ADATTAMENTO

 

ADATTAMENTO

La parola a. designa in genere l’esito dell’incontro dell’organismo con il suo ambiente; se tale esito è positivo, si parlerà di buon a., se negativo, di disadattamento. I termini con cui si indicano i due protagonisti dell’incontro devono essere spiegati: per «organismo» si intende tutta la struttura della persona: biologica, psichica e sociale, e per «ambiente» si intende tutto il contesto in cui la persona vive, che può essere interiore ed esteriore, fisico, sociale, esistenziale. Da questa precisazione dei termini appare che l’a. si può verificare in molti campi. Inoltre l’a. stesso è inteso diversamente a seconda del peso che, nell’interazione, viene attribuito all’organismo o all’ambiente: secondo la corrente comportamentista, ad es., il contributo dell’ambiente è largamente preponderante, mentre altre teorie (personaliste, umanistiche, cognitiviste) sottolineano l’importanza dell’iniziativa del soggetto.

1.​​ A. fisiologico:​​ indica una reazione dell’organismo alle condizioni ambientali in modo da approfittare al massimo delle condizioni favorevoli, o di ridurre al minimo i danni fisici in un ambiente sfavorevole. Ci si può adattare, in questo senso, all’alta montagna o all’immersione in profondità, allo smog della città e all’assalto di germi patogeni, ad un tipo di nutrizione, ecc. Un caso tipico di a. fisiologico è quello dell’a. sensoriale, che ci rende meno sensibili a livelli costantemente alti di stimolazione e più sensibili a livelli costantemente bassi.

2.​​ A. intrapsichico:​​ viene spesso identificato con la sanità, la normalità o la maturità psichica, e ha come indicatore il buon funzionamento all’interno del sistema psichico della persona. Le principali componenti dell’a. intrapsichico sono la libertà da costrizioni interiori, quali le idee ossessive o le azioni compulsive, il senso di dignità personale, la percezione della propria competenza di fronte ai compiti della vita, l’impressione di integrazione interiore, per cui tutto ciò che è personalmente importante trova la sua realizzazione in un contesto gerarchico di beni, e infine lo sviluppo, la cura e la gestione ordinata delle emozioni. La mancanza di a. intrapsichico porta a disturbi psichici di varia natura e gravità.

3.​​ A. interpersonale:​​ è la capacità di un buon rapporto con gli altri, e comporta un atteggiamento positivo verso gli altri, e cioè una struttura cognitiva o modo di pensare, sia generale che verso le singole persone, che riconosce il valore di esse e la possibilità di collaborare con loro, una inclinazione a entrare in rapporto con gli altri, il gusto di farlo e le relative capacità operative. L’a. interpersonale comporta la capacità di intrattenere rapporti non superficiali, e insieme quella di avere ed esigere rispetto per l’identità propria ed altrui. L’a. interpersonale dipende strettamente da quello intrapsichico, e la sua mancanza genera gli stessi disturbi psichici.

4.​​ A. sociale:​​ comporta una relazione positiva con la società cui il soggetto appartiene. La società di cui si parla può essere intesa in modo più o meno esteso, e riferirsi, ad es., allo stile di una singola famiglia o di un gruppo, oppure alle norme di una intera cultura. Il rapporto con la società può essere di rifiuto, di conformismo o di collaborazione; le relative norme sociali possono essere accettate o rifiutate, e, nel caso siano accettate, possono essere seguite meccanicamente oppure interiorizzate, perché se ne è compreso il valore. L’a. sociale non è necessariamente globale, e, nei vari momenti storici, questo o quell’aspetto della cultura può venir messo in discussione. Il termine «disadattamento sociale» assume talora significati ambivalenti, in quanto si presume che il «sentimento comune» rifletta il bene oggettivo; ma tale presupposto si può scontrare con quanto il soggetto, portatore di pensiero e di progetto originale, può decidere per se stesso. Il «disadattato sociale» può essere sia chi soddisfa i propri impulsi in modo egocentrico, ignorando la solidarietà, sia chi persegue con impegno personale dei valori che la società non riconosce o tenta di cancellare.

5.​​ A. esistenziale:​​ indica il rapporto con un «ambiente totale»; il segmento attuale della vita viene collocato di fronte a tutta la vita ed essa, nella sua totalità, viene confrontata con ciò che è percepito come definitivamente importante per la singola persona, con cui essa si identifica, in ciò per cui si sente realizzata. In questa definizione entrano chiaramente i valori, così come sono vissuti dalla singola persona. L’a. esistenziale sarà positivo se da tale ricerca emergerà una valutazione globale positiva di sé, della vita e della realtà, con la conseguenza di una speranza di base e di un impegno a lungo termine; un a. esistenziale negativo, nato dal non trovar nulla per cui valga la pena di vivere e di impegnarsi, è invece caratterizzato dal disimpegno, dall’apatia e dalla disperazione. Il tema dell’a. esistenziale è elaborato soprattutto nella​​ ​​ logoterapia di V. E. Frankl.

6.​​ L’a. come sfida all’educazione:​​ nell’incontro con l’ambiente, importanti aspetti fisiologici e comportamentali della persona vengono modellati, creando predisposizioni che ne condizionano lo sviluppo futuro. In particolare le ricerche e le osservazioni cliniche sono d’accordo nel rilevare l’importanza decisiva dell’ambiente familiare per avviare e mantenere un buon a. emotivo e sociale. D’altra parte l’esigenza di conservare l’identità della persona nell’incontro con l’ambiente comporta l’educazione all’autogestione e alla responsabilità della propria iniziativa, in coerenza con i progetti e lo stile di ognuno. L’educazione all’autogestione suppone da parte sua che l’educatore sappia accompagnare l’educando alla scoperta di valori sia con una proposta di informazione adeguata, sia ponendosi come modello con cui l’educando possa identificarsi.

Bibliografia

Nuttin J.,​​ Motivation,​​ planning,​​ and action. A relational theory of behavior dynamics,​​ Leuven, Leuven University Press, 1984; Snyder C. R. - C. E. Ford (Edd.),​​ Coping with negative life events. Clinical and social psychological perspectives,​​ New York, Plenum Press, 1988; Feldman R. S.,​​ Adjustment,​​ applying psychology in a complex world,​​ New York, McGraw-Hill, 1989; Meichelbaum D.,​​ Exploring choices: the psychology of adjustment,​​ New York, Foresman, 1989; Nuttin J.,​​ Motivazione e prospettiva futura,​​ Roma, LAS, 1992; Critenden P. M.,​​ Pericolo,​​ sviluppo e a., Milano / Parigi / Barcellona, Masson, 1997.

A. Ronco

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ADATTAMENTO

ADDESTRAMENTO

 

ADDESTRAMENTO

Apprendimento di capacità specifiche necessarie per svolgere una determinata azione. Generalmente viene ulteriormente precisato con aggettivi che ne evidenziano meglio il significato.

1. Si parla di a. rivolto a persone giovani o adulte per prepararle al mondo del lavoro (a. professionale), ma si parla anche di a. degli animali, in particolare in ambienti dove si desidera avere da parte loro dei precisi comportamenti (performance), come ad es. in una corsa, in un circo o in ambito domestico. Sua caratteristica è la specificità e in un certo modo la meccanicità. Ci si addestra per assumere un comportamento ben definito e non generico. Potremmo perciò definire l’a. come l’insieme di azioni volte a far acquisire destrezza, comportamenti ben definiti in determinate situazioni e capacità concrete nel risolvere problemi specifici. Attualmente per la preparazione professionale si preferisce parlare di formazione e non di a. per superare quel senso riduttivo di cui il termine si è circondato e che lo fa vedere come un apprendimento di comportamenti rigidi, condizionati, meccanici e parziali, staccati da un contesto globale di ciclo produttivo e di vita personale.

2. Nell’ambiente formativo per a. si intende normalmente un insegnamento eminentemente pratico, una modalità per fare acquisire ad una persona delle mansioni specifiche e circoscritte nel tempo e a volte anche nello spazio, o per farle apprendere un mestiere. In questo caso con il termine formazione si tende ad indicare un significato più esteso e a riferirsi ad un insegnamento anche teorico che comprende non solo un apprendimento di abilità specifiche legate alla mansione da svolgere, ma anche di conoscenze, capacità e atteggiamenti necessari per assumere un ruolo nel mondo del lavoro, dove sempre di più si richiederanno anche sensibilità al cambiamento, attenzione al gruppo, desiderio e capacità di riqualificarsi. È comunque una distinzione non ben definita che dipende molto dal contesto in cui il termine viene utilizzato. Nell’idea di a. c’è anche il riferimento ad un insieme di attività che facciano acquisire in tempi brevi competenze tecnico-operative che le persone possono utilizzare nei reparti produttivi, in modo ripetitivo e con scarsa autonomia.

Bibliografia

Agnoli M.,​​ Guida per la redazione del regolamento per la formazione e l’a. del personale negli enti locali,​​ Bergamo, CEL, 2000; De Vita A.,​​ L’e-learning nella formazione professionale,​​ strategie,​​ modelli e metodi,​​ Trento, Erickson, 2007;​​ Grego S.,​​ La formazione come palestra della professionalità. Guida pratica all’utilizzo delle attività formative per le persone e le organizzazioni,​​ Milano, Angeli, 2007.

N. Zanni

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ADDESTRAMENTO

ADLER Alfred

 

ADLER Alfred

n. a Vienna nel 1870 - m. a Aberdeen nel 1937, medico, psicologo austriaco.

1. Secondo di sei figli, nacque in una famiglia di commercianti. Si laureò in medicina «per sconfiggere la morte»; lavorò come medico, interessandosi di comprendere la personalità del paziente ed i collegamenti tra i sintomi organici e psichici. Studiò con interesse filosofia, psicologia e scienze sociali. Ottimista e sereno, curava molto i rapporti coi familiari e con gli amici. Alla fine del secolo si sposò ed ebbe quattro figli, ai quali si dedicò con molto affetto. A., non potendo sconfiggere la morte e volendo lenire le sofferenze del disturbo mentale, passò quindi dalla medicina generale alla psichiatria. Nel 1902, invitato da​​ ​​ Freud, entrò a far parte della Società Psicoanalitica di Vienna, da cui si dimise nel 1907, per le divergenze da lui espresse sulla teoria degli impulsi sessuali, considerati da Freud come basi determinanti della vita psichica di un individuo nevrotico o normale e invece da A. solo materiale da elaborare secondo l’atteggiamento individuale. Fondò, nel 1912, la Società per la Psicologia Individuale, che divenne molto attiva. Dopo la Prima Guerra Mondiale, aprì la prima clinica per la consulenza all’infanzia, in collegamento con il sistema scolastico viennese. Nel 1927 andò negli Stati Uniti e continuò ad esporre le sue teorie in varie università statunitensi. Fu scrittore prolifico e conferenziere pieno di temperamento, apprezzato in tutto il mondo. Sensibile all’arte ed alla musica in particolare, dotato di una magnifica voce, amava cantare per gli amici.

2. A. descrive la caratteristica comune della personalità come un movimento tendente alla superiorità o pieno sviluppo delle proprie capacità ed al benessere della società. Le basi della tendenza alla perfezione possono essere costituite da inferiorità organiche, sentimenti di inferiorità e dalla compensazione attuata dall’essere umano per superare le inferiorità reali o presunte. La compensazione può essere diretta anche verso un ideale di perfezione non collegato al tipo di inferiorità, chiamato da A. finalismo fittizio. La tendenza alla perfezione si esprime con la formazione di uno stile di vita (tratti, abitudini, schemi, significati, ecc.), sviluppato nel corso dei primi 4-5 anni di vita specialmente per la posizione occupata e / o percepita nella famiglia (costellazione familiare), per l’atmosfera familiare e in accordo alla finalità che persegue l’individuo in relazione al mondo. Lo stile di vita riguarda le modalità con cui l’individuo, come totalità indivisibile, affronta i grandi problemi dell’esistenza che, per A., sono il sentimento sociale, l’amore, il matrimonio ed il lavoro.

