ANIMAZIONE
Mario Pollo
1. Che cosa è l'animazione oggi
1.1. I Cinque filoni dell’animazione
1.2. Le radici linguistiche della parola animazione
1.3. Verso una definizione di animazione
2. Il modello formativo dell’animazione culturale
2.1. I fondamenti antropologici dell’animazione culturale
2.2. Gli obiettivi dell’animazione culturale
2.3. Il metodo
2.3.1. L’accoglienza incondizionata dei soggetti educativi e del loro mondo
2.3.2. La relazione educativa interpretata in chiave di comunicazione esistenziale
2.3.3. Il gruppo come luogo privilegiato dell’esperienza educativa dell’animazione culturale
2.3.4. L’uso originale di alcune tecniche e strumenti formativi
3. Conclusione
1. Cosa è l’animazione oggi
L’animazione è oggi una delle funzioni educative più diffuse nei settori extrascolastici. Essa rivolge la propria azione nei confronti di tutte le fasce di età, anche se il suo terreno privilegiato è ancora costituito dai giovani, e si è anche affermata come metodo privilegiato di intervento nei confronti di situazioni di disagio sociale.
Forse proprio a causa di questo successo l’animazione è per molti, purtroppo, la funzione educativa più indeterminata e, per molti versi, la più generica. Ciò è anche dovuto al fatto che in molti casi la parola animazione viene utilizzata, essendo di moda, per dare presentabilità ad attività che si vorrebbero educative ma che sono solo desideri di avventura culturale.
Vi è però anche una ragione più seria che rende poco decifrabile il significato della parola animazione ed è l’esistenza di varie tendenze culturali, molto serie peraltro, che propongono concezioni assai differenti dell’animazione.
1.1. I cinque filoni dell'animazione
Queste tendenze con una semplificazione non troppo violenta possono essere raccolte in cinque filoni principali.
1.1.1. L ’animazione teatrale o espressiva
Il primo filone, forse quello più noto negli anni delle origini del movimento dell’animazione, è quello legato all’animazione teatrale, o di tipo espressivo in generale, che conta al proprio interno figure storiche tra cui Rodari, Passatore e Scabia.
Questo tipo di animazione, nato sotto il segno della liberazione della espressività e della fantasia attraverso la festa ed il gioco, è andato progressivamente aprendosi ai problemi della vita quotidiana e del territorio. Si può perciò affermare che l’animazione teatrale è passata da un teatro che libera dalle paure e dalle inibizioni ad un teatro che serve alla vita di ogni giorno.
In questo passaggio l’animazione teatrale è andata evolvendo verso l’animazione socioculturale o, perlomeno, ha favorito Io sviluppo di quest’ultima.
1.1.2. L’animazione socioculturale
Il secondo è il filone dell’animazione socioculturale. Esso è ben rappresentato dalla rivista «Animazione Sociale». La caratteristica di questa scuola di animazione è costituita dal suo collegamento con il volontariato e dal fatto che colloca la sua azione come intervento nel territorio, al fine di favorire i processi di crescita della capacità delle persone ed i gruppi di partecipare e gestire la realtà sociale e politica in cui vivono.
È una educazione liberatrice che si avvale, oltre che dell’azione nel territorio, dell’uso dell’azione psicosociale volta a promuovere la capacità espressiva delle persone. È questo un movimento ormai consolidato con alle spalle un consistente retroterra teorico e metodologico che costituisce uno dei maggiori punti di riferimento per chi voglia fare animazione in Italia.
1.1.3. L’animazione culturale
Il terzo è quello dell’animazione culturale in senso fortemente educativo e fa capo alla rivista «Note di Pastorale Giovanile» del Centro Salesiano di Pastorale Giovanile.
La caratteristica di questo movimento è quella di avere ripensato l’animazione come un vero e proprio modello educativo valido sia in un contesto scolastico che extrascolastico. L’animazione culturale secondo questa eccezione è una vera propria teoria educativa, fondata su concezioni filosofico-antropologiche, su un metodo validato e su una strumentazione particolare.
È questo il movimento più diffuso nell’ambito ecclesiale italiano, anche se la sua presenza non è limitata a questa area sociale. Un motivo di questa diffusione nell’ambito ecclesiale è dovuto allo stretto collegamento che questa concezione ha operato con la più moderna concezione della Pastorale Giovanile. In questi ultimi anni ha avuto una forte diffusione anche nei paesi di lingua spagnola. La scelta dell’aggettivo culturale deriva dal privilegio della dimensione della cultura nella costruzione dell’identità individuale e storico sociale dei soggetti dell’animazione.
1.1.4. L’animazione del tempo libero e delle vacanze
Il quarto, che si deve citare solo per motivi statistici, è quello che raggruppa quelle attività di animazione cresciute all’ombra dei villaggi turistici ma la cui dignità educativa, o semplicemente culturale e sociale, è tutta da dimostrare.
