che voglia tradurre in termini operativi la ricchezza inesauribile di questo sacramento “porta della salvezza”, perché “segna l’ingresso alla vita e al Regno” (praen. OBP 3). Il che non potrà realizzarsi senza un impegno molto più vasto di evangelizzazione e di iniziazione cristiana, di cui la pastorale del B. non sia che un momento importante, ma non isolato.

Bibliografia

1.​​ Aspetti generali​​ (teologico-pastorali)'

Adulti e iniziazione al battesimo,​​ in “Via Verità e Vita» 22 (1973) n. 42; B. Baroffio – M. Magrassi,​​ Battesimo,​​ in​​ Dizionario teologico interdisciplinare,​​ vol. I, Torino, Marietti, 1977;​​ Battesimo. Teologia e pastorale,​​ Leumann-Torino, LDC, 1970;​​ Battesimo,​​ in​​ Dizionario di pastorale,​​ Brescia, Queriniana, 1979; D. Bourreau,​​ Il battesimo-, mediazione o scelta?,​​ Roma, Coinès, 1972;​​ La comunità cristiana e l’iniziazione al battesimo,​​ Roma, Ed. Paoline, 1975;​​ Crisi delle strutture di iniziazione,​​ in “Concilium” 15 (1979) n. 2; P. Dacquino,​​ Battesimo e cresima. La loro teologia e la loro catechesi alla luce della Bibbia,​​ Leumann-Torino, LDC, 1970; C. Di Sante,​​ Divenire uomini nuovi,​​ Brescia, Queriniana, 1977; D. Mosso,​​ Preparazione pastorale e celebrazione del battesimo,​​ in​​ 11 Battesimo. Teologia e pastorale,​​ Leumann-Torino, LDC, 1971, 184-192; E. Ruffini,​​ Il battesimo nello Spirito,​​ Torino, Marietti, 1975; M. Stedile,​​ Battesimo. Note pastorali,​​ Roma, CAL, 1970; S. Pancheri,​​ Battesimo. Introduzione storico-teologica,​​ ivi, 1970.

2.​​ Aspetti particolari

catecumenato, iniziazione cristiana et al.

Luciano Borello

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BATTESIMO

BELGIO

 

BELGIO

I. Sviluppo della C. dal 1945 al 1985

1.​​ 1945-1964: abbandono della C. del catechismo per una C. nel segno della storia della salvezza.​​ Nel 1954 divenne obbligatorio per tutte le diocesi del Belgio un catechismo unitario. Doveva servire per l’insegnamento del catechismo ai fanciulli nelle scuole, come pure per la C. agli adulti nella chiesa. Già durante il tempo del Concilio Vaticano II andò in disuso: le formule neoscolastiche e l’inadeguatezza degli schemi didattici lo resero inutilizzabile. Le Suore di Vorselaer — che in Belgio e all’estero avevano avuto un grande influsso cat. nella prima metà del sec. XX — dopo la seconda guerra mondiale cercarono di impostare l’IR alla luce della storia della salvezza e in chiave kerygmatica. J. Vanwijnsberghe (Grondslagen van de​​ Vernieuwde Catechese​​ [Fondamenti della C. rinnovata]) elaborò la fondazione teorica di questa C. kerygmatica, accentuando fortemente l’iniziativa della salvezza da parte di Dio.

Con la scomparsa del catechismo dalle aule scolastiche si perdette la sintesi dottrinale nell’IR. Anche le tradizionali “bibbie scolastiche” o “storie sacre” andarono in disuso; questo condusse alla perdita di una sintesi biblica. Anche l’anno liturgico cessò di funzionare come principio ordinatore dell’IR, con la conseguente perdita della sintesi liturgica. Infine, non c’era più posto per una sintesi della storia della Chiesa. L’abbandono di questa quadruplice sintesi condusse all’introduzione di una nuova forma di sintesi, chiamata esistenziale: sintesi progettata a partire dall’esistenza concreta, personale e sociale degli stessi giovani e realizzata in vista della medesima. Il leitmotiv di questa C. divenne: illuminazione cristiana dell’esistenza.