3. Il contributo di A. nella teoria e prassi psicopedagogiche consiste nell’aver posto in rilievo alcuni elementi che influenzano lo sviluppo ed il funzionamento della vita psichica individuale: a) la dimensione sociale, in quanto la funzionalità psichica dell’individuo è realizzabile solo nel rapporto sociale; b) l’intenzionalità o finalità verso una meta del comportamento individuale («per che cosa»); c) le opinioni personali nella valutazione dei fatti e delle esperienze. Siccome per A. l’individuo si sviluppa in modo nevrotico o normale in base non ai fatti ma per l’opinione che ha dei fatti, è compito degli psicologi e degli educatori aiutare gli esseri umani a scoprire e correggere opinioni e soluzioni erronee su se stessi e sui problemi della vita, per modificarle con un atteggiamento costruttivo. Lo stile di vita e le sue modalità di attuazione si possono conoscere dalla posizione dell’individuo nella costellazione familiare, dai sogni e, specialmente, dai ricordi infantili. I primi ricordi sono considerati da A. la chiave di accesso al modo di pensare, di agire dell’individuo, alle opinioni che ha di sé e dell’ambiente, alla sua filosofia di vita, alla sua meta.

Bibliografia

A.A.,​​ Über den nervosen Charakter. Grundzüge einer vergleichenden individual Psychologie und Psychotherapie,​​ Wien, Bergmann, 1912 (trad. it. 1950); Id.,​​ Praxis und Theorie der Individualpsychologie,​​ Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft,​​ 1915; Marcus P. - A. Rosenberg (Edd.),​​ Psychoanalytic versions of the human condition: philosophies of life and their impact on​​ practice,​​ New York, University Press, 1998; Franta H.,​​ Individualità e formazione integrale,​​ Roma, LAS, 1982.

G. Giordanella Perilli

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ADLER Alfred

ADOLESCENTI – Catechesi degli

ADOLESCENTI (Catechesi degli)

Molti problemi di carattere generale, specie a livello socio-culturale, per lo più attribuiti alla giovinezza, toccano almeno nelle loro iniziali manifestazioni ed emergenze anche l’adolescenza. Tuttavia restano meglio identificati ed espressi nella giovinezza, cui rimandiamo (→ giovani).

1.​​ Una condizione di transizione

2.​​ L’adolescenza resta momento fondamentale dell’età evolutiva. I termini di età possono essere fluttuanti fino a comprendere l’intero passaggio dall’infanzia all’età adulta. Tuttavia ci si riferisce di solito all’adolescenza come al momento più esuberante della maturazione fisica, mentale ed emotiva: orientativamente, dai 15 ai 17 anni.

Si può accettare che il presupposto da cui parte l’educazione religiosa sia la convinzione spontanea nell’adolescente che la vita merita di essere vissuta e che lo sforzo di decifrarne il significato è decisivo.

3.​​ L’adolescenza offre del resto caratterizzazioni ricorrenti e tipiche, specialmente sul versante della maturazione interiore, anche religiosa, che si possono raccogliere attorno all’esigenza di ristrutturazione della personalità.

L’A. è alla ricerca di valori fortemente coinvolgenti, capaci di appassionarlo e di polarizzare le sue energie. La dimensione religiosa può giocarvi un ruolo importante; spiega il fenomeno delle crisi e degli abbandoni, ma anche delle conversioni adolescenziali, con tutta la carica emotiva, appassionante e precaria ad un tempo, che comportano.

La stessa tendenza alla radicalizzazione rende l’A. inquieto, per lo più insoddisfatto anche della propria esperienza di fede. O la riscopre in esperienze coinvolgenti o è portato ad abbandonarla per provocazioni alternative, spesso sentimentali, man mano anche politiche e professionali.

Resta ad ogni modo un periodo critico, con manifestazioni di forte abbassamento della pratica religiosa, di revisione della fede, di resistenze sorde e clamorose nei riguardi della Chiesa come istituzione e dei suoi rappresentanti.

È però anche momento di ricerca, magari convulsa, ma viva e sofferta. Perciò l’esperienza religiosa resta riferimento importante: la stessa Chiesa può essere guardata come luogo perfino privilegiato di confronto e di definizione della propria identità.

II. Le condizioni educative

1.​​ Il principio organizzatore della C. adolescenziale.​​ Ci sono tentativi di interpretare in maniera unitaria e organica l’educazione alla fede dell’A. Sempre illuminante il richiamo di → J. Colomb alla funzione strutturante che la fede offre alla formazione della personalità. “Una qualunque verità non ha possibilità di venir accolta, e cioè integrata nella vita personale, se non è in rapporto con lo slancio vitale che stimola l’A. alla costruzione della propria personalità”. Interessanti anche gli sforzi per caratterizzare la fede adolescenziale. Lo stesso Colomb tenta uno schema interpretativo globale (cf​​ Al servizio della fede,​​ vol. II, 338ss).

Comunque l’importanza di una C. solidale con il processo di identificazione personale nell’A. è chiara. Si tratta di strutturare la personalità al richiamo di sollecitazioni interiori formulate dalla fede; e, di conseguenza, di radicare i lineamenti portanti della persona sull’asse della fede.

La fede si legittima e si impone inizialmente all’attenzione dell’A. per l’apporto che egli vi presagisce alla propria crescita e identità.

2.​​ I processi di maturazione alla fede.​​ Sono studiati con l’apporto, spesso illuminante, delle scienze antropologiche. Risulta importante:

— La riappropriazione del senso religioso: s’impone quindi un problema di sensibilizzazione all’esperienza religiosa che susciti risonanza e possa far presa sull’animo dell’A. Si tratta di far breccia sulla tranquilla sicurezza “laica” dell’A. attuale, di renderlo almeno attento al dato religioso e al significato che sottende per la sua vita. Il che comporta una fede capace di parlare in maniera efficace e stimolante alla sua esperienza, e in grado di dischiudervi orizzonti e prospettive degne di considerazione.

— La maturazione all’interiorizzazione: l’apporto decisivo all’educazione religiosa è situato nel cuore stesso dell’A. Si tratta di operare il passaggio da una fede ricevuta a una fede scelta, da un comportamento religioso a un atteggiamento che permei e fermenti religiosamente l’esistenza.

Valorizzare la tendenza all’assolutizzazione: in ambito razionale la fede si afferma come ricerca di senso ultimo, di motivazione unificante e definitiva. A livello adolescenziale si configura come elaborazione di identità personale, imperniata attorno ad un valore assoluto, assunto spesso con radicalità totalizzante.

3.​​ Le aree educative.​​ C’è in sintesi una maturazione interiore alla fede da assecondare. E ci sono condizioni concrete da predisporre per conseguirla. Indicativamente si può affermare che l’A. è alla ricerca di condizioni e di luoghi di confronto anche per verificare e definire la propria identità credente.

Per lo più si distanzia dalla famiglia. La scuola gli offre un primo e fondamentale contesto in cui può trovare amicizia e stabilire contatti svariati. L’ → IR apre esplicitamente il confronto anche sull’ → esperienza religiosa.

Più complesso e provocante si delinea il rapporto con la comunità credente. Per lo più vi risulta sollecitato da aggregazioni o gruppi spontanei che vi trovano sostegno ed alimento; al cui confronto l’A. opera già una scelta importante, dandovi o meno la propria adesione.

Talora l’occasione del sacramento della → confermazione comporta l’adesione a gruppi specificamente strutturati e la sollecitazione di un certo itinerario di fede. Recentemente si tende a spostare in avanti l’età della confermazione e ci si preoccupa di darvi continuità nella risonanza educativa. I gruppi postcresima rappresentano gruppi di appartenenza, abbastanza legati alla personalità dell’animatore che li suscita e li segue.

I vari movimenti giovanili tendono a introdurre l’adolescente alla loro esperienza. Offrono quindi un iter di formazione umana e religiosa specifico e sufficientemente elaborato. La proposta risulta notevolmente differenziata all’interno di ciascun movimento.

4.​​ Le indicazioni del magistero.​​ Perlopiù non distinguono fra A. e giovani. Il Sinodo del 1977 preferisce il termine generico “giovani generazioni” (→ giovani). Raramente fa riferimento agli A.​​ Catechesi tradendae​​ vi dedica esemplarmente un paragrafo (n. 38) con esplicite indicazioni educative.

In Italia è recente la pubblicazione del Catechismo degli A.​​ Io ho scelto voi.​​ Vi si delinea una tipologia attentamente elaborata (cf presentazione). Interessanti risultano le tematiche proposte: soprattutto merita considerazione la struttura data ad ogni capitolo “che si può riassumere sotto la categoria del confronto e dell’incontro: la vita, con le sue domande e attese esigenti, si confronta dapprima con il popolo di Dio dell’AT in un cammino comune di ricerca verso una luce piena; si incontra poi con Gesù Cristo sia nelle testimonianze storiche del NT che nei segni vivi della comunità ecclesiale. L’itinerario sfocia in una sintesi cat. che apre sulla formulazione di fede e la preghiera” (Presentazione).

La struttura del Catechismo offre così un itinerario esemplare.

III.​​ L’esito della maturazione alla fede nell’A.

1.​​ La dimensione critico-razionale.​​ La dimensione razionale della propria fede rappresenta un momento delicato e irrinunciabile. La fede ha un suo linguaggio e una sua ragionevolezza. Il linguaggio di cui si avvale, specie a quest’età, è più allusivo-simbolico che logico-discorsivo: è quindi in tanta parte alternativo a quello della scienza e della stessa filosofia.

La ragionevolezza si caratterizza più per la sua credibilità esistenziale che per il rigore deduttivo. È tuttavia importante che l’A. intraprenda una più personale interpretazione della fede, che può giungere anche a una rifondazione.

2.​​ La valenza emotiva.​​ Il risveglio critico è un fatto qualificante, ma l’A. gioca la propria carta a livello emotivo. Il carattere esaltante dell’adolescenza sta appunto in una capacità singolare e non più ripetibile nelle età successive di lievitare ogni esperienza d’intensa carica emotiva: fatti, situazioni, proposte possono entusiasmarlo e appassionarlo.

Senza nascondersi i pericoli concomitanti. Se interpretiamo l’affettività come convalida di un atto in funzione della sua riuscita o del suo fallimento, i gesti dell’A. sono affettivamente carichi perché perlopiù egli vi presagisce la propria riuscita o il proprio fallimento. Il momento educativo tende a trasformare l’esperienza affettiva in pienezza emotiva, stimolando l’elaborazione di talune o di una fondamentale prospettiva di vita in grado di polarizzare i fermenti interiori.

3.​​ L’impegno morale.​​ Importante risulta anche l’impegno effettivo morale. Per quanto il riferimento privilegiato non sia la realizzazione operativa delle prospettive che si aprono all’adolescenza. Si può accettare che egli giochi con l’azione, che egli vi si eserciti.

L’obiettivo resta la identificazione di talune prospettive di vita; l’impegno morale punta fondamentalmente a interiorizzarle; quindi a percepire l’altezza della dignità umana, esaltata e celebrata dal dono di Dio in Cristo.

4.​​ L’apertura comunitaria.​​ L’esigenza di aggregazione, molto sentita nella prima adolescenza, va progressivamente risolvendosi in una fondamentale istanza di confronto e di elaborazione degli ideali di vita.

In questo senso il gruppo di appartenenza, di riferimento, offre stimoli e condizioni ambite dall’A. La comunità ecclesiale, anche nelle più recenti analisi, si fa luogo privilegiato di ricerca di identità personale.

La maturazione dell’A. passa per l’interiorizzazione e la personalizzazione dei valori: tende quindi a elaborare un progetto con motivazioni proprie, a cui tuttavia è indispensabile una certa convalida offerta dal gruppo. Bisognerebbe inoltre rendersi conto meglio dell’importanza che assume per il gruppo stesso il fatto di sapersi parte viva di una più vasta esperienza comunitaria. A. e giovani possono presagirvi prospettive di respiro universale.

Vi si apre insomma lo spazio a trasferire le prime intuizioni e le più vive emozioni adolescenziali sullo sfondo di una responsabilità e di una solidarietà umana piena.

IV.​​ I problemi aperti

I problemi molteplici e aperti circa la C. degli A. si possono raggruppare attorno alle aree richiamate.

— C’è un inserimento responsabile in ambito comunitario da sollecitare, assecondando il progressivo spostamento d’interesse dell’A. dall’ambito familiare a quello sociale.

— Contemporaneamente è indispensabile educare a una graduale maturità di fede, secondandone i processi interiori: resta stimolante e problematica la corretta valorizzazione delle scienze antropologiche.

— Sono state anche richiamate le piste su cui far camminare la maturazione religiosa dell’A. Si può così facilmente intuire la difficoltà di proporzionare in maniera corretta ed equilibrata la complessa molteplicità dei fattori in gioco.

In questo senso l’A. costituisce un termine privilegiato di confronto e di verifica per tutta la C. ecclesiale.