1.1.5. L’animazione come insieme di tecniche e di strumenti per il lavoro di gruppo
Il quinto filone è quello che si limita ad applicare tecniche e metodi di lavoro desunti dagli studi di dinamica di gruppo e della comunicazione interpersonale a varie attività educative. È questa la dimensione più tecnica e diffusa del fare animazione anche perché tutti gli altri filoni utilizzano abbondantemente queste tecniche all’interno dei loro percorsi formativi.
Tuttavia, da solo, questo insieme tecnico e conoscitivo non costituisce una adeguata concezione dell’animazione socioculturale e culturale. Purtroppo molti animatori pensano che animare sia solo l’applicazione di certe tecniche di lavoro di gruppo.
1.2. Le radici linguistiche della parola animazione
L’esistenza di questa varietà di modi di aggettivare la parola animazione, che si manifesta in una pluralità di attività differenti, è dovuta al particolare significato che è sedimentato nelle radici più profonde della parola animazione.
1.2.1. L ’animazione secondo il Tommaseo
Secondo quel grande ed irripetibile dizionario che è il Tommaseo animazione è: «1. l’atto di ricevere l’anima; 2. l’atto del dare l’anima, o del mantenere la vita animale;
3. complesso delle facoltà e degli atti della vita animale; 4. moto vivace di persona, passionato o no: è gallicismo». Questa descrizione della parola animazione si arricchisce di molto se si consulta la voce «animare» dello stesso dizionario.
Animare secondo il Tommaseo è: «Coll’anima dar vita al corpo, consevargliela, svolgergliela». Dalla consultazione di questo vecchio dizionario emerge in tutta evidenza che animare è l’azione attraverso cui la vita infonde di sé l’uomo e l’universo e che animazione, quindi, è ogni gesto umano che sia finalizzato a «dare vita» e a «dare anima». Queste definizioni consentono di affermare che la parola animazione odierna ha le sue radici non in un ben definito atto, ma in tutti quegli atti che sono finalizzati a dar vita ed anima. È questo il motivo per cui la parola animazione oggi sopporta con disinvoltura usi assai differenti. L’unico uso che non viene legittimato, in quanto le sue radici sono il «gallicismo», è quello delle attività di tempo libero e delle vacanze prima citate.
1.3. Verso una definizione di animazione
La breve incursione alla ricerca delle radici della parola animazione nella lingua italiana fa emergere come l’animazione più che come una attività particolare debba essere considerata una qualità dell’agire umano. Una qualità che può essere ritrovata all’interno di differenti attività umane. Animare appare, quindi, come un modo dell’agire più che una specifica azione. Questa qualità dell’agire, di cui l’animazione è la concretizzazione, può essere riconosciuta all’interno di quei gesti che manifestano un autentico amore alla vita. Infatti il dare la vita, il conservarla e l’accrescerla, a cui la definizione del Tommaseo fa riferimento, sono gli atti concreti del vero amore alla vita.
Si può dire perciò che l’animazione è una azione embricata, nascosta in altre ritenute principali. Essa si presenta, quindi, come una sorta di significato latente, presente in alcuni segni e contesti della vita umana.
1.3.1. L ’animazione come amore alla vita
L’animazione — come significato latente di amore alla vita che è alla base dei gesti umani che favoriscono la nascita, la conservazione e lo sviluppo della vita — pone come estranei al proprio orizzonte quei gesti e quelle azioni che sono segnati dalla alienazione, dalla schiavitù, dall’oppressione dell’uomo sull’uomo o su sé stesso e che impediscono alla singola vita umana di svolgersi esprimendo tutta la potenza che in essa è contenuta. L’orizzonte di senso dell’animazione rimanda alla libertà, alla creatività, alla gioia, all’amore per gli altri giocato sul rispetto di sé stessi, alla speranza come senso fondamentale dell’agire umano ed, infine, allo scacco ed al fallimento come tratto umano, origine di vita e non di distruttiva disperazione. Per questo motivo si può affermare che l’animazione è una qualità che compare solamente nelle forme di vita liberanti e liberate, in quello spazio-tempo in cui si declina la crescita e l’emancipazione dell’uomo dalle ferinità che, ancora, nelle profondità arcaiche del suo essere urlano la loro presenza.
1.3.2. L’animazione come scommessa sulla vita e sull’uomo
Da queste riflessioni emerge con una certa evidenza che l’animazione è, prima di tutto, un modo di vivere e di affrontare la vita. Infatti la funzione che qualifica l’animazione è, come si è visto, l’amore alla vita nella verità e nella libertà, che si esprime in un atteggiamento globale, fallace ed imperfetto per sua natura, ma che rappresenta lo sforzo dell’uomo e del suo pensiero di onorare la vita al di là dello scacco e del fallimento che ogni giorno segnano il suo vivere. Viviamo in un tempo di crisi culturale drammatica e complessa.
Sappiamo che la persona è al centro di una trama di relazioni politiche, economiche e culturali che spesso la condizionano e la soffocano.
In questo contesto l’animazione intende svolgere, consapevolmente, la sua funzione: rendere l’uomo felice, restituirgli la gioia di vivere. È una piccola cosa questa nella mischia delle sopraffazioni, degli intrighi, degli sfruttamenti e delle violenze; ma è una cosa tanto grande che vale la pena di spendere la vita per perseguirla.
