PEDAGOGIA CRISTIANA

È indubbia la presenza nel​​ ​​ Cristianesimo di riflessioni pedagogiche, costruite sul fondamento o nell’orizzonte di una visione cristiana dell’uomo e del mondo. Si possono rintracciare già nella​​ ​​ Bibbia e negli scritti dei Padri, ma anche in opere di teologi e di pedagogisti cristiani delle varie epoche. Gli storici della p. sono soliti collocarle sotto la categoria generica ma significativa di p.c., indipendentemente dalla loro scientificità.

1.​​ Parola di Dio e pluralismo delle p.c.​​ Dallo studio della Parola di Dio sull’educazione emerge una conclusione un po’ sconcertante per chi crede di poter ricavare la p.c. direttamente dalla Rivelazione. La Bibbia e la Tradizione della​​ ​​ Chiesa, infatti, non contengono una p. rivelata in senso stretto, valida per tutti i tempi i luoghi e le culture. Già nella Bibbia, ma molto più nella tradizione cristiana, sono rintracciabili differenti concetti di educazione, molteplici proposte o modelli di umanesimo e di maturità umana, tutti pensati o come esigenze della Parola di Dio o almeno come compatibili con essa. Inoltre tutto questo insieme di materiale pedagogico è «datato», cioè si trova inserito e condizionato dal tipo di​​ ​​ cultura nel quale la Parola di Dio si è manifestata o è stata interpretata dalla comunità dei credenti lungo i secoli. Ciò che invece possiamo ricavare dalla Bibbia e dalla Tradizione della Chiesa come esigenze irrinunciabili della Parola di Dio in campo educativo e pedagogico, sono solo alcuni principi fondamentali di tipo antropologico e teleologico, a partire dai quali e ispirandosi ad essi, le comunità cristiane sono chiamate ad impostare non solo la loro prassi educativa ma anche le loro teorie pedagogiche nei differenti contesti culturali in cui devono vivere la loro fede. La più fondamentale di queste esigenze, quella che in certo senso le riassume tutte, si trova nelle «tavole domestiche» della lettera agli Efesini (Ef 6,4). Il Cristo-Kyrios e il suo Vangelo (che interpreta autorevolmente la Torah anticotestamentaria e la completa), costituiscono il fondamento ultimo e il criterio. Tuttavia l’adesione incondizionata alla Parola di Dio mediante la fede non dispensa il credente dalla ricerca di quella saggezza umana che deve guidarlo nella sua attività educativa e dall’utilizzazione delle conquiste umane sia nel campo del sapere pedagogico che in quello delle istituzioni educative. Quindi è legittimo affermare che la ricerca circa la natura, i contenuti, la meta dell’educazione, cioè la maturità, lo studio dei metodi e dei mezzi adatti per raggiungerla, la configurazione delle istituzioni educative, quali la famiglia e la scuola, in una parola, la p., tutto questo è lasciato da Dio all’inventiva delle generazioni cristiane, operanti nelle diverse culture. Questo spiega perché, nell’ambito dell’unica fede cristiana, di fatto siano esistite e di diritto possano continuare ad esistere autentiche teorie pedagogiche, differenti tra loro e tuttavia compatibili con la suprema saggezza del Vangelo, quindi tali da potersi legittimamente qualificare come​​ cristiane.

