PERSONA

L’essere umano, in quanto radicalmente capace di autonomia, libertà, responsabilità ed auto-trascendenza.

1. Il termine lat.​​ persona​​ originariamente traduceva quello gr.​​ prósopon​​ (maschera, personaggio che gioca un ruolo in un’opera teatrale). Analogamente gli stoici parlano di p. ad indicare che l’uomo ha da giocare nel mondo il ruolo assegnatogli dal destino. Ma nel corso delle controversie teologiche sulla Trinità e sull’incarnazione del Verbo, durante i primi secoli del Cristianesimo, p. venne ad essere identificata anche con il termine​​ hypóstasis​​ (supporto, soggetto, sostanza). In questa linea si pone la classica definizione di p. data da Boezio («sostanza individuale di natura razionale»), ricalcata poi da Tommaso d’Aquino («ogni individuo dotato di natura razionale»), che però evidenziò anche l’originario aspetto di relazione e di operare nel mondo, contenuto nel termine. Nel diritto romano p. indica chi è soggetto di diritti, in contrapposizione a chi è schiavo, agli animali o alle cose. Nell’età moderna p. è assimilata all’io, alla coscienza morale, soggetto di imputabilità e di responsabilità del proprio operare. È con il sec. XX che il concetto di p. è diventato basilare, dando luogo a svariate forme di personalismo, tra cui sono da segnalare quello di​​ ​​ Mounier, di M. Scheler, di​​ ​​ Guardini, di​​ ​​ Stefanini o dello stesso​​ ​​ Maritain.

2. Con p. si vuole significare che l’essere umano manifesta nell’operare qualcosa che lo fa apparire come «eccezionale», «diverso», «altro», pur nell’innegabile somiglianza, continuità e comunanza con altri esseri umani e con gli animali o le cose. In particolare si intende mettere in luce che l’uomo è un «essere-in-sé», soggetto, non mai riducibile completamente ad oggetto da nessuno. Nel rapporto con gli altri nel mondo, nell’amicizia e nell’amore o magari nella tensione e nel conflitto inter-individuale e collettivo, riconosce gli altri come «altri sé» ed è riconosciuto da loro come «se stesso». Peraltro l’uomo, in quanto p., grazie alla sua corporeità e spiritualità, si mostra come essere aperto agli altri («esse-ad»), «essere di comunione», che si realizza nel rapporto con il mondo (nel lavoro), con gli altri (nei rapporti interpersonali e nella vita comunitaria), con Dio (nella religione e nella comunione di fede). In queste sue modalità di essere si fa risiedere la sua dignità ed assolutezza di fine e di valore («esse per se»), non mai riducibile totalmente a mezzo o a strumento, come l’umanesimo moderno, con​​ ​​ Kant e lo stesso Marx, ha imparato a recitare (​​ diritti umani).

3. Nella pedagogia contemporanea la p. reale è vista come la pietra di paragone e l’obiettivo orientante di ogni progettazione e di ogni intervento educativo. Ma questa stessa affermazione abbisogna di essere ben compresa e posta nel suo retto contesto, pena di dare adito ad orientamenti educativi fuorvianti, esposti al rischio di spiritualismo, d’intellettualismo astratto o di individualismo, che mal si combinerebbero con prospettive comuni alla concezione di p., vista come spirito incarnato, esistenza incarnata, realtà comunitaria, impegnata nel mondo e nella storia. Oggi, a motivo delle possibilità di interventi tecnologici sul soma e sulla psiche umana, è da esplorare pure il termine​​ ​​ personalità e di​​ ​​ personalizzazione, anche per calibrare meglio l’intervento educativo.

Bibliografia

Rigobello A. (Ed.),​​ Lessico della p. umana,​​ Roma, Studium, 1986; Milano A. - A. Pavan (Edd.),​​ P. e personalismi,​​ Napoli, Dehoniane, 1988; Flores d’Arcais G. (Ed.),​​ Pedagogie personalistiche e / o pedagogia della p.,​​ Brescia, La Scuola, 1994; Spaemann R.,​​ Persone. Sulla differenza tra «qualcosa» e «qualcuno», Roma / Bari, Laterza, 2005; Peroli E.,​​ Essere p.​​ Le origini di un’idea tra grecità e cristianesimo, Brescia, Morcelliana, 2007.

C. Nanni

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