PASTORALE GIOVANILE (bibbia 2)
Cesare Bissoli
1. Esiste anzitutto una pastorale giovanile nel NT?
2. Il minore nel NT
3. La cura cristiana dei giovani
4. Conclusione
1. Esiste anzitutto una pastorale giovanile nel NT?
Chiaramente la domanda riguarda la possibilità di una documentazione esplicita e chiara. Si può rispondere che ci sono concessi dei cenni che radunati nel quadro globale della pastorale delle prime comunità cristiane permettono di intuire l’inizio di una traiettoria, che avrà come suo traguardo le nostre elaborate trattazioni di pastorale giovanile. Quindi senza pretendere una sistematicità che è solo posteriore, e accettando il quadro socio-culturale dell’epoca (concezione patriarcalistica ed adultista della società) è biblicamente fondato parlare di un’attenzione mirata, di una cura dell’elemento giovanile fin dai primi tempi cristiani.
Ovviamente nell’intento del nostro studio non sta solo il rilevare la presenza della figura giovanile nelle comunità, ma anche, per quanto è possibile, individuare il tipo di rapporto che si aveva nel confronto di essa in prospettiva cristiana, cioè pastorale-educativa (C. Bissoli, Bibbia e educazione. Contributo storico-critico ad una teologia dell’educazione, LAS, Roma 1981).
2. Il minore nel NT
Il mondo biblico è letteralmente popolato di bambini, ragazzi, giovani. Nel TVTT età giovanile si presenta sotto termini per lo più sinonimi di neam'as, neam'skos, neóteroi, néos (cf At 7,58; 20,9; 23,17; Mt 19,20.22..., 1 Pt 5,5; Tt 2,4). È difficile precisare l’età. Più che un criterio cronologico nell’ambiente biblico vale il criterio sociale del potere e della responsabilità, per cui giovinezza è sinonimo di immaturità non solo psicologica, ma anche civile. Il giovane vale per quello che potrà essere, piuttosto che per quello che è.
Non ridurremo però in termini mercantilistici questo rapporto tra figura giovanile e futuro del popolo di Dio, giacché come è tipico della Bibbia, vi si inserisce la lettura di fede, secondo cui il giovane è in sé stesso prova che la «benedizione» della vita continua e con ciò la grande eredità umana e religiosa iscritta nell’alleanza (cf le catechesi eziologiche, Es 12,24s; 13,8s; Dt 6,20s...). In quest’ottica la figura del minore sia nell’AT che nel NT assurge a simbolo oggettivo della fedeltà di Dio alla sua promessa, per cui i giovani, rompendo significativamente gli schemi di cultura che li vuole sottomessi, nelle mani di Dio diventano protagonisti della storia della salvezza: Giuseppe, Samuele, Davide, lo stesso Gesù, colui che non ha ancora «cinquant’anni», e che pure ha «visto Abramo» (Gv 8,57) e fin da bambino suscita stupore, domanda, meditazione (Lc 2,51-52), e addirittura propone un bambino, un piccolo, come modello di candidato del Regno (Me 10,13s).
Nel concreto della storia, lo status giovanile è caratterizzato con tratti che indicano una visione ben realistica, nutrita alla scuola dell’esperienza, in base alla quale certamente si sarà mosso l’intervento pastorale educativo nei loro confronti. Si riconosce così la franchezza quasi orgogliosa del giovane ricco (Mt 19,20ss), la bruciante esperienza di male e di conversione del giovane prodigo (Le 15,1 ls), la curiosità che ha del temerario del giovane del Getsemani (Me 14,51). Giovani sono quelli chiamati a seppellire Anania e Saffira (At 5,6). Nella sua prima lettera Giovanni ricorda come virtù giovanile il coraggio della lotta contro il male (2,13s), mentre 2 Tm 2,22 ammonisce dalle ephitymiai neoterikai, ossia passioni che avvolgono l’età giovanile, assai probabilmente di tipo erotico. E d’altra parte Paolo, sempre secondo le Lettere Pastorali, invita a non disprezzare la «giovinezza» di Timoteo (1 Tm 4,12).
La figura della donna giovane è ancor meno presente, secondo i canoni tra l’altro della cultura di ambiente. Colpisce quindi che Gesù si interessi della figlia dodicenne dell’arcisinagogo risuscitandola (Me 5,39s). Paolo pur dovendo condividere moduli culturali del suo tempo, riconosce alla donna pieno diritto di appartenenza alla comunità (Gal 3,28) e nelle prime comunità appaiono gruppi di giovani donne (77 2,4). Esse dovevano avere un qualche ruolo nella Chiesa di Corinto, comunità giovane e fatta di elementi anche giovanili, come le «vergini» di 1 Cor 7.
3. La cura cristiana dei giovani
Che ci sia stata lo si può tranquillamente inferire dal fatto che il servizio pastorale dei fedeli nelle prime comunità era così attento ed articolato che non poteva mancare, anche per interessi di sopravvivenza e di continuità del gruppo, oltreché per più alte ragioni della fede, la cura cristiana di quei fedeli che sono gli immaturi. Sempre dall’ascolto dei testi, si possono arguire due livelli di attenzione.