2.​​ 1964-1970: C. esistenziale concepita come “creare gli spazi per diventare uomo alla luce della fede”. Nella seconda metà degli anni ’60 in Belgio l’influsso della teologia di D. Bonhoeffer, P. Tillich e R. Bultmann sulla C. era molto sentito, soprattutto attraverso la divulgazione del vescovo anglicano J. Robinson (Honest to God).​​ Nel metodo della → correlazione, difeso da E. Schillebeeckx, molti catecheti trovarono un sostegno per elaborare nuovi metodi cat. La realtà della vita non fu più soltanto punto di partenza per giungere poi all’essenziale, ma divenne tema centrale della C. sia a livello dei fanciulli che a livello degli adulti. Il catecheta aiutava giovani e adulti ad allargare le loro esperienze, in modo che dalla stessa → esperienza interiore potesse emergere il problema della verità incondizionata e divina. Nuovamente aperti e sensibili al problema religioso, essi divenivano capaci di scoprire e di riconoscere nel messaggio biblico le risposte alla loro problematica esistenziale. In altre parole, a partire dalla loro situazione personale riuscivano nuovamente a comprendere la Bibbia. Il catecheta era dunque alla ricerca di un qualche contesto umano in cui fosse significativo sollevare il discorso su Dio; egli cercava quel punto​​ nella​​ vita umana a partire dal quale si è in grado di comprendere ciò che i cristiani intendono con il nome “Dio”. Finché la gente non giunge a scorgere una correlazione o convergenza (è ovvio che non può trattarsi di identità) tra il messaggio cristiano e la lotta dell’uomo per una società più giusta e più amorevole, la fede appare irrilevante e non pertinente. Nel vol.​​ Ervaring en Catechese​​ (Esperienza e catechesi) di M. Van Caster S.J., uno fra i principali teorici postbellici della C. (scolastica) e di J. Le Du (catecheta parigino noto per la sua concezione della C. come realtà dinamica del gruppo) la tensione tra le due modalità di approccio era formulata nel seguente modo: “É possibile parlare di Dio senza parlare (molto) dell’uomo?”. La C. di una volta dava l’impressione che ciò fosse facilmente realizzabile. Dal lato opposto c’era la domanda: “È possibile parlare di Dio parlando soltanto (o in modo prevalente) dell’uomo?”. La C. del periodo 1964-1970 era alle prese con questo problema.

La nuova visione della C. fu descritta molto bene dalla Commissione Cat. per la Scuola Secondaria nel documento​​ Schoolcatechese in het secundair onderwijs​​ (1970), realizzato soprattutto per opera di F. Lefevre. Lo scopo della C. (scolastica) è definito così: “Creare spazi per diventare uomo alla luce della fede, interpretando la storia umana e orientandola secondo il dinamismo del “vangelo” di Gesù Cristo». L’accenno alla “storia umana” intese esplicitamente prevenire il possibile pericolo di una illuminazione cristiana dell’esistenza in chiave prevalentemente individualistica.

Per il lavoro parallelo della Commissione di lingua francese, il documento finale​​ Orientations fondamentales​​ fu redatto da R. Waelkens.

In questo periodo i catecheti che volevano spazio per una C. più pronunciatamente esistenziale e fortemente ricollegata con le esperienze dei giovani e degli adulti, cercarono aiuto soprattutto in una rinnovata visione teologica del rapporto “rivelazione-esperienza”.

3.​​ 1971-1978: rinnovamento didattico; l'idea di liberazione.​​ Dall’inizio degli anni ’70 emerge una cura particolare per il rinnovamento didattico della C. in generale e particolarmente della C. scolastica. Fu accentuata fortemente l’idea che l’IR nella scuola deve avere le caratteristiche di una vera materia scolastica. A questa preoccupazione venne incontro l’analisi didattica. Nel 1971 E. De Corte e J. Bulckens proposero per la prima volta in modo esplicito agli insegnanti di religione la problematica degli obiettivi.

Nel 1978 J. Lowyck e J. Bulckens iniziarono gli insegnanti di religione all’uso dei cosiddetti “concetti chiave” nell’insegnamento: attenzione particolare ai concetti teologici fondamentali di un determinato tema, cioè ai concetti centrali derivati dalle scienze teologiche, che attraverso il processo di apprendimento possono diventare visioni fondamentali degli allievi. L’insistenza su queste idee basilari era la conseguenza della constatazione che un numero sempre maggiore di giovani non disponevano più della indispensabile conoscenza teologica, e non erano più in grado di riflettere come credenti e in chiave teologica sulla loro vita personale e sulla vita sociale. Grazie all’applicazione dell’analisi didattica, molti sussidi cat. (per es. per la C. della confermazione, o per la C. degli adulti) presentarono strutture e contenuti più fondati.

Si divenne sempre più consapevoli che C. e IR non sono due realtà a sé stanti. Almeno in modo implicito, essi esprimono anche e inevitabilmente una determinata visione della società e della Chiesa. Il documento di Bled (Jugoslavia, 1977) in favore di una C. liberatrice ebbe un forte influsso su non pochi catecheti.

