MONDO

MONDO

Mario Pollo

 

1. Le radici del significato di mondo nella tradizione filosofica

1.1. Il mondo come totalità ordinata

1.2. Il mondo come totalità assoluta

1.3. Il mondo come totalità di campo

2. Le radici del significato di mondo nella tradizione giudaico cristiana

2.1. Il mondo nell’Antico Testamento

2.2. Il mondo nel Nuovo Testamento

3. Il mondo come luogo della possibilità dell’essere umano e come evento dell’educazione

3.1. La soggettività del mondo

3.2. Il mondo dell’educazione

3.3. Il mondo della pastorale giovanile

4. Il mondo della vita al di là del sacro e del profano

4.1. La cultura, il linguaggio e la comunicazione come espressione del mondo come possibilità

4.2. L’educabilità del mondo

4.3. Il mondo come progetto politico

5. Conclusione

 

Nella lingua corrente il significato di mondo è sia quello che indica l’entità geografico-astronomica di massima ampiezza che fa da sfondo alla vicenda umana, sia le unità geografico-astronomiche, storiche, sociali, culturali che hanno un carattere di totalità, di individualità e di autonomia. Si dice infatti: mondo terrestre, mondo romano, mondo nuovo, mondo operaio, mondo dell’arte, mondo dello spirito e mondo del peccato, ecc. Tuttavia le definizioni dei dizionari non rendono, se non per un pallido riflesso, l’intera area di significato della parola mondo quale è radicato nella cultura occidentale.

Infatti il significato della parola «mondo» è, oltre che complesso anche ambiguo e, perciò, ricco di possibilità espressive. Non a caso le diverse espressioni della parola mondo hanno contrassegnato nella storia del pensiero umano posizioni filosofiche, teologiche o semplicemente religiose ed esistenziali alquanto distanti tra di loro. Per alcuni versi questa parola è una sorta di indicatore del modo di porsi dell’uomo nei confronti della sua esistenza nello spazio e nel tempo. Per altri versi la parola mondo indica una particolare dimensione della esperienza di sé e della realtà dell’essere umano. Anche se questa disomogeneità e complessità dei significati addensati nella parola mondo non rende possibile il darne conto in modo esauriente in questa voce, è possibile, tuttavia, identificare alcuni significati della parola mondo, che sono talmente generali da poter essere considerati, di fatto, la sorgente di tutti gli altri significati di mondo in uso nella cultura sociale attuale.

Il primo di questi significati generali proviene dalla cultura greca e lo si ritrova alla origine della riflessione filosofica.

 

1. Le radici del significato di mondo nella tradizione filosofica

 

1.1. Il mondo come totalità ordinata

Il pensiero greco sin dalla sua fase mitica aveva posto in evidenza, elaborando il concetto di mondo, che tutto ciò che esiste — dèi, uomini, cielo e terra — è governato da un ordine universale. I greci avevano scoperto che è questo ordine universale ciò che rende l’insieme di tutte le cose esistenti una unità e, cioè, mondo. Affascinati da questa scoperta intellettuale avevano spinto la loro riflessione sino ad affermare che l’ordine universale è il mondo e che la sua assenza, ovvero il disordine anarchico, avrebbe impedito resistenza del mondo distruggendolo.

Per il greco classico il mondo è, quindi, un tutto in cui le singole parti che Io formano stanno in un rapporto armonico tra di loro disegnato dall’ordine universale. È questo il motivo per cui la radice etimologica della parola mondo che proviene dal mondo della classicità greca propone la definizione di mondo come quella di una totalità ordinata. In Platone l’ordine universale è costituito da un insieme di valori tra i quali si segnalano in modo particolare quelli dell’amicizia e della comunione, del rispetto dell’ordine, della temperanza e della giustizia. L’ordine universale secondo Platone appare, quindi, come l’insieme delle forze che spingono dèi, uomini, cielo e terra a vivere in un rapporto di reciproca armonia e di unità.