Bibliografia

Il Catechismo dei ragazzi​​ 2:​​ “Io ho scelto voi”,​​ Roma,​​ CEI,​​ 1982; J. Audinet,​​ Catechesi degli adolescenti,​​ Roma, Ed. Paoline, 1966; P. Braido (ed.),​​ Educare,​​ vol. III,​​ Zürich,​​ Pas-Verlag, 1964;​​ J. Colomb,​​ Al servizio della fede,​​ Leumann-Torino, LDC, 1970;​​ G.​​ Duperray,​​ Dieu​​ et​​ l’adolescent,​​ Lyon, Chalet, 1963; T.​​ García Regidor,​​ Objetivos básicos para una catcquesis​​ de​​ adolescentes,​​ in “Sinite” 23 (1982) 71, 349-61;​​ Educare gli adolescenti,​​ in “Note di pastorale giovanile” 11 (1977) 7, 6-72;​​ Giovani e preghiera,​​ ibid. 16 (1982) 3, 445;​​ Jeunes​​ 1979;​​ une foi sans repères,​​ in “Documents service adolescence» 14 (1979) 27, 13-20; M. Le Saux,​​ L’educazione​​ alla​​ preghiera nella catechesi,​​ in “Concilium” 18 (1982) 9, 94-107; E.​​ Rodríguez,​​ Adolescentes: experiencia humana y mensaje cristiano,​​ Salamanca, Sígueme, 1971;​​ R.​​ Tonelli,​​ Pastorale​​ giovanile oggi,​​ Roma, LAS,​​ 1984; Z. Trenti,​​ Giovani e proposta cristiana,​​ Leumann-Torino, LDC, 1985.

Zelindo Trenti

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ADOLESCENTI – Catechesi degli

ADOLESCENZA

ADOLESCENZA

Antonio Arto

 

1. Introduzione

2. Formazione di una mentalità e concetto di uomo.

2.1. Concezione dell’uomo

2.2. Dimensioni fondamentali nel concetto di uomo

2.3. Armonia e copresenza delle caratteristiche umane

3. Realizzazione del concetto di uomo da parte del l’adolescente

3.1. Libertà vs. operosità responsabile

3.2. Intelligenza vs. ricerca trascendente

3.3. Aspetto sociale​​ vs.​​ mondo affettivo

3.4. Aspetto corporeo​​ vs.​​ armonia ed integrazione

3.5. Integrazione dei bisogni di intimità, sessualità e sicurezza

3.5.1. Intimità vs. sessualità

3.5.2. Intimità vs. sicurezza

3.5.3. Sessualità vs. sicurezza

4. Piste per la realizzazione di suggerimenti educativi.

4.1. Metodologia per una relazione educativa

4.2. Rispetto del processo continuo di crescita

4.3. Valutare il soggetto in termini funzionali

4.4. Importanza della comunicazione

4.5. Proposta di mete raggiungibili

4.5.1. Accettazione delle opinioni per il loro valore

4.5.2. Capacità di differire la soddisfazione dei bisogni

4.5.3. Equilibrio tra dipendenza e indipendenza

4.5.4. Richiedere secondo le esigenze e non le apparenze

4.6. Rispetto per i bisogni adolescenziali e favorire la crescita integrata e armonica

5. A modo di conclusione

 

1. Introduzione

Si offrono alcuni elementi di tipo psicologico, al fine di comprendere sempre di più la realtà adolescenziale e di adattare ad essa un lavoro educativo-pastorale efficace per la maturità personale degli adolescenti.

Si presenterà una pista di lettura della realtà adolescenziale, si vedrà come il concetto di uomo si realizza nell’adolescenza con caratteristiche tipiche di questa fascia di età, e si presenteranno alcune implicanze dello sviluppo adolescenziale in chiave educativo-pastorale. Infine si proporrà una serie di suggerimenti concreti, utili nella pratica educativa. Sembra importante che l’operatore pastorale abbia una mentalità ampia e aperta ai problemi adolescenziali e sia più interessato alla formazione di un proprio quadro di riferimento che gli permetta di leggere, cogliere e comprendere i comportamenti adolescenziali con cui si trova nel suo lavoro, che non alla preoccupazione di trovare una elencazione delle caratteristiche adolescenziali il cui scopo sarebbe quello di dargli una specie di sicurezza ma che gli sarebbe di nessuna utilità nel momento di operare pastoralmente.

Si tratta quindi di favorire nell’operatore la capacità di saper interpretare i comportamenti che osserva per poter, contemporaneamente o in un secondo momento, intervenire, favorendo nell’adolescente la presa di coscienza della situazione e delle sue possibilità.

In questo senso si cercherà di presentare elementi e punti di riferimento perché l’operatore, cosciente del suo lavoro, possa avvicinarsi alla realtà adolescenziale con una competenza che gli consenta di cogliere la situazione concreta, in continuo cambio, e possa adattare la sua azione pastorale all’adolescente, costruendo creativamente le proposte che ritiene più raggiungibili e funzionali per il soggetto. La pista di lettura serve anche per evitare i momenti di frustrazione che l’operatore può trovare nel non riscontrare nell’adolescente una «risposta ideale» al suo lavoro; la possibilità di conoscere e di interpretare in un modo corretto i comportamenti dell’adolescente può inoltre aiutare a situare bene il rapporto pastorale evitando sentimenti di colpevolezza o di colpevolizzazione, poiché tutti e due gli atteggiamenti possono provocare un forte ostacolo all’azione educativo-pastorale. L’obiettivo è quello di aiutare l’operatore sociale ad essere un vero «mediatore» tra l’educando e il mondo sociale circostante in modo da favorire l’integrazione dei diversi aspetti cognitivi, tendenziali e comportamentali del soggetto.

 

2. Formazione di una mentalità e concetto di uomo

Per avvicinarsi nel modo più completo ed esatto possibile alla realtà umana, in questo caso particolare a quella degli adolescenti, e per raggiungere un adattamento più efficace alla realtà circostante va ricordato quanto sia importante la formazione di una mentalità aperta e in continua ricerca ed integrazione.

La formazione di uno schema mentale è molto utile, ma bisogna tener presente che la realtà sfugge spesso a qualsiasi schema; che l’uomo e l’educando sono realtà molto più ricche di qualsiasi quadro di riferimento, il che richiede all’educatore di integrare armonicamente gli appelli che gli vengono sia dal mondo dei valori sia dalla persona e dalle istituzioni in modo da arricchire e rendere sempre più ampio il suo punto di riferimento e la sua lettura della realtà.

 

2.1.​​ Concezione dell’uomo

Sembra imprescindibile che l’educatore abbia una concezione molto aperta della ricchezza umana e manifesti la disponibilità a tenerla sempre presente in ogni azione educativo-pastorale, anche in quella più circoscritta.

L’uomo è così ricco da sfuggire ad ogni tentativo di classificazione. Per questo motivo si postula in lui un aspetto di apertura, e di trascendenza, che mirano alla ricerca di risposte ai bisogni «spirituali».

 

2.2. Dimensioni fondamentali nel concetto di uomo

Si enumerano alcune dimensioni fondamentali da tener presenti nel concetto di uomo.

1) Libertà verso responsabilità.

2) Mondo dei valori verso trascendenza.

3) Mondo intrapsichico profondo verso mondo interpersonale sistemico.

4) Corporeità verso educabilità.

 

2.3. Armonia e copresenza delle caratteristiche umane

L’esigenza di considerare l’uomo «composto» contemporaneamente ed in ogni momento della sua vita da tutte le sue caratteristiche e il fatto di considerare l’uomo come un tutto unico non solo nelle apparenze ma soprattutto nelle sue esigenze profonde e tendenze a dare risposte al mondo degli «appelli» e dei valori per potersi sviluppare integralmente e armonicamente, «condiziona» la sua conquista della maturità e del suo modo di vivere efficacemente ed inoltre invita l’educatore ad una azione educativa e pastorale complessa ma corrispondente alle esigenze reali dell’educando.

Su questa prospettiva e sulla visione fondamentalmente positiva della persona umana, si cercherà di capire ancora di più la realtà adolescenziale riflettendo sulle modalità usate dall’adolescente per «realizzare» e vivere il concetto di uomo da cui si è partito per la presente analisi.

 

3. Realizzazione​​ del concetto di uomo​​ da parte dell’adolescente

Saranno prese in considerazione, seguendo il modello di uomo proposto precedentemente, le quattro dimensioni che formano i due gruppi di assi perpendicolari e cioè la libertà operante verso l’intelligenza che si apre al trascendente, e il sociale situato in un contesto personale verso l’aspetto corporeo che tende sempre ad una integrazione maggiore.

 

3.1. Libertà verso operosità responsabile

Nel mondo adolescente il polo della libertà viene «colorato» da libertà totale, fantasia, idealismo. Il polo della operosità viene vissuto come opinabile e porta all’incertezza, alla difficoltà di prendere delle decisioni il che favorisce un atteggiamento di ribellione, oppure tende a colpevolizzare o a sentirsi colpevole.

Il cambio della relazione «reale-possibile», tipico dell’adolescenza, fa sì che l’adolescente «tratti» il possibile e l’ipotetico come se fossero reali, trovando così una grande difficoltà a ragionare e a comportarsi in base alla realtà e all’esperienza vissuta e riflessa. Ciò lo porta a vivere in un mondo fantastico nel quale è possibile costruire sia eventi che persone ideali.

D’altra parte la capacità di vedere come possibili tante risposte e tanti modi di combinare gli eventi e le risorse in suo possesso, porta l’adolescente ad una specie di indecisione che lo blocca nel suo agire. Non potendo accettare tale inazione nel suo disorientamento chiede aiuto, ma poi si ribella perché la scelta fatta si dimostra molto più povera in confronto a tutte le altre che lui pensa realmente o ipoteticamente possibili. Questa scoperta può portare l’adolescente a colpevolizzare le persone da cui ha ricevuto un orientamento e successivamente a sentirsi colpevole nel momento in cui riesce a vedere sia la parte positiva del consiglio ricevuto che, soprattutto, l’interessamento delle persone adulte a cui si è rivolto in cerca di consiglio.

È interessante rendersi conto che questo processo ha però alla base un aspetto ed una caratteristica dello sviluppo adolescenziale molto ricca e positiva, che consiste nella capacità di pensare mediante ipotesi. Esso è normale e, se viene accettato e favorito, permette una maturazione nell’adolescente.

 

3.2. Intelligenza verso ricerca trascendente

Il mondo cognitivo dell’adolescente, che ha raggiunto lo sviluppo logico formale, dovrà però integrare ancora molte altre componenti e ciò avverrà mediante i diversi equilibri-squilibri a cui andrà incontro e grazie al processo dialettico del pensiero stesso.

Il polo dell’intelligenza acquista le caratteristiche adolescenziali di immaginazione, di realtà ipotetiche, di esigenze di giustizia, uguaglianza e amore universali; il polo di apertura appare come una ricerca del senso della vita, di rifiuto della realtà concreta e alle volte di «sublimazione» dei suoi desideri, pensieri e sentimenti.

La ricerca della trascendenza attraverso la modalità intellettuale è uno degli aspetti che più «appartiene» all’adolescente; il riconoscere questo bisogno profondo è un modo stupendo per avvicinarsi a lui.

La conquista adolescenziale di «pensare il pensiero», lo porta ad una serie di conseguenze non sempre piacevoli. L’adolescente avendo acquisito la capacità di vedersi dall’esterno, riesce a crearsi un pubblico immaginario dal quale si sente sempre osservato. Bisogna poi tener presente che l’adolescente vede i suoi sentimenti non integrati nella personalità e trova difficoltà ad accettarli, per cui li «iperdifferenzia» fino a sentirsi con una «unicità personale» e con una diversità da tutti gli altri tale da pensare che nessuno possa capirlo e che abbia una propria realtà incomunicabile. Il rapporto interpersonale diventa, quindi, difficile ed alle volte impossibile, ma poiché è doloroso vivere «incompreso», può nascere in lui la ricerca di un essere così grande, così distante, e persino così diverso, che abbia la capacità di capirlo e di comprenderlo. Questo bisogno e questa risposta alla ricerca di comprensione può portarlo ad una specie di falso ascetismo nel rapporto con l’essere trascendente in quanto si tratterebbe invece di una sublimazione di alcuni suoi bisogni ai quali non trova una risposta autentica. La grande capacità di scelta dell’adolescente, la capacità di crearsi la religione, la persona ideale, lo porta anche a cercare una risposta, anche nel campo religioso, che serva più a soddisfare un’esigenza momentanea che ad aprirsi al vero mondo che può dare un senso a ciò che sta cercando. Tutto diventa più difficile quando questa ricerca appare come una fuga della realtà e un prolungamento, ad un altro livello, di ciò che vive con intensità nella vita di tutti i giorni, senza che vi sia una risposta interpersonale autentica.