È in questo senso che l’animazione è una scommessa sulla vita e sull’uomo: scommessa sull’uomo e sulla sua capacità di liberazione storica, pur nella povertà e nella debolezza che contraddistingue ogni sua azione.
Essa, utilizzando il linguaggio di Paulo Freire, è un «tema generatore» di vita nello stesso momento in cui la vita stessa è minacciata. Un luogo di speranza per il futuro dell’umanità, un luogo in cui tentare di liberare la ricchezza delle nuove generazioni ed in cui continuamente rigenerare l’uomo e la stessa società.
1.3.3. L’animazione come modello formativo
Dopo aver delineato brevemente il significato della parola animazione, così come esso è radicato nella tradizione culturale italiana, è necessario intersecarlo con quello che si ricava dall’analisi degli usi sociali odierni della parola e che sono stati schematizzati nei cinque filoni prima descritti. Filoni che si riducono a quattro, scartando quello dell’animazione del tempo libero e delle vacanze che, come si è visto, non ha nulla da spartire con il significato autentico della parola animazione come è conservato dalla tradizione culturale. Oltretutto, oltre a essere gallicismo, questa forma di animazione lavora per l’alienazione dell’uomo da sé stesso e non per la sua liberazione.
Il denominatore comune che è possibile rintracciare negli altri quattro filoni è costituito dalla funzione formativa.
Tutte queste attività, infatti, aspirano a ottenere una particolare educazione delle persone a cui sono rivolte. Esse mirano, cioè, alla crescita, in queste persone, di alcune capacità necessarie a consentire loro di esprimere più compiutamente sé stesse all’interno della vita sociale.
La qualità educativa, non importa se in modi e forme diverse, sembra segnare tutti i quattro filoni dell’animazione.
In molti casi, purtroppo, questa intenzionalità educativa delle attività di animazione è nascosta sotto una coltre di ideologia che rischia di soffocarle o di trasformarle, senza alcuna mediazione, in attività politiche e parapolitiche. Questo pericolo è legato alla particolare storia che ha segnato l’evoluzione dell’animazione in Italia.
1.3.4. L’evoluzione dell’animazione in Italia
La storia dell’animazione è ancora talmente breve che la sua descrizione sembra più una cronaca che una vera e propria storia. Tuttavia nel suo sviluppo sono già identificabili tre periodi ben distinti: la nascita, il decollo e la maturità.
Per quanto riguarda il primo periodo è oramai accettato da tutti che l’animazione è nata intorno ai temi della creatività negli anni del decollo nel nostro paese dell’industria culturale e dell’avvento della scuola di massa come risposta, quindi, ai problemi conseguenti a questi fenomeni e, cioè, alla crisi della scuola tradizionale e a quella della trasmissione culturale sociale. In questo periodo l’animazione ha esplorato i territori dell’espressività nelle sue varie forme artistiche e sociali. In questi anni vede l’affermarsi di quello che è stato definito il primo filone delle varie concezioni dell’animazione.
Il periodo del decollo è immediatamente successivo al ’68. In quegli anni l’animazione, alla ricerca di nuove risposte ai vecchi modelli politici e culturali, spostò la sua attenzione dall’ambito della scuola dell’obbligo a quello del territorio. Il territorio, divenne il luogo privilegiato di varie esperienze, più o meno spontanee finalizzate a risvegliare la presa di coscienza, la partecipazione politica e la liberazione delle persone dai condizionamenti sociali, culturali ed economici che ne impedivano la realizzazione individuale e collettiva.
Questo movimento era un’attività in cui l’animatore attraverso l’educativo perseguiva un obiettivo politico o parapolitico. Successivamente questo tipo di «tensione» è stato raccolto, parzialmente, dalle attività culturali delle amministrazioni comunali che hanno avviato progetti di animazione socioculturale rivolte alla scuola dell’obbligo, ai centri sociali di quartiere, alle attività ludiche e sportive, alla gestione delle estati per i ragazzi, per gli adulti e per gli anziani. In questo periodo si afferma il filone socioculturale e nasce e cresce a ritmi molto intensi quello culturale.
L’ultimo periodo, quello attuale, è meno ricco di tensioni politiche ma assai più consapevole della valenza squisitamente educativa dell’animazione. In questo periodo quasi tutte le correnti teoriche dell’animazione hanno, infatti, selezionato i loro obiettivi specializzandoli. Nello stesso tempo i movimenti dell’animazione hanno collocato la propria azione all’interno delle agenzie istituzionali di socializzazione, di inculturazione, di educazione e in quelle di gestione e controllo della marginalità e della devianza.
Per questo motivo la fase attuale è quella che può consentire una maggiore convergenza delle varie scuole di animazione verso un’area disciplinare comune.