Questa concezione arriva al suo pieno compimento nel pensiero di Aristotele che condividendo il concetto di mondo come ordine universale afferma anche che questo ordine è immutabile. Le parti che formano il mondo possono anche cambiare senza che per questo si modifichi l’ordine universale e, quindi, il mondo. Il mondo è immutabile non perché non si modifichino le realtà che lo formano ma perché è immutabile l’ordine che tesse queste realtà nell’unità del mondo. La ricerca del significato del mondo nel pensiero greco classico esplora i confini della conciliazione della mutabilità e della precarietà delle cose esistenti con la stabilità e l’immutabilità, che viene intuita o sperata al di là del movimento dell’apparire e dello scomparire delle stesse cose nel fiume del divenire. Questa necessità di accogliere, osservare e controllare il mutamento pur non rinunciando al sogno dell’immutabilità dell’ordine universale ha forse indotto i greci a distinguere tra universo e mondo. L’universo, infatti, era da loro inteso come il semplice insieme delle cose esistenti mentre il mondo era concepito come l’insieme di tutte le cose esistenti portato ad unità dall’ordine universale immutabile.

Da notare, infine, che il pensiero greco fa appartenere al mondo le stesse divinità, ma su questo aspetto si tornerà più avanti.

La concezione greca del mondo come totalità ordinata, ovvero come ordine universale, si va con il tempo indebolendo in quanto il concetto di ordine abbandona quello di mondo per unirsi a quello di natura. Questa separazione del concetto di totalità da quello di ordine fa sì che nel pensiero moderno il concetto di mondo si vada identificando progressivamente con quello di universo trasformandosi da totalità ordinata in totalità assoluta.

 

1.2. Il mondo come totalità assoluta

Nel XVII secolo ad opera principalmente di Leibniz il concetto di mondo diventa coincidente con quello di universo, anzi il mondo diviene l’universo. Tutte le cose esistenti formano secondo Leibniz un unico mondo, un unico universo. Non possono esitere secondo questa concezione più mondi, o più universi, ma un solo mondo, o un solo universo. Ogni mondo particolare va ascritto sempre e solo all’unico mondo. Tutte le realtà che sono esistite, non importa se in tempi ed in luoghi differenti, vanno ascritte sempre ad un unico mondo. È per questo motivo che la definizione che proviene da questa radice del pensiero filosofico è quella di mondo come totalità assoluta. Questo mondo coincide con l’universo considerato lungo tutta la sua storia passata e futura. Utilizzando una categoria contemporanea si può dire che il mondo-universo leibniziano è, in definitiva, costituito dallo spazio-tempo e dagli accadimenti passati, presenti e futuri che si manifestano al suo interno. Questa concezione fu portata alle sue estreme conseguenze da Cristiano Wolf nel suo lavoro di sistematizzazione e di interpretazione del pensiero di Leibniz.

Questo concetto di mondo fu sottoposto ad una serrata critica da parte di Kant che propose, per superare le contraddizioni a cui esso dà origine, di considerare il concetto di mondo come una sorta di regola di conoscenza empirica, di considerarlo, cioè, come un principio regolativo della ragione. Con altre parole questo significa che l’unico mondo di cui si può parlare è per Kant quello osservabile empiricamente e, cioè, il mondo naturale. È chiaro che la critica di Kant mette in crisi il concetto di mondo come totalità assoluta e apre la riflessione filosofica alla concezione contemporanea del mondo come totalità di campo.

 

1.3. Il mondo come totalità di campo

L’osservazione empirica del mondo avviene sempre all’interno di un ambito particolare di concetti, di metodi, di scopi e di interessi che definiscono il campo di indagine, o di semplice riflessione, al cui interno l’osservazione del mondo si colloca. Questo significa che quando si osserva il mondo lo si fa partendo da un certo sistema di pensiero, utilizzando un certo metodo e per raggiungere un determinato scopo. Tutte queste attività umane, unitamente alle relazioni che esse consentono di stabilire all’interno di una certa sfera della vita umana, costituiscono una totalità di campo.

11 mondo dell’arte, il mondo della finanza e il mondo della scienza, sono esempi di totalità di campo.

Se il mondo non è che la totalità di un campo di indagine e di attività umana risulta abbastanza evidente che la sua esistenza dipende interamente dalla persona che lo organizza e costituisce.

Il mondo della fisica esiste solo se esistono dei fisici che osservano la realtà utilizzando determinati concetti e particolari strumenti di indagine. Senza i fisici il mondo della fisica non può esistere.

All’interno di questa concezione del mondo come totalità di campo può essere collocata la concezione del mondo di Heidegger. Per questo pensatore, che tanto ha influito sul pensiero contemporaneo, il mondo è un campo costituito dalle relazioni dell’uomo con le cose e con gli altri uomini.

Heidegger sostiene, infatti, che il mondo non è né la totalità delle cose naturali, né la comunità degli uomini. Il problema del mondo esteriore è per lui un falso problema in quanto l’uomo non può che pensarsi come appartenente al mondo e, quindi, in relazione con il mondo. È attraverso, appunto, le sue relazioni con il mondo che l’essere umano ricerca la realizzazione delle sue possibilità.