 

3.3. Aspetto sociale verso mondo affettivo

Questi due aspetti della situazione adolescenziale sono vissuti profondamente e appaiono molto correlati in quanto l’uno condiziona o favorisce la realizzazione dell’altro.

Il polo della socialità viene vissuto come una esigenza di appartenere ad un gruppo o di vivere isolato e di costruirsi una maschera sociale. Il polo dell’affettività appare come un bisogno di relazioni affettive in seguito all’esperienza già vissuta o di un desiderio di amicizia, come pure può relazionarsi con la negazione di tale desiderio in seguito ad una mancata integrazione della propria esperienza affettiva.

Il desiderio della socialità trova generalmente nell’incontro con il gruppo un valido aiuto alla formazione del senso di identità, poiché vi è un distacco sempre maggiore dalla famiglia e vi è la possibilità di realizzare attività, progetti o semplicemente di «stare con» gli altri. Questa esperienza gli permette di conoscersi e di stimarsi di più in quanto nel gruppo viene accettato per ciò che è e per ciò che realizza e che vede come qualcosa che gli appartiene e corrisponde ai suoi desideri più profondi.

Ma si può anche avere, al polo opposto nella ricerca di apertura, un isolamento in seguito ad una non accettazione del proprio mondo personale, che può portare l’adolescente a crearsi delle maschere sociali, non tanto per difendersi dai pregiudizi e dalle etichette sociali, quanto come risposta alla non accettazione personale e al pericolo di venir scoperto in quegli aspetti che crede di avere o che non gli piacciono.

D’altra parte l’impossibilità di manifestare chiaramente e apertamente nel mondo sociale la sua ricchezza intrapsichica è un motivo in più che favorisce la tendenza all’isolamento. È frequente che il primo sorgere dell’amicizia, specialmente eterosessuale sia ostacolato o almeno presentato in luce negativa dai genitori o dagli adulti, sia in modo aperto, sia in modo sottile con dei messaggi contraddittori o di non accettazione della relazione con l’amico o con l’amica. Dato che l’adolescente in questo momento della sua vita si comporta più per fedeltà alle persone che per fedeltà al valore, viene a trovarsi in una situazione tale, per cui uscirne costituisce sempre un risultato negativo: o deve rinunciare all’amicizia ed «ubbidire» con il risultato di essere costretto ad accettare un concetto negativo dell’amicizia; oppure deve continuare con l’amicizia ed in tal modo «disubbidire» alla persona significativa (che costituisce il fondamento della fedeltà adolescenziale) con gli immaginabili e i possibili sentimenti di colpa che possono inficiare l’amicizia stessa.

 

3.4. Aspetto corporeo verso armonia ed integrazione

Questa dimensione si presenta nell’adolescente carica di novità, di scoperte e di momenti di tensione in quanto egli si trova a gestire un mondo nuovo e ricco di cui non conosce bene né la funzionalità né, a volte, la bellezza. Nel polo della corporeità troviamo l’immagine corporea con tutta la sua importanza, la coscienza dell’area psicosessuale, la percepita diversità personale e la difficoltà di «situarsi» nel proprio nuovo mondo ed in quello del gruppo.

Il polo dell’educabilità si presenta come una sfida all’educazione a causa del percepirsi disarmonico e del sentirsi «anormale» in molte manifestazioni. Non è facile per l’adolescente integrare i nuovi mutamenti corporei che spesso sfuggono al controllo razionale e che non sempre è possibile armonizzare in modo da sentirsi a proprio agio sia nel mondo circostante, che nel gruppo dei pari.

La conoscenza, l’accettazione e la rielaborazione dell’immagine corporea e la formazione di una adeguata identità psicosessuale, sono compiti molto impegnativi che richiedono la presenza e la mediazione di un educatore. La capacità di accettare la diversità, che è sempre di capitale importanza, diventa un problema alle volte drammatico nel caso della presenza di una «anormalità» di tipo fisico, considerando l’importanza che in questa età ha la componente corporea.

Tenendo presente quanto si è detto nel trattare le dimensioni precedenti, l’educatore si trova in una situazione difficile e molto delicata. Le sue proposte infatti possono venir vissute da parte dell’adolescente come un rifiuto e di conseguenza non sono né raggiungibili né adattate alla situazione in cui egli si trova o crede di trovarsi.

Pertanto l’aiuto offerto dovrebbe favorire la presa di coscienza che qualsiasi tipo di «diversità» gli appartiene e che inoltre è propria dell’essere umano, ricco ma limitato. In qualsiasi situazione è possibile e «doveroso» trovare le soluzioni e le strategie di azione e di comportamento che portino l’adolescente a vivere più efficacemente e più felicemente nell’accettazione di sé e con un comportamento adeguato alla diversità personale, attraverso l’utilizzazione delle risorse nascoste, che costituiscono la parte migliore della persona.

 

3.5. Integrazione dei bisogni di intimità, sessualità e sicurezza

Nel contesto delle dimensioni che costituiscono la dimensione adolescenziale, si propone ora l’esame di un nuovo aspetto che riguarda l’espressione delle tre componenti umane fondamentali ma che costituiscono un «punto focale» nell’adolescenza e sono: l’esigenza di integrazione del bisogno di intimità, come capacità di comunicare profondamente con gli altri; la sessualità come capacità di esprimere il bisogno di amare e di essere amato e la sicurezza come esigenza di sentirsi tranquillo senza sensi di colpa nell’espressione di tali bisogni adolescenziali. Nell’integrazione di questi tre bisogni umani si raggiunge un grado di maturità che permette lo sviluppo normale e un’ottima preparazione per il superamento delle successive tappe adulte.

Riteniamo necessario considerare dimensionalmente questi tre bisogni.

 

3.5.1. Intimità verso sessualità

È la dimensione secondo la quale si esercita la capacità di comunicare profondamente con ambedue i sessi dando e ricevendo amore. Dalla considerazione fatta sull’amicizia adolescenziale si intravede la difficoltà di far coesistere queste due esigenze in quanto l’ambiente educativo stesso non sempre favorisce anzi, sovente, ne ostacola l’integrazione.

 

3.5.2. Intimità verso sicurezza

È la dimensione che si riferisce alla serenità nell’espressione della propria intimità e della comunicazione profonda personale, a livello cognitivo, affettivo e comportamentale, sentendosi tranquilli con i compagni e le persone dei due sessi senza provare rimorsi e insicurezze in seguito all’interazione con essi.

 

3.5.3. Sessualità verso sicurezza

È la dimensione che tiene conto della capacità di esprimere la propria potenzialità di amare ed essere amati ed il raggiungimento di una maturità consistente nella tranquillità e nell’accoglienza delle risposte, da parte di un’altra persona, della propria ricchezza umana e della condivisione dei desideri più profondi. Comprende anche la certezza di sentirsi in grado di manifestarsi e di amare gli altri come esseri umani con tutte le proprie risorse spirituali, sociali e corporee in funzione della crescita personale e del raggiungimento dell’identità personale. Ciò permette di integrare tutta la storia personale e di generare persone, progetti, piani di lavoro che consentano ad altri di seguire lo stesso cammino. L’adolescenza diventa così il luogo e il momento privilegiato per una prima esperienza di integrazione e di potenziamento di queste grandi risorse umane.

 

4. Piste per la realizzazione di suggerimenti educativi

Una lettura attenta di quanto presentato permette già di cogliere diversi suggerimenti educativi. Si aggiungono inoltre, più in particolare, alcune piste di lettura che costituiscono dei suggerimenti che possano adattarsi alla realtà concreta.

Si ribadisce nuovamente l’importanza che ha, per l’operatore pastorale, l’avere una mentalità aperta, capace di leggere la realtà che gli si presenta e insistiamo sulla necessità di conoscere ed interpretare correttamente i comportamenti degli adolescenti in modo da poter adattare la sua azione educativa in maniera corretta e consona alla realtà. Le etichette, che sovente vengono date ad un adolescente, non servono educativamente, anzi frequentemente sono viste come una mancanza di rispetto che finisce col bloccare l’azione educativo-pastorale.

Le piste offerte costituiscono più uno stimolo a trovare altre che non una proposta definitiva e chiusa in sé stessa. Per la scelta delle piste educative è bene tener presenti le caratteristiche adolescenziali.

 

4.1. Metodologia per una relazione educativa

Da un punto di vista psicologico in generale e della psicologia dell’adolescenza in particolare, è bene tener presente che un processo educativo si realizza seguendo almeno questi passi. È necessario stare con il soggetto in modo di conoscere la sua struttura cognitiva, il suo modo di ragionare, le sue risorse. Questa conoscenza è finalizzata alla comprensione del soggetto, per vedere dove egli si colloca in riferimento alla situazione, al mondo educativo e pastorale, a quello dei valori, della famiglia, ecc. Ciò favorisce, inoltre, il coinvolgimento del soggetto nella relazione educativo-pastorale. Successivamente è più facile individuare come utilizza o non utilizza le sue risorse, vedere dove vuole o può arrivare, scoprire le mete e gli obiettivi che può raggiungere e soprattutto indicare il modo per raggiungerli. L’operatore deve favorire il processo di crescita, rispettando la situazione reale del soggetto; perciò si richiede una conoscenza dell’adolescente, una comprensione profonda, che va più in là di quanto appare a prima vista. Solo dopo tutto questo è possibile indicargli il cammino che deve seguire per raggiungere le possibili mete.

 

4.2. Rispetto del processo continuo di crescita

L’adolescente si sviluppa continuamente. Le sue risposte alle proposte pastorali non sono mai definitive; si tratta di saper decodificare le risposte considerandole parte di un processo e mai come entità chiuse e definite. Una risposta negativa deve essere considerata come formante parte di un processo che, se colto in modo adatto, può favorire il sorgere di una risposta positiva ed adeguata alla proposta. Perciò è necessario non chiudere mai le risposte ma aprirle come parte di un dinamismo sempre in sviluppo.

 

4.3. Valutare il soggetto in termini funzionali

La valutazione delle risposte e del processo di crescita deve corrispondere al modo in cui sono messe in atto le risorse e le competenze del soggetto e non costituire il premio o il giudizio per un risultato ottenuto. L’aiuto dato all’adolescente affinché veda come ha risposto e soprattutto come può rispondere, oltre ad essere una spinta motivante, viene da lui vissuto come accettazione e rispetto, poiché sente di venir valutato secondo le sue competenze e non secondo parametri precostituiti, più corrispondenti ad una rigida mentalità educativa che ai suoi bisogni reali.

 

4.4. Importanza della comunicazione

L’educando, quasi per definizione, appartiene ad una generazione diversa da quella, dell’educatore, spesso vive in un ambiente ed ha un altro tipo di esperienza. Questo aspetto esige che l’operatore sappia comunicare in modo comprensibile e adatto con l’educando, altrimenti corre il rischio di non venir compreso e di non motivarlo.

 

4.5. Proposta di mete raggiungibili

Non basta che le mete e gli obiettivi siano ben definiti e chiari, si richiede anche che siano raggiungibili. Indichiamo alcune mete che, se comunicate in modo chiaro, possono essere raggiunte favorendo così la crescita dell’adolescente.

 

4.5.1. Accettazione delle opinioni per il loro valore

L’adolescente si trova in una fase di transizione; fino ad ora vi era in lui il bisogno di essere accettato dalle persone significative e perciò egli si comportava in maniera adeguata più per fedeltà alle persone che per il valore che esse presentavano. In questo momento si sviluppa la capacità di apprezzare le cose e le persone per il valore intrinseco che hanno, per cui se l’educatore è più interessato al rispetto dei valori che ad una propria accettazione sta favorendo la crescita dell’educando in un momento molto delicato del suo sviluppo e sta ponendo le basi per una maturità personale che lo porta verso l’indipendenza e verso la valutazione «oggettiva» delle cose che, esclude ogni criterio di comodità o di piacere.