2.​​ Condizioni fondamentali perché una p. possa dirsi cristiana.​​ La legittimità, all’interno dell’unica fede, di una pluralità di p.c. non esclude tuttavia la possibilità di tensioni e contrasti tra le p. cresciute al di fuori della rivelazione e i contenuti della fede. È necessario pertanto definire le condizioni per cui una p. possa dirsi cristiana. La p.c. dovrà anzitutto essere autentica p., cioè rispettare e promuovere il lavoro della ragione in campo educativo, costruendo o optando per teorie pedagogiche valide e aggiornate. Però, a causa dell’adesione incondizionata alla Parola di Dio di chi la costruisce, essa dovrà essere sempre vigilante verso quelle teorie educative e progettazioni pedagogico-didattiche in contrasto con i contenuti della rivelazione, esercitando nei loro confronti una funzione critica. In secondo luogo la p.c., mentre da una parte, con ricerche sempre più approfondite, tenta di definire, all’interno delle diverse culture, le mete dei processi educativi e il complesso di tutti quei valori di autentica crescita umana e di progresso sociale che esse comportano, dall’altra, a motivo e alla luce dei contenuti della fede che essa suppone, dovrà sempre pensare e progettare tali mete in funzione di quella finalità superiore, che è la «perfezione cristiana» o «santità». È compito pertanto della p.c. tracciare itinerari di autentica maturazione umana all’interno di processi di​​ ​​ conversione e crescita cristiana (​​ educazione cristiana). In terzo luogo, quando la p.c. progetta e promuove, nell’orizzonte della fede, processi educativi di crescita e maturazione umano-cristiana a livello personale e comunitario, dovrà sempre farlo in una prospettiva escatologica, utopica per i non credenti ma reale per i cristiani, la prospettiva cioè dei «nuovi cieli e della nuova terra» (Ap 21), preannunciata dalla resurrezione di Cristo.