4.​​ 1978-1985: la C. ricupera la tradizione religiosa​​ (cristiana) come quadro di riferimento.​​ La cosiddetta C. esperienziale (→ esperienza) ha fatto immensi sforzi per riagganciare i giovani che vivono e crescono in un mondo secolarizzato e pluralista, cercando di renderli nuovamente sensibili alla realtà religiosa e biblica. Progressivamente si fece strada il convincimento che non bastano né l’atteggiamento di apertura dell’individuo, né un ambiente sociale favorevole alla realtà religiosa: ci vuole anche una sufficiente familiarità con la tradizione religiosa e cristiana, quale condizione necessaria per educare religiosamente giovani e adulti. Chi non ha sentito parlare di Dio non ne può neppure fare l’esperienza. Di conseguenza, dalla fine degli anni ’70 si è fatto sentire fortemente il bisogno di familiarizzare direttamente ed esplicitamente i catechizzandi con la tradizione cristiana.

Alcuni catecheti proposero una maggiore familiarità con i libri della Bibbia e con le tematiche bibliche; altri insistettero sulla necessità di una sintesi contemporanea della fede. I nuovi programmi per i giovani di 16-18 anni nelle Fiandre (1985) mirano precisamente ad offrire una salda sintesi della fede. J. Baers e E. Henau pubblicarono nel 1980 un poderoso volume sulla fede:​​ God is groter​​ (Dio è più grande). Il volume offre agli adulti una ricca documentazione sui principali punti della fede.

In un certo numero di scuole elementari di lingua francese si pratica negli ultimi anni la cosiddetta “rythmo-catéchèse”, ossia memorizzazione verbale ritmata di testi evangelici (Ch. Bailly). Nella regione di lingua francese del Belgio il metodo di lettura strutturale è già usuale in tutto l’insegnamento linguistico; si cerca perciò di applicarlo anche all’IR e soprattutto all’insegnamento della Bibbia (A. Fossion). Si ama anche molto lavorare con opere d’arte religiosa, analizzate con il metodo strutturale (A. Knockaert e Ch.​​ Van​​ der Plancke).

II. L’IR scolastico

1.​​ Scuola e religione.​​ Le reti scolastiche del Belgio sono due: quella cattolica e quella ufficiale (organizzata dallo Stato, dalla provincia o dal comune). Ambedue le reti hanno introdotto nel corso degli anni ’70 il modello di scuola secondaria rinnovata. Nel 1984 circa il 70% dei fanciulli e giovani fiamminghi frequentavano la scuola cattolica, e circa il 45% nella regione di lingua francese. In Belgio, circa il 60% di tutti gli allievi della scuola secondaria frequentano la scuola cattolica. Nella scuola secondaria cattolica gli allievi sono tenuti a frequentare due ore settimanali di IR. Nella scuola statale, dopo la promulgazione della legge scolastica del 1959, gli allievi possono scegliere tra religione (cattolica, protestante, ebraica, o islamica) e etica non confessionale.

Nella regione di lingua fiamminga circa il 50% degli allievi della scuola statale opta per il corso di religione; nella regione di lingua francese la percentuale è inferiore.

Nel 1975 il Consiglio Generale della scuola cattolica di lingua fiamminga e quello di lingua francese pubblicarono (con qualche differenza) una nota sulla specificità della scuola cattolica. Tale scuola, scelta per motivi diversi, offre a tutti un progetto educativo fondato su Gesù Cristo (A. Vergote). La scuola cattolica deve impegnarsi affinché l’intera vita scolastica, cioè scelta delle aree contenutistiche, impostazione didattica, preferenze sociali, modelli relazionali, sia “liberante” in senso cristiano. La Commissione interdiocesana per la pastorale della scuola e il Centro per una comunità scolastica cristiana (con sede a Lovanio) si impegnano molto attivamente per realizzare il nuovo stile della scuola cristiana postconciliare in collaborazione con tutti gli interessati.

2.​​ Nuovi programmi per l’IR.​​ A partire dal 1966 si pubblicarono i nuovi programmi per TIR nella scuola elementare. Attualmente questi programmi vengono revisionati. Nel 1971-1972 si pubblicarono nuovi programmi sperimentali per l’IR nella scuola secondaria. Dal 1976 al 1985 la Commissione Catechetica Fiamminga lavorò alla redazione definitiva di detti programmi. Nel 1982 la Commissione Catechetica di lingua francese pubblicò i programmi definitivi per l’IR; sono assai più concisi rispetto ai programmi fiamminghi.