 

4.5.2. Capacità di differire la soddisfazione dei bisogni

La cultura dei paesi sviluppati riesce a convincere frequentemente gli adolescenti ed i giovani che è possibile soddisfare immediatamente, quasi come si trattasse di un «dovere», anche le minime esigenze, della persona. La vita posteriormente insegnerà loro che questo non è possibile e che anche se fosse possibile non sarebbe nemmeno un fattore educativo. Ma le proposte pastorali, rappresentano invece una sfida ed uno stimolo alla crescita umana e richiedono un lavoro ed una responsabilità sempre più grande da parte dell’adolescente. Esse potranno essere più facilmente accettate se trovano «una cultura» in cui l’adolescente ha un contatto con la vita più aderente alla realtà, che tante volte è difficile da affrontare e che non si può cambiare; invece è sempre possibile tentare di dare una risposta più adeguata anche alle difficoltà ed agli ostacoli che non sempre dipendono dal soggetto.

 

4.5.3. Equilibrio tra dipendenza e indipendenza

In consonanza con la riflessione precedente va aggiunto che un fattore di crescita per il soggetto è quello di riuscire ad equilibrare il bisogno di indipendenza con le esigenze di dipendenza, che la vita impone. L’adolescente dovrebbe essere indipendente «volitivamente» tanto quanto è indipendente nella sua capacità esecutiva. Ma tante volte, anzi quasi sempre, è necessario un equilibrio tra la propria indipendenza volitiva e il bisogno di avere un apporto dagli altri per poter raggiungere i propri desideri. In quanto esseri sociali difficilmente si può prescindere dagli altri, che hanno gli stessi desideri, doveri e diritti.

 

4.5.4. Richiedere secondo le esigenze e non le apparenze

Si parla sempre più frequente del bisogno di una accettazione intrinseca dell’adolescente che si attua col richiedergli solo ciò che può dare, ma nello stesso tempo di non esigere di meno.

Basti accennare alla necessità di non confondere le apparenze con le vere esigenze. L’umanismo autentico esige di chiedere tutto ciò che l’uomo è e può diventare. Può aiutare, in questo campo, ricordare il concetto di uomo e di adolescente proposto per adeguarsi «rispettosamente» all’educando.

 

4.6. Rispettare i bisogni adolescenziali e favorire la crescita integrata e armonica

Si è accennato ai tre bisogni fondamentali dell’intimità, sessualità e sicurezza. In questo caso, come in tutta la crescita dell’adolescente è importante tener presente l’esigenza di uno sviluppo armonico. Ricordando gli otto poli con cui si è «definito» l’uomo e l’adolescente, si evidenzia la necessità di tenerli tutti presenti. La maturità umana sarebbe raggiunta quando l’adolescente diviene capace di comportarsi da adolescente.

Sovente si possono creare «dei mostri» sviluppando un polo a scapito degli altri. L’operatore dovrebbe essere il mediatore che facilita lo sviluppo di tutte le aree proposte. Per motivi metodologici, educativi e di pedagogia ambientale, in momenti determinati, saranno potenziati alcuni aspetti anziché altri; questo non deve essere a scapito di una formazione integrale di tutti gli altri. Non si tratta di vedere quali ambiti siano più importanti, ma di farli sviluppare secondo le modalità che il proprio concetto di uomo esige. Non è dunque questione di quali, ma di come, quando e in che modo farli sviluppare.

 

5. Conclusione

A conclusione di questa breve esposizione sui problemi adolescenziali, in funzione di una prassi pastorale, sembra importante ricordare che il punto nodale sta nella figura stessa dell’operatore il quale — cosciente dei suoi limiti ma anche della significatività della sua persona che vuole facilitare la crescita e lo sviluppo umano da un punto di vista privilegiato, qual è quello educativo-pastorale — deve essere consapevole del suo diritto-dovere di avere una preparazione accurata e di essere uno strumento valido non soltanto per quello che riguarda il contenuto della proposta da fare all’adolescente, ma anche in riferimento alla trasparenza e validità della sua persona, che media un processo umano di grande importanza.

L’operatore deve essere in grado di capire e di accettare tutte le risposte e le sollecitazioni che gli vengono dal mondo adolescenziale in qualsiasi modo gli arrivino; nello stesso tempo deve essere capace di dar ragione esplicita delle sue proposte e scelte in modo tale che l’adolescente le possa accettare per il loro valore intrinseco senza dimenticare evidentemente l’importanza che la persona dell’operatore ha per l’adolescente.

Le realtà ipotetiche, di cui si è parlato, rappresentano per l’adolescente una parte della sua esperienza; l’operatore che non riesce a considerarle come se fossero esperienze vissute, difficilmente può capire la vita dell’adolescente e di conseguenza è quasi impossibile che possa dargli una risposta soddisfacente.

L’educatore che è capace di accettare il proprio mondo profondo e di utilizzarlo per dare una risposta a quello dei valori è in grado di accogliere la realtà degli adolescenti. Inoltre l’educatore è in grado di «indirizzare» il suo vissuto in modo da dare le sue risposte al mondo degli appelli e da accogliere con calma e serenità, senza rimpianti e senza sensi di colpa, tutta la ricchezza che fortunatamente, ma a volte anche con dolore, sta vivendo.

 

Bibliografia

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ADOLESCENZA

Classicamente, l’a. è considerata come il periodo della vita situato tra 1’infanzia e l’età adulta. In termini biologici, l’inizio viene segnalato dalla pubertà e la durata, in genere, viene attribuita ad un arco di tempo che va dai 12 ai 18 anni d’età (le differenze sessuali e delle condizioni ambientali, sociali e razziali fanno oscillare questi limiti temporali). In base ad un criterio di tipo cognitivo-sociale, l’a. va dal momento in cui il ragazzo comincia ad essere capace di utilizzare con una certa autonomia il pensiero logico, fino a quando giunge alla piena integrazione delle sue capacità logico-cognitive ed ha la possibilità di vivere una vita indipendente a livello affettivo, economico e relazionale.

1.​​ Studi sull’a.​​ Nell’ultimo sec. l’a. è stata studiata da diverse scienze; le scienze psicologiche (nell’ambito delle quali ci situiamo) hanno affrontato il tema da molti punti di vista. Ci sembra che le varie prospettive possano essere organizzate intorno a tre gruppi di studi. In un primo gruppo di lavori, che tiene presente una​​ preoccupazione speculativa,​​ è possibile scorgere un tentativo di far aderire la realtà alla teoria (e non viceversa); in altri termini, la preoccupazione è quella di applicare e «imporre» alla realtà adolescenziale le caratteristiche definite aprioristicamente. La concezione psicoanalitica, che in questo gruppo si situa, offre un’ipotesi interpretativa secondo la quale il periodo di crisi e di grande disagio proprio dell’a. va attribuito all’emergere degli istinti e delle forze pulsionali, che provoca uno squilibrio psichico che si manifesta con quei comportamenti disadattivi, a diversi livelli di «patologia», tipici degli adolescenti; si tratta, evidentemente, di una interpretazione di tipo biologico che presenta l’a. come una realtà con caratteristiche legate e condizionate dalla fisiologia dei soggetti. Un secondo gruppo di studi, con​​ preoccupazione sociologica,​​ prende in considerazione i dati reali che emergono da incontri psicologici di tipo clinico con soggetti «atipici» o «diversi» e da osservazioni di tipo sociologico su soggetti «emarginati» o «disadattati». Si tratta di interpretazioni di tipo socio-culturale secondo le quali l’a. sarebbe un «prodotto» della realtà sociale delle diverse strutture nazionali ed internazionali. A questa prospettiva interpretativa si richiama la teoria sociologica secondo la quale le difficoltà adolescenziali, ed i relativi comportamenti disadattivi, sono frutto dell’influsso della società e sono correlati al processo di socializzazione ed alla diversità di ruoli attribuiti all’adolescente. Interpretazioni sempre di tipo sociologico, ma più complete e meno rigide, propongono categorie che consentono una più ampia e realistica visione della condizione giovanile: «marginalità», «frammentarietà», «cambio culturale», «eccedenza delle opportunità» e «lotta per l’identità». Queste due note ipotesi interpretative della psicologia dell’a., biologica e sociale, pongono l’accento solo su uno dei due fattori di sviluppo (endogeno ed esogeno) e non tengono presente, in modo adeguato, il contributo di ciascuno e la possibilità che entrambi hanno di integrarsi. Inoltre, vogliamo evidenziare l’insufficienza di queste posizioni poiché non vi è alcuna corrispondenza tra le caratteristiche adolescenziali da esse indicate, i conseguenti tentativi interpretativi offerti, ed i numerosi dati empirici ormai acquisiti sugli adolescenti. Diversamente, la​​ preoccupazione empirica​​ è ciò che caratterizza il terzo gruppo di studi. La realtà adolescenziale, nell’orizzonte di una definita prospettiva teorica, viene avvicinata sperimentalmente. In altre parole, alla luce di una teoria di riferimento, una ipotesi interpretativa viene confrontata con i dati ottenuti tramite ricerche condotte su adolescenti «normali». Se queste tre categorie di studi prese isolatamente mostrano limiti e carenze, integrandosi possono diventare una chiave di lettura molto utile per approssimarsi nel modo più adeguato e completo alla ricca realtà adolescenziale.

