analisi degli OBIETTIVI

 

OBIETTIVI: analisi degli

Dal lat.​​ objacere​​ (essere posto davanti), il termine o. è stato introdotto nel linguaggio pedagogico in polemica con «finalità»​​ ​​ identificata con la retorica e la vaghezza secondo le quali si definivano tradizionalmente le intenzionalità educative​​ –​​ ed ha costituito la parola-chiave di un modello didattico​​ –​​ la «pedagogia per o.», appunto – che si è imposto all’attenzione in Europa nella particolare congiuntura degli anni ’70. Senza entrare nel merito delle contingenze culturali che ne avevano ispirato l’origine (gli USA degli anni ’50 con Tyler) né delle «vie nazionali», che in Italia e negli altri Paesi europei l’hanno denotato in modi differenziati, l’opzione a favore degli o. si giustifica essenzialmente come istanza diffusa: a) per​​ «princìpi di legittimazione»,​​ capaci di promuovere la​​ convergenza unitaria​​ delle attese rivolte alla scuola; b) per​​ «principi di organizzazione»​​ in grado di assicurare l’opportuna​​ razionalità strumentale​​ all’azione d’insegnare. Nell’insieme, si tratta di acquisire i requisiti della scientificità al lavoro educativo.

1. In questo contesto, l’analisi degli o. consiste in una complessa e sofisticata procedura di progettazione dell’insegnamento che si caratterizza per​​ l’enfasi sui risultati attesi​​ sui quali far leva per​​ rendere prevedibili e controllabili le operazioni di aula e di scuola.​​ Prescindendo dalle numerose varianti che si conoscono, la programmazione per o. si compie attraverso due passaggi connessi: a) la​​ legittimazione​​ e b) la​​ operazionalizzazione. Il primo​​ si costruisce come​​ processo di deduzione:​​ nel quadro delle finalità assegnate dalla società all’istituzione scolastica, si tratta di identificare​​ il cambiamento dell’alunno​​ in quanto corrispettivo – in situazione – connotato da​​ necessità​​ (=​​ quel cambiamento,​​ e nessun altro che quello)​​ e​​ sufficienza​​ (=​​ quel cambiamento,​​ e solo quello).​​ Dal punto di vista tecnico, è il riferimento al​​ tempo di realizzazione​​ – medio e breve termine – che consente di tradurre la «finalità» in «o.» pertinenti. La deduzione consente inoltre di coprire altre dimensioni del progetto pedagogico-scolastico:​​ all’interno,​​ orientare sul piano etico e attivare a livello socio-emotivo il consenso degli insegnanti;​​ all’esterno,​​ accreditare le intenzionalità formative della scuola presso il pubblico, in particolare le famiglie, invitati a condividere ed a sostenere l’impegno degli insegnanti.​​ Il secondo passaggio​​ è più articolato perché investe​​ il​​ campo decisionale​​ dell’azione didattica, ovvero il calcolo delle condizioni d’esercizio utile a ridurre l’incertezza delle scelte da compiere in molteplici direzioni e in tempo reale. Il dispositivo contempla: a)​​ La valutazione anticipata,​​ ovvero (I)​​ la formulazione rigorosa del cambiamento atteso,​​ tale da indicare le azioni dell’alunno in un contesto dato, e i criteri in base al quale potranno essere riconosciute dall’insegnante, e (II)​​ la classificazione delle prestazioni dell’alunno,​​ in modo da indicare i criteri in base ai quali potranno essere apprezzate dall’insegnante (a questo proposito si adottano​​ tassonomie,​​ più o meno standardizzate – per rendere comparabili i giudizi – e differenziate a seconda degli ambiti curricolari mirati). b)​​ Il​​ disegno della conduzione,​​ ovvero (III)​​ la selezione dei contenuti,​​ (IV) la determinazione della​​ sequenza metodologica,​​ dei raggruppamenti degli alunni, delle tecniche e dei materiali, (V) il computo dei​​ tempi​​ necessari e degli​​ spazi arredati​​ utilizzabili. c)​​ Il controllo di fattibilità,​​ ovvero (VI) l’accertamento dei​​ prerequisiti​​ presso gli alunni ed, eventualmente (VII) interventi resi opportuni per mettere gli alunni in condizione di seguire proficuamente l’attività didattica predisposta.

2. Il successo della «pedagogia per o.» presso l’amministrazione scolastica e gli insegnanti è apparso vasto e immediato, presumibilmente perché ha consentito di razionalizzare le pratiche didattiche e di promuovere efficacemente l’immagine professionale. Frequenti, tuttavia, e numerose sono le obiezioni mosse a questa strategia di programmazione: – innanzitutto la laboriosità della procedura, che richiede competenze elevate, non facilmente reperibili presso gli insegnanti, e la macchinosità, che richiede tempi e impegni di coordinamento proibitivi; – la difficoltà di anticipare la valutazione, rappresentandosi nella fase di progettazione gli esiti di un’attività formativa non ancora esperita e comunque frutto dell’interazione, non sempre né facilmente prevedibile, con gli studenti; – il riduzionismo imposto dall’uso dei verbi d’azione per rendere «visibili» i cambiamenti voluti presso gli alunni quando riguardano conoscenze e competenze cognitive profonde; – gli ostacoli opposti dalla struttura reticolare delle discipline di studio ad essere ordinate in strumenti lineari come le tassonomie; – l’inopportunità di percorsi precostituiti per un’azione come l’insegnamento, che si costruisce integrando gli studenti e adattandosi flessibilmente ai loro comportamenti.

3. A seguito della discussione critica (avviata, lealmente, all’interno del movimento medesimo), ma anche a fronte di reazioni polemiche quando non preconcette, oggi della Pedagogia per O. restano fuori gli estremi, come la «operazionalizzazione», la limitazione degli o. all’interno del «dominio» motorio, pratico e cognitivo di rango inferiore (ad esclusione, quindi, dell’ambito più pregnante sul piano educativo, come sociale-emotivo-affettivo e, a scuola, del livello cognitivo più avanzato), il ricorso per approssimazione di massima alle tassonomie (soprattutto a riguardo della loro «linearità»), il rifiuto netto di indicatori «metrici» e quantitativi all’atto della valutazione, l’ammissione di frammentarietà (e numerosità) degli o. Buttata via l’acqua sporca (soltanto?), resta una sorta di «canone» della programmazione – lo schema​​ O.-Metodi-Contenuti-Valutazione​​ – il​​ nucleo di un’idea d’insegnamento concepito come attività razionale, una sorta di «sentire comune» consolidato, ormai divenuto patrimonio generale. Oggi è la​​ «Pedagogia delle Competenze»​​ che si presenta come una evoluzione non difensiva della​​ Pedagogia per O.​​ e ripropone lo stesso orientamento di fondo, adattato ad una congiuntura culturale ben diversa dagli anni della sua affermazione istituzionale.

Bibliografia

Meyer H. L.,​​ Introduzione alla metodologia del curriculum, Roma, Armando, 1977; De Landsheere G. e V.,​​ Definire gli o. dell’educazione,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1977; Birzea C.,​​ Gli o. educativi nella programmazione, Torino, Loescher, 1979; Filograsso N.,​​ Gli o. dell’educazione. Fondamenti epistemologici, Venezia, Marsilio, 1979; Gage N. L.,​​ The paradigms wars and their aftermath: A ‘historical’ sketch of research on teaching since 1989, in «Educational Researcher» (1989) 7, 4-10; Boselli G.,​​ Postprogrammazione, Firenze, La Nuova Italia, 1991; Pellerey M.,​​ Progettazione didattica, Torino, SEI,​​ 21994; Crispiani P. - N. Serio (Edd.),​​ Manifesto sulla progettazione. Testo e commento al Manifesto di Chiaravalle, Roma, Armando, l996; Damiano E.,​​ Didattica ed epistemologia. Indagine sui fondamenti di alcuni modelli d’insegnamento, in «Pedagogia e Vita» (2004) 4, 75-106.

E. Damiano

image_pdfimage_print
analisi degli OBIETTIVI

ANALISI TRANSAZIONALE

 

ANALISI TRANSAZIONALE

L’a.t. è una teoria della​​ ​​ personalità e una psicoterapia sistematica ai fini della crescita e del cambiamento della persona (Stewart e Joines, 1990), elaborata dallo psichiatra americano E. Berne verso la fine degli anni ’50.

1.​​ Complessità del modello.​​ L’a.t. oltre che una teoria di personalità, un modello psicoterapeutico per interventi individuali, di gruppo, di coppia e familiare e una specifica teoria della psicopatologia, è anche una teoria della​​ ​​ comunicazione e dello​​ ​​ sviluppo infantile. Come teoria della comunicazione può fornire un metodo di a. dei sistemi e delle organizzazioni. Come teoria dello sviluppo infantile permette di spiegare come schemi di vita attuali abbiano origine, in parte, dall’infanzia e continuino a modificarsi lungo tutto il corso della vita. L’a.t. è ampiamente usata nei contesti educativi per il counseling e nei processi interpersonali per aiutare gli insegnanti e gli studenti a rimanere in chiara comunicazione.

2.​​ Concetti chiave dell’a.t.​​ Sono fondamentali nell’a.t. i concetti di​​ stati dell’Io.​​ Uno stato dell’Io è un insieme di comportamenti, pensieri ed emozioni tra loro collegati così da formare un’unità osservabile. Ci sono tre stati dell’Io secondo l’a.t.: lo stato dell’Io Adulto, lo stato dell’Io Genitore e lo stato dell’Io Bambino. L’Adulto​​ è un insieme di modi di agire, pensare e sentire in relazione alla realtà che si svolge nel qui ed ora; il​​ Genitore​​ è un insieme di comportamenti, di pensieri e di emozioni che spesso sono una copia dei modi di porsi dei genitori, o altre persone che sono state figure genitoriali; il​​ Bambino​​ riflette modi di comportamento, di pensiero e di emozioni caratteristici di quando si era bambini. Quando le persone comunicano possono presentarsi a partire da qualsiasi dei tre stati dell’Io; l’a. delle sequenze di transazioni tra gli stati dell’Io delle persone costituisce l’a.t. in senso stretto. Nell’a. delle transazioni sono importanti le​​ carezze,​​ cioè qualsiasi atto di riconoscimento dell’altro o da parte dell’altro, e la​​ strutturazione del tempo,​​ cioè i diversi modi di impiegare il tempo nelle transazioni in gruppi o in coppie. Nell’infanzia ogni persona scrive una storia di vita per se stessa che l’a.t. chiama​​ copione.​​ Nella vita adulta molti aspetti del copione vengono seguiti fedelmente senza che la persona ne abbia consapevolezza. L’a. del copione​​ serve per capire come le persone possano talora, senza saperlo, crearsi dei problemi e come possano procedere per risolverli. Il bambino crea il copione come strategia efficace di sopravvivenza. Nel creare il copione talora distorce la realtà con​​ ridefinizioni,​​ altre volte non tiene conto di fatti importanti con la​​ svalutazione​​ di essi. Per mantenere il copione nella sua forma infantile, talora gli adulti entrano in relazione in modo da comportarsi come bambini e invitano gli altri ad assumere il ruolo di Genitore e Adulto anziché attivare il proprio Genitore e il proprio Adulto; quando questo avviene si dice che la persona si mette in un rapporto​​ simbiotico.​​ Da bambini le persone talora imparano a non esprimere alcune emozioni non approvate e a sostituirle con altre. Quando nella vita adulta invece di esprimere le emozioni autentiche si fa lo scambio delle emozioni come si faceva da bambini, le emozioni sostitutive sono chiamate​​ emozioni parassite.​​ Se le persone che comunicano, invece di esprimere le emozioni autentiche si relazionano attraverso emozioni parassite, esse mettono in atto dei​​ giochi psicologici.​​ Compito importante degli adulti è quello di aggiornare il copione per affrontare la vita secondo le esigenze del presente piuttosto che secondo le strategie create da bambini e inefficaci per il presente. Il cambiamento del copione infantile per adottare quello funzionale per la vita adulta permette di raggiungere l’autonomia.​​ Gli interventi dell’a.t. hanno lo scopo di facilitare l’arricchimento dell’autonomia.

3.​​ La filosofia dell’a.t.​​ I seguenti sono alcuni assunti di base dell’a.t.:​​ ognuno va bene come persona,​​ ognuno è capace di pensare,​​ ognuno decide il proprio destino e le decisioni prese possono essere cambiate.​​ Da questi assunti seguono due metodi di intervento specifici dell’a.t.: il​​ metodo contrattuale​​ e la​​ comunicazione aperta.​​ Il metodo contrattuale implica che in qualsiasi cambiamento previsto​​ viene assunta la responsabilità congiunta​​ tra l’analista e la persona interessata e ciò porta ad accettare la parità tra l’analista e la persona che si presenta per affrontare dei problemi. La comunicazione aperta implica che l’analista​​ fornisce chiare spiegazioni​​ rispetto a quello che accade nella relazione e nel lavoro congiunto.

4.​​ Organizzazione.​​ L’a.t. è organizzata a livello internazionale attraverso l’ITAA, International Transactional Analysis Association, a livello europeo attraverso l’EATA, European Association for Transactional Analysis, in Italia attraverso la SIAT, Società Italiana di a.t. In Italia esistono anche gruppi di analisti transazionali che non aderiscono alla SIAT.

Bibliografia

Berne E.,​​ A che gioco giochiamo?,​​ Milano, Bompiani, 1967; Scilligo P. - M. S. Barreca,​​ Gestalt e a.t., vol. I,​​ Roma, LAS, 1981; Scilligo P.,​​ Gestalt e a.t.,​​ vol. II, Ibid., 1983; Berne E.,​​ Principi di terapia di gruppo,​​ Roma, Astrolabio, 1986; Scilligo P. - S. Bianchini (Edd.),​​ I premi Eric Berne,​​ Roma, IFREP, 1990; Stewart I. - V. Joines,​​ L’a.t.: guida alla psicologia dei rapporti umani,​​ Milano, Garzanti, 1990; Zalcman M.,​​ A. dei giochi e a. del ricatto: visione d’insieme,​​ critica e ulteriori sviluppi,​​ in «Polarità» (1990) 8, 351-379; Mastromarino R. (Ed.),​​ A.t. La terapia della ridecisione: dalla teoria alla pratica e dalla pratica alla teoria, Roma, LAS, 2006.

P. Scilligo

image_pdfimage_print
ANALISI TRANSAZIONALE

ANARCHISMO ED EDUCAZIONE

 

ANARCHISMO ED EDUCAZIONE

Si intende per a. la teoria e pratica politico-sociale che tende a rifiutare ogni tipo di gerarchia e di organizzazione della​​ ​​ società.