Il mondo si dice tutto dentro le relazioni che l’individuo stabilisce con gli altri uomini, con la realtà naturale e che gli consentono di realizzare le proprie potenzialità umane. La trama, o campo, di queste relazioni è il mondo. Le trasformazioni del concetto di mondo all’interno del pensiero occidentale, così come ce le ha consegnate la riflessione filosofica, non esauriscono l’articolazione dei significati della parola «mondo» che si riverberano nella lingua contemporanea. Accanto alle radici greche occorre prendere in considerazione quelle che provengono dalla memoria della tradizione giudaico-cristiana.

 

2. Le radici del significato di mondo nella tradizione giudaico-cristiana

 

2.1. II mondo nell'Antico Testamento

Nella Bibbia non esiste alcuna parola che corrisponda a quella greca di «Kosmos» o a quella latina di «mundus» e che abbia nel suo significato l’idea di una totalità che abbracci tutto l’universo. L’unica parola ebraica traducibile come mondo — tebel — che compare in Geremia (51,15) ha una area di significato che ne limita l’applicazione al solo mondo terrestre. Solitamente per indicare l’universo la lingua ebraica utilizza l’espressione «cielo e terra» o, più raramente, quella di «tutto». Mentre il significato di mondo che proviene dal pensiero greco, come si è visto, è assimilabile a quello di totalità perché contiene anche la, o le, divinità, quello ebraico rifiuta questa totalizzazione in quanto i «cieli e la terra» sono creati da Dio, che è Altro da essi. Dio non è immanente al mondo. Proprio per il suo carattere di creatura il mondo, così come l’uomo che lo abita, è pensabile solo in rapporto con Dio. Il mondo viene da Dio e va verso Dio. Il mondo manifesta lo scaturire della potenza di Dio nel tempo. Il mondo è nella storia che è cominciata con la creazione e che terminerà con la salvezza escatologica. Il mondo è il luogo in cui si svolge il rappòrto dell’uomo con Dio. L’unità del mondo e dell’uomo nasce dalla loro comune condizione di essere stati creati da Dio anzi dal fatto che il mondo è stato creato da Dio per l’uomo. Questa solidarietà tra l’uomo ed il mondo, che gli è soggetto, si rivela anche nella narrazione del peccato originale. Infatti a seguito del peccato dell’uomo la terra​​ —​​ il suolo — viene maledetta. Il peccato, e perciò la morte, entra nel mondo attraverso l’uomo. L’opposizione tra Dio ed il mondo passa attraverso il peccato dell’uomo.

 

2.2. Il mondo nel Nuovo Testamento

Anche se nel testo del Nuovo Testamento compare con una certa frequenza la parola «kosmos» questa non ha mai il significato greco ma bensì quello giudaico. Il legame con la tradizione veterotestamentaria è evidenziato anche dal rilievo che, ad esempio, san Paolo dà al rapporto tra l’uomo ed il mondo. Infatti anche in san Paolo il mondo è concepito come l’ambiente che l’uomo abita ed in cui trova le condizioni e le possibilità del suo esistere nello spazio e nel tempo. L’opposizione veterotestamentaria Dio-mondo trova nel Nuovo Testamento la sua conclusione nella crocifissione di Gesù. In questo evento, infatti, si manifesta sia la radicale opposizione delle potenze del peccato a Dio, sia la loro fine e, quindi, la riconciliazione di Dio con il mondo.

Nel Nuovo Testamento vi è poi una ulteriore novità rispetto all’AT in quanto il concetto di mondo tende a strutturarsi intorno a quello di uomo. In san Paolo, ad esempio, è sottolineata la funzione di ambiente che il mondo svolge nei riguardi dell’uomo. Questa concezione può essere detta antropologica in quanto il mondo è prevalentemente, anche se non esclusivamente, costituito dalle azioni dell’uomo, dalle sue relazioni, dalla realtà che descrive e che organizza, dalle possibilità e dalle costrizioni che la sua vita incontra. Dire tuttavia che il mondo è il luogo dell’uomo non significa affatto affermare che il mondo contiene solo possibilità positive per l’uomo perché il peccato è ancora presente e può ridurre l’uomo in schiavitù, sottraendolo alla libertà radicale a cui l’evento salvifico di Cristo gli ha dato accesso. Altre letture del significato della parola «mondo» che partono sempre dal Nuovo Testamento tendono a mettere in rilievo l’estraneità profonda che esiste tra l’uomo ed il mondo sino a decretare la solitudine dell’uomo nel mondo. Tuttavia la maggior parte delle interpretazioni tendono a sottolineare sia il carattere di possibilità positiva, sia quello di possibilità negativa che sono insiti nel rapporto dell’uomo con il mondo, e propongono, quindi, un significato complesso, e ambiguo, della parola.