2.​​ Pista di lettura dell’a.​​ Senza pretendere di essere completi e senza voler schematizzare la ricchezza della persona, proponiamo la nostra lettura della realtà adolescenziale. Nella riflessione sull’adolescente, per avere una visione il più completa possibile, è necessario tener presente gli aspetti comportamentali, cognitivi e tendenziali della persona in sviluppo e avvicinarli alla luce di una pluralità di teorie psicologiche.​​ a) Capacità dell’adolescente.​​ L’adolescente è in grado di vedersi dall’esterno, di percepirsi oggettivamente, distaccandosi dalle prime impressioni soggettive; nello stesso tempo, si trova a dover fare i conti con l’ambiente sociale e con la sensibilità che ancora lo rende vulnerabile al giudizio altrui e che, spesso in misura notevole, condiziona e ridimensiona la sua oggettiva capacità di autorealizzazione. Sempre in riferimento allo sviluppo cognitivo, una seconda osservazione vuole evidenziare tanto la capacità dell’adolescente di creare realtà ipotetiche e di immaginare, quanto le sue esigenze di giustizia, uguaglianza e amore universali, che appaiono come una ricerca del senso della vita, di rifiuto della realtà concreta e, alle volte, di sublimazione dei suoi desideri, pensieri e sentimenti. La​​ ricerca della trascendenza​​ attraverso la modalità intellettuale è uno degli aspetti che più caratterizza l’adolescente (riconoscere questo bisogno profondo è un modo stupendo per avvicinarsi a lui). L’adolescente ha difficoltà ad accettare i propri sentimenti; per convivere con tali sentimenti non integrati nella personalità, li «iperdifferenzia». L’iperdifferenziazione dell’esperienza profonda lo rende «unico», lo caratterizza con una diversità tale da fargli pensare che la sua sia una realtà incomunicabile e che nessuno sia in grado di capirlo. Il rapporto interpersonale diventa, quindi, difficile e, alle volte, impossibile; ma, poiché è doloroso vivere incompreso, può nascere in lui la ricerca di un essere così grande, così distante, e persino così diverso, da avere la capacità di capirlo e di comprenderlo. Proprio perché emergente da questo bisogno, da questa ricerca di comprensione, definiamo il rapporto dell’adolescente con la realtà trascendente di​​ falso ascetismo​​ (in quanto derivante, appunto, dalla sublimazione di alcuni bisogni ai quali non si trova una risposta corrispondente). L’adolescente si caratterizza anche per una​​ grande apertura agli altri.​​ Il desiderio della socialità, generalmente, trova soddisfazione nell’incontro con il gruppo dei pari. In esso, il giovane ha la possibilità di confrontarsi, di realizzare attività, progetti o, semplicemente, di «stare con» gli altri; inoltre, visto che il gruppo si propone come referente normativo e affettivo, progressivamente va ad affiancare e sostituire i ruoli parentali consentendo un distacco sempre maggiore dalla famiglia; infine, l’esperienza della relazione con i coetanei, costituisce un valido aiuto alla formazione del senso di identità, poiché permette all’adolescente di conoscersi e di stimarsi di più in quanto, nel gruppo, viene accettato per ciò che è e per ciò che realizza. La capacità cognitiva di cui l’adolescente è dotato e l’importanza dell’ambiente sociale vengono ad interagire con il suo mondo profondo che comprende il passato (a volte pesante da sopportare), i sentimenti autentici, la difficoltà dell’integrazione armonica delle diverse componenti della personalità, le ambivalenze, i bisogni ed altro ancora. In sintesi, possiamo dire che l’adolescente viene visto come una persona capace di mettersi in rapporto proattivo con il mondo circostante e di rispondere ai compiti di sviluppo che gli si presentano e che, progressivamente e armonicamente, lo portano verso la maturità.​​ b) Difficoltà dell’adolescente.​​ Anziché parlare di «problemi», parola che fa pensare a qualcosa da sopportare od a disturbi propri dell’età per cui non si può far altro che aspettare il superamento della fase, useremo le espressioni «aspetti problematici» e «punti focali» che, ci sembra, consentono di cogliere le peculiarità dell’a. e i possibili conflitti intra ed interpersonali senza stigmatizzarli, ma leggendoli in termini processuali di impegno verso una maturità più grande. Un primo, e generale, aspetto problematico consiste, allora, nella difficoltà che l’adolescente incontra nel compiere​​ un’integrazione transazionale​​ delle tre componenti (cognitiva, affettiva, relazionale) della sua personalità; soprattutto, l’adolescente trova difficoltà ad integrare l’aspetto cognitivo e quello tendenziale: malgrado abbia la capacità di auto-vedersi oggettivamente, non riesce a cogliere la positività delle sue esperienze e non riesce a dare una spiegazione soddisfacente delle proprie tendenze, dei sentimenti o di ciò che prova nelle diverse situazioni. Un secondo, e più «banale», aspetto problematico è legato​​ all’immagine corporea.​​ Non è facile per l’adolescente integrare i mutamenti corporei che, spesso, sfuggono al controllo razionale e che non sempre è possibile armonizzare in modo da sentirsi a proprio agio sia con se stessi che nel gruppo dei pari. La conoscenza, l’accettazione e la rielaborazione dell’immagine corporea e la formazione di una adeguata identità psicosessuale, sono compiti molto impegnativi che richiedono la presenza e la mediazione di un educatore. Un terzo punto focale è costituito dalla conquistata capacità di pensare in termini ipotetici, che porta l’adolescente a vivere in un mondo fantastico, nel quale è​​ possibile costruire sia eventi che persone ideali.​​ Due conseguenze di questa conquista possono creare difficoltà all’adolescente. In primo luogo, il cambio della relazione «reale-possibile», che conduce l’adolescente a relazionarsi con il «possibile» come se fosse «realtà», ostacola la capacità di ragionare e di comportarsi in base ai fatti concreti ed all’esperienza vissuta e riflessa. D’altra parte, e arriviamo alla seconda conseguenza, la capacità di vedere come possibili tante risposte e tanti modi di combinare gli eventi e le risorse in suo possesso, porta l’adolescente all’incertezza, all’indecisione e, quindi, blocca la sua azione; non potendo accettare tale immobilità, nel suo disorientamento, chiede aiuto. I problemi emergono allorché l’adolescente confronta la scelta che gli è stata consigliata, e che lui ha messo in pratica, con tutte le altre che la sua capacità di pensiero gli presenta (realizzabili o ipoteticamente possibili che siano) e constata che l’alternativa attuata è più povera di quelle che avrebbe potuto attuare. Questa scoperta può portare l’adolescente ad un sentimento ambivalente: colpevolizza le persone da cui ha ricevuto l’orientamento (ribellione) e, successivamente, nel momento in cui riesce a vedere sia gli aspetti positivi del consiglio ricevuto sia l’interessamento delle persone adulte a cui si è rivolto in cerca di consiglio, si sente colpevole. Un quarto aspetto problematico riguarda la vita relazionale dell’adolescente; la tendenza ad aprirsi agli altri può trasformarsi in​​ tendenza all’isolamento​​ per due ordini di difficoltà. In primo luogo, la non accettazione del proprio mondo personale può portare l’adolescente a costruirsi delle «maschere sociali» che hanno lo scopo di difenderlo dai pregiudizi e dalle etichette sociali e, soprattutto, dal pericolo di venir scoperto negli aspetti negativi che crede di avere o negli aspetti che realmente ha e non gli piacciono. In secondo luogo, la tendenza all’isolamento dell’adolescente è favorita dall’impossibilità di manifestare chiaramente e apertamente nel mondo sociale la sua ricchezza intrapsichica.

3.​​ Suggerimenti educativi.​​ Da un punto di vista educativo è necessario partire da una concezione dell’uomo che permetta di coglierne tutta la ricchezza e che, di conseguenza, offra una visione dell’adolescente come persona che realizza in modo proprio, non solo in funzione dell’adulto che diventerà o del fanciullo che non è più, il compito di essere uomo. Da un punto di vista psicologico in generale e della psicologia dell’a. in particolare, è bene tener presente che un processo educativo si realizza seguendo alcuni passi. Per prima cosa, è necessario «stare con» il soggetto in modo da conoscere la sua struttura cognitiva, il suo modo di ragionare, le sue risorse. L’adolescente si sviluppa continuamente; le sue risposte non sono mai definitive. È necessario saper decodificare e proporre le risposte considerandole parte di un processo, di un dinamismo in continuo sviluppo e mai come entità chiuse e definite. Indichiamo alcune mete che, se comunicate in modo chiaro, possono essere raggiunte favorendo così la crescita dell’adolescente: accettare le opinioni per il loro valore, differire la soddisfazione dei bisogni, operare un equilibrio tra dipendenza e indipendenza, richiedere secondo le esigenze e non solo secondo le apparenze. L’educatore deve essere in grado di capire e di accettare le risposte e le sollecitazioni che gli vengono dal mondo adolescenziale in qualsiasi modo gli arrivino; nello stesso tempo, deve essere capace di dar ragione esplicita delle sue proposte in modo tale che l’adolescente le possa accettare per il loro valore intrinseco (senza dimenticare l’importanza che la persona dell’educatore ha per l’adolescente).

Bibliografia

Arto A.,​​ Psicologia evolutiva. Metodologia di studio e proposta educativa,​​ Roma, LAS, 1990; Palmonari A. (Ed.),​​ Psicologia dell’a.,​​ Bologna, Il Mulino, 1993; Berger K. S.,​​ Lo sviluppo della persona: periodo prenatale,​​ infanzia,​​ a.,​​ maturità,​​ vecchiaia, Bologna, Zanichelli, 1996; Erikson E. H.,​​ I cicli della vita. Continuità e mutamenti,​​ Roma, Armando, 1999; Caprara G. V. - A. Fonzi,​​ L’età sospesa. Itinerari del viaggio adolescenziale,​​ Firenze, Giunti, 2000; Pellai A. - S. Boncinelli,​​ Just do it! I comportamenti a rischio in a. Manuale di prevenzione per scuola e famiglia,​​ Milano, Angeli,​​ 2002; Bonino S. - E. Cattelino - S. Ciairano,​​ Adolescenti e rischio. Comportamenti,​​ funzioni e fattori di protezione, Firenze, Giunti, 2003; Bonino S.,​​ Il fascino del rischio negli adolescenti, Ibid., 2005; Couyoumdjian A. - R. Baiocco - C. Del Miglio,​​ Adolescenti e nuove dipendenze. Le basi teoriche,​​ i fattori di rischio,​​ la prevenzione, Bari, Laterza, 2006; Marcelli D. - A. Bracconnier,​​ A. e psicopatologia, Milano, Masson, 2006; Montuschi F. - A. Palmonari,​​ Nuovi adolescenti: dalla conoscenza all’incontro, Roma, EDB, 2006.

A. Arto

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ADOLESCENZA

ADOZIONE

 

ADOZIONE

Istituto giuridico che stabilisce un legame genitori-figli di tipo legale ed affettivo che non esiste per linea biologica. Derivato dal lat.​​ ad-optare​​ (scegliere), indica un rapporto che trae origine da un atto di libera volontà.

1. L’a. è un istituto antichissimo che si trova già codificato nella raccolta delle leggi mesopotamiche del sec. XVIII a.C. In epoca moderna essa è stata caratterizzata fino al sec. XIX da una visione privatistica con funzione prevalentemente patrimoniale che poneva al centro dell’interesse l’adottante. A seguito degli sconvolgimenti sociali e politici della prima metà del sec. XX è nata la necessità di una sua radicale trasformazione in strumento di protezione e integrazione dei minori in contesti familiari.

2. In Italia l’a. come concetto culturale e sociale diverso ha cominciato a diffondersi dopo la II guerra mondiale. Il primo adeguamento delle normative a criteri più avanzati risale alla L. n. 431 / 67 sull’a. speciale che ha ribaltato la prospettiva dell’a.: obiettivo della disciplina giuridica diviene l’adottato con la sua necessità di avere una famiglia, nel senso affettivo, sociale e psicologico del termine, e non più l’adottante. I rapidi mutamenti sociali e la maggiore attenzione alle problematiche minorili hanno portato nel 1983 all’emanazione della L. n. 184 «Disciplina dell’affidamento e dell’a. dei minori» che ha ribadito la centralità dell’interesse del minore e introdotto alcuni elementi innovativi tra cui l’a. internazionale, mai prima codificata in Italia. Nel decennio successivo le a. internazionali hanno superato numericamente quelle nazionali. L’Italia ha recepito con L. di ratifica 476 del 1998 la Convenzione dell’Aia del 1993 sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di a. internazionale, nata dall’ampio dibattito sviluppatosi a seguito dei molti abusi perpetrati ai danni dei minori e dei loro Paesi di origine. Nel 2001 è stata pubblicata la L. 149 di modifica di alcune parti della L. 184 / 83.

3. Nel complesso la normativa attuale prevede esclusivamente l’a. piena di minori a seguito della quale l’adottato acquisisce lo status di figlio legittimo degli adottanti di cui assume e trasmette il cognome. Essa consente l’a. a coniugi sposati da almeno 3 anni o che possano dimostrare una stabile convivenza, per lo stesso periodo, prima del matrimonio e che abbiano una differenza minima di 18 anni e massima di 45 con l’adottato. L’a. è permessa anche qualora uno solo dei coniugi superi la differenza massima di non più di dieci anni. L’a. è prevista per i minori dichiarati in stato di adottabilità secondo i criteri stabiliti dalle leggi 184 / 83 e 149 / 01 che regolano con la massima attenzione l’accertamento del loro stato di abbandono. La L. 149 introduce, per la prima volta, la possibilità per l’adottato di ricercare le sue origini. Riguardo all’a. internazionale sono previsti per i coniugi i medesimi requisiti e procedure richiesti per essere dichiarati idonei all’a. nazionale e, per i minori, uguali effetti giuridici oltre all’acquisizione della cittadinanza it. La L. 476 / 98 esclude le a. private ed introduce l’obbligatorietà dell’intervento di enti autorizzati per il percorso all’estero. L’a. di persone maggiori di età è regolata dal titolo VIII del Codice Civile che continua a contemplare questo tipo di istituto con effetti meramente patrimoniali come nel passato.

4. È opportuno notare che, come raccomandato da tutte le legislazioni nazionali più avanzate e dalle convenzioni internazionali, l’a. deve essere considerata esclusivamente come una soluzione estrema per fornire ad un minore un ambiente di crescita e di sviluppo armonico e rispondente alle sue necessità psicologiche ed affettive, dopo aver esperito ogni possibile risorsa per farlo rimanere nella sua famiglia biologica, e in caso di a. internazionale, nel suo stesso contesto culturale ed etnico.

Bibliografia

Fadiga L.,​​ L’a.:​​ una famiglia per chi non ce l’ha,​​ Bologna, Il Mulino, 1999; Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza,​​ A. Internazionali: l’attuazione della nuova disciplina, Firenze, Istituto Degli Innocenti, 2000; Quémada N.,​​ Cure materne e​​ a., Torino, UTET, 2000; Finocchiaro A. - M. Finocchiaro,​​ A. ed affidamento dei​​ minori.​​ Commento alla nuova disciplina, in «Diritto e Giustizia» supplemento n. 25 del 30.06.01.

