AFASIA

 

AFASIA

Termine ampio per indicare la perdita o l’alterazione dell’uso dei simboli verbali o scritti del​​ ​​ linguaggio.

1. I sintomi principali sono: l’anartria​​ (difficoltà o impossibilità di articolazione della parola); gli​​ stereotipi verbali​​ (ripetizione della stessa parola); la​​ parafrasia​​ (sostituzione o deformazione della parola); la​​ gergofasia​​ (uso di un gergo incomprensibile, fondato su parole deformate e neologismi). Nei casi più gravi l’afasico è incapace di leggere​​ (a.)​​ e di scrivere (agrafia).

2. Vi sono differenti tipi di a.: 1)​​ a. di Broca.​​ Consiste in un disturbo della rappresentazione motoria delle parole e si manifesta attraverso difficoltà di articolazione (inceppi, sostituzioni, anticipazioni di una lettera o di un fonema su un altro, elisioni o assimilazioni di fonemi), riduzione della fluidità dell’eloquio, agrammatismo (difficoltà di usare articoli, aggettivi, preposizioni, declinazioni di verbi, ecc.), anomia (incapacità a trovare la parola appropriata al contesto); 2)​​ a. amnesica.​​ Difficoltà di trovare la parola adatta, per esprimere quanto si ha in mente e ricorso a circonlocuzioni; 3)​​ a. di Wernicke.​​ Uso di un gergo incomprensibile e difficoltà di capire quello che l’interlocutore dice; 4)​​ a. globale.​​ Grave difficoltà, sia di espressione che di comprensione, di linguaggio orale e scritto.

3. Le cause possono essere molteplici: disturbi vascolari, traumi cranici, tumori cerebrali, malattie infiammatorie o degenerative. Relativamente alle anomalie del linguaggio infantile, si distingue tra​​ a. acquisita,​​ che insorge dopo che l’​​ ​​ apprendimento del linguaggio è già avvenuto e​​ disfasia evolutiva,​​ dovuta ad un incompleto sviluppo della funzione linguistica. A pari gravità di lesione, i bambini recuperano più rapidamente e completamente degli adulti.

Bibliografia

Pizzamiglio L. (Ed.),​​ I disturbi del linguaggio,​​ Milano, Etas Libri, 1968; Basso A.,​​ Il paziente afasico,​​ Milano, Feltrinelli, 1977; Code C. - D. J. Muller,​​ Terapia dell’a.,​​ Roma, Marrapese, 1984; Cippone De Filippis A.,​​ Turbe del linguaggio e riabilitazione, Roma, Armando, 1993; Minuto I.,​​ Le patologie del linguaggio infantile, Firenze, La Nuova Italia, 1994; Capasso R. - G. Miceli,​​ Esame neurologico per l’a. (E.N.P.A), Milano, Springer, 2001; Basso A.,​​ Conoscere e rieducare l’a., Roma, Il Pensiero Scientifico, 2005; Jacobson R.,​​ Linguaggio infantile e a., Torino, Einaudi, 2006.

V. L. Castellazzi

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AFASIA

AFFETTIVITÀ

 

AFFETTIVITÀ

Per a. intendiamo riferirci al complesso dinamico di sentimenti e di​​ ​​ emozioni che costituiscono la totalità del processo emozionale. Le emozioni si possono definire come uno stato interno complesso ed organizzato nel quale è individuabile una spinta all’azione, una reazione somatica ed una valutazione cognitiva; ed i sentimenti come fenomeni stabili, duraturi, generalmente meno intensi delle emozioni e che contraddistinguono la​​ ​​ personalità dal punto di vista affettivo.