Infatti in alcuni casi la parola «mondo» indica le realtà fisiche, le strutture culturali e sociali che offrono all’uomo la possibilità della sua esistenza, oltre che indicare, naturalmente, il luogo dello spazio-tempo in cui si svolge la storia della sua salvezza. In altri casi, invece, la stessa parola indica l’insieme delle persone e delle strutture culturali e sociali e delle potenze che si oppongono a Dio. Questa ambiguità del significato della parola mondo fa si che esso si fletta verso toni negativi o positivi a seconda della particolare posizione culturale, filosofica e teologica di chi la utilizza.

 

3. Il mondo come luogo della possibilità dell’essere umano e come evento dell’educazione

Dalla breve analisi delle sue radici concettuali e linguistiche si evince che il mondo può essere anche considerato come l’insieme delle possibilità in cui è inscritta la vita umana individuale e collettiva. 11 mondo può essere legittimamente pensato come la casa della storia umana; come una casa però che non è solo un contenitore o un riparo, ma che è anche il luogo che offre all’uomo sia gli strumenti attraverso cui egli può costruire sé stesso e la propria vita, sia gli strumenti con i quali egli può distruggere sé stesso e la propria vita. Senza mondo l’uomo non è pensabile. D’altronde lo stesso racconto biblico della creazione narra che Dio ha creato l’uomo il sesto giorno; che lo ha creato, quindi, solo dopo aver completato i cieli e la terra e tutte le cose animate ed inanimate che la popolano. Dopo averlo creato Dio offre all’uomo il governo ed il dominio degli uccelli del cielo, dei pesci del mare, degli animali che si muovono sulla terra, delle piante e degli alberi. 11 racconto della genesi indica poi nel lavoro lo strumento principale che Dio ha dato all’uomo, sin dal tempo del giardino di Eden, per governare il mondo. L’uomo nel racconto biblico della creazione è concepito all’interno di un rapporto solidale con il mondo. Dove il mondo è inteso come il luogo dello spazio tempo in cui l’uomo trova tutte le possibilità necessarie alla sua esistenza.

Il rapporto solidale dell’uomo con il mondo non viene meno anche quando questi, in conseguenza del peccato originale, è cacciato dal giardino di Eden. Ciò che si modifica invece, dopo la cacciata dal paradiso terrestre, è la qualità del rapporto dell’uomo con il mondo. Infatti il rapporto da collaborativo ed armonico diviene conflittuale e doloroso attraverso l’esperienza della fatica e della finitudine. In più si può dire che è solo dopo l’uscita dell’uomo dal giardino di Eden che il mondo, forse proprio in conseguenza della maledizione che la terra ha ricevuto a causa del peccato dell’uomo, rivela il suo carattere di ambiguità dovuto, come si è visto al suo essere, simultaneamente, fonte di possibilità per la vita umana sia positive che negative. Ed è per questo che la redenzione del destino umano attraverso l’evento salvifico dell’incarnazione di Gesù avviene all’interno del mondo. Infatti Gesù nasce, opera, muore e risorge in un luogo ed in un tempo ben preciso del mondo, rendendo in questo modo la storia il luogo possibile della salvezza umana. L’evento salvifico di Gesù consente di affermare con ancora maggiore forza che la realizzazione del destino umano avviene nel mondo ed in virtù del mondo. Anche se il mondo non ha ancora perduto la sua radicale ambiguità.

Questa osservazione è estremamente importante per la riflessione di tipo educativo. Infatti educare significa rendere disponibili per la vita del giovane le possibilità del mondo. L’offerta alle possibilità di realizzazione che fa l’educazione non è però casuale e occasionale, ma frutto di scelte consapevoli, organizzate attraverso il sapere sociale in un insieme di attività metodiche e sistematiche. Questo significa che l’educazione si pone come una sorta di filtro tra le nuove generazioni ed il mondo. Filtro che seleziona tra tutte le possibilità offerte dal mondo quelle ritenute positive ed utili alla formazione della persona umana.