A. M. Libri

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ADOZIONE

ADULTI – Catechesi degli

 

ADULTI (Catechesi degli)

1.​​ Scelta pastorale​​ della c. Degli adulti (CA)

— La CA è antica come la Chiesa, nasce con la nascita della C. stessa. Nei primi secoli cristiani, la C. è rivolta di preferenza agli adulti, specialmente nel contesto del → catecumenato. Con la generalizzazione del battesimo dei bambini e la decadenza del catecumenato (sec. V) decade la C. in generale e quindi anche la CA. Il grande risveglio cat. del sec. XVI, come risposta alla grave situazione di ignoranza religiosa del popolo cristiano, porta con sé un nuovo impulso per la CA, come ebbe a ribadire il Concilio di Trento (Sess. 5,​​ cap.​​ 2 de ref.; Sess. 22,​​ cap.​​ 8), che fece obbligo ai parroci di impartire l’istruzione cat. ai fedeli cristiani, specialmente alla domenica. Nell’epoca moderna diverse circostanze, ma soprattutto la scolarizzazione dell’istruzione religiosa, portano a una “infantilizzazione” della C. e a uno stato molto precario della CA. Nel nostro secolo, a più riprese si lamenta l’ignoranza religiosa dei cristiani e si ricorda la disposizione tridentina (cf per​​ es.:​​ enc.​​ Acerbo nimis​​ [1905]; decreto​​ Provido sane​​ [1935]; Congresso Cat. Internazionale [Roma 1950]), ma con risultati molto modesti.

— Una svolta è data col Vaticano II e il rinnovamento pastorale che ha provocato. Negli anni ’60 sono molte le voci che si alzano per difendere, non solo l’urgenza, ma la centralità e il primato della CA. Cf per es.: A. Exeler (Wesen und Aufgabe der Katechese,​​ Freiburg 1966); J. Colomb (Le Service de​​ l’Évangile,​​ Paris 1968); B. Dreher (La sterilità della catechesi infantile,​​ Modena, Ed. Paoline, 1968); P. Babin (J’abandonne la catéchèse,​​ in “Catéchistes” 18 [1968] 415-428); G.​​ Moran​​ (Vision and Tactics,​​ New York 1968); l’apparizione del → Catechismo olandese per gli adulti (Il nuovo catechismo olandese,​​ Leumann, LDC, 1969, originale del 1966); la Settimana Cat. di Medellin (1968: cf​​ Catcquesis y promoción humana,​​ Salamanca, Sígueme, 1969).​​ La svolta non è solo quantitativa, ma soprattutto qualitativa: non si propugna soltanto una C. per gli adulti, ma una C.​​ adulta,​​ una C. cioè che prenda sul serio le esigenze, la cultura e la domanda religiosa degli adulti di oggi.

L’opzione prioritaria per la CA riceve una autorevole consacrazione nel DCG (1971): “La CA, in quanto è diretta a persone capaci di un’adesione e di un impegno veramente responsabile, è da considerarsi come la forma principale della C., alla quale tutte le altre, non perciò meno necessarie, sono ordinate” (DCG 20). L’istanza verrà raccolta, quasi unanimemente, nei diversi documenti ufficiali della C. (come i → Direttori Cat. nazionali; il Sinodo della C., 1977; CT 43), nei diversi programmi pastorali che gravitano attorno al tema centrale dell’ →​​ evangelizzazione,​​ e comincerà poco per volta a tradursi in realizzazioni concrete di prassi pastorale. Si può dire che la priorità della CA esiste ancora più a livello di principio che nella realtà, ma si tratta comunque di una realtà in crescita e piena di promesse.

II. Motivazioni e significato della scelta pastorale della​​ CA

I motivi del nuovo interesse per la CA sono molteplici, e facilmente intuibili:

— Motivi di ordine​​ socio-culturale.​​ Sono quelli implicati nella situazione e nelle trasformazioni della società attuale: dinamicità accelerata, aumento delle conoscenze, pluralismo culturale e ideologico, mobilità sociale, conflittualità, nuove forme di oppressione e manipolazione, ecc. Ne deriva, per molti contemporanei, un senso di smarrimento e un bisogno di riqualificazione per poter capire e dominare la realtà (vedi in questa luce la istanza della →​​ formazione​​ ed​​ educazione permanente).​​ Questa situazione si riflette anche nell’ambito delle conoscenze ed esperienze religiose.

— Motivi di indole​​ psicologica​​ e​​ antropologica.​​ La riflessione attuale accentua molto il carattere dinamico e aperto della maturità umana, che comporta la necessità di​​ continua formazione e apprendimento.​​ Appare del tutto superata la distinzione rigida tra soggetti educandi ed educati, tra persone in formazione e persone formate. Per tutti si impone un ritmo sempre aperto di crescita e di maturazione, anche nei confronti della realtà religiosa.

— Motivi di ordine​​ teologico-pastorale.​​ Sono quelli più noti ed evidenti nell’ambito della prassi pastorale e cat. Diversi fenomeni e situazioni presenti oggi nella Chiesa sollecitano un potenziamento della CA: la crisi di fede e la perdita di identità di molti cristiani; la resistenza al cambiamento in campo religioso; il divario generazionale tra adulti e giovani e la relativa crisi della funzione educativa; la polarizzazione infantile e l’andamento paternalistico della pastorale tradizionale; la crisi di credibilità nella Chiesa; il predominio clericale nella vita ecclesiale; l’emarginazione del laicato e la discriminazione della donna nella Chiesa, ecc. Tutti questi fenomeni, nel contesto della visione rinnovata della fede, della Chiesa e della missione cristiana nel mondo, sollecitano con forza una promozione qualitativa di credenti adulti e responsabili nella Chiesa di oggi. E di questa promozione appare fattore di prim’ordine il potenziamento della CA.

— Le considerazioni fatte permettono di intravedere il significato e la posta in gioco di un’opzione pastorale per la CA oggi. Non si tratta in modo alcuno di estendere agli adulti la C. tradizionale rivolta ai piccoli; né può essere concepita la CA come un mezzo per riprodurre o mantenere l’assetto ecclesiale così com’è. Tanto meno avrebbe senso impegnarsi in una CA a scopo di restaurazione o di difesa di spazi perduti per la presenza e l’azione della Chiesa. La CA va promossa oggi, con coraggio e creatività, al servizio di​​ un nuovo tipo di credente​​ e per​​ un progetto rinnovato di Chiesa,​​ più in consonanza con le esigenze evangeliche e più in sintonia con le domande profonde dell’uomo d’oggi.

III.​​ Realizzazioni e riflessioni di CA

— Uno sguardo panoramico alle​​ realizzazioni​​ concrete di CA nella Chiesa di oggi scorge subito la​​ varietà​​ e​​ V eterogeneità​​ di forme e iniziative. Troviamo forme di CA nell’ambito dell’attività liturgico-sacramentale-.​​ → omelia nella Messa e nelle celebrazioni sacramentali; preparazione di adulti ai sacramenti (→ battesimo, confermazione, eucaristia); coinvolgimento dei genitori nell’ → iniziazione sacramentale dei figli. Altre forme di CA hanno carattere più​​ didascalico o formativo-,​​ corsi e conferenze, gruppi di riflessione, seminari di fede, scuole di teologia e per catechisti, ecc. Altre forme sono veicolate dai​​ mezzi di comunicazione sociale: libri e pubblicazioni, catechismi e “introduzioni alla fede” per adulti, trasmissioni radiofoniche e televisive (→ radio, → televisione), film, teatro, corsi per corrispondenza, ecc. Ci sono realizzazioni di CA legate al​​ risveglio comunitario e associativo​​ della Chiesa: → gruppi di base, catecumenali e neocatecumenali, carismatici, movimenti, gruppi coniugali e familiari. Finalmente, altre forme di CA appaiono implicate in attività di​​ promozione e di impegno:​​ → comunità di base, campagne di fraternità, alfabetizzazione e coscientizzazione, ecc.

Come si vede, il campo della CA è quanto mai ampio e dilatato. Classificazioni e tipologie possono rispondere a criteri diversi di distinzione: CA di iniziazione, di aggiornamento, di approfondimento; CA → occasionale, → sistematica, permanente; CA a prevalenza “formazione”, o “iniziazione”, o “promozione”, ecc. In alcuni paesi (per es. Francia, Germania) si tende a distinguere tra CA e​​ formazione​​ degli adulti, ma non sempre le frontiere sono chiare.

— Se si domanda ora a che punto si trova la​​ catechetica dell’età adulta,​​ cioè la riflessione scientifica sulla CA, si deve dire, in termini generali, che tale riflessione si trova ancora agli inizi, perlopiù appena abbozzata, in molte parti inesistente. Si cominciano a utilizzare filoni o approcci di indubbia importanza e utilità, quali per es.: la psicologia dell’adulto (cf E. Erikson, Th. Lidz); studi antropologici (R. Guardini, F. Pòggeler, G. Lapassade); ricerche sull’evoluzione della fede (J. W. Fowler); formazione ed educazione permanente; didattica e pedagogia dell’età adulta, ecc. Nel campo propriamente cat., la riflessione appare più sviluppata in alcuni paesi, come la Germania (cf A. Exeler, E. Feifel, F. J. Hungs, D. Emeis), gli USA (J. De Boy, G. Moran, L. McKenzie, J. L. Elias) e il Canada (J. Grand’Maison, A. Beauchamp).

IV.​​ Per una metodologia della CA

La situazione fluida e aperta della CA, e l’estrema varietà delle sue realizzazioni impediscono una visione unitaria in senso stretto della riflessione cat. metodologica. Esistono tanti modelli e progetti di CA, diversissimi nei presupposti, negli intenti e negli elementi operativi. Sembra possibile indicare alcuni dati e tendenze più comuni, in rapporto ad alcune fasi del progetto metodologico generale.

— Analisi e interpretazione della situazione.​​ È una prima e fondamentale esigenza. Superando inerzie pastorali e improvvisazioni, appare necessaria una accurata analisi della situazione di partenza: conoscenza del contesto storico e socio-culturale, l’adulto oggi nella società e nelle successive tappe dell’età adulta, aspetti e urgenze della domanda religiosa degli adulti, valutazione degli attuali processi di iniziazione e inculturazione religiosa, ecc. Una grande varietà di strumenti e approcci scientifici (culturali, psicologici, sociologici, teologici, ecc.) possono contribuire a stabilire una buona piattaforma di partenza per una adeguata programmazione dell’opera cat.

— Formulazione di mete e obiettivi della CA.​​ È questo un momento di grande importanza nel processo metodologico, e troppo spesso trascurato: la determinazione delle mete o obiettivi da raggiungere nella CA, punti di riferimento che orientano l’azione e ne qualificano l’identità. In sede di CA sembra decisivo, al di là di posizioni aprioristiche o stereotipate, essere fedeli alla reale situazione ed esigenze degli adulti, ma anche fedeli alle richieste di una adeguata crescita e → maturazione della fede nelle circostanze di oggi. Possono venire così tracciati i tratti del​​ tipo di credente​​ che la C. deve promuovere e che, nei confronti del modello tradizionale del “buon cristiano”, presenta aspetti di novità nel rapporto con la fede (→ conversione e personalizzazione), con la Chiesa (senso di appartenenza adulto e corresponsabile), con la comunità (personalità “relazionale” e comunitaria), con il mondo (dialogo, incarnazione, impegno, partecipazione). In modo simile va anche precisato il​​ tipo di comunità​​ che la CA deve promuovere, e soprattutto il​​ modello di Chiesa​​ da costruire. Nella forza convincente e coinvolgente delle mete preposte alla CA si trova una delle carte decisive per il suo successo o fallimento, nell’attuale contesto della vita ecclesiale.

Linguaggio e contenuti della CA.​​ Nella determinazione dei contenuti e del linguaggio da adoperare nei progetti di CA, i problemi sono tanti e le esigenze da soddisfare molto varie. In linea di principio, si possono elencare alcune istanze più comunemente avvertite: il primato delle​​ persone​​ sui​​ programmi,​​ in modo da garantire una C. come vera risposta a domande vere; il rispetto della​​ globalità​​ dell’esperienza cristiana, che è allo stesso tempo esperienza biblica, ecclesiale ed esistenziale (anche se è lecito mostrare preferenza per un ambito esperienziale concreto); attenzione alle​​ esigenze di maturità​​ degli adulti (informazione aggiornata, senso critico, bisogno di partecipazione, differenziazione e gerarchia delle verità, ecc.);​​ dialogo culturale​​ tra fede e mondo di oggi (in una dialettica sincera e coraggiosa di assunzione dei valori e denuncia degli antivalori); apertura al dialogo e alla collaborazione con i cristiani non cattolici (problema​​ ecumenico)​​ e con le diverse religioni e correnti culturali.