1. Per anarchici e marxisti l’educazione fu una preoccupazione di capitale importanza. Nel Congresso dell’Internazionale dei Lavoratori, tenuto a Bruxelles nel 1868, si discusse della necessità di una «educazione integrale», il cui più strenuo difensore fu Paul Robin. Antico alunno della Scuola Normale Superiore di Parigi, conobbe Bakunin e Marx e partecipò alle loro dispute per capeggiare il movimento operaio internazionale. Robin rese popolare il concetto di «educazione integrale», difeso da tutti i leader operai del sec. XIX, attraverso il suo scritto​​ De l’enseignement intégral​​ (1869). Inizialmente Marx e Bakunin condividevano l’idea che prima era necessario fare la rivoluzione e poi bisognava rieducare il popolo, ma dal 1880 gli anarchici capeggiati da Kropotkin mutarono l’ordine delle priorità e si convinsero che nessuna rivoluzione sarebbe stata possibile senza un previo cambiamento di mentalità dei suoi protagonisti. Prima di fare la rivoluzione, bisognava cominciare dalla scuola; tuttavia né la scuola di Stato né la scuola di Chiesa avrebbero collaborato al cambiamento delle mentalità, per cui gli anarchici cominciarono a fondare delle scuole proprie dalle quali provenivano i futuri rivoluzionari. In tal modo, nella terza parte del sec. XIX, sorsero numerose scuole private a carattere laico, la cui differenza fondamentale rispetto alle scuole statali e a quelle degli ordini religiosi, era il fatto che non vi si insegnava religione. Le leggi consentivano questo tipo di scuola a certe condizioni e ve ne furono di varia portata; tra esse vi furono scuole a spiccato carattere anarchico.

2. La prima scuola anarchica che ebbe una certa notorietà fu l’Institution Prevost​​ di Cempuis, vicino a Parigi. Si trattava di un orfanotrofio privato, controllato dal governo francese. Per dodici anni Robin diresse il centro, trasmettendo alcuni principi anarchici e introducendo alcuni metodi pedagogici innovativi, come per es. la lezione all’aperto, l’importanza dell’igiene, dell’educazione fisica e del lavoro nei piccoli laboratori dell’Istituzione (fattoria, orto, panetteria, sartoria, stampa, ecc.). L’obiettivo era che tutti gli alunni di questo centro misto avessero la possibilità di conoscere i diversi lavori che avrebbero probabilmente svolto alla fine della permanenza nell’internato, la qual cosa consentiva loro di avere un’esperienza diretta prima di doversi dedicare ad essi senza conoscerne le caratteristiche. Robin apparve troppo rivoluzionario alle autorità francesi laiche responsabili dell’educazione Accusato di insegnare il malthusianesimo e di essere antipatriota, fu deposto nell’agosto 1894.

3. Un’altra scuola anarchica famosa fu quella creata a Barcellona (1901) da Francisco Ferrer i Guardia (1859-1910). Ferrer ebbe l’appoggio di numerosi nuclei anarchici, massoni e liberali in genere, insoddisfatti dell’educazione pubblica e delle​​ ​​ congregazioni religiose insegnanti. Il suo nome e quello della​​ Escuela moderna​​ da lui fondata costituirono una svolta più per motivi ideologici e politici che per le innovazioni pedagogiche. Questa scuola ebbe appena cinque anni di vita. Fu chiusa nel 1906 ed il suo direttore fu imprigionato con l’accusa di complicità con il bibliotecario della scuola nell’attentato che, in occasione delle nozze di Alfonso XIII, causò vari morti a Madrid. Nel 1909 fu processato, accusato di aver partecipato ai disordini della «Settimana Tragica» ed in seguito fucilato. L’eco di questa tragica fine fu magnificata dalla​​ ​​ massoneria e dall’a. internazionale e fu utilizzata ancora una volta per fomentare il discredito della Chiesa e dei governi conservatori spagnoli responsabili dell’esecuzione.

Bibliografia

Tomasi T.,​​ Ideologia libertaria e formazione umana,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1973;​​ Delgado B.,​​ La escuela moderna de Ferrer i Guardia,​​ Barcelona, CEAC, 1979; Rodas I. - A. De la Calle,​​ Anarquismo y comunismo: ayer y hoy, Barcelona, Curso, 2005.

B. Delgado

image_pdfimage_print
ANARCHISMO ED EDUCAZIONE

ANGELI E DEMONI

 

ANGELI E DEMONI

1.​​ Il messaggio rivelato delle Scritture attesta che il progetto di comunione filiale voluto da Dio per il mondo in forza del quale esiste tutto quanto esiste, pur incentrandosi (come dimostra l’incarnazione) sulla risposta della libertà umana, si estende alla partecipazione di libertà create superiori a quella umana e solidali con essa. Questa rivelazione costituisce il nucleo portante della dottrina di fede riguardante gli A.

Il medesimo messaggio insegna che lo spessore del male vinto in radice dalla croce di Gesù Cristo con una vittoria che gli uomini debbono far propria nella storia, si allarga, ben oltre la pura malvagità umana, a un potere distruttivo superiore che rende assurda e suicida la pretesa dell’uomo di debellare le ingiustizie e le iniquità del mondo con le sole sue forze. Questa rivelazione rappresenta la sostanza della dottrina di fede riguardante il diavolo e​​ i​​ D.

2.​​ Ne consegue che l’angelologia e la demonologia non sono temi a sé stanti intesi ad elaborare informazioni dirette sugli A. e D. stessi, ma sono capitoli interni della antropologia e della cristologia che consentono sostanziali approfondimenti del mistero dell’uomo e di Gesù.

In relazione alla antropologia, l’angelologia motiva l’umiltà dell’uomo impedendogli di interpretarsi come la sola riuscita spirituale dell’universo creato, e mette in evidenza la gratuità di Dio che si compiace con la libertà più piccola organizzando l’intera creazione attorno ad essa; assieme, conferma la struttura estatica e dialogica dell’uomo denunciando apertamente la stoltezza delle creature che credono di bastare a se stesse chiudendosi nell’egoismo. La demonologia invece smentisce radicalmente l’utopia di una autonoma redenzione dell’uomo compiuta dall’uomo stesso, e giustifica l’esercizio della misericordia verso i peccatori mostrando in essi dei colpevoli che sono pure delle vittime.

In relazione alla cristologia, l’angelologia manifesta le sconfinate dimensioni della signoria universale di Gesù risorto; mentre la demonologia fa capire come senza Gesù davvero non si possa fare nulla, non solo sul piano primario della comunione con Dio, ma anche su quello subordinato della liberazione dal male, trasformandosi per ciò stesso in decisivo motivo di ferma adesione al Risorto.

3.​​ Le difficoltà opposte alla dottrina degli A. e dei D., oggi emarginata e contestata anche in campo cattolico, nascono soprattutto dal fatto che essa si scontra frontalmente con la convinzione della totale autosufficienza dell’uomo pacificamente professata dalle culture dominanti del nostro tempo. Una adeguata C. del loro significato costituisce un eccellente correttivo dell’illusione più tragica e diffusa della mentalità corrente, rivestendo per ciò stesso un grande valore educativo. Le numerose asserzioni bibliche sulla realtà e sulla importanza degli A. e dei D. sono talora intese in modo da ridurre i primi a semplice simbolo della sollecitudine di Dio per il mondo (provvidenza), e i secondi a semplice personificazione dell’orrore del peccato. Questa interpretazione contraddice categoricamente la convinzione personale di Gesù sulla verità e sulla rilevanza della lotta contro il diavolo e i D.; convinzione accertata sia dallo studio critico del materiale neotestamentario, sia soprattutto dalla ermeneutica del senso genuino delle Scritture garantita dalla tradizione credente della Chiesa. Resta vero però che la sola considerazione dell’AT non basta a consentire una soluzione sicura della questione; che il NT assicura la realtà personale degli A. a partire da quella dei D. e non viceversa; e che non tutti i passi concernenti la loro attività possono essere intesi come suonano.

4.​​ Nel parlare di queste misteriose realtà, occorre distinguere accuratamente tra i dati che vincolano la fede e quelli che rappresentano, pur se sostenuti da venerande tradizioni, delle semplici opinioni teologiche. Vincola la fede la professione della importanza dell’azione degli A. e del diavolo nella storia concreta dell’uomo; la loro realtà di creature superiori all’uomo e coinvolte nel suo cammino; la verità del loro essere semplici creature, e quella della dipendenza della loro attuale santità o malvagità dalla scelta della loro libertà. Appartengono all’area della libera discussione le questioni riguardanti la natura della colpa che ha trasformato gli A. in D., l’interpretazione che li vuole spiriti puri, l’illustrazione delle loro modalità di conoscenza, volere e agire, il numero e la gerarchia degli A., e la distinzione tra diavolo (Satana) e i D. È certo che l’accezione del termine “persona” è diversissimo se applicata agli A. o ai D., e sempre solo analogica con quella che si attaglia agli uomini.

5.​​ Nella presentazione di questa dottrina si deve evitare ogni sorta di speculazione gratuita; come pure una presentazione del demoniaco che offuschi il carattere gioioso della buona novella cristiana, come avviene quando si parla della forza di Satana senza nominare l’onnipotenza di Dio, o si discute della lotta contro di lui senza vederla quale prolungamento della vittoria già ottenuta dall’obbedienza di Gesù al Padre.

Il linguaggio più appropriato per parlarne resta quello simbolico, fondato sulle esperienze più profonde di bene o di male registrabili nella storia dei singoli e della umanità.

Bibliografia

H. U. von Balthasar,​​ Angeli e demoni,​​ in​​ Theodrammatica,​​ vol. 3, Milano, Jaca Book, 1983, 425-462; M. Flick – Z. Alszeghy,​​ Il Creatore. L’inizio della salvezza,​​ Firenze, LEF, 19612; G. Gozzelino,​​ Vocazione e destino dell’uomo in Cristo,​​ Leumann-Torino, LDC, 1985; W. Kaspek – K. Leumann (ed.),​​ Diavoli, demoni, possessione,​​ Brescia, Queriniana, 1983; A. Marranzini,​​ Angeli e demoni,​​ in​​ Dizionario Teologico Interdisciplinare,​​ vol. I, Torino, Marietti, 1977, 351-364; M. Seemann – D. Zahringer,​​ Il mondo degli angeli e dei demoni,​​ in​​ Mysterium Salutis,​​ vol. 4, Brescia, Queriniana, 1970, 721-816.

Giorgio Gozzelino

image_pdfimage_print
image_pdfimage_print
ANGELI E DEMONI

ANIMAZIONE

ANIMAZIONE

Mario Pollo

 

1. Che cosa è l'animazione oggi

1.1. I​​ Cinque filoni dell’animazione

1.2. Le radici linguistiche della parola animazione

1.3. Verso una definizione di animazione

2. Il modello formativo dell’animazione culturale

2.1. I fondamenti antropologici dell’animazione culturale

2.2. Gli obiettivi dell’animazione culturale

2.3. Il metodo

2.3.1. L’accoglienza incondizionata dei soggetti educativi e del loro mondo

2.3.2. La relazione educativa interpretata in chiave di comunicazione esistenziale

2.3.3. Il gruppo come luogo privilegiato dell’esperienza educativa dell’animazione culturale

2.3.4. L’uso originale di alcune tecniche e strumenti formativi

3. Conclusione

 

1.​​ Cosa è l’animazione oggi

L’animazione è oggi una delle funzioni educative più diffuse nei settori extrascolastici. Essa rivolge la propria azione nei confronti di tutte le fasce di età, anche se il suo terreno privilegiato è ancora costituito dai giovani, e si è anche affermata come metodo privilegiato di intervento nei confronti di situazioni di disagio sociale.

Forse proprio a causa di questo successo l’animazione è per molti, purtroppo, la funzione educativa più indeterminata e, per molti versi, la più generica. Ciò è anche dovuto al fatto che in molti casi la parola animazione viene utilizzata, essendo di moda, per dare presentabilità ad attività che si vorrebbero educative ma che sono solo desideri di avventura culturale.

Vi è però anche una ragione più seria che rende poco decifrabile il significato della parola animazione ed è l’esistenza di varie tendenze culturali, molto serie peraltro, che propongono concezioni assai differenti dell’animazione.

 

1.1. I cinque filoni dell'animazione

Queste tendenze con una semplificazione non troppo violenta possono essere raccolte in cinque filoni principali.

 

1.1.1. L ’animazione teatrale o espressiva​​ 

Il primo filone, forse quello più noto negli anni delle origini del movimento dell’animazione, è quello legato all’animazione teatrale, o di tipo espressivo in generale, che conta al proprio interno figure storiche tra cui Rodari, Passatore e Scabia.

Questo tipo di animazione, nato sotto il segno della liberazione della espressività e della fantasia attraverso la festa ed il gioco, è andato progressivamente aprendosi ai problemi della vita quotidiana e del territorio. Si può perciò affermare che l’animazione teatrale è passata da un teatro che libera dalle paure e dalle inibizioni ad un teatro che serve alla vita di ogni giorno.

In questo passaggio l’animazione teatrale è andata evolvendo verso l’animazione socioculturale o, perlomeno, ha favorito Io sviluppo di quest’ultima.

 

1.1.2. L’animazione socioculturale

Il secondo è il filone dell’animazione socioculturale. Esso è ben rappresentato dalla rivista «Animazione Sociale». La caratteristica di questa scuola di animazione è costituita dal suo collegamento con il volontariato e dal fatto che colloca la sua azione come intervento nel territorio, al fine di favorire i processi di crescita della capacità delle persone ed i gruppi di partecipare e gestire la realtà sociale e politica in cui vivono.

È una educazione liberatrice che si avvale, oltre che dell’azione nel territorio, dell’uso dell’azione psicosociale volta a promuovere la capacità espressiva delle persone. È questo un movimento ormai consolidato con alle spalle un consistente retroterra teorico e metodologico che costituisce uno dei maggiori punti di riferimento per chi voglia fare animazione in Italia.

 

1.1.3. L’animazione culturale

Il terzo è quello dell’animazione culturale in senso fortemente educativo e fa capo alla rivista «Note di Pastorale Giovanile» del Centro Salesiano di Pastorale Giovanile.

La caratteristica di questo movimento è quella di avere ripensato l’animazione come un vero e proprio modello educativo valido sia in un contesto scolastico che extrascolastico. L’animazione culturale secondo questa eccezione è una vera propria teoria educativa, fondata su concezioni filosofico-antropologiche, su un metodo validato e su una strumentazione particolare.

È questo il movimento più diffuso nell’ambito ecclesiale italiano, anche se la sua presenza non è limitata a questa area sociale. Un motivo di questa diffusione nell’ambito ecclesiale è dovuto allo stretto collegamento che questa concezione ha operato con la più moderna concezione della Pastorale Giovanile. In questi ultimi anni ha avuto una forte diffusione anche nei paesi di lingua spagnola. La scelta dell’aggettivo culturale deriva dal privilegio della dimensione della cultura nella costruzione dell’identità individuale e storico sociale dei soggetti dell’animazione.

 

1.1.4. L’animazione del tempo libero e delle vacanze

Il quarto, che si deve citare solo per motivi statistici, è quello che raggruppa quelle attività di animazione cresciute all’ombra dei villaggi turistici ma la cui dignità educativa, o semplicemente culturale e sociale, è tutta da dimostrare.

 

1.1.5. L’animazione come insieme di tecniche e di strumenti per il lavoro di gruppo

Il quinto filone è quello che si limita ad applicare tecniche e metodi di lavoro desunti dagli studi di dinamica di gruppo e della comunicazione interpersonale a varie attività educative. È questa la dimensione più tecnica e diffusa del fare animazione anche perché tutti gli altri filoni utilizzano abbondantemente queste tecniche all’interno dei loro percorsi formativi.

Tuttavia, da solo, questo insieme tecnico e conoscitivo non costituisce una adeguata concezione dell’animazione socioculturale e culturale. Purtroppo molti animatori pensano che animare sia solo l’applicazione di certe tecniche di lavoro di gruppo.