1. Anche se si ritiene che l’a., nel suo insieme di sentimenti e di emozioni, sia presente fin dalla nascita, è pur vero che essa si apprende in larga misura durante tutta la vita. Così nel​​ ​​ bambino appena nato l’a. svolge una funzione fondamentale e si presenta come un elemento importante nel suo sviluppo psicofisico. Al pianto che si verifica alla nascita potrebbe essere riconosciuta anche la funzione di richiamare la madre alle pratiche inerenti alla cura del neonato. Infatti egli per sopravvivere deve soddisfare dei bisogni fisici specifici quali il mangiare, il dormire, l’evacuare, che sono avvertiti mediante sensazioni dolorose e che, soddisfatti dalla madre o dalla persona che lo cura, producono in lui una sensazione di piacere e di benessere diffuso. Il succhiare il seno materno, il piangere per avere la madre, il sorridere alla sua presenza, il rivolgerle i primi balbettii, sono tutti comportamenti in cui si esprime il rapporto affettivo madre-bambino. Solo se il bambino è stato adeguatamente curato dalla madre non vive sotto l’incubo continuo di perderla e con questa sicurezza sopporta le frustrazioni e le inevitabili difficoltà che si verificano durante la sua espansione verso il mondo esterno. Crescendo, infatti, il bambino allarga la sua sfera affettiva ed investe di particolare amore sia alcuni oggetti, come l’orsacchiotto od il succhiotto, che le altre persone della sua famiglia. Più tardi diventeranno anche importanti i coetanei e gli adulti appartenenti all’ambiente a lui vicino.

2. La mancanza di un’a. nell’ambito familiare può indurre nel bambino uno stato di paura e di ansia che apparirà alla prima frustrazione specialmente quando non vi è tra coloro che lo circondano una persona cara alla quale poter comunicare liberamente i sentimenti provati nelle vicende giornaliere. Ciò lo porta a respingere pian piano la consapevolezza del proprio vissuto affettivo interno e a non volerlo sperimentare perché sente che non vi è una persona che possa accettare e comprendere il suo mondo di sentimenti. Alcune volte questa presenza dispensatrice di a. è mancata o manca per motivi contingenti quali il lavoro od impegni tali da lasciare pochi momenti liberi per avvicinarsi con tranquillità e serenità al mondo dell’altro. Oppure vi può essere stata una difficoltà costituzionale a comprendere la necessità di avere dimostrazioni di a. da parte del bambino. L’a. viene così ritenuta qualcosa di superfluo, che può essere sostituito vantaggiosamente da una razionalizzazione. In questi casi il bambino purtroppo finisce con l’apprendere che il bisogno di a. è una cosa solo sua, che agli altri non interessa e che pertanto è bene viverla in segreto o addirittura non viverla affatto. Da ciò può nascere un comportamento difensivo nei riguardi di tutto ciò che è affettivo e che provoca quella sensazione di vuoto, caratteristica della persona che ha soffocato questa importante parte di se stessa. Pertanto vi dovrà essere, per superare la sofferenza, la riappropriazione dei propri sentimenti ed emozioni con l’aiuto di una persona che sappia corrispondere con un caldo clima affettivo.

Bibliografia

D’Urso V. - R. Trentin,​​ Psicologia delle emozioni,​​ Bologna, Il Mulino, 1988; Ammaniti M. - N. Dazzi (Edd.),​​ Affetti,​​ Bari, Laterza, 1990; Sonet D.,​​ Il primo bacio & dintorni: educatori e ragazzi di fronte a sessualità e a., Leumann (TO), Elle Di Ci, 2003; Olivo S. - V. Iurman - M. Colombo,​​ A. e sessualità. Saper ascoltare per saper educare, Trieste, Mgs Press, 2007.

W. Visconti

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AFFETTIVITÀ

AFFIDAMENTO

 

AFFIDAMENTO

Istituto giuridico volto ad offrire ad un minore, temporaneamente privo della possibilità di vivere nella sua famiglia di origine, un ambiente familiare idoneo a soddisfare le sue necessità affettive ed educative.

1. L’a. ha le sue basi storiche nel generico concetto di accoglienza privata e di ospitalità dei minori abbandonati; in Italia non esistono sue formulazioni legislative fino al​​ Codice civile​​ del 1942, con cui assume per la prima volta un significato giuridico sia pur ancora piuttosto limitato. Solo negli anni ’70, sulla scia di un significativo ed interessante dibattito culturale e politico promosso da operatori sociali e da associazioni di​​ ​​ volontariato, si è cominciato a considerarlo come possibile forma organica di intervento per i minori in semi-abbandono, non adottabili e con difficili storie di vita. Si è giunti quindi nel 1983 all’emanazione della L. n. 184 «Disciplina dell’adozione e dell’a. dei minori» con cui tale istituto ha trovato una precisa codificazione delle sue finalità e modalità di applicazione. La L. 184 è stata poi in parte modificata ed integrata dalla L. 149 del 2001 che ha dato maggior risalto all’importanza per il minore di vivere nella propria famiglia o in un ambiente familiare ed alla necessità di sostenere il più possibile le famiglie di origine, introducendo inoltre un’importante innovazione con la decisione di chiudere i grandi istituti di accoglienza entro la fine del 2006 e consentendo il permanere delle sole comunità di tipo familiare.