Il titolo dei programmi del 1982 è:​​ Cours de religion catholique,​​ mentre i programmi sperimentali del 1972 portavano il titolo:​​ Programmo de catéchèse.​​ Il cambiamento di nome è significativo. Le finalità dell’IR scolastico sono distinte, anche se non separate, dalle finalità della C. ecclesiale. Il corso di IR scolastico non può e non deve assolvere tutte le funzioni che invece devono essere svolte dalle altre istanze cat. della Chiesa. L’aspetto specifico dell’IR scolastico, che cerca di realizzare finalità realistiche ma limitate, riguarda la cura dell’”intellectus fidei”, la comprensione della fede. Le istanze ecclesiali della C. curano in particolare la vita e la prassi della fede. Da alcuni anni si insiste per avere un nuovo programma per la formazione religiosa nelle scuole materne. Nel 1982 il Conseil Central de l’Enseignement Primaire Catholique pubblicò delle​​ Orientations​​ pédagogiques pour une école maternelle chrétienne.

Nella regione di lingua francese vi è una seria mancanza di insegnanti qualificati di religione. Nelle scuole secondarie cattoliche dal 50% al 75% degli insegnanti non sono specificamente qualificati. Nelle scuole statali al contrario l’IR è generalmente impartito da diplomati (2 anni; 3 anni a partire dal 1984) e da licenziati (4 anni) in scienze religiose. Una ventina di studenti si iscrivono ogni anno all’Institut Supérieur de Sciences​​ Religieuses​​ dell’Université Catholique de Louvain. Ogni diocesi di lingua francese dispone di una propria istituzione per la formazione degli insegnanti di religione delle scuole secondarie inferiori.

Nella regione di lingua fiamminga la situazione è assai più favorevole. Da una ricerca condotta da J. Dhooghe nel 1975 risultò che soltanto il 30% degli insegnanti di religione non aveva ricevuto una specifica formazione. Da oltre dieci anni le iscrizioni annuali presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Katholieke Universiteit Leuven contano un centinaio di laici (metà donne) per il corso di quattro anni, e a circa 45 per il corso biennale (3 anni a partire dal 1985). Anche presso l’università di Gent esiste un corso triennale per la formazione di insegnanti (diplomati) di religione.

Fra i numerosi istituti di formazione cat. del Belgio l’Institut International de Catéchèse et de Pastorale “→ Lumen Vitae” occupa un posto molto rilevante. Il corso intensivo annuale o biennale, soprattutto per sacerdoti, suore e laici del terzo mondo, offre una formazione cat. fondamentale.

3.​​ Finalità generale dell'IR nella scuola secondaria.​​ Abbiamo segnalato sopra in che modo nel 1970 la Commissione Catechetica di lingua fiamminga abbia circoscritta la finalità generale dell’IR. Nel 1977 la redazione del “Tijdschrift voor Catechese” propose la seguente determinazione delle finalità: “La C. scolastica mira alla “umanizzazione” personale dei giovani; perciò intende insegnar loro a confrontarsi con tutta la persona, in maniera sistematica e responsabile, con i veri problemi della vita e in modo particolare con il problema riguardante il senso globale dell’esistenza (problema del senso della vita), quali vengono posti e risolti nelle religioni (dimensione religiosa), e in modo particolare nella religione ebraico-cristiana (cristianesimo)”. Nei nuovi programmi per la 5a​​ e la 6​​ 3​​ classe delle scuole secondarie (1985) è accolta la seguente definizione: “L’IR mira all’integrazione dei valori vitali, alla maturità religiosa e all’impegno liberatore nel mondo; perciò, sulla falsariga di alcune condizioni umane fondamentali, esso studia, in stretto contatto con la vita, in modo strutturante, in dialogo con le altre religioni e visioni della vita, la visione cristiana di questi problemi​​ e​​ la prassi cristiana nei loro confronti”.

III. Catechesi ecclesiale

Il rinnovamento più significativo della C. ecclesiale riguarda la C. della confermazione per i ragazzi di 10-12 anni a livello parrocchiale, la pastorale dei fidanzati, la formazione catecumenale per i candidati al battesimo e alla confermazione (Anversa, Bruxelles, Liegi), spesso in vista di un matrimonio cristiano.

La → confermazione è generalmente celebrata a 12 anni. La C. parrocchiale in preparazione alla confermazione dura un anno, il più delle volte due anni. È impartita da molte migliaia di catechisti familiari, da animatori e animatrici dei movimenti giovanili; ha luogo nelle case private, oppure anche nei locali della parrocchia. Il parroco assiste i catechisti e organizza celebrazióni appropriate per i confermandi con i loro genitori. Sono disponibili diversi nuovi manuali per la preparazione alla confermazione. In alcune guide si trovano due elaborazioni intere per ogni incontro: la prima a livello del catechista per il suo approfondimento teologico e spirituale; la seconda con una serie di suggerimenti per lo svolgimento dell’incontro con i confermandi. In questo modo procedono di pari passo la C. dei ragazzi e quella degli adulti.