 

1.2. Le radici linguistiche della parola animazione

L’esistenza di questa varietà di modi di aggettivare la parola animazione, che si manifesta in una pluralità di attività differenti, è dovuta al particolare significato che è sedimentato nelle radici più profonde della parola animazione.

 

1.2.1. L ’animazione secondo il Tommaseo

Secondo quel grande ed irripetibile dizionario che è il Tommaseo animazione è: «1. l’atto di ricevere l’anima; 2. l’atto del dare l’anima, o del mantenere la vita animale;

3. complesso delle facoltà e degli atti della vita animale; 4. moto vivace di persona, passionato o no: è gallicismo». Questa descrizione della parola animazione si arricchisce di molto se si consulta la voce «animare» dello stesso dizionario.

Animare secondo il Tommaseo è: «Coll’anima dar vita al corpo, consevargliela, svolgergliela». Dalla consultazione di questo vecchio dizionario emerge in tutta evidenza che animare è l’azione attraverso cui la vita infonde di sé l’uomo e l’universo e che animazione, quindi, è ogni gesto umano che sia finalizzato a «dare vita» e a «dare anima». Queste definizioni consentono di affermare che la parola animazione odierna ha le sue radici non in un ben definito atto, ma in tutti quegli atti che sono finalizzati a dar vita ed anima. È questo il motivo per cui la parola animazione oggi sopporta con disinvoltura usi assai differenti. L’unico uso che non viene legittimato, in quanto le sue radici sono il «gallicismo», è quello delle attività di tempo libero e delle vacanze prima citate.

 

1.3. Verso una definizione di animazione

La breve incursione alla ricerca delle radici della parola animazione nella lingua italiana fa emergere come l’animazione più che come una attività particolare debba essere considerata una qualità dell’agire umano. Una qualità che può essere ritrovata all’interno di differenti attività umane. Animare appare, quindi, come un modo dell’agire più che una specifica azione. Questa qualità dell’agire, di cui l’animazione è la concretizzazione, può essere riconosciuta all’interno di quei gesti che manifestano un autentico amore alla vita. Infatti il dare la vita, il conservarla e l’accrescerla, a cui la definizione del Tommaseo fa riferimento, sono gli atti concreti del vero amore alla vita.

Si può dire perciò che l’animazione è una azione embricata, nascosta in altre ritenute principali. Essa si presenta, quindi, come una sorta di significato latente, presente in alcuni segni e contesti della vita umana.

 

1.3.1. L ’animazione come amore alla vita​​ 

L’animazione — come significato latente di amore alla vita che è alla base dei gesti umani che favoriscono la nascita, la conservazione e lo sviluppo della vita — pone come estranei al proprio orizzonte quei gesti e quelle azioni che sono segnati dalla alienazione, dalla schiavitù, dall’oppressione dell’uomo sull’uomo o su sé stesso e che impediscono alla singola vita umana di svolgersi esprimendo tutta la potenza che in essa è contenuta. L’orizzonte di senso dell’animazione rimanda alla libertà, alla creatività, alla gioia, all’amore per gli altri giocato sul rispetto di sé stessi, alla speranza come senso fondamentale dell’agire umano ed, infine, allo scacco ed al fallimento come tratto umano, origine di vita e non di distruttiva disperazione. Per questo motivo si può affermare che l’animazione è una qualità che compare solamente nelle forme di vita liberanti e liberate, in quello spazio-tempo in cui si declina la crescita e l’emancipazione dell’uomo dalle ferinità che, ancora, nelle profondità arcaiche del suo essere urlano la loro presenza.

 

1.3.2. L’animazione come scommessa sulla vita e sull’uomo

Da queste riflessioni emerge con una certa evidenza che l’animazione è, prima di tutto, un modo di vivere e di affrontare la vita. Infatti la funzione che qualifica l’animazione è, come si è visto, l’amore alla vita nella verità e nella libertà, che si esprime in un atteggiamento globale, fallace ed imperfetto per sua natura, ma che rappresenta lo sforzo dell’uomo e del suo pensiero di onorare la vita al di là dello scacco e del fallimento che ogni giorno segnano il suo vivere. Viviamo in un tempo di crisi culturale drammatica e complessa.

Sappiamo che la persona è al centro di una trama di relazioni politiche, economiche e culturali che spesso la condizionano e la soffocano.

In questo contesto l’animazione intende svolgere, consapevolmente, la sua funzione: rendere l’uomo felice, restituirgli la gioia di vivere. È una piccola cosa questa nella mischia delle sopraffazioni, degli intrighi, degli sfruttamenti e delle violenze; ma è una cosa tanto grande che vale la pena di spendere la vita per perseguirla.

È in questo senso che l’animazione è una scommessa sulla vita e sull’uomo: scommessa sull’uomo e sulla sua capacità di liberazione storica, pur nella povertà e nella debolezza che contraddistingue ogni sua azione.

Essa, utilizzando il linguaggio di Paulo Freire, è un «tema generatore» di vita nello stesso momento in cui la vita stessa è minacciata. Un luogo di speranza per il futuro dell’umanità, un luogo in cui tentare di liberare la ricchezza delle nuove generazioni ed in cui continuamente rigenerare l’uomo e la stessa società.

 

1.3.3. L’animazione come modello formativo

Dopo aver delineato brevemente il significato della parola animazione, così come esso è radicato nella tradizione culturale italiana, è necessario intersecarlo con quello che si ricava dall’analisi degli usi sociali odierni della parola e che sono stati schematizzati nei cinque filoni prima descritti. Filoni che si riducono a quattro, scartando quello dell’animazione del tempo libero e delle vacanze che, come si è visto, non ha nulla da spartire con il significato autentico della parola animazione come è conservato dalla tradizione culturale. Oltretutto, oltre a essere gallicismo, questa forma di animazione lavora per l’alienazione dell’uomo da sé stesso e non per la sua liberazione.

Il denominatore comune che è possibile rintracciare negli altri quattro filoni è costituito dalla funzione formativa.

Tutte queste attività, infatti, aspirano a ottenere una particolare educazione delle persone a cui sono rivolte. Esse mirano, cioè, alla crescita, in queste persone, di alcune capacità necessarie a consentire loro di esprimere più compiutamente sé stesse all’interno della vita sociale.

La qualità educativa, non importa se in modi e forme diverse, sembra segnare tutti i quattro filoni dell’animazione.

In molti casi, purtroppo, questa intenzionalità educativa delle attività di animazione è nascosta sotto una coltre di ideologia che rischia di soffocarle o di trasformarle, senza alcuna mediazione, in attività politiche e parapolitiche. Questo pericolo è legato alla particolare storia che ha segnato l’evoluzione dell’animazione in Italia.

 

1.3.4. L’evoluzione dell’animazione in Italia

La storia dell’animazione è ancora talmente breve che la sua descrizione sembra più una cronaca che una vera e propria storia. Tuttavia nel suo sviluppo sono già identificabili tre periodi ben distinti: la nascita, il decollo e la maturità.

Per quanto riguarda il primo periodo è oramai accettato da tutti che l’animazione è nata intorno ai temi della creatività negli anni del decollo nel nostro paese dell’industria culturale e dell’avvento della scuola di massa come risposta, quindi, ai problemi conseguenti a questi fenomeni e, cioè, alla crisi della scuola tradizionale e a quella della trasmissione culturale sociale. In questo periodo l’animazione ha esplorato i territori dell’espressività nelle sue varie forme artistiche e sociali. In questi anni vede l’affermarsi di quello che è stato definito il primo filone delle varie concezioni dell’animazione.

Il periodo del decollo è immediatamente successivo al ’68. In quegli anni l’animazione, alla ricerca di nuove risposte ai vecchi modelli politici e culturali, spostò la sua attenzione dall’ambito della scuola dell’obbligo a quello del territorio. Il territorio, divenne il luogo privilegiato di varie esperienze, più o meno spontanee finalizzate a risvegliare la presa di coscienza, la partecipazione politica e la liberazione delle persone dai condizionamenti sociali, culturali ed economici che ne impedivano la realizzazione individuale e collettiva.

Questo movimento era un’attività in cui l’animatore attraverso l’educativo perseguiva un obiettivo politico o parapolitico. Successivamente questo tipo di «tensione» è stato raccolto, parzialmente, dalle attività culturali delle amministrazioni comunali che hanno avviato progetti di animazione socioculturale rivolte alla scuola dell’obbligo, ai centri sociali di quartiere, alle attività ludiche e sportive, alla gestione delle estati per i ragazzi, per gli adulti e per gli anziani. In questo periodo si afferma il filone socioculturale e nasce e cresce a ritmi molto intensi quello culturale.

L’ultimo periodo, quello attuale, è meno ricco di tensioni politiche ma assai più consapevole della valenza squisitamente educativa dell’animazione. In questo periodo quasi tutte le correnti teoriche dell’animazione hanno, infatti, selezionato i loro obiettivi specializzandoli. Nello stesso tempo i movimenti dell’animazione hanno collocato la propria azione all’interno delle agenzie istituzionali di socializzazione, di inculturazione, di educazione e in quelle di gestione e controllo della marginalità e della devianza.

Per questo motivo la fase attuale è quella che può consentire una maggiore convergenza delle varie scuole di animazione verso un’area disciplinare comune.

Questa area disciplinare comune si basa sulla constatazione che, oggi, l’animazione può essere vista come l’amore alla vita che si esprime nella fiducia della possibilità dell’educazione di formare uomini liberati, protagonisti coscienti della propria esistenza. In altre parole questo significa che l’animazione è una attività educativa, e quindi intenzionale e metodica, che mira a offrire alle persone la capacità di rendersi coscienti di fronte ai processi formativi a cui sono soggette nella vita sociale e di metterle in grado di intervenire su di essi, in modo attivo e partecipe, orientandoli verso quegli obiettivi che esse ritengono necessari alla loro evoluzione e crescita umana.

Ora se questo è, molto genericamente, il denominatore comune di tutti i filoni di animazione esso è comunque quello che è alla base in modo specifico del filone dell’animazione culturale e che ha trovato in quest’ultima il suo compimento più coerente.

 

2. Il modello formativo dell’animazione culturale

L’animazione culturale, proprio perché si definisce oltre che come stile di vita anche, e sostanzialmente, come modello formativo, ha elaborato una propria antropologia di base, dei propri obiettivi ed un proprio particolare metodo formativo. Questo processo di elaborazione teorica le ha consentito di presentarsi come un modo affatto particolare di fare educazione aut formazione e, quindi, di superare il ruolo che alcuni le avevano affidato di semplice insieme di strumenti e tecniche utile a potenziare metodi e concezioni educative tradizionali e non.

L’animazione culturale, riprendendo pienamente il significato più profondo della parola animazione, fonda la propria riflessione teorica e la propria prassi sulla scommessa che anche in un contesto sociale e culturale come l’attuale, che per molti versi sembra segnato più dalla morte che dalla vita ed in cui la speranza sembra essere prigioniera di un presente narcisistico, è possibile proporre alle giovani generazioni un percorso formativo strutturato intorno ad un profondo ed autentico amore alla vita.

Un amore alla vita però non zuccheroso e bonaccione ma, al contrario un amore alla vita che deve scaturire dal duro confronto con la realtà, specialmente laddove questa è intessuta dal dolore e dallo scacco del fallimento. Un amore alla vita, quindi, quello della scommessa dell’animazione, che è capace di riconoscere lo scacco ed il fallimento dell’agire dell’uomo nel mondo, che non contrabbanda ciò che è debole per ciò che è forte e ciò che è povero con ciò che è ricco.

Un amore alla vita racchiuso in un progetto d’uomo che si lascia provocare, senza per questo smarrire la speranza, sia dallo scandalo della sofferenza che ancora risuona nel mondo, sia dalla consapevolezza della povertà delle risorse umane atte a combatterla. Questo significa che il progetto d’uomo a cui fa riferimento l’animazione pur accogliendo la debolezza umana come suo dato costitutivo non se ne lascia irretire e vincere, perché cerca di trasformarla solidificandola. L’amore alla vita dell’animazione culturale è perciò il risultato di un incontro scontro del giovane con la finitudine, intesa come debolezza, povertà e, quindi, come limitazione radicale delle possibilità del dominio della persona su sé stessa e sulla realtà del mondo. L’animazione culturale vuole esprimere questa qualità di amore alla vita, reinterpretando nella cultura odierna l’atto del dare, conservare e sviluppare la vita che la definizione arcaica della parola propone. Verso questa qualità tende l’antropologia, tendono gli obiettivi e guida il metodo dell’animazione culturale.

 

2.1. I fondamenti antropologici dell'animazione culturale

L’antropologia di base dell’animazione è concepita come un sistema aperto di concetti costituito da sette unità portanti. Il termine sistema aperto indica che la definizione di uomo non viene esaurita dalla descrizione che viene fatta in questa parte ma che essa deve essere integrata con i frammenti di visioni dell’uomo che, inevitabilmente, emergeranno dalla descrizione degli obiettivi e del metodo dell’animazione.

 

2.1.1. L’uomo come sistema non determinato ed aperto

L’uomo è quell’essere vivente il cui futuro non è determinato né dal suo patrimonio genetico ereditario, né dai condizionamenti dell’ambiente naturale e sociale in cui ha la ventura di vivere.

Ereditarietà, in maggior misura, e ambiente sono le due costrizioni che determinano, invece, il comportamento delle specie animali. L’uomo nasce con un compito prioritario: quello della propria costruzione.

Una costruzione che nella prima fase della sua vita lo vede protagonista passivo di un progetto elaborato dalla famiglia e dal gruppo sociale in cui vive, ma che man mano che passa il tempo lo vede appropriarsi di un protagonismo sempre più attivo e cosciente. L’educazione che la famiglia e il gruppo sociale gli offrono è il percorso attraverso cui realizza il passaggio dalla dipendenza all’autonomia. Questa progressiva partecipazione dell’uomo al suo processo di costruzione è ciò che gli consente di non essere né il riflesso dell’educazione che ha ricevuto e della storia personale e sociale che ha vissuto, né il prodotto psichico della particolarità del suo organismo.

Questo gli consente, almeno parzialmente, di progettare e di vivere la propria storia in modo originale.

L’uomo per sopravvivere e realizzare in modo soddisfacente le potenzialità di cui è portatore deve partecipare attivamente alla propria costruzione, attraverso un progetto responsabile e consapevole. La vecchia favola della cicala e della formica illustra questa realtà della condizione umana ai ragazzi.​​ Infatti, l’uomo per le sue caratteristiche strutturali se vuole sopravvivere, sia fisicamente sia psichicamente, deve elaborare dei progetti esistenziali a medio periodo. Per potersi nutrire oggi ha compiuto delle scelte e delle azioni molto tempo fa. Nelle società industriali, dove l’uomo ha scarse possibilità di raccogliere o di cacciare ciò che gli serve per nutrirsi e proteggersi dai disagi dell’ambiente naturale, la sopravvivenza richiede una strategia complessa che ha tempi di realizzazione quasi mai immediati. Per non parlare della possibilità di realizzazione delle aspirazioni immateriali.

L’uomo non può abbandonarsi all’istinto ed al giorno per giorno per sopravvivere e realizzarsi, ma deve elaborare un preciso progetto di sé e della propria vita.