— Metodi e tecniche nella CA.​​ È molto grande la varietà di modelli o itinerari metodologici nel campo della CA. Si può dire, in termini generali, che tale varietà risulta dalla diversa scelta e combinazione di elementi​​ didattici​​ (esposizione, discussione, ricerca, ecc.),​​ relazionali​​ (dinamica di gruppo, interazione, vita comunitaria, ecc.),​​ celebrativi​​ (riti, simboli, preghiera, gioco, danza, ecc.) e​​ operativi​​ (azione, animazione, impegno). In questo modo, nell’ambito della prassi cat. di oggi, troviamo alcuni modelli tipici di CA, caratterizzati da elementi e sequenze metodologiche proprie, come per​​ es.:​​ i modelli ad andamento catecumenale, le forme ispirate al metodo JOC (vedere – giudicare – agire), modelli “biblici”, itinerari “liturgici”, forme di tipo “corso” o “seminario”, forme di riflessione attorno a libri (per​​ es.​​ “catechismi” per adulti), o altri mezzi di comunicazione (disco, radio, cassette, ecc.).

Se si vuole, in un campo così ricco e vario, individuare alcune istanze o tendenze più comuni, potremmo forse nominarne tre: la preferenza indiscutibile per il lavoro di​​ gruppo;​​ l’esigenza di​​ flessibilità e fantasia​​ per gli adattamenti necessari; il bisogno di​​ partecipazione​​ da parte dei soggetti interessati. Per ciò che riguarda le varie​​ tecniche​​ e​​ strumenti​​ usati nei modelli di CA, rimandiamo alle trattazioni specifiche (cf A.​​ Beauchamp,​​ B. Grom,​​ D.​​ Emeis – K. H. Schmitt).

Bibliografia

A.​​ Beauchamp​​ et al.,​​ Come animare un gruppo,​​ Leumann-Torino, LDC, 1977; J. De Boy,​​ Getting Started​​ In Adult​​ Religious Education,​​ New York,​​ Paulist​​ Press, 1979; J. L.​​ Elms,​​ The​​ Foundations​​ and​​ Practice​​ of​​ Adult​​ Religious Education,​​ Malabar, FL,​​ R. E.​​ Krieger,​​ 1982;​​ D.​​ Emeis – K. H. Schmitt,​​ Kleine Methodik der Erwachsenenbildung in der Kirche,​​ Freiburg, Herder, 1974;​​ E.​​ H. Erikson et​​ al.,​​ L’adulto,​​ Roma, Armando, 1978; A. Exeler – D. Emeis,​​ Reflektierter Glaube,​​ Freiburg, Herder, 1970; E. Feifel,​​ Erwachsenenbildung. Glaubenssinn und theologischer Lernprozess,​​ Zürich, Benziger, 1972; J. W. Fowler,​​ Stages of Faith,​​ San Francisco, Harper and Row, 1981; J. Grand’Maison,​​ Seconda​​ evangelizzazione,​​ 3​​ vol.,​​ Bologna, EDB, 1975-1976; B. Grom,​​ Metodi​​ per​​ l’insegnamento​​ della​​ religione,​​ la pastorale​​ giovanile e la formazione degli adulti,​​ Leumann-Torino, LDC, 1981; R. Guardini,​​ Die Lebensalter,​​ Würzburg, Werkbund, 1954; F. J. Hungs,​​ Theologische Erwachsenenbildung als Lernprozess,​​ Mainz, M. Grünewald, 1976; G. Lapassade,​​ Il mito dell’adulto,​​ Bologna, Guaraldi, 1971; Th. Lidz,​​ La persona​​ umana,​​ Roma, Astrolabio,​​ 1971; R. Llanes Tovar,​​ La catequesis de​​ adultos​​ en la actualidad,​​ México​​ 1984; L. McKenzie,​​ The Religious Education of Adults,​​ Birmingham, Alabama, Rei. Education Press, 1980; P. Milan,​​ Adulti nella​​ Chiesa,​​ Rovigo,​​ Ist.​​ Padano Arti Grafiche, 1981; G.​​ Moran,​​ Education Toward Adulthood,​​ New York,​​ Paulist​​ Press, 1979; S.​​ Pintor​​ et al.,​​ La Teologia e la Pastorale nel Catechismo degli adulti,​​ Bologna, EDB, 1983; F.​​ Pöggeler,​​ Der Mensch​​ in​​ Mündigkeit und

Reife,​​ Paderborn, F. Schöningh, 1964; J. Ruiz​​ Díaz,​​ Buscando la identidad cristiana,​​ Madrid, S. Pío X, 1983;​​ A.​​ Tessarolo​​ (ed.),​​ La catechesi degli adulti, nuova scelta pastorale della Chiesa italiana,​​ Bologna, EDB, 1978.

Emilio Alberich

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ADULTI – Catechesi degli

ADULTISMO

 

ADULTISMO

Errore pedagogico di relazionarsi educativamente con i fanciulli e gli adolescenti come se fossero adulti. Termine polemico opposto a puerocentrismo.

1. In senso più propriamente pedagogico, l’a. può essere definito come quell’orientamento «che afferma essere il processo educativo una imitazione del “modello” di​​ ​​ uomo espresso dalla tradizione e fondato su determinate esigenze sociali; per esso viene svalutata la situazione attuale dell’​​ ​​ educando mentre viene esclusivamente valutata la sua capacità a identificarsi con il modello» (​​ Bertolini). Tale indirizzo, soprattutto sul piano didattico, degenera nel​​ magistrocentrismo, nella pretesa cioè di insegnare ai fanciulli i contenuti del sapere con un linguaggio maturo e concettualmente definito in modo rigoroso, inducendo così l’allievo ad un meccanico esercizio mnemonico inadeguato alla sua capacità di​​ ​​ apprendimento.

2. In termini di prassi educativa, quindi, due sono le tendenze da evitare, quella del​​ rigorismo autoritario​​ e quella del​​ lassismo permissivo.​​ Entrambe le tendenze attengono al campo affettivo e morale dell’allievo: da un lato si esagera nell’attribuire al fanciullo in modo sproporzionato una responsabilità di diritti e di doveri, eccedendo, di conseguenza, anche sul piano di una rigida disciplina; dall’altro si attribuisce, in un clima di incontrollato spontaneismo, una capacità di comprensione e di autodeterminazione, che è soltanto il frutto di un lento e graduale​​ ​​ processo educativo verso la maturità. Si potrebbe concludere che non pochi insegnanti per il semplice fatto di «sapere» ciò che devono insegnare, credono anche di «saperlo» insegnare. Ora, un insegnante deve essere senz’altro competente della «materia» che insegna, ma la sua alta qualità si esplicita pienamente quando egli è il competente della comunicazione di questi contenuti ed altrettanto competente nell’acquisire le esigenze, le possibilità, le attese dei suoi allievi, per sapersi relazionare con loro. Questa è la strada maestra, per intervenire al momento giusto e nel modo adeguato, evitando così ogni forma di a.

Bibliografia

Claparède E.,​​ L’educazione funzionale, Firenze, Giunti, 1962; Id.,​​ La scuola su misura,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1982. Per un approfondimento bibliografico mirato cfr. voci «A.» e «Puerocentrismo», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ voll. I e V, Brescia, La Scuola, 1989, 121-122; 1992, 9704-9709.

C. Bucciarelli

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ADULTISMO

ADULTO

 

ADULTO

Etimologicamente il termine a. proviene, dal lat.​​ adolescere​​ (crescere, svilupparsi, rinvigorirsi); letteralmente, quindi, si può definire a. il soggetto che, avendo compiuto l’età evolutiva, ha raggiunto la maturità morfologica (a livello fisico e psichico) e funzionale. Il termine​​ adultità​​ è stato coniato di recente per indicare le caratteristiche e le condizioni che definiscono l’a.

1.​​ L’identità adulta.​​ Da un punto di vista funzionale, poi, per «età adulta» si può intendere quella fase d’età cronologica che sta tra l’adolescenza e l’età senile. Gli studi della scienza psicologica sono indispensabili per dedurre le costanti di questa fase della vita ed in questo contesto due sono gli approcci a cui si fa solitamente riferimento: l’approccio psicodinamico e quello fenomenologico. Nell’approccio psicodinamico​​ vanno segnalati gli studi di​​ ​​ Freud per cui l’a. veniva inteso come soggetto padrone di una​​ genitalità​​ capace di «amare» e di «lavorare»; gli studi di​​ ​​ Jung (1875-1961) interpretano invece l’adultità come età del dubbio in cui appare una fase dualista, quella cioè che vedrebbe emergere un secondo Io che tende a togliere la direzione della vita psichica al primo Io: quello dell’infanzia, di qui la contrapposizione tra due identità che si fa lotta tra i due archetipi del​​ puer​​ e del​​ senex.​​ Tra gli studi psicodinamici però i più noti e funzionali alla dimensione pedagogica sono quelli di​​ ​​ Erikson che con il suo fondamentale lavoro​​ Infanzia e società​​ (1967) e con​​ I​​ cicli della vita​​ (1984), in linea con le teorie freudiane dello sviluppo psico-sessuale, riteneva a. quell’individuo che agisce non in diretta conseguenza della soddisfazione degli impulsi primari, ma che sa conquistarsi​​ un’autonomia funzionale,​​ che sa cioè prefiggersi la realizzazione di scopi che prescindono, in parte, da dati bisogni pulsionali. Nell’approccio fenomenologico​​ l’identità adulta trova soprattutto in alcuni studiosi i suoi interpreti più accreditati. Innanzitutto​​ ​​ Maslow (1971) che vede nella «motivazione» il tratto costitutivo dell’identità altrimenti denominabile «bisogno» della persona.​​ ​​ Rogers nel suo studio su​​ Lo sviluppo della personalità​​ (1961), evocando un modello di sviluppo ontogenetico, vede l’adultità matura nel transito di alcuni passaggi esistenziali qualitativi: dalla incongruenza alla congruenza; dalla non accettazione di sé alla accettazione; dalla non comunicazione alla comunicazione; dalla rigidità mentale alla flessibilità; dal rifiuto delle responsabilità alla accettazione di queste; dall’isolamento alla socievolezza; dalla rigidità alla creatività; dalla sfiducia alla fiducia nella natura umana; da una vita spenta ad una vita piena sul piano dell’esperienza e della ricerca; dall’eterodipendenza all’autodeterminazione. Infine​​ ​​ Lewin che, nella sua opera​​ Principi di psicologia topologica​​ (1936) detta anche «del campo», rivela l’individuazione dell’identità adulta con particolari modalità operative; infatti l’a. per Lewin è quel soggetto che riesce adeguatamente a operare una differenziazione tra la totalità-persona e le figure che di volta in volta gli occorrono per agire e sopravvivere.

2.​​ Apprendere in età adulta.​​ Chi ha responsabilità formative anche nel campo degli a. prevede senz’altro di incontrare delle difficoltà nel realizzare i propri obiettivi. Se da una parte però la ricerca scientifica fa il suo doveroso cammino, dall’altra mai come oggi, con una società in rapida trasformazione, il termine​​ formazione​​ deve essere applicato anche agli a., non solo per compensare lacune di una loro preparazione anteriore (= analfabetismo di ritorno), ma soprattutto per completare e sviluppare la loro cultura. L’educazione degli a. pertanto, in prosecuzione di quella rivolta dall’infanzia alla giovinezza, nel contesto di un’​​ ​​ educazione permanente varia nei contenuti e nelle forme, per tutte le età. È prassi consolidata ormai che tra le specifiche funzioni di tale intervento a favore dell’a. si possono considerare l’educazione civica e politica, l’aggiornamento professionale, la divulgazione tecnica e scientifica, l’informazione artistica e sanitaria, le attività del tempo libero, l’igiene mentale. La formazione dell’a. vede così assicurati periodi ciclici per forme di completamento, di qualificazione, riqualificazione, specializzazione e aggiornamento. Ad una simile alternanza di periodi di formazione e di periodi di lavoro si dà il nome di​​ ​​ educazione continua, o ricorrente o intermittente.

Bibliografia

Lazzaretto A.,​​ La scoperta dell’a.,​​ Roma, Armando, 1966; Erikson E. H.,​​ L’a.,​​ Ibid., 1981; Id.,​​ I​​ cicli della vita,​​ Ibid., 984; Morin E., «Le vie della complessità», in G. Bocchi - M. Ceruti (Edd.),​​ La sfida della complessità,​​ Milano, Feltrinelli, 1985; Bucciarelli C.,​​ L’educazione permanente: un modello di politica educativa,​​ Rimini, Maggioli, 1987; Demetrio D.,​​ L’età adulta, Roma, NIS, 1990; Resnick R. T.,​​ Impulsività,​​ disattenzione e iperattività dell’a., Milano, McGraw, 2002.

C. Bucciarelli

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