2. La normativa prevede per i minori temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo, che possano essere affidati ad altre famiglie, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, o ad una comunità di tipo familiare, al fine di assicurare loro il mantenimento, l’educazione e l’istruzione L’a. viene promosso dai servizi sociali territoriali. Quando vi è il consenso dei genitori naturali, esso è reso esecutivo con decreto del Giudice Tutelare; nel caso manchi tale consenso viene deciso dal Tribunale per i Minorenni. Il provvedimento deve chiarire i motivi dell’a. ed indicare la sua probabile durata, che non deve superare i due anni, ma può essere prorogato qualora se ne ravveda la necessità. I servizi sociali hanno il compito di vigilare sul suo andamento, offrendo a tutte le persone coinvolte sostegno, consulenza, aiuto. È previsto che gli affidatari favoriscano i contatti del minore con la famiglia di origine ed il suo reinserimento nella stessa.

3. L’a. è un istituto complesso, di problematica attuazione e gestione pratica. Nonostante la sua definizione giuridica e le molte campagne condotte da amministrazioni pubbliche e da associazioni private per farlo conoscere a livello sociale e culturale, incontra tuttora difficoltà a trovare la necessaria disponibilità da parte delle famiglie difficilmente in grado di aprirsi ad una ospitalità temporanea ed al rapporto con i genitori naturali dei figli accolti.

Bibliografia

Cambiaso G.,​​ L’affido come base sicura: la famiglia affidataria,​​ il minore e la teoria dell’attaccamento, Milano, Angeli, 1998; Greco O. - R. Iafrate,​​ Figli al confine: una ricerca multimetodologica sull’a. familiare, Ibid., 2001; Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza,​​ I bambini e gli adolescenti in a. familiare, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2002.

A. M. Libri

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AFFIDAMENTO

AFRICA

 

AFRICA

Sotto il pontificato di Gregorio XVI​​ (1831-1846)​​ — che era stato Prefetto di “Propaganda Fide” dal 1826 — si risvegliò nella Chiesa l’attività missionaria. Essa fu favorita dalla nascita di nuovi Istituti missionari e dalla ripresa missionaria di Congregazioni più antiche, che riacquistavano vigore dopo le difficoltà della Rivoluzione Francese. Nell’Africa, i Lazzaristi appaiono nel 1838 in Abissinia, gli Spiritani arrivano nel 1844 nel Gabon e l’anno dopo nel Senegal, i Gesuiti nel 1845 nel Madagascar, i Missionari Oblati di Maria I. nel 1851 in Natal. Intanto era scattata l’ora delle esplorazioni geografiche nell’interno del continente africano, in seguito alle quali si scoprì il flagello della tratta dei negri. All’appello dell’Africa nacquero in Francia nuovi Istituti Missionari: le Missioni Africane di Lione nel 1856 e i Missionari d’Africa (Padri Bianchi) nel 1868. La Conferenza di Berlino (1885) decideva la ripartizione dei territori africani tra le varie potenze europee interessate, tra le quali la Francia e il Belgio: il che fu all’origine della odierna Africa francofona.