 

2.1.2. La progettualità come azione fondamentale della vita umana

La progettualità, come si è appena visto, può essere considerata la dimensione costitutiva dell’esistenza umana. Con altre parole si può dire che l’uomo per realizzarsi deve impossessarsi del tempo lungo cui scorre la sua vita. Un tempo scandito tra la memoria del passato ed il sogno del futuro, attraverso il concreto agire nel presente. Progettare la propria vita vuol dire per l’uomo costruirsi una storia in cui ogni istante ricava il proprio senso, oltre che da sé stesso, dal riverbero del passato e dallo sguardo rivolto al futuro. Tuttavia per realizzare il progetto di sé stesso l’uomo, non potendo far riferimento alla ereditarietà biologica, deve necessariamente ricorrere a esperienze, a strumenti e a metodi la cui efficacia sia stata verificata. Nessun essere umano è in grado, da solo, di inventarsi tutto ciò che serve alla sua vita materiale, psichica e spirituale. Al massimo può offrire un suo personale contributo all’arricchimento di questa strumentazione. Questo significa che l’essere umano, per sopravvivere e per realizzarsi, ha bisogno di nascere e di essere educato in un ambiente sociale dotato delle conoscenze e delle tecniche necessarie a garantirgli la possibilità di realizzare un efficace progetto della propria vita e, conseguentemente, una sua efficace realizzazione concreta.

In altre parole, questo significa che l’uomo per poter sopravvivere e costruirsi deve entrare a far parte di quell’intelligenza collettiva a cui viene, oggi, dato il nome di cultura sociale.

 

2.1.3. La cultura sociale come grammatica del progetto d’uomo​​ 

La cultura sociale può essere considerata come la grammatica che fornisce alla persona umana le regole ed il metodo che le consentono di realizzare la propria vita. Già Freud considerava la cultura come lo strumento fondamentale che l’uomo ha a disposizione per emanciparsi dalle ferree leggi della natura.

La cultura sociale non deve però essere intesa come una sorta di costrizione deterministica. Come tutte le grammatiche, infatti, essa consente di costruire molteplici discorsi, magari anche contradditori tra di loro, a partire dalle identiche regole e dall’identico vocabolario. Occorre però dire che come le persone nella vita quotidiana usano la grammatica linguistica per produrre discorsi scontati e banali, così le stesse persone usano la cultura per produrre progetti di vita conformistici e poco realizzanti la loro umanità. In ogni caso, però, resta valida la considerazione che l’uomo può sopravvivere, crescere e svilupparsi solo se è inserito in una cultura, dalla quale possa apprendere a progettare ed a costruire quell’insieme di azioni che gli consentono sia la sopravvivenza che la realizzazione di sé.

Il concetto di cultura rischia di essere troppo generale ed astratto per cui è necessario rileggerlo attraverso la sua manifestazione concreta nella vita sociale quotidiana: la comunicazione.

 

2.1.4. La coppia cultura-comunicazione​​ 

Il concetto di comunicazione abbraccia un ambito più vasto di quello che solitamente viene riferito allo scambio di informazioni puro e semplice. Levy-Strauss ha evidenziato l’esistenza di tre tipi di comunicazione in ogni gruppo sociale:

— quella costituita dallo scambio di beni e servizi, ovvero dall’economia;

— quella rappresentata dallo scambio parentale, ovvero le regole matrimoniali e parentali in genere;

— quella dello scambio delle informazioni, ovvero la comunicazione vera e propria. Tutte le culture sociali si esprimono attraverso questi tre tipi di comunicazione, che nella vita quotidiana si presentano intrecciate in forme complesse.

Cultura e comunicazione formano nella vita sociale umana una coppia inscindibile in quanto nessuna delle due può esistere senza l’altra. Infatti senza comunicazione non si ha cultura e senza cultura non si ha comunicazione.

Questo significa che l’uomo dipendendo dalla cultura per la propria autorealizzazione, dipende concretamente anche dalla comunicazione. La comunicazione è quindi per l’uomo non solo uno strumento ma un vero e proprio elemento costitutivo della sua esistenza. Egli è ciò che è solo perché comunica con sé stesso, con gli altri e con la natura all’interno di una cultura. L’uomo ha conquistato la libertà dal dominio dell’istintualità solo perché ha potuto accedere alla cultura attraverso la comunicazione.

Quest’ultima è lo strumento concreto che consente all’uomo di elaborare e di realizzare progetti di costruzione di sé al di fuori delle costrizioni dell’ereditarietà biologica.

La constatazione della dipendenza della progettualità esistenziale dalla comunicazione-cultura comporta alcune rilevanti conseguenze.

La prima è quella che l’uomo può realizzarsi e esistere come individuo solo se è inserito all’interno di una cultura e, quindi, di una collettività. Questo significa che senza il collettivo non esiste l’individuale e, quindi, che il Noi precede l’Io.

La seconda conseguenza è che qualsiasi progetto di vita che un individuo elabora è sempre, a volte in modo misterioso, interrelato con i progetti elaborati dagli altri individui. Il terreno su cui si svolge questa interrelazione è quello del significato che è veicolato dalla coppia cultura-comunicazione.

La terza conseguenza è il riconoscimento del legame tra progettualità e responsabilità. Ogni persona deve manifestare la propria libertà e la propria autonomia assumendosi sino in fondo la responsabilità, oltre che del proprio progetto personale, anche di quello degli altri attraverso la partecipazione solidale al Noi. Il riconoscimento della funzione del Noi nella progettualità individuale implica necessariamente l’assunzione della responsabilità nei confronti dello stesso Noi.

 

2.1.5. L’uomo come produttore di significati

L’uomo è un produttore ed un consumatore permanente di significati. La cultura, e quindi la comunicazione, è interamente giocata all’interno del mondo dei significati. Nell’uomo la comunicazione non è quasi mai un comando biologico, un comando cioè simile all’impulso che partendo dal telecomando fa cambiare canale al televisore. Al contrario essa agisce attraverso la mediazione del significato. L’uomo quando riceve una comunicazione non reagisce ad un comando ma interpreta un significato.

Il significato è la dimensione costitutiva in quanto è alla base di tutte le altre dimensioni che sono state qui descritte. Progettualità, cultura, comunicazione, responsabilità, soggettività, solidarietà, ecc., sono tutte dimensioni esistenziali radicate all’interno di sistemi di significato.

Il significato ed il suo produttore, il linguaggio simbolico, costituiscono la dimensione senza la quale tutte le caratteristiche tipiche della dimensione umana non potrebbero esistere.

 

2.2. Gli obiettivi dell’animazione culturale

Con uno slogan si potrebbe dire che l’obiettivo generale dell’animazione culturale è quello di​​ abilitare il giovane a costruire sé stesso all’interno dell’avventura di senso che, dall’origine dell’uomo, percorre senza posa il mondo.

E questo significa per il giovane l’accettare di essere uomo «con» e «per».

Con​​ gli altri uomini, con quelli, cioè, che prima di lui hanno vissuto, con quelli che vivranno dopo di lui e con quelli che abitano lo stesso suo spazio-tempo.

Con​​ il mondo disegnato dalla natura e dal linguaggio.

Con​​ la propria irriducibile solitudine.

Con​​ la speranza di ciò che esiste laddove tutto è silenzio.

Per​​ l’amore che nel mondo si manifesta nell’amore alla vita.

Per​​ la povertà che è ricchezza di senso del quotidiano.

Per​​ la storia come dono di salvezza dalla caduta prima della storia.

Per tutto ciò che può scaldare il cuore dell’utopia.

Questo obiettivo generale si concretizza attraverso tre obiettivi particolari:

— la costruzione dell’identità personale dentro la storia e la cultura;

— la scoperta del sociale come luogo della solidarietà ed in cui proporre sé stessi responsabilmente e senza mistificazioni;

— il riconoscimento dell’invocazione che la realtà lancia ad una speranza totale.

 

2.2.1. La costruzione dell’identità personale dentro la storia e la cultura

L’animazione mira a favorire nel giovane la costruzione di una identità personale con profonde radici nella storia e nella tradizione che costituiscono il fondamento della cultura sociale in cui si trova a vivere. Questo al fine di consentirgli la conquista di una appartenenza alla cultura sociale in cui la sua individualità risulti esaltata, così come la sua partecipazione attiva alla conservazione e alla trasformazione della stessa cultura sociale.

 

2.2.2. La scoperta del sociale come luogo della solidarietà ed in cui proporre sé stessi responsabilmente e senza mistificazioni

Il secondo obiettivo dell’animazione è lo sviluppo della capacità del giovane di partecipare alla vita sociale in modo autonomo e critico e, quindi, di immunizzarlo dalle manipolazioni del conformismo di massa e del potere. Questo obiettivo comporta necessariamente che l’agire individuale e sociale del giovane abbia un sistema etico di riferimento invece delle caotiche e frammentarie opportunità che la vita quotidiana gli offre. Da notare poi che l’eticità è la dimensione senza la quale non si realizza la scoperta dell’altro essendo essa, oltre che una difesa dell’individuo dalle manipolazioni della società di massa, anche il motore della socialità. Infatti senza la scoperta dell’altro non si sviluppa una socialità in grado di manifestare nella solidarietà il suo carattere costitutivo. L’eticità e l’altro sono gli elementi costitutivi di quella solidarietà che segna l’esperienza dell’amore nella vita sociale.

 

2.2.3. Il riconoscimento dell’invocazione che la realtà lancia ad una speranza totale​​ 

Il terzo obiettivo dell’animazione mira a liberare nella vita dell’uomo il sorriso della trascendenza. Questo obiettivo è fondamentale perché senza l’apertura alla trascendenza la vita dell’uomo si gioca all’interno di una relatività paralizzante che dimora al confine dell’angoscia e della distruttività.

L’uomo non può dare senso al proprio mondo, alla propria cultura ed alla propria vita se non possiede un punto di vista che sia oltre il suo limite personale e quelli della sua cultura e del suo mondo. Solo se comprende sé stesso, la cultura ed il mondo attraverso le vie di una fede o di un pensiero trascendente l’uomo può formulare un giudizio sulla verità e sulla coerenza della propria vita e della cultura che la disegna.

Senza il respiro della trascendenza l’uomo è chiuso in un mondo in cui tutto può essere vero e tutto può essere falso, tutto può essere espresso e tutto può restare inespresso, ma nulla ha valore in sé, nulla ha un significato tale da consentirgli di porsi come riferimento etico per una scelta esistenziale orientata verso un obiettivo che sia oltre la frontiera dell’utilità.

L’animazione senza il grido, l’invocazione alla trascendenza rischia anch’essa di perdersi nel rumore delle cose che non sono, delle mode, o financo della violenza, di una ragione o scienza che in nome del potere distrugge la vita.

Animare, dare la vita, è un dono che realizza sé stesso in quanto si pone come dono di una realtà e di un amore che sono prima e dopo l’uomo ed il suo mondo.

Attraverso l’apertura alla trascendenza l’animazione vuole dire al giovane che la speranza non è un’illusione, ma l’unica vera realtà che si svela nella sua pienezza solo dopo che nella fatica del quotidiano si è stati redenti redimendo il mondo.

 

2.3. Il metodo

Per raggiungere questi obiettivi l’animazione culturale si avvale di un metodo che è centrato su quattro cardini. Essi sono:

— l’accoglienza incondizionata dei soggetti educativi e del loro mondo;

— la relazione educativa interpretata in chiave di comunicazione esistenziale;

— la scelta del gruppo come luogo privilegiato dell’esperienza educativa dell’animazione;

— l’uso originale di alcune tecniche e strumenti formativi.

 

2.3.1. L’accoglienza incondizionata dei soggetti educativi e del loro mondo

La concezione di uomo su cui poggia l’animazione culturale è direttamente responsabile di questo aspetto del metodo. Infatti assumere una concezione dell’uomo significa, di fatto, assumere anche un particolare modo di rapportarsi agli altri, specialmente a livello di relazione educativa.

Una relazione educativa coerente con quanto sinora affermato deve manifestare alcune caratteristiche particolari.

La prima riguarda​​ l’accoglienza incondizionata di tutte le esperienze esistenziali dei soggetti educativi.​​ In concreto, questo significa che anche le esperienze più povere, più marginali e, a volte, più devianti contengono dei germi che se coltivati consentiranno la nascita di una più evoluta condizione esistenziale. Ogni situazione, anche la più disperata, è sempre aperta alla speranza, contiene sempre una concreta possibilità di trasformazione in senso evolutivo. Nessuna situazione umana può dirsi irredimibile od irreversibile. Questo comporta anche il riconoscimento che l’altro è sempre portatore di una ricchezza unica e non riproducibile che l’educatore deve accogliere come un dono prezioso ed irripetibile.

La conseguenza di questo riconoscimento è che l’educatore non può utilizzare con ogni gruppo di persone lo stesso progetto e gli stessi itinerari formativi, ma che, al contrario, egli deve sempre partire dalle potenzialità particolari di cui è portatore il gruppo e, quindi, di cui sono portatrici le persone che ha di fronte. L’educatore deve, cioè, riuscire a cogliere la realtà esistenziale del gruppo ed individuare in essa le possibili vie di maturazione e di evoluzione.

La seconda caratteristica della relazione educativa, che ne qualifica la sua capacità di essere accogliente, è data dalla sua capacità di​​ riconoscere la dignità educativa degli interessi di cui sono portatori i soggetti educativi.​​ In altre parole questo significa che non esistono delle situazioni educative migliori o peggiori a seconda degli interessi delle persone che le formano, ma che in ogni interesse delle persone, in ogni loro vissuto esistenziale, vi è sempre una potenzialità educativa. Un’attività sportiva si presta altrettanto bene di una attività culturale, ad esempio, per innescare l’azione educativa dell’animazione. Accogliere l’interesse di molti giovani per il cosiddetto «look», significa, di fatto, accogliere la loro domanda di identità e porla a confronto con le risposte, deboli e distorcenti, che offre la società dei consumi.

È chiaro che questa domanda va fatta evolvere verso una risposta più formativa rispetto a quella proposta dalle mode. È però, in ogni caso, da accogliere come domanda realmente educativa e non come specchietto per catturare, subdolamente, i giovani.

La terza caratteristica riguarda​​ l’accettazione, da parte dell’animatore, della persona dell’educando come sistema complesso.​​ Questo significa la capacità di riconoscere che l’uomo non è soggetto ad alcun determinismo e che il futuro della sua vita è anche nelle mani della sua libertà.

La parola «complesso» giustapposta a quella di «sistema» indica in modo particolare che ogni intervento dell’animazione deve investire l’uomo nella sua globalità e, quindi, che anche gli interventi parziali e settoriali hanno degli effetti sull’intiera persona umana.

 

2.3.2. La relazione educativa interpretata in chiave di comunicazione esistenziale

Si ha una relazione-comunicazione educativa nello stile dell’animazione quando si verificano le seguenti condizioni:

— il riconoscimento dell’asimmetria della comunicazione. Il riconoscimento, cioè, che nella relazione educativa tra adulti e giovani i primi rappresentano la memoria culturale ed i secondi la spinta del desiderio verso il futuro; spinta che però non ha ancora trovato le forme a cui applicarsi;

— la disponibilità reciproca alla comunicazione. Questo implica la conquista di un patto comunicativo tra educatori e giovani in grado di consentire lo scambio di valori oltre che di informazioni;

— la disponibilità al cambiamento sia da parte degli adulti che da parte dei giovani. L’animazione, infatti, si riconosce nell’affermazione di Paulo Freire: «Nessuno educa nessuno; nessuno è educato da nessuno; ci si educa tutti insieme».