L’educazione è quindi l’evento che permette all’essere umano di accedere a quelle energie, a quelle informazioni, a quei sentimenti ed a quelle relazioni che gli consentono di realizzarsi come persona nel mondo e, nello stesso tempo, gli consentono di tutelarsi dagli agguati della distruttività che, purtroppo, ancora alligna nel mondo.

Educare significa allora consentire alla persona di governare le relazioni attraverso cui è in contatto con il mondo e, quindi, con sé stessa.

 

3.1. La soggettività del mondo

Al di là di tutte le definizioni vi è la constatazione, empiricamente verificabile, che il mondo non si rivela all’individuo nella sua assoluta oggettività, ma solo attraverso la mediazione dei rapporti che quella particolare persona ha con ciò che costituisce il mondo. Ogni persona abita un proprio mondo. Se, come si è visto, questo mondo personale è disegnato dalle relazioni che l’individuo è in grado di stabilire, si può affermare che il mondo dal versante della soggettività individuale non è che la trama delle relazioni che lo stesso individuo stabilisce con sé stesso, con gli altri e con la realtà naturale e culturale in generale.

Tuttavia, al di là delle particolarità soggettive, gli abitanti di una identica culturale hanno un modo comune di vedere e di pensare al mondo. Questo significa che le relazioni individuali hanno un denominatore comune sociale. Questo denominatore è costituito dall’espressione della cultura, attraverso i linguaggi umani, nei rapporti di comunicazione interpersonali. È noto che la comunicazione è un fatto complesso che non è riducibile al semplice scambio delle informazioni, in quanto in essa gioca anche la dimensione affettiva conscia ed inconscia, oltre naturalmente alTorientamento esistenziale di fondo delle persone, che, come è noto colora le informazioni ed i sentimenti che entrano in gioco nella comunicazione di una particolare dimensione della luce del significato.

 

3.2. Il mondo dell’educazione

Educare significa, allora, aiutare le giovani generazioni a tessere una trama di relazioni e, quindi, a utilizzare i linguaggi della cultura che abitano, a vivere l’affettività all’interno di rapporti interpersonali autentici e, infine, ad elaborare un personale orientamento esistenziale di fondo in grado di unificare tutte le relazioni in un mondo.

Il mondo può essere considerato sia come la fonte della possibilità dell’educazione, sia come il suo risultato. Questo paradosso è solo apparente. Infatti la costituzione del mondo, cioè di un insieme ordinato, coerente e dotato di significato, di relazioni è la premessa senza la quale non può avvenire alcun processo educativo, il cui fine, come è noto, è quello di aiutare le nuove generazioni ad esprimere, ad ordinare, a dare un senso ed uno scopo costruttivo, attraverso un insieme di relazioni, al loro desiderio di vita.

Come si vede il significato di mondo riferito all’educazione è più ristretto di quello generale di totalità perché tende, tra tutti i mondi possibili, a selezionare quello, che dal punto di vista di una particolare concezione educativa, viene ritenuto congruente al progetto d’uomo che questa propone. Il mondo dell’educazione è un mondo non ambiguo perché tenta, a volte con scarso successo, di eliminare dall’esperienza di costruzione dell’uomo quelle possibilità che vengono ritenute distruttive o perlomeno inefficaci ed inconcludenti. Educare il giovane significa, da questo punto di vista, metterlo nella condizione di costruirsi il proprio mondo a misura del progetto di sé e di vita che ha scelto. Il mondo è da questo punto di vista il risultato dell’educazione. Allo stesso modo se l’educatore non ha egli stesso costruito il mondo, da cui muovere con la propria intenzionalità educativa, non può avviare nessun processo di costruzione di mondo con i giovani. Il paradosso è, quindi, una mera apparenza. Il mondo, inteso come insieme delle relazioni che consentono al giovane di pensare e di realizzare il proprio personale progetto di sé, è la possibilità stessa dell’educazione.

Il mondo che offre questa possibilità all’educazione non è però una pura totalità, ma bensì una totalità ordinata. Dove l’ordinamento non è che la selezione di un insieme coerente e positivo di possibilità per la vita umana. In questo senso l’educazione riunisce alla concezione moderna di mondo come totalità di campo e alla concezione biblica di mondo come l’insieme delle possibilità, ambigue dopo la comparsa del peccato ma riaperte alla speranza dopo l’incarnazione di Gesù, offerte da Dio alla vita dell’uomo, anche quello greco classico di ordine.