Un primo livello riguarda l’educazione cristiana, soprattutto in famiglia, in piena continuità con la tradizione biblica (di cui i sapienziali sono portavoce espressiva). Lo evidenziano molto bene le tavole domestiche (Col 3,18-4,1; Ef 5,22—6,9; 1 Pt 2,13-3,7), secondo cui i genitori sono responsabili primari dell’educazione dei figli (cf Eb 12,7.10; Tt 1,6; 1 Tm 2,15; 3,4; 5,4.10; 2 Tm 3,15). Un vigoroso ed emblematico passo sta in Ef
6,1-4, con una densa e innovativa affermazione, secondo cui i «padri» cristiani devono allevare i figli nella «paideia del Signore». Il cui significato rigorosamente esplicitato non conclude all’invenzione di chissà quali metodologie educative (in questo il NT è debitore della tradizione semitica, ma anche ellenistica, v. le Pastorali), bensì ancor più profondamente rivela la grazia e il compito di assumere motivazioni e uno stile nuovo di amore, cose tutte che provengono dal Kyrios, da Gesù Cristo Signore, redentore anche dell’educazione (C. Bissoli, Bibbia e educazione, 226-251).
Ad un livello ulteriore, si può arguire una cura che va oltre l’educazione cristiana in famiglia, un più marcato contatto con quella che chiamiamo oggi pastorale giovanile, comprendente quindi un servizio di annuncio, di preghiera e di formazione dell’elemento giovanile all’interno della comunità. C. Spicq si pone la domanda se nelle prime comunità cristiane siano esistite forme associazionistiche giovanili come nel mondo greco, data la massa dei primi convertiti che doveva essere imponente (cf At 5,12; 6,7). Con eruditi riferimenti sia all’ambiente pagano che a quello biblico, segnatamente a Qumran, l’A. analizza questi passi del NT: At 5,6.10; 1 Pt 5,5; 1 Tm 5,1-2; Tt 2,6; 1 Gv 2,13-14. E conclude che «nessuno dei nostri testi, giuridico o meno, è assimilabile a qualche costituzione
0 codice della Chiesa (...). In ciascun testo
1 giovani sono delle individualità distinte che soltanto i destinatari hanno compreso; però non erano delle astrazioni, né unicamente uomini di una determinata età, né tanto meno categorizzazioni di sviluppo spirituale (...). Essi contano nella vita comune dei cristiani come una categoria importante» (cf C. Bissoli, Bibbia e educazione, 342-343).
Nel quadro di questo stato giovanile, che affiorerebbe soprattutto nelle comunità di 1 Giovanni e Pastorali, si potrebbe arguire quanto meno la plausibilità di un servizio pastorale specifico.
Un esperto come W. Jentsch lo vede attestato in 1 Tm 5,1-2, 77 2,6, 7 Gv 2,13-14. L’intreccio di norma pedagogica e di motivazione teologica è in essi chiaro.
La paràclesis fraterna di 1 Tm 5,1-2, mentre richiama la funzione promozionale dell’amore e della fraternità, secondo anche le usanze educative del tempo, rimanda però ultimamente — in quanto paraclesis — al precetto dell’amore cristiano (Gv 13,35; 1 Gv 3,1018), e con il cenno esplicito alla purezza si differenzia nettamente dalle pratiche di ambiente e le contrasta.
La lotta e la vittoria contro il diavolo (tentazioni di ordine sessuale?) stanno al centro di 1 Gv2,13-14 (v. pure Tt 2,6-8). L’invito alla lotta con una forte carica di incoraggiamento sono propri di un discorso ai giovani. Ma è pure detto che è una vittoria che proviene dalla Parola di Dio che agisce nel giovane cristiano (v. 14).
In Tt 2,6s appare una catechesi sagacemente intesa secondo classi diverse, tra cui i giovani. Ad essi Tito raccomanda di essere riservati (sofroneln), tipica qualità morale della paideia greca, di cui Tito stesso deve farsi modello. Ma, come appare dal v. 10, tale ascesi ha bisogno della grazia che modera una natura vivace, passionale (cf 2 Tm 2,22).
4. Conclusione
Tirando le somme si può dire che all’epoca del NT è consentito constatare ben poche attrezzature di annuncio e di cura pastorale verso la gioventù. Rimane da richiamarsi a quella che possiamo definire pastorale di contesto in cui certamente anche i minori furono coinvolti. È difficile respingere un’affermazione globale come questa del già citato W. Jentsch: «La compattezza dell’oikos cristiano, la partecipazione alla liturgia cristiana, il vedere e l’ascoltare quanto era riguardante la dottrina cristiana, il canto corale degli inni, la preghiera comune, tutto questo era occasione che aiutava il giovane cristiano a progredire nell’evangelo dei padri. Non possiamo dimostrare ciò in dettaglio, ma tutto parla a favore di questo indirizzo».
In sintesi e in termini più universali, l’appellarsi alla paideia del Kyrios incorporando i giovani nella vita della comunità attraverso la vita con e nella comunità deve essere considerata come l’intenzione fondamentale ed insieme la prassi pedagogico religiosa del periodo del NT. Il che per una pastorale giovanile esplicita ed articolata che sarà dei tempi posteriori rimane una eredità ed insieme una consegna indiscutibile e permanente.