 

2.3.3. Il gruppo come luogo privilegiato dell’esperienza educativa dell’animazione culturale

L’animazione svolge la propria attività educativa attraverso il gruppo umano. Essa, infatti, si basa sulla costruzione di una relazione educatore-educando mediata dalla situazione di gruppo. La scelta​​ del ruolo di mediazione educativa del gruppo nasce dalla constatazione che nel gruppo il giovane può sperimentare una relazione autentica e profonda con l’altro e, nello stesso tempo, accedere a una conoscenza e ad un vissuto critico del rapporto che egli ha con sé stesso e con la cultura nella quale abita. Il gruppo, da questo punto di vista, può essere una sorta di crogiuolo attraverso cui il giovane può raffinare la propria coscienza di sé e sperimentare rincontro solidale con l’altro all’interno di un rapporto più produttivo con la cultura sociale.

 

2.3.4. L’uso originale di alcune tecniche e strumenti formativi

Gli strumenti dell’animazione sono tutto ciò che serve a potenziare la relazione educativa e a orientarla verso il suo compimento. Sia chiaro però che non tutti gli strumenti possono essere utilizzati in quanto nessun strumento è neutrale portando in sé, sempre, una concezione particolare dell’uomo e della vita. Solo gli strumenti che sono coerenti con la concezione di uomo dell’animazione possono essere utilizzati.

In generale gli strumenti dell’animazione possono essere raggruppati in quattro classi:

— quelli derivati dallo studio della dinamica di gruppo e della comunicazione umana;

— quelli che consentono un’analisi scientificamente corretta delle esperienze del quotidiano;

— quelli che consentono l’azione di ricollegamento tra parola e cosa, parola ed esperienza che la cultura sociale ha separato svuotando la comunicazione umana di realtà e di verità;

— quelli inerenti la programmazione educativa.

Concretamente gli strumenti devono consentire alla relazione animatore-gruppo di innescare delle dinamiche volte ad aiutare le persone a:

— maturare la presa di coscienza di sé e degli altri;

— assumere la responsabilità intorno a sé stesse ed agli altri;

— analizzare la loro vita quotidiana e quella della società in cui abitano;

— elaborare un linguaggio in cui ci sia un rapporto più fedele tra le parole e la realtà;

— vivere, attraverso il gruppo, un adattamento attivo all’ambiente naturale e a quello sociale;

— vivere con autenticità il processo di maturazione del gruppo;

— ridefinire il loro progetto etico personale. Un’ultima osservazione. Le tecniche e gli strumenti non possono sostituire le capacità personali dell’animatore ma solo potenziarle. Un animatore deve saper raggiungere gli stessi risultati consentiti dall’uso delle tecniche anche utilizzando solo la sua comunicazione personale con il gruppo. Solo se l’animatore ha questa capacità può permettersi l’uso delle tecniche.

 

3.​​ Conclusione

L’animazione culturale è un modello formativo globale che mira ad una crescita e ad una evoluzione armonica dell’individuo considerato come un’unità indivisibile e non come una somma di parti e di funzioni.

Questa crescita e maturazione passa attraverso la presa di coscienza che l’individuo ed i gruppi sociali vivono in un mondo simbolico, disegnato dalla cultura attraverso il linguaggio, e che, quindi, essi devono prioritariamente sviluppare la loro capacità di utilizzare i sistemi simbolici della cultura. Questa capacità è indispensabile per consentire alle persone una partecipazione attiva alla ricerca di una cultura in cui la soggettività dell’individuo sia intessuta dalla solidarietà sociale e dotata di senso dall’apertura al trascendente.

 

Bibliografia

Bertolini P. (a cura),​​ L ’operatore pedagogico: problemi e prospettive,​​ Cappelli, Bologna 1984; Caprettini G. P.,​​ Aspetti della semiotica,​​ Einaudi, Torino 1980; Cassirer​​ E., La filosofia delle forme simboliche,​​ La nuova Italia, Firenze 1964; Freud S.,​​ Il disagio della civiltà,​​ Boringhieri, Torino 1971; Gehlen A.,​​ L’uomo,​​ Feltrinelli, Milano 1983; Jelfs M.,​​ Tecniche di animazione. Per la coesione nel gruppo e un'azione sociale non violenta,​​ LDC, Leumann 1986; Lévi-Strauss C.,​​ Antropologia strutturale,​​ Il Saggiatore, Milano 1966; Lévinas E.,​​ Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità,​​ Jaca Book, Milano 1980; Pollo M.,​​ L’animazione culturale: teoria e metodo,​​ LDC, Leumann 1981; Pollo M.,​​ Quale uomo? La ricerca di modelli,​​ Piemme, Casale Monferrato 1985; Pollo M., L ‘animazione culturale dei giovani. Una proposta educativa,​​ LDC, Leumann 1986; Pollo M.,​​ Uomo, cultura e​​ comunicazione,​​ Piemme, Casale Monferrato 1986; Pollo M.,​​ L’animazione sportiva nel progetto associativo,​​ Centrosport CSI, Milano 1987; Pollo M., Il gruppo come luogo di comunicazione educativa,​​ LDC, Leumann 1988; Vecchi J. - Maioli E.,​​ L’animatore del gruppo giovanile,​​ LDC, Leumann 1988; Von Bertalanffy L.,​​ Teoria generale dei sistemi,​​ III, Milano 1971; Watzlawick P. - Beavin Fielmick J. - Jackson D. D.,​​ Pragmatica delta comunicazione umana.​​ Astrolabio, Roma 1971.

image_pdfimage_print

 

ANIMAZIONE

In senso generale l’a. può essere intesa come uno stile, un approccio o un modo di rendere un servizio alle persone e alle comunità, cui corrisponde sul piano delle figure professionali un profilo specifico: l’animatore.

1. Il significato del termine a.​​ I termini «animare», «a. » e «animatore» indicano l’energia e l’attività che dà, espande, arricchisce la vita ed ispira un individuo o dei gruppi, sia dall’interno che dall’esterno. L’a., quindi, è essenzialmente un processo riferito alla vita e all’amore per la vita; promuove l’esistenza, l’armonia, la crescita e la coesione; abbraccia una vasta gamma di comportamenti umani e infonde energia, vitalità e spirito. Il termine, pertanto, è fondamentalmente collegato con la creatività, la gioia e l’ispirazione. L’a. diviene un’azione proficua solo in quelle esperienze dove c’è libertà e assenza di costrizione. L’a. sfida la vita stessa, così come sfida le personali capacità degli individui a liberarsi da ogni sorta di miseria che in qualche modo ostacola e svilisce la vita. Quindi la vita stessa diviene il luogo dove spargere i semi della speranza per il futuro.

2. Le diverse forme dell’a.​​ Esistono diversi modelli di a., che indichiamo brevemente, per soffermarci, poi, sul modello olistico dell’a. a)​​ A. creativo-espressiva:​​ è forse il modello generalmente più diffuso. È legato allo scenario della rappresentazione teatrale, che offre mezzi d’auto-espressione all’interno della comunità spesso utilizzati per aiutare i fanciulli e le persone con particolari problemi di apprendimento. b)​​ A. socio-culturale: ha dei legami con i processi educativi degli adulti e della comunità. Mira a promuovere lo sviluppo di talenti ed abilità delle persone e dei gruppi per abilitarli a una migliore partecipazione alle realtà sociali e politiche in cui vivono e ad una loro migliore gestione. c)​​ A. culturale: si riferisce maggiormente ad un approccio educativo e didattico applicabile ad attività scolastiche del doposcuola e specialmente a gruppi giovanili. Si tratta, in fondo, di una teoria educativa basata su un sottointeso paradigma filosofico / antropologico, con un metodo ben fondato e con risorse specifiche. Si qualifica per la dimensione culturale dell’identità individuale e le sue espressioni sociali e storiche. d)​​ A. del tempo libero:​​ si rivolge a forme ricreative o espressive. È un tipo d’a. nel quale il tempo libero delle persone è impiegato per liberare la loro auto-espressione e a per acquistare o riacquistare la loro creatività. e)​​ A. come dinamica di gruppo:​​ è riferita all’applicazione di tecniche e metodi che promuovono la comunicazione interpersonale e la messa in atto di attività di gruppo. f)​​ A. come modello olistico​​ per l’educazione si fonda sulla prospettiva di stili diversi e conseguenti ruoli da assumere per promuovere la pienezza di vita per tutti.

3. Comprensione del modello olistico dell’a.​​ Accentuando il significato delle parole «animare», «a.» e «animatore» come una qualità di vita, un modo dell’agire più che una specifica azione, possiamo comprendere l’a. come un insieme di​​ stili​​ per​​ ridestare (dare),​​ liberare (purificare),​​ rafforzare (sostenere),​​ progettare la vita;​​ ciascun stile è un​​ processo​​ e un​​ metodo​​ per​​ l’arricchimento della vita, che concorre a favorire un processo di​​ trasformazione della vita,​​ inteso come​​ un avanzare verso la pienezza di vita per tutti. E questo allo scopo di provocare dall’interno delle persone, la loro partecipazione alla vita della comunità. Per​​ a. che ridesta​​ o​​ dà la vita,​​ intendiamo uno stile di​​ pensare e di riferirsi alle persone​​ e ai dinamici processi interni connessi con la loro maturazione umana e spirituale. L’a. come liberazione​​ o​​ purificazione della vita​​ abilita individui e gruppi a rimuovere tutte le forme d’annullamento della vita e a decidere di essere sempre a favore di essa. L’a. come rafforzamento​​ o​​ sostegno della vita, indica​​ l’essere in relazione per accompagnare​​ persone e gruppi, con suggerimenti e motivazioni, in un cammino di maturazione affinché essi stessi possano scegliere gli stimoli più adatti. Per​​ a. come progettazione della vita​​ s’intende uno stile educativo che seleziona risorse ed opportunità educative articolandole in relazioni libere, autentiche ed evolutive, per incoraggiare gli individui a discernere e ad identificare la loro​​ visione personale​​ in conformità con l’invito di Dio e ad abilitarli a procedere​​ verso una visione condivisa​​ capace di promuovere nella comunità la pienezza di vita per tutti. L’a. come arricchimento di vita​​ è un​​ processo e un metodo​​ che accetta la visione della realtà sempre mutevole e che considera Dio come la sorgente di questa crescita e apertura creativa allo sviluppo. In definitiva, l’a. è un movimento che trasforma la vita;​​ ciò comporta una​​ strategia unificante​​ che include tempi, luoghi, vari aspetti ed azioni e anche un processo convergente ed unificato, in cui la vita e l’amore per la vita sono gli elementi centrali. La meta di questo processo di trasformazione è la​​ pienezza di vita per tutti.

4.​​ I valori dell’a.​​ L’a. nelle sue diverse modalità, possiede propri valori, che possono essere sia ideali, sia concreti. A. indica l’insieme di azioni-riflessioni mediante le quali l’individuo o il gruppo intraprende liberamente il cammino verso la pienezza di vita per tutti e quindi è «animato». Tali azioni-riflessioni, a loro volta, abilitano gli individui o i gruppi a trasmettere la vita ad altri e così diventano animatori. L’a. è intenzionalmente centrata sulle persone, sulla loro coscienza e sulle loro capacità. Riconoscendo la libertà interiore e l’autonomia dell’individuo, l’a. offre l’opportunità per liberarle da tutto ciò che ostacola il cammino verso la pienezza di vita. L’a. ridesta gradualmente le loro capacità interiori, aprendo nuovi orizzonti, chiamandoli ad una riflessione critica su se stessi, su quelli che li circondano, sulla storia e sul mondo in cui vivono, promuovendo così un itinerario verso la pienezza di vita per tutti. Questo procedimento ha bisogno di essere manifestato attraverso la solidarietà, l’armonia e l’unità all’interno della società stessa e verso la natura, con il dialogo il quale promuove, inoltre, uno stile educativo che non manipola le persone, non fa un lavaggio di cervello, né impone alcuna cosa con la forza. Come metodo educativo, l’a. non minaccia le persone con condanne o rappresaglie, né promuove la partecipazione solo per una ricompensa o un favore. Si limita, invece, ad offrire risorse ed opportunità e ad organizzarle in una relazione libera, autentica, che conduce allo sviluppo, al sostegno e all’accompagnamento delle persone nella loro crescita verso la pienezza di vita per tutti, attraverso il processo di​​ self-empowerment​​ (auto-responsabilità). Nello stesso tempo, l’a. riconosce che questo cammino è intrapreso in un ambiente specifico, dentro una storia particolare con tutti i suoi aspetti positivi e negativi. In questo modo, la memoria del passato e la speranza di un futuro migliore assumono un significato fondamentale nel processo d’a. La consapevolezza dei propri limiti, il bisogno d’impegno e lo sviluppo della speranza e dell’ottimismo costituiscono uno dei segni più evidenti per la memoria e la speranza di un futuro migliore. Queste dimensioni sono promosse non solo in vista di una sopravvivenza ma, soprattutto, per mettersi in cammino verso la realizzazione degli ideali dell’amore autentico. Questi ideali rendono gli individui capaci di percepire gli altri come persone dotate di specifiche qualità e non come una minaccia e un peso; di conseguenza, essi sono una sfida per cercare l’armonia e l’unità. Questa memoria e speranza nel futuro richiedono dagli individui un rinnovamento continuo, implicando l’uso appropriato e giusto delle risorse messe a disposizione dell’umanità.

5. L’a. - uno specifico processo educativo. L’a. mostra i processi della personalizzazione e della coscientizzazione che hanno luogo all’interno delle persone, dei gruppi e delle comunità e sottolinea le motivazioni che sottostanno alle varie scelte, e ne promuove sia la capacità critica, sia la partecipazione attiva ai processi di crescita, abilitandoli a diventare protagonisti responsabili. Inoltre, li rende consapevoli della realtà delle loro potenzialità inespresse, represse o soppresse, rafforzando in tal modo il tessuto sociale. L’educazione, invece, è generalmente intesa come una specifica attività umana associata a ruoli e figure precise entro una particolare relazione interpersonale che coltiva, cura e forma individui della generazione che sta crescendo. L’educazione comprende una serie si discipline miranti a fornire e ad accrescere informazioni ed abilità, allo scopo di sviluppare sia gli individui sia la società. L’a. e l’educazione, quindi, sono due realtà specifiche e complesse, che hanno degli elementi in comune quali la vita, la cultura, la persona, la libertà, la responsabilità, l’accrescimento delle potenzialità degli individui, ecc. Nel suo nucleo centrale, l’a. non differisce radicalmente dal processo educativo, ma considera se stessa come distinta dal modo abituale e predominante dell’educare. Differisce, in pratica, nel suo modo di comprendere le persone e anche nel modo di identificare la collocazione dei processi educativi che, nel caso dell’educazione, sono stati convenzionalmente associati con istituzioni accademiche. Queste hanno aiutato l’a. ad elaborare concetti teorici, metodi e tecniche diverse, capaci di verificare l’efficacia dei risultati che si possono ottenere con le esperienze d’a. L’a. ci aiuta a percepire che è possibile educare in ogni contesto, in ogni fase della vita e in ogni situazione, purché esistano certe condizioni di libertà. L’a., in altre parole, non deve essere solamente considerata come un aspetto del processo educativo, ma anche come una dimensione sottostante, che rafforza ed accresce i confini dei campi tradizionali dell’educazione.