1.​​ Periodo coloniale.​​ Il grande iniziatore della ripresa missionaria in Africa fu Fr.​​ Libermann​​ con i suoi missionari (chiamati Spiritani nel 1848). Per la C. essi volevano moltiplicare i catechisti laici pensando addirittura di dar loro gli “ordini minori”: il che non fu accettato dalle autorità centrali. Vennero poi i Padri Bianchi del card. Lavigerie, che aveva in vista nelle sue “Istruzioni” del 1879 il ripristino dell’antico catecumenato, sebbene, secondo una sua interpretazione, con una durata di almeno 4 anni e la distribuzione dei candidati in 3 gruppi: postulanti, catecumeni, eletti. Egli considerava come assai normale l’esistenza di due categorie di cristiani, i catecumeni e i fedeli, e di più era favorevole a ritardare il battesimo “in molti casi” al momento della morte. Questo lungo catecumenato non fu mai sancito dalle autorità missionarie centrali, ma fu di stretto obbligo nelle missioni dei Padri Bianchi fino al Vaticano II, ed esercitò un certo influsso sugli altri gruppi missionari operanti in Africa, che organizzarono un catecumenato della durata da 6 mesi a 2 anni, con programma d’istruzioni però assai flessibile, prima della preparazione immediata al battesimo. Ai catecumeni si insegnava comunemente a leggere e a scrivere; e i metodi d’insegnamento religioso erano di tipo scolastico: imparare a memoria le domande e le risposte formulate in un manuale di catechismo fatto in un paese occidentale per i fanciulli cristiani. La grande difficoltà riguardava la costituzione d’una terminologia cristiana, data la varietà delle lingue o dialetti locali e la mancanza di vocaboli per esprimere concetti astratti, e anche per il fatto che i termini religiosi locali si presentavano con connotazioni pagane talvolta inaccettabili.

Inoltre, molti candidati al battesimo erano attirati da prospettive di promozione sociale; e la preoccupazione predominante dei missionari era l’insegnamento nelle scuole elementari, a tal punto che molti catecumenati furono chiusi per fare posto a tali scuole. Alcuni vescovi però cercarono di migliorare la C. studiando le lingue locali e la mentalità religiosa indigena. Da segnalare V. Roelens,​​ Instructions aux missionnaires Pères Blancs du Haut-Congo​​ (Baudouinville, 1920; da completare con 3 documenti su “Le​​ Bulletin​​ des Missions” 22 [1948] 221-239); A. de Clercq,​​ Recueil d’instructions Pastorales​​ (Louvain, Museum Lessianum, 1930).

2.​​ Periodo di transizione.​​ Una proposta assai radicale per presentare il cristianesimo ai Bantu apparve nel 1948, mettendo in questione tutta la impostazione della C. tradizionale in Africa: si tratta della​​ Catéchèse bantoue​​ di PI. Tempels OFM (“Le Bulletin des Missions» 22 [1948] 258-279), seguita dall’articolo​​ Les​​ bases​​ de notre catéchèse en Afrique​​ (“Orientations Pastorales” [1959] 62, 59-68). Invece di modellare gli africani con le categorie mentali e morali europee nell’insegnamento religioso, bisogna inculturare il cristianesimo in modo africano secondo il modo di pensare e di comportarsi della gente, già studiato dal Tempels nella sua​​ Philosophie Bantoue​​ (varie edizioni dal 1945). Il pensiero di Tempels finiva però in modo assai sconcertante nel 1962 con​​ Notre Rencontre​​ (Limete,​​ Centre​​ d’Études Pastorales; cf la critica su “Nouv. Rev. Théol.” 96 [1964] 725-743).

La necessità di africanizzare seriamente la presentazione della C. s’imponeva però negli ambienti missionari. Una inchiesta sui manuali di catechismo in Africa fu condotta da L. Denis nel 1952, nell’intento di migliorare l’insegnamento religioso (sul questionario e le risposte: “Rev. du Clergé Africain” 7 [1952] 149-154, 401-408; 8 [1953]​​ 213-220;​​ «Lumen Vitae” 7 [1952] 339-343; 8 [1953] 153-156, 340-344).

Nel 1955 a Kinshasa (allora Léopoldville) ebbe luogo (22-27 ag.) la “Settimana Internazionale di Studi sulla formazione religiosa e umana nell’Africa Nera” sotto la direzione di L. Denis (del Centro Documentario Cat. di Mayidi) e di → G. Delcuve (di “Lumen Vitae”, Bruxelles) con circa 500 partecipanti provenienti da varie regioni dell’Africa Nera (Formation religieuse en Afrique Noire,​​ Bruxelles, Ed. Lumen Vitae, 1956). Un giudizio sul congresso è stato presentato da J. Hofinger SJ (Internationaler Katechetischer Kongress für Afrika,​​ in “Neue Zeitschrift für Missionswissenschaft” 11 [1955]​​ 301302).