Questa area disciplinare comune si basa sulla constatazione che, oggi, l’animazione può essere vista come l’amore alla vita che si esprime nella fiducia della possibilità dell’educazione di formare uomini liberati, protagonisti coscienti della propria esistenza. In altre parole questo significa che l’animazione è una attività educativa, e quindi intenzionale e metodica, che mira a offrire alle persone la capacità di rendersi coscienti di fronte ai processi formativi a cui sono soggette nella vita sociale e di metterle in grado di intervenire su di essi, in modo attivo e partecipe, orientandoli verso quegli obiettivi che esse ritengono necessari alla loro evoluzione e crescita umana.
Ora se questo è, molto genericamente, il denominatore comune di tutti i filoni di animazione esso è comunque quello che è alla base in modo specifico del filone dell’animazione culturale e che ha trovato in quest’ultima il suo compimento più coerente.
2. Il modello formativo dell’animazione culturale
L’animazione culturale, proprio perché si definisce oltre che come stile di vita anche, e sostanzialmente, come modello formativo, ha elaborato una propria antropologia di base, dei propri obiettivi ed un proprio particolare metodo formativo. Questo processo di elaborazione teorica le ha consentito di presentarsi come un modo affatto particolare di fare educazione aut formazione e, quindi, di superare il ruolo che alcuni le avevano affidato di semplice insieme di strumenti e tecniche utile a potenziare metodi e concezioni educative tradizionali e non.
L’animazione culturale, riprendendo pienamente il significato più profondo della parola animazione, fonda la propria riflessione teorica e la propria prassi sulla scommessa che anche in un contesto sociale e culturale come l’attuale, che per molti versi sembra segnato più dalla morte che dalla vita ed in cui la speranza sembra essere prigioniera di un presente narcisistico, è possibile proporre alle giovani generazioni un percorso formativo strutturato intorno ad un profondo ed autentico amore alla vita.
Un amore alla vita però non zuccheroso e bonaccione ma, al contrario un amore alla vita che deve scaturire dal duro confronto con la realtà, specialmente laddove questa è intessuta dal dolore e dallo scacco del fallimento. Un amore alla vita, quindi, quello della scommessa dell’animazione, che è capace di riconoscere lo scacco ed il fallimento dell’agire dell’uomo nel mondo, che non contrabbanda ciò che è debole per ciò che è forte e ciò che è povero con ciò che è ricco.
Un amore alla vita racchiuso in un progetto d’uomo che si lascia provocare, senza per questo smarrire la speranza, sia dallo scandalo della sofferenza che ancora risuona nel mondo, sia dalla consapevolezza della povertà delle risorse umane atte a combatterla. Questo significa che il progetto d’uomo a cui fa riferimento l’animazione pur accogliendo la debolezza umana come suo dato costitutivo non se ne lascia irretire e vincere, perché cerca di trasformarla solidificandola. L’amore alla vita dell’animazione culturale è perciò il risultato di un incontro scontro del giovane con la finitudine, intesa come debolezza, povertà e, quindi, come limitazione radicale delle possibilità del dominio della persona su sé stessa e sulla realtà del mondo. L’animazione culturale vuole esprimere questa qualità di amore alla vita, reinterpretando nella cultura odierna l’atto del dare, conservare e sviluppare la vita che la definizione arcaica della parola propone. Verso questa qualità tende l’antropologia, tendono gli obiettivi e guida il metodo dell’animazione culturale.
2.1. I fondamenti antropologici dell'animazione culturale
L’antropologia di base dell’animazione è concepita come un sistema aperto di concetti costituito da sette unità portanti. Il termine sistema aperto indica che la definizione di uomo non viene esaurita dalla descrizione che viene fatta in questa parte ma che essa deve essere integrata con i frammenti di visioni dell’uomo che, inevitabilmente, emergeranno dalla descrizione degli obiettivi e del metodo dell’animazione.
2.1.1. L’uomo come sistema non determinato ed aperto
L’uomo è quell’essere vivente il cui futuro non è determinato né dal suo patrimonio genetico ereditario, né dai condizionamenti dell’ambiente naturale e sociale in cui ha la ventura di vivere.
Ereditarietà, in maggior misura, e ambiente sono le due costrizioni che determinano, invece, il comportamento delle specie animali. L’uomo nasce con un compito prioritario: quello della propria costruzione.
Una costruzione che nella prima fase della sua vita lo vede protagonista passivo di un progetto elaborato dalla famiglia e dal gruppo sociale in cui vive, ma che man mano che passa il tempo lo vede appropriarsi di un protagonismo sempre più attivo e cosciente. L’educazione che la famiglia e il gruppo sociale gli offrono è il percorso attraverso cui realizza il passaggio dalla dipendenza all’autonomia. Questa progressiva partecipazione dell’uomo al suo processo di costruzione è ciò che gli consente di non essere né il riflesso dell’educazione che ha ricevuto e della storia personale e sociale che ha vissuto, né il prodotto psichico della particolarità del suo organismo.
Questo gli consente, almeno parzialmente, di progettare e di vivere la propria storia in modo originale.