6. A. dalla prospettiva degli stili diversificati. La domanda principale e fondamentale che gli operatori si pongono non riguarda il luogo dove fare l’a., ma la realtà particolare in cui si trovano le persone. L’a. è, di conseguenza, efficace solo se s’impegna seriamente a prendere in considerazione quella realtà attraverso cui le persone tentano di trovare la pienezza di vita. L’a., pertanto, richiede operatori che conoscono le situazioni e i bisogni delle persone e abbiano la capacità di identificare le cause fondamentali che provocano situazioni indesiderabili. Per stile si può intendere la maniera preferita di pensare, il modo originale di esprimersi e la forma particolare di agire, caratteristiche proprie di ogni persona. Lo stile non è un’abilità, ma piuttosto la modalità preferita per usare l’abilità che si possiede. Quando il profilo dell’a. si armonizza con la situazione delle persone, allora essa diventa feconda. Il profilo di uno stile d’a. è caratterizzato essenzialmente da due componenti: quello delle relazioni e quello dei compiti. La componente delle relazioni si specifica per una particolare sollecitudine verso le persone; quello dei compiti, invece, evidenzia l’impegno per la missione, cioè per la finalità e gli obiettivi. La prospettiva dello stile dell’a. è un forte richiamo, per gli operatori, a tenere unite la componente delle relazioni, quella dei compiti e quella delle situazioni. La visione degli stili (ridestare,​​ liberare,​​ rafforzare e progettare la vita) fornisce agli operatori una specie di ampia mappa concettuale, che è utile per comprendere sempre meglio la complessità dell’a. Le componenti principali degli stili che si riferiscono alle​​ relazioni​​ e ai​​ compiti, rimandano a due fattori fondamentali per ciascuno, compresenti nel processo dell’a. La prospettiva degli stili basata sulle​​ relazioni​​ e, quindi, sulla​​ sollecitudine per le persone, confida nelle loro risorse interiori per farle procedere verso una pienezza di vita per tutti attraverso i due processi seguenti. Il primo,​​ sostenere e apprezzare le risorse interiori delle persone​​ comporta che ognuna possieda delle risorse che necessitano di essere scoperte, sviluppate ed impiegate per la crescita e la maturazione e ciò è possibile attraverso l’a. Il secondo,​​ far procedere le persone verso la pienezza di vita​​ costituisce la finalità o l’obiettivo fondamentale d’ogni processo d’a., che permette di realizzare le loro aspettative di vita e il raggiungimento di un appagamento attraverso ragionevoli e giuste relazioni con se stessi, con gli altri, con il mondo e con Dio. La prospettiva degli stili a livello di​​ compito, cioè di​​ missione, richiede di sostenere le persone nella loro crescita, nei loro cambiamenti e nella promozione e partecipazione ampia e piena ai valori centrali della vita. Questa prospettiva si esplica attraverso altri due processi: il​​ rafforzamento delle persone nei mutamenti​​ attraverso il contatto con gli animatori e la​​ partecipazione ai valori centrali e fondamentali​​ della vita.

7. I processi coinvolti nella prospettiva degli stili dell’a. e ruoli corrispondenti. I processi coinvolti negli stili dell’a. divengono evidenti quando la sollecitudine per le persone e la preoccupazione per la missione s’intrecciano. Uno sguardo analitico dei processi dell’a. evidenzia stili distinti, ma collegati tra loro, che si possono esprimere con i verbi:​​ portare dentro​​ l’ambito dell’a.,​​ liberare​​ o purificare,​​ rafforzare​​ o sostenere e​​ progettare​​ la vita. Tali processi manifestano quattro stili fondamentali di a.:​​ ridestare / dare​​ la vita attraverso il​​ ruolo della narrazione;​​ liberare / purificare​​ la vita mediante il ruolo della valutazione;​​ rafforzare / sostenere​​ la vita attraverso il ruolo dell’allenamento;​​ progettare​​ la vita con il ruolo del leader.​​ Questi quattro stili d’a. sussistono in un equilibrio dinamico ed interagiscono tra loro. L’a., mentre abilita le persone ad usare stili diversi, le incoraggia anche ad esaminarne i limiti, per realizzare sempre più un’a. olistica, che presuppone un forte lavoro d’équipe. Mantenere questi quattro stili in un equilibrio dinamico e promuovere l’interazione tra loro, stimola un altro processo, quindi un altro stile, che in qualche modo migliora e valorizza la vita in ogni situazione e che può essere chiamato​​ arricchimento della vita. A quest’ultimo stile corrisponde il​​ ruolo del servizio​​ alle persone, che è il vertice dello stile dell’a., per abilitarle a divenire agenti-soggetti in relazione, per progredire verso la pienezza di vita per tutti.

8.​​ In conclusione, questi stili diversi e i ruoli corrispondenti ci aiutano a definire i compiti specifici dell’animatore, facendo vedere, nello stesso tempo, la natura olistica dell’a. Ognuno degli stili descritti è valido e nessuno di essi prevale su un altro, in quanto ciascuno esplicita particolari funzioni e sarebbe errato dire che uno stile dà migliori possibilità di un altro. Una formula che dovrebbe guidare gli animatori competenti può essere sintetizzata in questo modo: «stili diversi per persone diverse» e / o «stili diversi per situazioni diverse».

Bibliografia

Besnard P.,​​ Animation socioculturel. Fonctions,​​ formation,​​ profession, Paris, ESF, 1981;​​ Maurizio R. - D. Rei (Edd.),​​ Professioni nel sociale, Torino, Gruppo Abele, 1992; Sternberg R.,​​ Thinking styles, Cambridge, Cambridge University Press, 1997; Pollo M.,​​ A. culturale - teoria e metodo, Roma, LAS, 2002; Vallabaraj J.,​​ Animating the young, Bangalore, Kristu Jyoti Publications, 2005; Id.,​​ A. e pastorale giovanile, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2008.

J. Vallabaraj

image_pdfimage_print
image_pdfimage_print
ANIMAZIONE

ANIMAZIONE SOCIOCULTURALE

 

ANIMAZIONE SOCIOCULTURALE

L’a.s. può essere definita come un’azione sociale di promozione umana e di coscientizzazione personale e comunitaria. L’a.s.​​ fa capo, da una parte, alle esperienze di educazione degli​​ ​​ adulti promosse fin dagli anni Cinquanta del sec. scorso e, dall’altra, al modello francese dell’a.s. Questa viene pensata come intervento nel territorio, al fine di favorire i processi di crescita della capacità dei gruppi di partecipare alla realtà sociale e politica in cui vivono, e di gestirla. Questo filone è rappresentato, sia storicamente che attualmente, dalla rivista «A. Sociale» fondata da G. A. Ellena nel 1971 ed ora affidata alla gestione del Gruppo Abele di Torino. In questa direzione si sono mosse altre realtà significative quali l’ARIPS e l’ASSCOM, in stretto rapporto con le esperienze di psicologia di comunità.

1.​​ La dimensione educativa.​​ L’a.s., pur non volendosi confondere con altri stili di a. più marcatamente educativi, può avere una notevole valenza educativa. Infatti​​ le funzioni​​ dell’a.s., finalizzata al cambiamento attraverso la partecipazione, sono essenzialmente due: a) la​​ presa di coscienza, che riguarda realtà quali le potenzialità inespresse, rimosse o represse delle persone singole, dei gruppi e delle comunità; i dinamismi interni del nostro «agire»; le mentalità diffuse, sommerse, latenti; le situazioni problematiche; il divario ricorrente tra «reale» ed «ideale». A questo scopo anche il​​ metodo​​ adottato deve essere preciso. Occorrono interventi organici, ben finalizzati, ispirati ad una prevalente preoccupazione preventiva, specie in alcune aree (partecipazione, espressività e creatività, emarginazione, devianza). Tutto ciò al fine di​​ creare una nuova cultura​​ nel rapporto pubblico-privato, professionale-volontario; nel relazionarsi e collaborare con persone e con gruppi di diversa estrazione, formazione, ispirazione, ma operanti su obiettivi comuni; nella concezione del tempo libero, con finalità non solo ludiche ma anche di impegno sociale; b) il​​ potenziamento del tessuto connettivo sociale,​​ che​​ si attua con iniziative di socializzazione, gruppi e lavoro di gruppo, scambi turistici, itinerari ecologici, convegni e seminari, feste popolari, mostre itineranti, a. dei ragazzi nei condomini, raccolte finalizzate di oggetti; stimolando la «gente» a risolvere in proprio i problemi quotidiani, a superare le diffidenze verso il pubblico, a sostenere dall’esterno le comunità di accoglienza, ad essere presenti nelle situazioni di emergenza; lacerando l’incomunicabilità tra le generazioni, tra gli operatori e la «gente», tra i turisti e i locali; con il reperimento in gruppo delle risorse disponibili ed il loro funzionale raccordo con i​​ ​​ bisogni locali; con la realizzazione di microstrutture pilota agili, che rispondano con successive approssimazioni all’inventario incrociato di bisogni, aspettative, interessi, carenze, rapporti; con alcuni punti istituzionali di riferimento:​​ ​​ famiglia, scuola, lavoro, tempo libero, associazionismo, ecc., facilitando in questo modo il coordinamento e la destinazione razionale delle risorse; con la creazione di microstrutture di servizio (per esempio un ufficio stampa) per le attività di più gruppi (specie di giovani) operanti sullo stesso territorio con obiettivi analoghi; con tecniche collaudate di organizzazione e di programmazione, finalizzate all’individuazione di concreti criteri di efficienza ai fini di una periodica verifica degli interventi promossi e realizzati; con la valorizzazione dei giovani come protagonisti della propria «condizione giovanile», dell’interazione scuola-associazione-territorio in ordine ad un uso alternativo, ossia impegnato, del tempo libero; favorendo, soprattutto nei giovani, la riacquisizione personale ed in gruppo del senso di identità, del gusto del vivere, del senso di​​ ​​ appartenenza, attraverso l’esercizio della collaborazione, della cooperazione e del lavoro.

2.​​ La formazione degli animatori.​​ La dimensione educativa dell’a.s. nei termini indicati appare ancora più evidente se verifichiamo​​ i​​ punti di riferimento di una linea formativa​​ che consenta il passaggio dalla realtà concreta e feriale dell’a. al suo profilo ideale attraverso la «formazione degli animatori». Di essa sono punti di riferimento​​ ​​ valori come la centralità delle persone umane concrete, il rispetto e la promozione della libertà delle coscienze, la solidarietà, la ricerca della buona qualità della vita, il pluralismo sociale quale garanzia di libertà per persone, gruppi, comunità, il lavoro, la pace e lo sviluppo, il rispetto e la difesa dell’equilibrio ecologico, una cultura ed un’educazione critica ed aperta. Il senso e il gusto della libertà delle persone, dei gruppi e delle comunità costituiscono il fine e l’atteggiamento fondamentale dell’animatore. Sapersi determinare, decidere insieme, innovare ne sembrano le espressioni personali più cospicue. Più specificamente fanno parte della competenza umana e professionale dell’animatore la lealtà, la responsabilità, il rispetto e la fedeltà; la coscienza della complessità ed organicità del reale, ma anche l’acuto senso per il locale, il particolare, il personale, per le dinamiche di​​ ​​ gruppo o per i comportamenti collettivi; il senso della storicità e insieme delle urgenze e priorità che si impongono; la capacità del dialogo e del confronto; la semplicità degli stili di vita; il senso della provvisorietà; il distacco, la flessibilità e il coraggio di agire anche rischiando e pagando di persona. Pertanto sembra collegabile con l’animatore un modello di​​ ​​ personalità interiormente unificata, aperta all’universalità dei valori, capace di infondere speranza e di far maturare prospettive aiutando a leggere la realtà e a cogliere possibilità di azione a prima vista «inedite». Rientra nella sua competenza uno stile di intervento modulato sul «vedere-giudicare-agire», sulla capacità di vivere in situazione coniugando prassi-teoria-prassi, insieme, in gruppo, in comunità, sull’intelligente revisione di vita, ma anche sul saper mediare e innovare, non emarginando, ricuperando ritardi, anticipando il futuro. A sua volta sarà necessario saper integrare i ruoli professionali tecnici in un agire funzionale alle persone e alle necessità dei gruppi e delle comunità. In questa prospettiva è evidente la priorità data alle «competenze umane», rispetto alle abilità tecniche e ai mezzi a disposizione (che pure hanno la loro importanza «strumentale»).

3.​​ La prospettiva culturale.​​ Alla base di questo modo di intendere l’a. e l’animatore sta una concezione ampia di​​ ​​ cultura che tiene conto sia della cultura alta che di quella popolare. Come è del resto anche nell’approccio inglese dei​​ Cultural studies,​​ si ha davanti un concetto di cultura intesa come pratica sociale, come processo globale, come memoria collettiva di popolo, nelle sue molteplici differenziazioni interne (tradizionalmente piuttosto emarginate dalla cultura ufficiale). Ma insieme si pensa ad una cultura che è attenta alle pratiche sociali legate al cinema, alla televisione, alla radio, alla stampa, allo sport, alla musica, alle mode, ecc.; ad una cultura sensibile agli interrogativi che si vivono nelle concrete situazioni di vita e nei diversi contesti geo-sociali. Più specificamente si ha presente una cultura-educazione allargata alla strada (animazione di strada), al quartiere, alla città; per ripartire da quello che i ragazzi e le ragazze, le persone adulte e gli anziani hanno da dire sia pure nei loro specifici linguaggi, nelle loro conversazioni quotidiane segnate dalla​​ ​​ comunicazione di massa, ma anche nelle loro svariate espressioni di bisogni, memorie, desideri, aspirazioni effimere e profonde.

Bibliografia

López de Ceballos P. - M. Salas Larrazabal,​​ Formación de los animadores y dinámicas de la animación,​​ Madrid, Editorial Popular,​​ 1988; Ellena G. A. (Ed.),​​ Manuale di a.s.,​​ Torino, Gruppo Abele, 1988; Maurizio R. - D. Rei (Edd.),​​ Professioni nel sociale,​​ Ibid., 1992; Regoliosi L.,​​ La strada come luogo educativo: orientamenti pedagogici sul lavoro di strada, Milano, Unicopli, 2000; Capello G.,​​ I media per l’a., Leumann (TO), Elle Di Ci, 2002; Gambini P.,​​ L’a. di strada: incontrare i giovani là dove sono, Ibid., 2002; De Rossi M.,​​ A. e trasformazione:​​ identità,​​ metodi,​​ contesti e competenze dell’agire sociale, Padova, CLEUP, 2004; Dotti M.,​​ La tela del ragno: educare allo sviluppo attraverso la partecipazione. Manuale pratico per l’a. sociale, Bologna, EMI, 2005.