Assai importante per la C. in Africa, benché svoltasi prima di poter usufruire dell’insieme dei documenti del Vatic. II, fu la Settimana Panafricana di Studi cat. tenuta (26 ag.-2 sett. 1964) nel locale del Seminario Maggiore di Katigondo in Uganda, sotto la direzione di → J. Hofinger con un centinaio di partecipanti, che lavorarono in gruppi di studio (francese, inglese) su certi rapporti presentati per iscritto (La Semaine d’Études Catéchétiques de Katigondo,​​ in “Rev. du Clergé Afr.” 19 [1964] 501-584;​​ Pan-African Catechetica, Study Week, Katigondo 1964,​​ in “Afr. Eccl. Rev.” 6 [1964] 333-420). Nota caratteristica del convegno fu l’insistenza perché si adattasse l’insegnamento cristiano alla mentalità africana, si accorciasse la durata del catecumenato pur migliorando l’incisività dell’insegnamento (discorso d’apertura del card.​​ Rugambwa),​​ e si rinunziasse al metodo troppo scolastico che puntava sulla fedele memorizzazione di formule astratte senza cambiare l’impegno religioso profondo della gente.

3.​​ Periodo d’indipendenza.​​ Il Vaticano II ha provocato un cambiamento profondo nella figura del cristianesimo in Africa e nei metodi pastorali. L’opera missionaria è stata ripensata specialmente alla luce dei “semina Verbi” come “preparazione evangelica” al messaggio della Alleanza Nuova (AG 3a; llb; 15a; 22; LG 16; 17) in modo da inserire la vita cristiana nelle tradizioni e nei costumi africani validi. Anche la situazione sociale dell’Africa francofona conobbe allora una svolta radicale, con la fine del regime coloniale e l’accesso all’indipendenza socio-politica; una conseguenza fu la promozione del clero e del personale africano alle redini del governo ecclesiale, in sostituzione del personale missionario estero, il cui compito si riduceva all’aiuto subalterno, ancora indispensabile. Il problema centrale è diventato quello di costituire Chiese particolari veramente cattoliche ma anche autenticamente africane, con ministri propri. A questo concentramento di forze ha giovato il disimpegno sostanziale dall’insegnamento profano nelle scuole, ormai nazionalizzate, favorito dal forte calo degli effettivi degli Istituti Missionari, che precedentemente vi avevano impiegato le loro migliori energie (cf le riserve da noi espresse su questo punto nella​​ 24a​​ Settimana di Missiologia di Lovanio 1954:​​ Questions​​ scolaires​​ aux Missioni,​​ Museum Lessianum, DDB, 1955, 12-42).

I catechisti laici sono diventati più numerosi. Anche gli Istituti o Centri per la loro formazione sono passati da 56 nel 1975 a 156 nel 1983, 18 dei quali solo per lo Zaire (cf​​ Annuario​​ S.C. per l’Ev. dei Popoli, 1983, 100). Il compito del → catechista è cambiato: da quello dell’umile factotum ausiliare del missionario sacerdote, è diventato un ministero laicale riconosciuto nella Chiesa sotto l’autorità del vescovo; sono anche apparsi, oltre al catechista animatore di comunità rurale senza sacerdote, che è stata strutturata in certe diocesi come comunità ecclesiale di base, i catechisti urbani per gruppi rionali con decentralizzazione della pastorale parrocchiale, o addirittura per dirigere parrocchie (a Kinshasa: i “bakambi”; sul loro statuto: “Mission de l’Église” [1976] 32,41-44).

L’organizzazione del catecumenato si è fatta molto più flessibile secondo le indicazioni di AG (n. 14); ha perso il suo vecchio quadro casermistico e scolaresco, e instaurato rapporti vitali con l’ambiente, specialmente con la comunità cristiana del luogo;​​ l’Orda​​ Initiationis​​ degli adulti è stato egregiamente interpretato e concretizzato secondo le differenze etniche o regionali (ad es.: card. P. Zoungrana,​​ Un’esperienza di catechesi missionaria oggi,​​ nel vol.​​ Andate e Insegnate.​​ Commento alla “Catechesi tradendae”, Bologna, EMI, 1980, 541-552).

La C. infine si è incamminata in direzione propriamente africana, in modo da evitare false situazioni presso i fedeli che prima erano lacerati tra la loro appartenenza cristiana e la loro personalità africana. Non punta più tanto sul conformismo sacramentalista individuale,​​ ma piuttosto sull’autentica vita cristiana a base di convinzioni salde, e protesa alla testimonianza nell’ambiente.