L’uomo per sopravvivere e realizzare in modo soddisfacente le potenzialità di cui è portatore deve partecipare attivamente alla propria costruzione, attraverso un progetto responsabile e consapevole. La vecchia favola della cicala e della formica illustra questa realtà della condizione umana ai ragazzi. Infatti, l’uomo per le sue caratteristiche strutturali se vuole sopravvivere, sia fisicamente sia psichicamente, deve elaborare dei progetti esistenziali a medio periodo. Per potersi nutrire oggi ha compiuto delle scelte e delle azioni molto tempo fa. Nelle società industriali, dove l’uomo ha scarse possibilità di raccogliere o di cacciare ciò che gli serve per nutrirsi e proteggersi dai disagi dell’ambiente naturale, la sopravvivenza richiede una strategia complessa che ha tempi di realizzazione quasi mai immediati. Per non parlare della possibilità di realizzazione delle aspirazioni immateriali.
L’uomo non può abbandonarsi all’istinto ed al giorno per giorno per sopravvivere e realizzarsi, ma deve elaborare un preciso progetto di sé e della propria vita.
2.1.2. La progettualità come azione fondamentale della vita umana
La progettualità, come si è appena visto, può essere considerata la dimensione costitutiva dell’esistenza umana. Con altre parole si può dire che l’uomo per realizzarsi deve impossessarsi del tempo lungo cui scorre la sua vita. Un tempo scandito tra la memoria del passato ed il sogno del futuro, attraverso il concreto agire nel presente. Progettare la propria vita vuol dire per l’uomo costruirsi una storia in cui ogni istante ricava il proprio senso, oltre che da sé stesso, dal riverbero del passato e dallo sguardo rivolto al futuro. Tuttavia per realizzare il progetto di sé stesso l’uomo, non potendo far riferimento alla ereditarietà biologica, deve necessariamente ricorrere a esperienze, a strumenti e a metodi la cui efficacia sia stata verificata. Nessun essere umano è in grado, da solo, di inventarsi tutto ciò che serve alla sua vita materiale, psichica e spirituale. Al massimo può offrire un suo personale contributo all’arricchimento di questa strumentazione. Questo significa che l’essere umano, per sopravvivere e per realizzarsi, ha bisogno di nascere e di essere educato in un ambiente sociale dotato delle conoscenze e delle tecniche necessarie a garantirgli la possibilità di realizzare un efficace progetto della propria vita e, conseguentemente, una sua efficace realizzazione concreta.
In altre parole, questo significa che l’uomo per poter sopravvivere e costruirsi deve entrare a far parte di quell’intelligenza collettiva a cui viene, oggi, dato il nome di cultura sociale.
2.1.3. La cultura sociale come grammatica del progetto d’uomo
La cultura sociale può essere considerata come la grammatica che fornisce alla persona umana le regole ed il metodo che le consentono di realizzare la propria vita. Già Freud considerava la cultura come lo strumento fondamentale che l’uomo ha a disposizione per emanciparsi dalle ferree leggi della natura.
La cultura sociale non deve però essere intesa come una sorta di costrizione deterministica. Come tutte le grammatiche, infatti, essa consente di costruire molteplici discorsi, magari anche contradditori tra di loro, a partire dalle identiche regole e dall’identico vocabolario. Occorre però dire che come le persone nella vita quotidiana usano la grammatica linguistica per produrre discorsi scontati e banali, così le stesse persone usano la cultura per produrre progetti di vita conformistici e poco realizzanti la loro umanità. In ogni caso, però, resta valida la considerazione che l’uomo può sopravvivere, crescere e svilupparsi solo se è inserito in una cultura, dalla quale possa apprendere a progettare ed a costruire quell’insieme di azioni che gli consentono sia la sopravvivenza che la realizzazione di sé.
Il concetto di cultura rischia di essere troppo generale ed astratto per cui è necessario rileggerlo attraverso la sua manifestazione concreta nella vita sociale quotidiana: la comunicazione.
2.1.4. La coppia cultura-comunicazione
Il concetto di comunicazione abbraccia un ambito più vasto di quello che solitamente viene riferito allo scambio di informazioni puro e semplice. Levy-Strauss ha evidenziato l’esistenza di tre tipi di comunicazione in ogni gruppo sociale:
— quella costituita dallo scambio di beni e servizi, ovvero dall’economia;
— quella rappresentata dallo scambio parentale, ovvero le regole matrimoniali e parentali in genere;
— quella dello scambio delle informazioni, ovvero la comunicazione vera e propria. Tutte le culture sociali si esprimono attraverso questi tre tipi di comunicazione, che nella vita quotidiana si presentano intrecciate in forme complesse.
Cultura e comunicazione formano nella vita sociale umana una coppia inscindibile in quanto nessuna delle due può esistere senza l’altra. Infatti senza comunicazione non si ha cultura e senza cultura non si ha comunicazione.
Questo significa che l’uomo dipendendo dalla cultura per la propria autorealizzazione, dipende concretamente anche dalla comunicazione. La comunicazione è quindi per l’uomo non solo uno strumento ma un vero e proprio elemento costitutivo della sua esistenza. Egli è ciò che è solo perché comunica con sé stesso, con gli altri e con la natura all’interno di una cultura. L’uomo ha conquistato la libertà dal dominio dell’istintualità solo perché ha potuto accedere alla cultura attraverso la comunicazione.