Le organizzazioni sociali cristiane, soprattutto quelle femminili, hanno molte iniziative per la formazione religiosa dei membri; a questo fine propongono una svariata offerta di conferenze, seminari di studio, riviste formative. L’impegno nel mondo è generalmente molto accentuato. Per quanto vi sia una intensa formazione cat. in diversissimi gruppi familiari, gruppi di discussione a livello parrocchiale, gruppi biblici, si sente fortemente il bisogno di una più sistematica C. degli adulti.

Negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza che il gruppo primario per la formazione cat. è la famiglia. Attraverso la traduzione e l’adattamento del noto libro tedesco per una cultura cristiana della famiglia:​​ Durch​​ das Jahr,​​ durch​​ das​​ Leben​​ (1982), si spera di poter imprimere un nuovo slancio all’educazione religiosa nella famiglia, e per opera della famiglia. Questa iniziativa riprende la tradizione della “catéchèse familiale”, per la quale padre →​​ P.​​ Ranwez S.J. ebbe tanti meriti, specie con la sua pubblicazione:​​ Ensemble​​ vers​​ le​​ Seigneur.​​ La​​ formation religieuse en famille​​ (19643). Si​​ aspettano​​ anche​​ effetti salutari dall’uso giudizioso, nell’ambito familiare, di buone → bibbie per fanciulli. Buoni risultati sono stati ottenuti negli ultimi anni invitando i genitori a preparare personalmente i figli di 7-8 anni​​ (2a​​ elementare) alla celebrazione della prima comunione. A questo fine furono pubblicate guide appropriate (C. Brusselmans e H. Bracke).

Bibliografia

J. Baers – E. Henau,​​ God is groter. Werkboek​​ rond​​ geloven,​​ Tielt, 1980, 19853;​​ Ch. Bailly,​​ La​​ rythmo-catéchèse ou mémorisation​​ orale​​ rythmée​​ de​​ l’Évangile,​​ in “Lumen Vitae” 36 (1981) 359-376; J. Bulckens – E.​​ Van Waelderen,​​ Krijgen​​ onze​​ kinderen nog godsdienstles?,​​ Antwerpen, 1972; J. Bulckens,​​ Sviluppo dell’insegnamento religioso nelle scuole secondarie nel Belgio fiammingo,​​ in “Religione e Scuola» 10 (1982) 300-306; F. Lefevre,​​ La catechesi scolastica nel Belgio fiammingo: situazione, problemi, prospettive,​​ in “Orientamenti Pedagogici” 18 (1971) 516-537. Anche nel vol.​​ Scuola e religione,​​ vol.​​ 1:​​ Una ricerca internazionale,​​ Leumann-Torino, LDC, 1971, 57-82;​​ J.​​ Le​​ Du –​​ M.​​ Van​​ Caster,​​ Ervaring en​​ catechese,​​ Brugge, 1968;​​ J. Léonard,​​ Pour une​​ catéchèse​​ scolaire,​​ Namur, 1978;​​ Orientations pédagogiques. Pour une école maternelle chrétienne​​ (Enseignement National Catholique), Liège, 1982;​​ Schoolcatechese in het Secundair Onderwijs. Basisdocument in opdracht van het episcopaat,​​ Brussel, Licap, 1970; M. Simon,​​ Catéchèse «existentielle» ou catéchèse «culturelle». A propos du cours de religion catholique dans l'enseignement secondaire en Belgique francophone,​​ Louvain-la-Neuve, 1984; Ch. Van der Plancke,​​ Un nouveau programme de religion pour l’enseignement secondaire en Belgique francophone,​​ in “Lumen Vitae» 37 (1982) 445-449; A. Vergote,​​ Per​​ un​​ progetto educativo fondato​​ su​​ Gesù Cristo,​​ Leumann-Torino, LDC, 1981;​​ R. Waelkens,​​ Orientations fondamentales en vue de la composition du nouveau programme d’enseignement religieux,​​ Namur, 1969 (réédité sous le titre:​​ Introduction générale au programme du cours de religion catholique,​​ Bruxelles, Licap, 1982); Id.,​​ Belgio​​ (Vallonia),​​ nel​​ vol.​​ Scuola e religione,​​ vol. 1:​​ Una ricerca internazionale,​​ Leumann-Torino, LDC, 1971, 85-109.

Jef Bulckens

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