Bibliografia

F.​​ González,​​ Lu​​ dimensión misionera​​ de la​​ catcquesis​​ en​​ las jóvenes​​ Iglesias de Africa,​​ nel​​ vol.​​ 'Dimensión misionera​​ de​​ nuestra catcquesis​​ (29a​​ Semana Española Mis. 1976), Burgos, 1977, 199-249;​​ Mukulu Mwamba,​​ Problèmes actuels de la catéchèse en Afrique,​​ nel​​ vol.​​ L’Évangélisation dans l’Afrique d’aujourd’hui.​​ 10e​​ Semaine Théologique de Kinshasa 1975, Kinshasa, Fac. de Théol. Cathol., 1980, 121-139; Th. Villaça,​​ Le rôle des catéchistes en Afrique,​​ nel​​ vol.​​ Evangelizzazione​​ e Culture.​​ Congresso​​ Intern.​​ di​​ Missiologia 1975, vol. III,​​ Roma,​​ Univ. Urbaniana, 1976, 21-35.

André Seumois

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AFRICA

AFRICA sistemi formativi

 

AFRICA: sistemi formativi

1.​​ Tradizione e emancipazione.​​ La tradizione africana è basata sulla vita di clan che provvede alla educazione del bambino. I riti di​​ ​​ iniziazione della fase puberale segnano il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. I codici morali e l’assunzione dei ruoli adulti sono appresi nella vita comunitaria e la pedagogia di per sé non ha una fondazione teoretica. Sulla tradizione antica africana si sono innestati i modelli educativi importati dall’​​ ​​ Europa. La compresenza dei due sistemi valoriali di riferimento ha alla lunga generato forme di convivenza ma anche conflitti e movimenti di​​ ​​ liberazione nazionale. Dagli anni ’60, epoca della decolonizzazione, alla metà degli anni ’70 l’A. cerca faticosamente la propria emancipazione; segue la fase della affermazione degli Stati totalitari e quindi quella della ricerca di vie di liberazione mutuate dall’Occidente capitalista e dall’Est comunista. Il continente africano resta un universo culturale composito sia per le passate vicende precoloniali e coloniali, sia per l’attuale fisionomia politico-sociale dei diversi Paesi che rende difficile l’elaborazione di modelli educativi originali e liberi dall’influenza europea. Solo nello Zaire sono parlati più di 400 dialetti appartenenti ai gruppi linguistici sudanesi e bantu. Tale molteplicità linguistica, comune agli altri Stati africani, trova ancora nelle lingue europee, soprattutto nel fr., nell’ingl. e nel port., un veicolo di comunicazione internazionale insostituibile.

2.​​ Economia e istruzione.​​ Mentre l’A. Occidentale crea una sua comunità economica con PECOWAS, o​​ Economic Community of West African States​​ (fondata nel 1975), l’A. Meridionale cerca un suo sviluppo autonomo dal Sud A., coordinando gli sforzi attraverso la SADCC, o​​ Southern African Development Coordination Conference​​ (fondata nel 1979). A livello internazionale la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale continuano a fornire prestiti a diversi Paesi africani, ed i creditori europei organizzati nel​​ Paris Club​​ e nel​​ London Club,​​ dove reputano opportuno, operano dilazioni nei pagamenti. Questo meccanismo di debiti / crediti trasforma l’A. da continente ricco per natura a continente povero per capacità e possibilità di sfruttamento delle risorse. Di qui la ricerca di personale qualificato da immettere nei processi formativi e nel mercato interno del lavoro. Guerra e povertà (cfr. Angola, Botswana, Sudan, Mozambico) sono problemi che ritardano l’attuazione dei piani di​​ ​​ alfabetizzazione di bambini, giovani, adulti. Le stime del 1990 sull’analfabetismo adulto (Unesco, 1993) registrano percentuali notevoli negli Stati di Burkina Faso (81,8%), Benin (76,6%), Guinea (76,0%), Somalia (75,9%) e meno elevate nel Madagascar (19,8%) e nelle Isole Maurizio (20,1%). Nella maggioranza dei casi sono le fasce femminili della popolazione, la popolazione rurale e gli appartenenti alle classi sociali meno abbienti ad essere più esclusi dalla​​ ​​ scuola, salvo poi effettuare i rientri nel circuito dell’istruzione previsti dalle varie forme di​​ ​​ educazione degli adulti.