Quest’ultima è lo strumento concreto che consente all’uomo di elaborare e di realizzare progetti di costruzione di sé al di fuori delle costrizioni dell’ereditarietà biologica.
La constatazione della dipendenza della progettualità esistenziale dalla comunicazione-cultura comporta alcune rilevanti conseguenze.
La prima è quella che l’uomo può realizzarsi e esistere come individuo solo se è inserito all’interno di una cultura e, quindi, di una collettività. Questo significa che senza il collettivo non esiste l’individuale e, quindi, che il Noi precede l’Io.
La seconda conseguenza è che qualsiasi progetto di vita che un individuo elabora è sempre, a volte in modo misterioso, interrelato con i progetti elaborati dagli altri individui. Il terreno su cui si svolge questa interrelazione è quello del significato che è veicolato dalla coppia cultura-comunicazione.
La terza conseguenza è il riconoscimento del legame tra progettualità e responsabilità. Ogni persona deve manifestare la propria libertà e la propria autonomia assumendosi sino in fondo la responsabilità, oltre che del proprio progetto personale, anche di quello degli altri attraverso la partecipazione solidale al Noi. Il riconoscimento della funzione del Noi nella progettualità individuale implica necessariamente l’assunzione della responsabilità nei confronti dello stesso Noi.
2.1.5. L’uomo come produttore di significati
L’uomo è un produttore ed un consumatore permanente di significati. La cultura, e quindi la comunicazione, è interamente giocata all’interno del mondo dei significati. Nell’uomo la comunicazione non è quasi mai un comando biologico, un comando cioè simile all’impulso che partendo dal telecomando fa cambiare canale al televisore. Al contrario essa agisce attraverso la mediazione del significato. L’uomo quando riceve una comunicazione non reagisce ad un comando ma interpreta un significato.
Il significato è la dimensione costitutiva in quanto è alla base di tutte le altre dimensioni che sono state qui descritte. Progettualità, cultura, comunicazione, responsabilità, soggettività, solidarietà, ecc., sono tutte dimensioni esistenziali radicate all’interno di sistemi di significato.
Il significato ed il suo produttore, il linguaggio simbolico, costituiscono la dimensione senza la quale tutte le caratteristiche tipiche della dimensione umana non potrebbero esistere.
2.2. Gli obiettivi dell’animazione culturale
Con uno slogan si potrebbe dire che l’obiettivo generale dell’animazione culturale è quello di abilitare il giovane a costruire sé stesso all’interno dell’avventura di senso che, dall’origine dell’uomo, percorre senza posa il mondo.
E questo significa per il giovane l’accettare di essere uomo «con» e «per».
Con gli altri uomini, con quelli, cioè, che prima di lui hanno vissuto, con quelli che vivranno dopo di lui e con quelli che abitano lo stesso suo spazio-tempo.
Con il mondo disegnato dalla natura e dal linguaggio.
Con la propria irriducibile solitudine.
Con la speranza di ciò che esiste laddove tutto è silenzio.
Per l’amore che nel mondo si manifesta nell’amore alla vita.
Per la povertà che è ricchezza di senso del quotidiano.
Per la storia come dono di salvezza dalla caduta prima della storia.
Per tutto ciò che può scaldare il cuore dell’utopia.
Questo obiettivo generale si concretizza attraverso tre obiettivi particolari:
— la costruzione dell’identità personale dentro la storia e la cultura;
— la scoperta del sociale come luogo della solidarietà ed in cui proporre sé stessi responsabilmente e senza mistificazioni;
— il riconoscimento dell’invocazione che la realtà lancia ad una speranza totale.
2.2.1. La costruzione dell’identità personale dentro la storia e la cultura
L’animazione mira a favorire nel giovane la costruzione di una identità personale con profonde radici nella storia e nella tradizione che costituiscono il fondamento della cultura sociale in cui si trova a vivere. Questo al fine di consentirgli la conquista di una appartenenza alla cultura sociale in cui la sua individualità risulti esaltata, così come la sua partecipazione attiva alla conservazione e alla trasformazione della stessa cultura sociale.
2.2.2. La scoperta del sociale come luogo della solidarietà ed in cui proporre sé stessi responsabilmente e senza mistificazioni
Il secondo obiettivo dell’animazione è lo sviluppo della capacità del giovane di partecipare alla vita sociale in modo autonomo e critico e, quindi, di immunizzarlo dalle manipolazioni del conformismo di massa e del potere. Questo obiettivo comporta necessariamente che l’agire individuale e sociale del giovane abbia un sistema etico di riferimento invece delle caotiche e frammentarie opportunità che la vita quotidiana gli offre. Da notare poi che l’eticità è la dimensione senza la quale non si realizza la scoperta dell’altro essendo essa, oltre che una difesa dell’individuo dalle manipolazioni della società di massa, anche il motore della socialità. Infatti senza la scoperta dell’altro non si sviluppa una socialità in grado di manifestare nella solidarietà il suo carattere costitutivo. L’eticità e l’altro sono gli elementi costitutivi di quella solidarietà che segna l’esperienza dell’amore nella vita sociale.