G. A. Ellena - G. Vettorato

image_pdfimage_print
ANIMAZIONE SOCIOCULTURALE

ANNO LITURGICO

 

ANNO LITURGICO

Il contesto socio-culturale tuttora in evoluzione in cui si trova a dover operare il ministero della C., chiama in causa — problematizzandola — anche la realtà​​ anno liturgico​​ (= AL) nella sua struttura e nei suoi contenuti. La struttura è la risultante di un processo di ordine teologico-liturgico-pastorale e cat .-spirituale che si è progressivamente realizzato in un arco di tempo molto vasto, nell’ambito dell’esperienza celebrativa di molteplici Chiese locali. In quanto tale la struttura non è in sé un assoluto; essa è tuttavia il mezzo per far vivere​​ nel tempo​​ un contenuto: il mistero di Cristo. Questa è la realtà che costituisce, nel contesto, l’oggetto primario della C.

1.​​ La salvezza nel tempo.​​ Per il cristiano il tempo è la categoria entro cui si attua la salvezza. Ecco il motivo per cui “nel corso dell’anno (la Chiesa) distribuisce tutto il mistero di Cristo, dall’Incarnazione... all’attesa della beata speranza del ritorno del Signore. Celebrando così i misteri della Redenzione, essa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, così che siano resi in qualche modo continuamente presenti e i fedeli possano entrare in contatto con essi ed essere ripieni della grazia della salvezza” (SC 102).

La comunità cristiana esprime questa certezza all’inizio della Veglia pasquale nel rito della preparazione del Cero: “Il Cristo ieri e oggi, Principio e fine, Alfa e Omega. A lui appartengono il tempo e i secoli. A lui la gloria e il potere per tutti i secoli in eterno” (Messale​​ 163). È una professione di fede in cui l’assemblea riconosce che il tempo non le appartiene, ma lo vive come mezzo per conseguire​​ l’Omega,​​ per comunicare con la pienezza del mistero di Cristo. Infatti, ciò che dà significato alla dimensione​​ tempo​​ non è tanto l’alternarsi dei giorni e delle stagioni, quanto la certezza di vivere l’opera della salvezza all’interno di tale ciclo naturale, dove gli elementi​​ sole​​ e​​ luce​​ sono assunti come segni di Cristo, “sole di giustizia” e “luce che non conosce tramonto”.

È all’interno di questo dinamismo che si sviluppa l’itinerario di crescita del cristiano: un itinerario caratterizzato da tappe (i sacramenti) e da ritmi (l’AL). Se la C. “deve essere al servizio di una partecipazione attiva, cosciente e autentica alla liturgia della Chiesa” per “portare a comprendere progressivamente tutta la verità del progetto di Dio” (DCG 25 e 24), ne consegue che l’accostamento dell’AL nella sua globalità e nei suoi ritmi costituirà il metodo più adeguato per enucleare quei contenuti che la catechesi — oggi come in passato — è chiamata ad assumere come oggetto del proprio ministero.

2.​​ L’AL come contenuto di C.​​ Dio ha progettato di salvare l’uomo facendosi Uomo, calandosi nella sua storia. È una economia di salvezza che “iniziata nel passato, ha toccato il suo vertice in Cristo e opera nel tempo presente in attesa del compimento” (DCG 44). Questa è la realtà che la Parola di Dio annuncia e che si attua nella celebrazione rituale.

Qui si inserisce il compito specifico della C.: chiamata a ricordare “l’evento supremo di tutta la storia della salvezza, al quale i fedeli comunicano mediante la fede”, essa “dispone i credenti a riconoscere l’attuale presenza del mistero di salvezza di Cristo... e della Chiesa”, per aprire “i cuori alla speranza della vita futura, compimento di tutta la storia della salvezza” (DCG 44). Questo è il contenuto che la C. attinge dalla Scrittura e dalla Tradizione viva della Chiesa; questa è la realtà celebrata, attuata, partecipata nella liturgia e nella vita cristiana, e così espressa con felice sintesi da Leone Magno nella sua seconda omelia sull’Ascensione: “Quello che era visibile del nostro Redentore è passato nei riti sacramentali” (cf​​ Liturgia delle Ore,​​ vol. II, 853).

La liturgia vista come la continuazione dell’intervento di Dio che salva attraverso segni rituali, prolunga e attua nel tempo, mediante la celebrazione, le ricchezze salvifiche del Signore. Per questo l’AL non è una serie di idee o una successione “illogica” di feste più o meno grandi, ma è una Persona, Gesù Cristo. La salvezza da lui realizzata “specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata Passione, Risurrezione da morte e gloriosa Ascensione” (SC 5), viene offerta e comunicata nelle diverse azioni sacramentali che caratterizzano il dinamismo del calendario cristiano. La storia di salvezza che continua nell’oggi della Chiesa costituisce dunque l’elemento portante dell’AL, e lo rende assolutamente non concorrenziale con altri​​ anni,​​ come quello scolastico, sociale, solare, sportivo, ecc.

Con il RdC si può dunque concludere che l’AL “è celebrazione continuata e progressiva di tutto il piano della salvezza, in una forma che è ad un tempo​​ evocazione​​ delle mirabili opere di Dio,​​ culto​​ filiale al Padre per mezzo del Figlio nello Spirito,​​ istruzione​​ e​​ santificazione​​ della Chiesa: un intreccio che offre la più vasta tematica ad ogni forma di C., soprattutto nei tempi forti dell’Avvento e del Natale, della Quaresima e della Pasqua, orientati alla celebrazione della manifestazione del Signore e del suo mistero pasquale” (n. 116).

Dal momento che la liturgia oltre che “fonte inesauribile per la C.” (RdC 117), è già «una preziosa C. in atto» (RdC 114) in quanto “permette di cogliere in unità tutti gli aspetti del mistero di Cristo, parlando con linguaggio concreto alla mente come ai sensi” (RdC 113), il ministero della C. dovrà necessariamente farvi ricorso “con saggia frequenza» (RdC 117) per «studiare e spiegare... il senso... dei riti” (RdC 115) e dei loro contenuti, “per rendere più cosciente la partecipazione all’azione liturgica” (RdC 117), armonizzando in felice sintesi le realtà apprese nelle lezioni di catechismo — a qualunque livello ed età — e celebrate lungo l’AL. In tal modo i vari tempi liturgici non rischieranno di essere considerati come dei contenitori cronologici da riempire di contenuti e attività che derivano da altre preoccupazioni pseudo-pastorali.

3.​​ Itinerario di fede.​​ La “meravigliosa esperienza dell’anno liturgico” (RdC 149) evidenzia il modo con cui la Chiesa realizza e “completa la formazione dei fedeli” (SC 105). La liturgia, come la Scrittura, non può prescindere dalla C., anzi la presuppone e la esige; la C. ha bisogno della liturgia come di una fonte privilegiata perché “inesauribile” (RdC 117). L’ima e l’altra dunque si richiamano e si completano in vista di un reciproco arricchimento.

Vivere e approfondire i ritmi e le stagioni dell’AL è realizzare una progressiva esperienza di vita di fede, fino al “pieno sviluppo della personalità cristiana” (RdC 188). Tutto questo si compie mediante​​ una “conoscenza della storia della salvezza,​​ che ha il suo centro in Cristo morto e risorto e la sua perenne attualizzazione nella vita e nella missione della Chiesa;​​ un progressivo cambiamento di mentalità e di costume,​​ ispirato all’insegnamento di Cristo;​​ l’accettazione delle prove e dei sacrifici,​​ che si accompagnano sempre alla vita umana, con la coscienza di partecipare in modo più diretto alla passione di Cristo;​​ l’iniziazione alla preghiera e alla celebrazione liturgica,​​ che attualizza la salvezza di Cristo e abilita all’impegno e alla testimonianza” (EeS 88).

Come si vede, si tratta di un​​ itinerario di tipo sapienziale.​​ L’ideale da raggiungere è proposto nel modo che è tipico della liturgia, la quale presenta le realtà più profonde della storia della salvezza secondo uno stile​​ narrativo​​ che impegna il fedele ad un ascolto attento, per tradurre poi le realtà annunciate in scelte di vita, di fede e di grazia. Questa forma sapienziale inoltre è avvalorata da un altro elemento: quello della​​ ciclicità.​​ Il ritmo triennale permette l’ascolto di una parte ancora più abbondante di Parola di Dio, senza con questo ingenerare quella stanchezza per le cose da poco udite, cui può dare adito un ciclo di letture annuale.

La conclusione ultima che emerge è che itinerario di fede, azione liturgica e catechesi siano intessuti in modo tale da realizzare quella simbiosi che di anno in anno, di Pasqua in Pasqua porti il fedele a celebrare in pienezza la Pasqua eterna, quando i nostri occhi vedranno il volto del Padre e canteremo per sempre la sua lode, in Cristo, nostro Signore (cf​​ Pregh. euc. III').

Bibliografia

A quando la svolta liturgica nella catechesi?,​​ in «Rivista Liturgica» 69 (1982) n. 2; A. Adam,​​ L’anno liturgico. Celebrazione del Mistero di Cristo. Storia-teologia-pastorale,​​ Leumann-Torino, LDC, 1984; J. Aldazàbal et al.,​​ Ritmo joven del aiio cristiano.​​ Pastoral juvenil​​ del Ano Litùrgico,​​ Madrid, Centro​​ Nacional​​ Salesiano de​​ Pastoral Juvenil,​​ 1971;​​ L’anno liturgico,​​ Casale M., Marietti, 1983; A. Bergamini,​​ Cristo, festa della Chiesa. Storia-teologia-spiritualità-pastorale dell'Anno Liturgico,​​ Roma, Ed. Paoline, 1982; M. Magrassi,​​ Cristo ieri oggi sempre. La pedagogia della Chiesa-Madre nell’anno liturgico,​​ Bari, Ecumenica Ed., 1978; A. G. Martimort (ed.),​​ La Chiesa in preghiera.​​ Vol. IV:​​ La liturgia e il tempo,​​ Brescia, Queriniana, 1984;​​ Messale dell’assemblea cristiana – festivo,​​ Leumann-Torino, LDC, 19846;​​ Il Messale Romano del Vaticano IL Orazionale e Lezionario.​​ Vol. I:​​ La celebrazione del Mistero di Cristo nell’anno liturgico,​​ Leumann-Torino, LDC, 1984. Vol. Il:​​ Il Mistero di Cristo nella vita della Chiesa e delle singole comunità cristiane,​​ ivi, 1981; A. Nocent,​​ Celebrare Gesù Cristo. L’anno liturgico,​​ 7 vol., Assisi, Cittadella, 1976-1978; A. Olivar,​​ Il nuovo Calendario liturgico,​​ Leumann-Torino, LDC, 1973; D. Sartore – A. M. Triacca,​​ Nuovo Dizionario di Liturgia,​​ Roma, Ed. Paoline, 1984; A. M. Triacca,​​ Tempo e liturgia,​​ ivi, 1494-1508.

Manlio Sodi

image_pdfimage_print
image_pdfimage_print
ANNO LITURGICO

ANNO LITURGICO

 

ANNO LITURGICO

Il contesto socio-culturale tuttora in evoluzione in cui si trova a dover operare il ministero della C., chiama in causa — problematizzandola — anche la realtà​​ anno liturgico​​ (= AL) nella sua struttura e nei suoi contenuti. La struttura è la risultante di un processo di ordine teologico-liturgico-pastorale e cat .-spirituale che si è progressivamente realizzato in un arco di tempo molto vasto, nell’ambito dell’esperienza celebrativa di molteplici Chiese locali. In quanto tale la struttura non è in sé un assoluto; essa è tuttavia il mezzo per far vivere​​ nel tempo​​ un contenuto: il mistero di Cristo. Questa è la realtà che costituisce, nel contesto, l’oggetto primario della C.

1.​​ La salvezza nel tempo.​​ Per il cristiano il tempo è la categoria entro cui si attua la salvezza. Ecco il motivo per cui “nel corso dell’anno (la Chiesa) distribuisce tutto il mistero di Cristo, dall’Incarnazione... all’attesa della beata speranza del ritorno del Signore. Celebrando così i misteri della Redenzione, essa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, così che siano resi in qualche modo continuamente presenti e i fedeli possano entrare in contatto con essi ed essere ripieni della grazia della salvezza” (SC 102).

La comunità cristiana esprime questa certezza all’inizio della Veglia pasquale nel rito della preparazione del Cero: “Il Cristo ieri e oggi, Principio e fine, Alfa e Omega. A lui appartengono il tempo e i secoli. A lui la gloria e il potere per tutti i secoli in eterno” (Messale​​ 163). È una professione di fede in cui l’assemblea riconosce che il tempo non le appartiene, ma lo vive come mezzo per conseguire​​ l’Omega,​​ per comunicare con la pienezza del mistero di Cristo. Infatti, ciò che dà significato alla dimensione​​ tempo​​ non è tanto l’alternarsi dei giorni e delle stagioni, quanto la certezza di vivere l’opera della salvezza all’interno di tale ciclo naturale, dove gli elementi​​ sole​​ e​​ luce​​ sono assunti come segni di Cristo, “sole di giustizia” e “luce che non conosce tramonto”.

È all’interno di questo dinamismo che si sviluppa l’itinerario di crescita del cristiano: un itinerario caratterizzato da tappe (i sacramenti) e da ritmi (l’AL). Se la C. “deve essere al servizio di una partecipazione attiva, cosciente e autentica alla liturgia della Chiesa” per “portare a comprendere progressivamente tutta la verità del progetto di Dio” (DCG 25 e 24), ne consegue che l’accostamento dell’AL nella sua globalità e nei suoi ritmi costituirà il metodo più adeguato per enucleare quei contenuti che la catechesi — oggi come in passato — è chiamata ad assumere come oggetto del proprio ministero.

2.​​ L’AL come contenuto di C.​​ Dio ha progettato di salvare l’uomo facendosi Uomo, calandosi nella sua storia. È una economia di salvezza che “iniziata nel passato, ha toccato il suo vertice in Cristo e opera nel tempo presente in attesa del compimento” (DCG 44). Questa è la realtà che la Parola di Dio annuncia e che si attua nella celebrazione rituale.

Qui si inserisce il compito specifico della C.: chiamata a ricordare “l’evento supremo di tutta la storia della salvezza, al quale i fedeli comunicano mediante la fede”, essa “dispone i credenti a riconoscere l’attuale presenza del mistero di salvezza di Cristo... e della Chiesa”, per aprire “i cuori alla speranza della vita futura, compimento di tutta la storia della salvezza” (DCG 44). Questo è il contenuto che la C. attinge dalla Scrittura e dalla Tradizione viva della Chiesa; questa è la realtà celebrata, attuata, partecipata nella liturgia e nella vita cristiana, e così espressa con felice sintesi da Leone Magno nella sua seconda omelia sull’Ascensione: “Quello che era visibile del nostro Redentore è passato nei riti sacramentali” (cf​​ Liturgia delle Ore,​​ vol. II, 853).

La liturgia vista come la continuazione dell’intervento di Dio che salva attraverso segni rituali, prolunga e attua nel tempo, mediante la celebrazione, le ricchezze salvifiche del Signore. Per questo l’AL non è una serie di idee o una successione “illogica” di feste più o meno grandi, ma è una Persona, Gesù Cristo. La salvezza da lui realizzata “specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata Passione, Risurrezione da morte e gloriosa Ascensione” (SC 5), viene offerta e comunicata nelle diverse azioni sacramentali che caratterizzano il dinamismo del calendario cristiano. La storia di salvezza che continua nell’oggi della Chiesa costituisce dunque l’elemento portante dell’AL, e lo rende assolutamente non concorrenziale con altri​​ anni,​​ come quello scolastico, sociale, solare, sportivo, ecc.