3.​​ Sistemi formativi a confronto.​​ Dalle statistiche dell’Unesco (1993) non compaiono dati relativi all’istruzione prescolastica in: Botswana, Ciad, Guinea, Guinea Equatoriale, Lesotho, Madagascar, Malawi, Mali, Mauritania, Sierra Leone, Tanzania, Uganda, Zimbabwe. Le eventuali agenzie, preposte alla educazione prescolastica in questi Stati, funzionano nelle aree urbane, per iniziativa privata, ad opera delle missioni, e sono spesso accessibili solo alle classi agiate. L’istruzione è obbligatoria e gratuita quasi dovunque: per 5 anni come in Madagascar, per 8 come in Angola e nel Niger, per 9 come in Algeria, per 10 come nel Congo e nel Gabon, per 11 come in Tunisia. Non vi è​​ ​​ obbligo scolastico nei seguenti Stati: Botswana, Camerun Occidentale, Gambia, Kenya, Mauritania, Maurizio, Sierra Leone, Sudan, Swaziland, Uganda. La scuola primaria e quella secondaria sono attivate, dovunque: l’obbligo quando previsto, copre l’arco dell’istruzione primaria e, in qualche caso, il primo ciclo della secondaria. I giovani degli Stati nei quali le istituzioni superiori non sono attivate completano gli studi nelle università africane disponibili, in Europa, negli Stati Uniti d’America, in Canada e, fino a quando è stato possibile, nell’Unione Sovietica. In molti casi la politica dell’educazione nei vari Stati sottolinea la necessità di raggiungere la diffusione universale dell’istruzione primaria e piani specifici vengono periodicamente predisposti allo scopo. Si tratta di un obiettivo difficile, considerata la diversità delle opportunità educative per maschi e femmine, per utenza urbana e rurale e la forte dispersione scolastica data da abbandoni, ripetenze, interruzioni, frequenze irregolari. Diplomati e laureati non sempre decidono di restare in A. e 1’​​ ​​ emigrazione dei professionisti impoverisce ulteriormente le economie e lo sviluppo dei Paesi africani più poveri. Un caso a parte è rappresentato dal Sud A. nel quale è in atto una lenta trasformazione post-apartheid che investe l’economia, la cultura, la scuola. Il nuovo sistema scolastico sudafricano prevede 13 lingue ufficiali: Tingi, più una delle lingue locali. La società multiculturale, presente in A., come in Europa, assume conformazioni interessanti, forse ancora troppo poco studiate fuori dei quadri interpretativi della subordinazione economico-politica. Si pensi ad es. al problema della nuova scrittura dei manuali e alla riformulazione dei curricoli scolastici, alla adozione di linguaggi che permettano la comunicazione tra formazioni culturali diverse. Se da un lato non appare scientifico relazionarsi all’A. come ad un continente senza tradizioni, o dalle tradizioni poco significative, d’altro canto esiste l’urgenza di creare flussi migratori e contatti umani impostati sulla consapevolezza del particolare patrimonio di valori che va scoperto e conosciuto soprattutto attraverso 1’​​ ​​ educazione interculturale e sulla presa di coscienza del condizionamento negativo provocato dal​​ ​​ pregiudizio etnico.

Bibliografia

King E. J., «South A.», in T. N. Postlethwaite,​​ The encyclopedia of comparative education and national systems of education,​​ Oxford, Pergamon, 1987; Chistolini S.,​​ I sistemi educativi nel Sud del Mondo. A. subsahariana, Roma, Euroma-La Goliardica, 1988; Fajana A., «Multicultural education practices in Nigeria», in D. K. Sharpes (Ed.),​​ International perspectives on teacher education,​​ London, Routledge, 1988, 33-42; Dekkere I. - E. M. Lemmer (Edd.),​​ Critical issues in modern education,​​ Durban, Butterworths, 1993; Gandolfi S. - F. Rizzi,​​ L’educazione in A.,​​ Brescia, La Scuola, 2001; Erny P.,​​ Istruzione,​​ educazione familiare e condizione giovanile in A., Torino, L’Harmattan Italia, 2003.

S. Chistolini

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