2.2.3. Il riconoscimento dell’invocazione che la realtà lancia ad una speranza totale
Il terzo obiettivo dell’animazione mira a liberare nella vita dell’uomo il sorriso della trascendenza. Questo obiettivo è fondamentale perché senza l’apertura alla trascendenza la vita dell’uomo si gioca all’interno di una relatività paralizzante che dimora al confine dell’angoscia e della distruttività.
L’uomo non può dare senso al proprio mondo, alla propria cultura ed alla propria vita se non possiede un punto di vista che sia oltre il suo limite personale e quelli della sua cultura e del suo mondo. Solo se comprende sé stesso, la cultura ed il mondo attraverso le vie di una fede o di un pensiero trascendente l’uomo può formulare un giudizio sulla verità e sulla coerenza della propria vita e della cultura che la disegna.
Senza il respiro della trascendenza l’uomo è chiuso in un mondo in cui tutto può essere vero e tutto può essere falso, tutto può essere espresso e tutto può restare inespresso, ma nulla ha valore in sé, nulla ha un significato tale da consentirgli di porsi come riferimento etico per una scelta esistenziale orientata verso un obiettivo che sia oltre la frontiera dell’utilità.
L’animazione senza il grido, l’invocazione alla trascendenza rischia anch’essa di perdersi nel rumore delle cose che non sono, delle mode, o financo della violenza, di una ragione o scienza che in nome del potere distrugge la vita.
Animare, dare la vita, è un dono che realizza sé stesso in quanto si pone come dono di una realtà e di un amore che sono prima e dopo l’uomo ed il suo mondo.
Attraverso l’apertura alla trascendenza l’animazione vuole dire al giovane che la speranza non è un’illusione, ma l’unica vera realtà che si svela nella sua pienezza solo dopo che nella fatica del quotidiano si è stati redenti redimendo il mondo.
2.3. Il metodo
Per raggiungere questi obiettivi l’animazione culturale si avvale di un metodo che è centrato su quattro cardini. Essi sono:
— l’accoglienza incondizionata dei soggetti educativi e del loro mondo;
— la relazione educativa interpretata in chiave di comunicazione esistenziale;
— la scelta del gruppo come luogo privilegiato dell’esperienza educativa dell’animazione;
— l’uso originale di alcune tecniche e strumenti formativi.
2.3.1. L’accoglienza incondizionata dei soggetti educativi e del loro mondo
La concezione di uomo su cui poggia l’animazione culturale è direttamente responsabile di questo aspetto del metodo. Infatti assumere una concezione dell’uomo significa, di fatto, assumere anche un particolare modo di rapportarsi agli altri, specialmente a livello di relazione educativa.
Una relazione educativa coerente con quanto sinora affermato deve manifestare alcune caratteristiche particolari.
La prima riguarda l’accoglienza incondizionata di tutte le esperienze esistenziali dei soggetti educativi. In concreto, questo significa che anche le esperienze più povere, più marginali e, a volte, più devianti contengono dei germi che se coltivati consentiranno la nascita di una più evoluta condizione esistenziale. Ogni situazione, anche la più disperata, è sempre aperta alla speranza, contiene sempre una concreta possibilità di trasformazione in senso evolutivo. Nessuna situazione umana può dirsi irredimibile od irreversibile. Questo comporta anche il riconoscimento che l’altro è sempre portatore di una ricchezza unica e non riproducibile che l’educatore deve accogliere come un dono prezioso ed irripetibile.
La conseguenza di questo riconoscimento è che l’educatore non può utilizzare con ogni gruppo di persone lo stesso progetto e gli stessi itinerari formativi, ma che, al contrario, egli deve sempre partire dalle potenzialità particolari di cui è portatore il gruppo e, quindi, di cui sono portatrici le persone che ha di fronte. L’educatore deve, cioè, riuscire a cogliere la realtà esistenziale del gruppo ed individuare in essa le possibili vie di maturazione e di evoluzione.
La seconda caratteristica della relazione educativa, che ne qualifica la sua capacità di essere accogliente, è data dalla sua capacità di riconoscere la dignità educativa degli interessi di cui sono portatori i soggetti educativi. In altre parole questo significa che non esistono delle situazioni educative migliori o peggiori a seconda degli interessi delle persone che le formano, ma che in ogni interesse delle persone, in ogni loro vissuto esistenziale, vi è sempre una potenzialità educativa. Un’attività sportiva si presta altrettanto bene di una attività culturale, ad esempio, per innescare l’azione educativa dell’animazione. Accogliere l’interesse di molti giovani per il cosiddetto «look», significa, di fatto, accogliere la loro domanda di identità e porla a confronto con le risposte, deboli e distorcenti, che offre la società dei consumi.
È chiaro che questa domanda va fatta evolvere verso una risposta più formativa rispetto a quella proposta dalle mode. È però, in ogni caso, da accogliere come domanda realmente educativa e non come specchietto per catturare, subdolamente, i giovani.