Con il RdC si può dunque concludere che l’AL “è celebrazione continuata e progressiva di tutto il piano della salvezza, in una forma che è ad un tempo​​ evocazione​​ delle mirabili opere di Dio,​​ culto​​ filiale al Padre per mezzo del Figlio nello Spirito,​​ istruzione​​ e​​ santificazione​​ della Chiesa: un intreccio che offre la più vasta tematica ad ogni forma di C., soprattutto nei tempi forti dell’Avvento e del Natale, della Quaresima e della Pasqua, orientati alla celebrazione della manifestazione del Signore e del suo mistero pasquale” (n. 116).

Dal momento che la liturgia oltre che “fonte inesauribile per la C.” (RdC 117), è già «una preziosa C. in atto» (RdC 114) in quanto “permette di cogliere in unità tutti gli aspetti del mistero di Cristo, parlando con linguaggio concreto alla mente come ai sensi” (RdC 113), il ministero della C. dovrà necessariamente farvi ricorso “con saggia frequenza» (RdC 117) per «studiare e spiegare... il senso... dei riti” (RdC 115) e dei loro contenuti, “per rendere più cosciente la partecipazione all’azione liturgica” (RdC 117), armonizzando in felice sintesi le realtà apprese nelle lezioni di catechismo — a qualunque livello ed età — e celebrate lungo l’AL. In tal modo i vari tempi liturgici non rischieranno di essere considerati come dei contenitori cronologici da riempire di contenuti e attività che derivano da altre preoccupazioni pseudo-pastorali.

3.​​ Itinerario di fede.​​ La “meravigliosa esperienza dell’anno liturgico” (RdC 149) evidenzia il modo con cui la Chiesa realizza e “completa la formazione dei fedeli” (SC 105). La liturgia, come la Scrittura, non può prescindere dalla C., anzi la presuppone e la esige; la C. ha bisogno della liturgia come di una fonte privilegiata perché “inesauribile” (RdC 117). L’ima e l’altra dunque si richiamano e si completano in vista di un reciproco arricchimento.

Vivere e approfondire i ritmi e le stagioni dell’AL è realizzare una progressiva esperienza di vita di fede, fino al “pieno sviluppo della personalità cristiana” (RdC 188). Tutto questo si compie mediante​​ una “conoscenza della storia della salvezza,​​ che ha il suo centro in Cristo morto e risorto e la sua perenne attualizzazione nella vita e nella missione della Chiesa;​​ un progressivo cambiamento di mentalità e di costume,​​ ispirato all’insegnamento di Cristo;​​ l’accettazione delle prove e dei sacrifici,​​ che si accompagnano sempre alla vita umana, con la coscienza di partecipare in modo più diretto alla passione di Cristo;​​ l’iniziazione alla preghiera e alla celebrazione liturgica,​​ che attualizza la salvezza di Cristo e abilita all’impegno e alla testimonianza” (EeS 88).

Come si vede, si tratta di un​​ itinerario di tipo sapienziale.​​ L’ideale da raggiungere è proposto nel modo che è tipico della liturgia, la quale presenta le realtà più profonde della storia della salvezza secondo uno stile​​ narrativo​​ che impegna il fedele ad un ascolto attento, per tradurre poi le realtà annunciate in scelte di vita, di fede e di grazia. Questa forma sapienziale inoltre è avvalorata da un altro elemento: quello della​​ ciclicità.​​ Il ritmo triennale permette l’ascolto di una parte ancora più abbondante di Parola di Dio, senza con questo ingenerare quella stanchezza per le cose da poco udite, cui può dare adito un ciclo di letture annuale.

La conclusione ultima che emerge è che itinerario di fede, azione liturgica e catechesi siano intessuti in modo tale da realizzare quella simbiosi che di anno in anno, di Pasqua in Pasqua porti il fedele a celebrare in pienezza la Pasqua eterna, quando i nostri occhi vedranno il volto del Padre e canteremo per sempre la sua lode, in Cristo, nostro Signore (cf​​ Pregh. euc. III').

Bibliografia

A quando la svolta liturgica nella catechesi?,​​ in «Rivista Liturgica» 69 (1982) n. 2; A. Adam,​​ L’anno liturgico. Celebrazione del Mistero di Cristo. Storia-teologia-pastorale,​​ Leumann-Torino, LDC, 1984; J. Aldazàbal et al.,​​ Ritmo joven del aiio cristiano.​​ Pastoral juvenil​​ del Ano Litùrgico,​​ Madrid, Centro​​ Nacional​​ Salesiano de​​ Pastoral Juvenil,​​ 1971;​​ L’anno liturgico,​​ Casale M., Marietti, 1983; A. Bergamini,​​ Cristo, festa della Chiesa. Storia-teologia-spiritualità-pastorale dell'Anno Liturgico,​​ Roma, Ed. Paoline, 1982; M. Magrassi,​​ Cristo ieri oggi sempre. La pedagogia della Chiesa-Madre nell’anno liturgico,​​ Bari, Ecumenica Ed., 1978; A. G. Martimort (ed.),​​ La Chiesa in preghiera.​​ Vol. IV:​​ La liturgia e il tempo,​​ Brescia, Queriniana, 1984;​​ Messale dell’assemblea cristiana – festivo,​​ Leumann-Torino, LDC, 19846;​​ Il Messale Romano del Vaticano IL Orazionale e Lezionario.​​ Vol. I:​​ La celebrazione del Mistero di Cristo nell’anno liturgico,​​ Leumann-Torino, LDC, 1984. Vol. Il:​​ Il Mistero di Cristo nella vita della Chiesa e delle singole comunità cristiane,​​ ivi, 1981; A. Nocent,​​ Celebrare Gesù Cristo. L’anno liturgico,​​ 7 vol., Assisi, Cittadella, 1976-1978; A. Olivar,​​ Il nuovo Calendario liturgico,​​ Leumann-Torino, LDC, 1973; D. Sartore – A. M. Triacca,​​ Nuovo Dizionario di Liturgia,​​ Roma, Ed. Paoline, 1984; A. M. Triacca,​​ Tempo e liturgia,​​ ivi, 1494-1508.

Manlio Sodi

image_pdfimage_print
image_pdfimage_print
ANNO LITURGICO

ANORESSIA MENTALE

 

ANORESSIA MENTALE

Il termine a.m. pare sia stato proposto per la prima volta da C. Huchard nel 1883 per indicare un disturbo dell’alimentazione che affligge soprattutto le donne (95% circa dei casi) in un’età molto giovane (fra i 13 e i 25 anni circa) ed è caratterizzato, soprattutto, da avversione all’aumento di peso per motivazioni inconsce o semicoscienti.

1. Diversamente da quanto sembrerebbe indicare il termine a. che etimologicamente vuol dire​​ mancanza di appetito,​​ questo non viene in realtà compromesso; l’anoressica intenzionalmente mangia poco, si alimenta con una dieta sproporzionatamente ipocalorica, usa lassativi o diuretici, o con frequenza vomita l’alimento ingerito. Vengono segnalate dagli studiosi di questo argomento delle forme minori e di più comune riscontro che si verificano solitamente in adolescenti fra i 13 e i 15 anni e che si risolvono nel giro di alcuni mesi; forme intermedie in cui gli episodi anoressici sono inframmezzati da recupero transitorio di peso o in seguito a crisi bulimiche o in seguito ad ospedalizzazione; forme gravi in cui il deperimento organico può portare a conseguenze pericolose, o immediate o postume. Nell’anoressica si ha quasi costantemente alterazione delle funzioni endocrine e sospensioni dei cicli mestruali; un atteggiamento ambiguo verso il proprio corpo il cui schema e il cui significato vengono alterati e strumentalizzati.

2. L’a. è stata interpretata in vari modi: la si è intesa come facente parte di un quadro isterico con cui, peraltro, ha molte somiglianze. È stata confusa col morbo di Simmonds dal quale però differisce sostanzialmente perché non c’è lesione ipofisaria. Ha degli aspetti compulsivi ma non si può identificare con un disturbo ossessivo-compulsivo. Oggi si tende ad attribuirle un’autonomia nosografica. Quanto alla eziologia, alla patogenesi e alla psicodinamica le interpretazioni variano da scuola a scuola; c’è sufficiente accordo sul dato che 1’​​ ​​ ambiente, sia familiare (con le difficoltà di comprensione reciproca fra i componenti e gli sconfinamenti di ruoli, soprattutto materni) sia sociale (con le proposte di interessi a cui mirare), influisce in modo determinante sull’insorgere dell’a. Così pure la percezione che l’anoressica ha del proprio corpo, il significato che gli attribuisce e la strumentalizzazione che ne fa, sono fondamentali per capire questo disturbo.

Bibliografia

Palazzoli-Selvini M.,​​ L’a.m.,​​ Milano, Feltrinelli, 1973; Ganzerli P. - R. Sasso,​​ La «rappresentazione anoressica». Contributo delle tecniche psicodiagnostiche allo studio dell’a.m.,​​ Roma, Bulzoni, 1979; Bracconnier A. - D. Marcelli,​​ Psicopatologia dell’adolescente,​​ Milano, Masson, 1991; Apfeldorfer G.,​​ Mangio dunque sono,​​ Venezia, Marsilio, 1993; Montecchi F.,​​ A.m. dell’adolescenza,​​ Milano, Angeli, 1994; Barbetta P.,​​ A.​​ e isteria: una prospettiva clinico-culturale, Milano, Cortina, 2005.

V. Polizzi

image_pdfimage_print
ANORESSIA MENTALE

ANSIA

 

ANSIA

L’a. è una delle emozioni più diffuse e delle capacità più invalidanti per quanto riguarda sia l’apprendimento scolastico che la qualità della vita. Nello specifico l’a. influenza pesantemente diverse aree dell’organismo e della struttura mentale.

1. Per quanto riguarda l’universo fisiologico, un livello elevato d’a. è in grado di produrre alterazioni vistose di alcuni tra i parametri maggiormente studiati in laboratorio, quali ad es. il battito cardiaco, la qualità del respiro, la sudorazione (misurata mediante la cosiddetta risposta elettrodermica), le onde cerebrali ecc. Nel lungo periodo l’a. è in grado di favorire l’instaurarsi di quelle forme di disturbo che vanno sotto il nome di malattie psicosomatiche, quali ad es. ulcera peptica e duodenale, cardiopatie di vario genere, dermatiti ecc.

2. Per quanto riguarda, invece, il mondo delle azioni, il soggetto in preda all’a. tende a fuggire dalla situazione ansiogena in modo concreto oppure simbolico. La fuga sarà concreta quando la persona si allontanerà effettivamente dalla situazione negativa; simbolica, quando, non potendo sottrarsi concretamente ad essa, orienterà i propri pensieri verso una situazione diversa da quella alla quale è esposta. L’esempio più tipico è dato dall’allievo, il quale, intimorito dall’insegnante, cerca di abbassare il grado della sua sofferenza, pensando a situazioni od eventi più piacevoli. Sulla cosiddetta risposta di fuga, si fonda, poi, quella d’evitamento, che consiste nel sottrarsi preventivamente alla situazione ansiogena, ricorrendo a stratagemmi di diversa natura. Esempio tipico è l’allievo, il quale, trovandosi inappagato all’interno del contesto classe, finge una e mille malattie pur di evitare il contatto con una situazione da lui ritenuta negativa.

3. Venendo, infine, al mondo cognitivo, l’a. influenza negativamente tutti i principali processi cognitivi, dall’attenzione alla​​ ​​ memoria, dalla​​ ​​ creatività al pensiero ed al ragionamento. È questa fondamentalmente la ragione per cui è del tutto sconsigliabile creare nell’allievo il binomio «a. e studio». Il convincimento di molti genitori ed insegnanti è che spingere l’allievo od il proprio figlio a studiare ed a prepararsi alle prove d’esame attraverso minacce, ricatti ecc. che tendono solo a produrre a., sia lo strumento migliore per ottenere i risultati voluti. In realtà si tratta di comportamenti decisamente pericolosi in quanto, causando a., minano nell’allievo l’utilizzazione appropriata delle sue capacità cognitive, con ovvie ripercussioni negative per quanto riguarda la qualità dell’apprendimento e la resa nelle prove d’esame.

4. Se questi sono gli effetti dell’a., quali le cause? La maggioranza degli psicologi tende ad attribuire scarsa importanza ai fattori genetici. Al massimo, come sostiene Seligman si può parlare di una tenue predisposizione all’a., che può essere tranquillamente contrastata da un ambiente caratterizzato da una buona qualità di vita. In realtà gran parte delle nostre a. sono legate alle esperienze da noi vissute in modo diretto od indiretto. Diretta è l’esperienza che ci ha in qualche modo colpito, in quanto da noi subita. Un esempio è una visita medica particolarmente fastidiosa o addirittura dolorosa. Indiretta, al contrario, è l’esperienza che abbiamo visto vissuta da altri. Un esempio tra tanti è l’aver constatato che un compagno di classe, interrogato dall’insegnante, viene da questi criticato e poi canzonato dai suoi compagni di classe. È questa un’esperienza non direttamente vissuta, ma che ha spesso un forte impatto su chi l’osserva da spettatore. Accanto a questa categoria di esperienze, vi è poi una serie d’idee irrazionali che sono state acquisite lungo il processo di socializzazione, prevalentemente grazie al forte impatto educativo prodotto dai genitori. Alcune di queste idee, sapientemente analizzate e trattate da Ellis e dalla sua scuola, hanno a che fare con l’esigenza di brillare in tutte le situazioni nelle quali il soggetto si trova (mito del perfezionismo), di voler essere stimato ed amato da tutti (mito del narcisismo), ecc.

5. Infine ultimo fattore ansiogeno è il grado di autostima che la persona ha raggiunto. Qualora esso sia basso, è probabile che la persona eviti il contatto con situazioni potenzialmente ansiogene, in quanto da lui vissute come una minaccia in grado di produrre ripercussioni ulteriormente negative per la sua autostima. L’esempio tipico è lo studente, il quale teme l’esame in quanto non ha fiducia nelle proprie capacità. È molto probabile che sia proprio questa scarsa autostima ad attivare il meccanismo dell’a., la quale, a sua volta, renderà problematico l’apprendimento, aumentando in tale modo le probabilità d’insuccesso. Il risultato di quest’insieme di fasi è un ulteriore abbassamento nel grado di autostima e la creazione di un circolo vizioso. Al momento attuale la moderna psicoterapia cognitivo-comportamentale offre numerose modalità d’intervento sull’a., con particolare riferimento a quella per gli esami e per la scuola. La robustezza scientifica di tali strategie rende tali forme d’a. facilmente superabili.

Bibliografia

Meazzini P.,​​ Paura d’esame,​​ in «Psicologia e Scuola» 41 (1988) 48-54; Gagliardini I. - P. Meazzini,​​ A. e valutazione,​​ Roma, Bulzoni, 1992; Meazzini P. - A. Galeazzi,​​ A.,​​ Ibid., 1994; Sheehan E.,​​ A.,​​ fobie e attacchi di panico, Milano, Mondadori, 1997; Dayhoff S. A.,​​ Come vincere l’a.​​ sociale: superare le difficoltà di relazione con gli altri e il senso di insicurezza, Trento, Erickson, 2000.

P. Meazzini

image_pdfimage_print
ANSIA
image_pdfimage_print