3.​​ Natura e scientificità della p.c.​​ Circa la natura e la scientificità della p.c. sono sorte in passato ed esistono ancora attualmente opinioni differenti e antitetiche, determinate da precomprensioni riguardanti sia la natura della p. (è scienza o arte? quale tipo di scienza: normativa? ermeneutica? sperimentale? scienza unica o pluralità di scienze?) sia le condizioni per cui un sapere possa essere detto scientifico (autonomia? criticità?). Soprattutto il disaccordo circa la questione se la p. sia scienza unica e, in questo caso, di che tipo, oppure indichi una pluralità di scienze, incide fortemente sulla natura e scientificità della p.c. Tra coloro che ritengono la p. scienza unica del fatto educativo, c’è chi la concepisce come​​ filosofia,​​ chi come scienza​​ normativa,​​ chi la pensa come scienza​​ ermeneutica​​ e chi ne fa una scienza​​ empirico-sperimentale.​​ All’interno di questo gruppo eterogeneo, già nella prima metà del sec. scorso, soprattutto in ambiente tedesco, la natura e la scientificità della p.c. divenne oggetto di contesa. Si discuteva se fosse legittimo da un punto di vista epistemologico unire insieme scientificità e dipendenza da una fede. Un problema analogo veniva posto per la filosofia cristiana. La maggior parte dei pedagogisti di estrazione cattolica, almeno fino al Concilio Vaticano II, dava a questo problema una risposta affermativa. Questa posizione era condizionata dalla certezza che la p. fosse una scienza​​ normativa​​ dei processi educativi e quindi dovesse fondarsi su una visione del mondo, cioè su una metafisica e un’antropologia, ricavabili sia da una filosofia che da una fede (nel caso nostro, dalla fede cristiana), senza tuttavia perdere, in quest’ultimo caso, l’autonomia propria delle scienze normative. Rispondevano invece negativamente quasi tutti gli altri pedagogisti, molti dei quali appartenevano all’area evangelica. Erano convinti che il far dipendere la p. da una visione del mondo ricavata da una fede, significava vanificarne l’autonomia (dote questa ritenuta, da tutta la modernità, essenziale per la scienza) e, per di più, ideologizzare la fede. A partire dagli anni Settanta, però, anche un numero notevole di pedagogisti cattolici (non solo dell’area tedesca) rinuncia sia alla concezione della p. come scienza normativa sia alla proposta del​​ ​​ Willmann di pensare la p.c. come «scienza cristiana dell’educazione» e opta, generalmente, per una concezione della p. come scienza ermeneutica. Per conseguenza la p.c. o viene relegata nell’ambito delle​​ Erziehungslehren​​ (precettistiche pedagogiche), prive di dignità scientifica, oppure viene collocata all’interno della teologia (Schilling, 1974). Però, già a partire dagli anni Cinquanta, emerse e si affermò, non solo in Italia, la posizione di coloro che ritengono la p. il nome collettivo di una pluralità di scienze differenti, unificate però dal fatto di avere un campo comune di indagine, l’educazione, sebbene poi ciascuna di esse la studi da un punto di vista diverso da quello delle altre scienze dell’educazione. In questo contesto furono fatte nuove proposte circa la natura e la scientificità della p.c. Per​​ L. da Silva essa consta di tre gruppi distinti di principi: p. di ordine​​ scientifico-sperimentale​​ (sono le «conclusioni» delle tre scienze sperimentali dell’educazione: la biologia, la psicologia e la sociologia); p. di ordine​​ filosofico​​ (conclusioni della filosofia dell’educazione); e infine p. di ordine​​ teologico​​ (conclusioni della teologia dell’educazione). Tutti questi principi, nonostante la loro eterogeneità genetica (derivano da scienze diverse), polarizzandosi tutti attorno ad un unico oggetto formale, l’educabilità umana, danno origine ad un’unica scienza, la p.c, concepita come scienza integrale dell’educazione umana. Anche G.​​ ​​ Corallo ritiene la p.c. un tipo di sapere complesso, perché risulta dalla collaborazione tra scienze diverse: una filosofia dell’educazione aperta alla rivelazione cristiana; una teologia dell’educazione con la funzione di integrare le conquiste valide ma parziali della filosofia dell’educazione; e infine una metodologia pedagogica che dipenda, oltre che dalla filosofia, anche dalla teologia. In una prospettiva analoga a quella di G. Corallo sono da collocarsi anche P. Braido e V. Miano per quanto riguarda la natura della p.c. Oggi la trasformazione della p. in scienze dell’educazione può considerarsi un fatto compiuto, anche se non è inteso da tutti allo stesso modo. L’unico tipo di conciliazione possibile tra queste esigenze antitetiche sembra essere l’​​ ​​ interdisciplinarità. Essa però è intesa in modi diversi e contrapposti. È evidente che, in questa prospettiva epistemologica, il problema della natura e della scientitificità della p.c. si debba porre in modo nuovo rispetto al passato. A noi sembra impraticabile la scorciatoia di chi vorrebbe trasformare il sintagma «p.c.» in quello di «Scienze cristiane dell’educazione». Indipendentemente dalla possibilità di una sua interpretazione corretta dal punto di vista epistemologico, riteniamo questa soluzione, oggi soprattutto, fonte di equivoci senza fine. Escludiamo inoltre che la p.c. possa identificarsi con la teologia dell’educazione. L’unica formula che, a nostro parere, potrebbe salvare, da una parte la scientificità dei contributi di ciascuna delle scienze dell’educazione e, dall’altra, la possibilità di una loro effettiva collaborazione interdisciplinare è l’appartenenza di tutte le teorie che vi partecipano a una comune «tradizione di ricerca» (​​ epistemologia pedagogica), compatibile con la Parola di Dio. Ai convegni di Scholé (Brescia), che raduna pedagogisti cristiani italiani, va il merito di tenere aperto un dibattito sulla p.c. a partire dal 1954. Gli Atti sono editi da La Scuola di Brescia.

Bibliografia

Schilling H.,​​ Teologia e scienze dell’educazione. Problemi epistemologici,​​ Roma, Armando, 1974; Scholé (Ed.),​​ Teologia e scienze dell’educazione.​​ Atti del XXVIII Convegno di Scholé, Brescia, La Scuola, 1990; Groppo G.,​​ Teologia dell’educazione. Origine identità compiti,​​ Roma, LAS, 1991; Mari G.,​​ P.c. come p. dell’essere, Brescia, La Scuola, 2001; Chiosso G.,​​ Profilo storico della p.c. in Italia (XIX e XX secolo), Ibid., 2001; Sagramola O.,​​ Alle radici della p.c.: educazione,​​ cultura e scuola nel cristianesimo dei primi secoli, Manziana, Vecchiarelli, 2003; Bissoli C.,​​ Il dibattito sulla p.c. Alcune puntualizzazioni, in «Orientamenti Pedagogici» 54 (2007) 357-368.

G. Groppo

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