La terza caratteristica riguarda l’accettazione, da parte dell’animatore, della persona dell’educando come sistema complesso. Questo significa la capacità di riconoscere che l’uomo non è soggetto ad alcun determinismo e che il futuro della sua vita è anche nelle mani della sua libertà.
La parola «complesso» giustapposta a quella di «sistema» indica in modo particolare che ogni intervento dell’animazione deve investire l’uomo nella sua globalità e, quindi, che anche gli interventi parziali e settoriali hanno degli effetti sull’intiera persona umana.
2.3.2. La relazione educativa interpretata in chiave di comunicazione esistenziale
Si ha una relazione-comunicazione educativa nello stile dell’animazione quando si verificano le seguenti condizioni:
— il riconoscimento dell’asimmetria della comunicazione. Il riconoscimento, cioè, che nella relazione educativa tra adulti e giovani i primi rappresentano la memoria culturale ed i secondi la spinta del desiderio verso il futuro; spinta che però non ha ancora trovato le forme a cui applicarsi;
— la disponibilità reciproca alla comunicazione. Questo implica la conquista di un patto comunicativo tra educatori e giovani in grado di consentire lo scambio di valori oltre che di informazioni;
— la disponibilità al cambiamento sia da parte degli adulti che da parte dei giovani. L’animazione, infatti, si riconosce nell’affermazione di Paulo Freire: «Nessuno educa nessuno; nessuno è educato da nessuno; ci si educa tutti insieme».
2.3.3. Il gruppo come luogo privilegiato dell’esperienza educativa dell’animazione culturale
L’animazione svolge la propria attività educativa attraverso il gruppo umano. Essa, infatti, si basa sulla costruzione di una relazione educatore-educando mediata dalla situazione di gruppo. La scelta del ruolo di mediazione educativa del gruppo nasce dalla constatazione che nel gruppo il giovane può sperimentare una relazione autentica e profonda con l’altro e, nello stesso tempo, accedere a una conoscenza e ad un vissuto critico del rapporto che egli ha con sé stesso e con la cultura nella quale abita. Il gruppo, da questo punto di vista, può essere una sorta di crogiuolo attraverso cui il giovane può raffinare la propria coscienza di sé e sperimentare rincontro solidale con l’altro all’interno di un rapporto più produttivo con la cultura sociale.
2.3.4. L’uso originale di alcune tecniche e strumenti formativi
Gli strumenti dell’animazione sono tutto ciò che serve a potenziare la relazione educativa e a orientarla verso il suo compimento. Sia chiaro però che non tutti gli strumenti possono essere utilizzati in quanto nessun strumento è neutrale portando in sé, sempre, una concezione particolare dell’uomo e della vita. Solo gli strumenti che sono coerenti con la concezione di uomo dell’animazione possono essere utilizzati.
In generale gli strumenti dell’animazione possono essere raggruppati in quattro classi:
— quelli derivati dallo studio della dinamica di gruppo e della comunicazione umana;
— quelli che consentono un’analisi scientificamente corretta delle esperienze del quotidiano;
— quelli che consentono l’azione di ricollegamento tra parola e cosa, parola ed esperienza che la cultura sociale ha separato svuotando la comunicazione umana di realtà e di verità;
— quelli inerenti la programmazione educativa.
Concretamente gli strumenti devono consentire alla relazione animatore-gruppo di innescare delle dinamiche volte ad aiutare le persone a:
— maturare la presa di coscienza di sé e degli altri;
— assumere la responsabilità intorno a sé stesse ed agli altri;
— analizzare la loro vita quotidiana e quella della società in cui abitano;
— elaborare un linguaggio in cui ci sia un rapporto più fedele tra le parole e la realtà;
— vivere, attraverso il gruppo, un adattamento attivo all’ambiente naturale e a quello sociale;
— vivere con autenticità il processo di maturazione del gruppo;
— ridefinire il loro progetto etico personale. Un’ultima osservazione. Le tecniche e gli strumenti non possono sostituire le capacità personali dell’animatore ma solo potenziarle. Un animatore deve saper raggiungere gli stessi risultati consentiti dall’uso delle tecniche anche utilizzando solo la sua comunicazione personale con il gruppo. Solo se l’animatore ha questa capacità può permettersi l’uso delle tecniche.
3. Conclusione
L’animazione culturale è un modello formativo globale che mira ad una crescita e ad una evoluzione armonica dell’individuo considerato come un’unità indivisibile e non come una somma di parti e di funzioni.
Questa crescita e maturazione passa attraverso la presa di coscienza che l’individuo ed i gruppi sociali vivono in un mondo simbolico, disegnato dalla cultura attraverso il linguaggio, e che, quindi, essi devono prioritariamente sviluppare la loro capacità di utilizzare i sistemi simbolici della cultura. Questa capacità è indispensabile per consentire alle persone una partecipazione attiva alla ricerca di una cultura in cui la soggettività dell’individuo sia intessuta dalla solidarietà sociale e dotata di senso dall’apertura al trascendente.
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