 

3.3. Il mondo della pastorale giovanile

Alla voce «Pastorale giovanile» Tonelli definisce la pastorale giovanile come «l’insieme delle azioni che la comunità ecclesiale, animata dallo Spirito Santo, realizza con e per i giovani, per attuare in essi il progetto della salvezza di Dio, in riferimento alle loro concrete situazioni di vita». Il mondo di partenza da cui muove, attraverso l’educazione in stile di animazione, l’azione della pastorale giovanile è quello costituito dalla trama dei rapporti di comunicazione che costituisce la realtà ed il mistero della comunità ecclesiale. Il mondo a cui tende l’azione della pastorale giovanile è quello che nasce dalla selezione delle possibilità concrete offerte dallo spazio tempo umano: quelle che l’evento dell’incarnazione di Gesù ha reso vie di salvezza. Questo al fine di consentire al giovane di esprimere concretamente nella sua vita quotidiana il dono della Fede di cui è portatore. Il mondo della pastorale giovanile, pur essendo diverso da quello dell’educazione, contiene in gran parte quest’ultimo. Questo perché l’appartenenza della persona al mondo della comunità ecclesiale passa anche attraverso la sua appartenenza ad un particolare mondo dell’uomo. L’orizzonte della Fede richiede, infatti, anche delle precise scelte antropologiche e delle precise scelte circa il modo di vivere le relazioni con gli altri uomini, sia a livello dei rapporti personali sia a livello dei rapporti formali che si sviluppano all’interno del sistema sociale. Il mondo dell’educazione, nello stile dell’animazione, ed il mondo della pastorale giovanile si intersecano perciò per ampie aree pur non coincidendo. Si può dire che senza il mondo dell’educazione la costruzione del mondo della pastorale giovanile si rivelerebbe impossibile o, perlomeno, alquanto ardua.

Fare pastorale giovanile, di fatto, significa aiutare i giovani a costruire un mondo, personale e sociale, che sia ricco di possibilità di vivere la fedeltà all’amore di Dio manifestato nella storia di salvezza della vita di Gesù.

Ma questo mondo è possibile costruirlo oggi all’interno del mondo dove si svolge la vita dei giovani o deve essere costruito altrove, come una sorta di radicale alternativa alla vita quotidiana? È possibile stando all’interno del mondo della vita quotidiana selezionare quelle possibilità che consentono al giovane di vivere una esperienza di autocostruzione segnata dalla profonda coerenza tra fede e vita? Queste domande in fondo chiedono se il mondo, con le sue ambiguità e le cicatrici del peccato, è redimibile o, perlomeno, se in esso possa essere ospitata una vita segnata dall’amore. Chiedono anche se esiste un mondo sacro distinto da un mondo profano, oppure se il mondo è unico, per cui la sua sacralità o la sua profanità derivano solo dal modo di vivere dell’uomo dentro di esso.

A seconda delle risposte che vengono date a queste domande sul mondo nascono differenti modelli di pastorale giovanile, così come nascono differenti modelli di educazione. La concezione di mondo che sin qui si è sviluppata tende a dire che nonostante la sua ambiguità, per la presenza in esso del peccato, il mondo può essere, in virtù dell’evento dell’incarnazione, la fonte di possibilità positive di realizzazione umana e cristiana.

È chiaro che affinché questa risposta non sia illusoria è necessario partire dal presupposto che il mondo come totalità, ovvero come insieme di tutte le possibilità non ancora selezionate ed ordinate, non offre spontaneamente e durevolmente le possibilità positive alla realizzazione umana. Esse sono il frutto di un «lavoro» svolto attraverso la costruzione di una cultura, di un linguaggio e di modelli comunicativi idonei. È necessario dire poi che questo lavoro è sempre precario in quanto si svolge al bordo dell’insuccesso e del fallimento a causa della sua ineliminabile finitudine.

 

4. Il mondo della vita al di là del sacro e del profano

Il processo di secolarizzazione, inteso dal suo versante positivo di processo di purificazione dell’esperienza religiosa da tutte le incrostazioni mitiche, ha reso più evidente la non esistenza nella concezione cristiana di due mondi distinti coesistenti: il mondo sacro ed il mondo profano. Il mondo in cui abita e vive il cristiano è un mondo che è sacro e profano nello stesso tempo. Vivere religiosamente per il cristiano non significa fuggire da questo mondo per entrare in un non ben precisato «mondo delle origini», nel mondo cioè che esisteva prima che l’uomo emergesse alla storia o, addirittura, prima che egli fosse creato e che è il mondo incontaminato della perfezione. Per il cristiano l’esperienza religiosa, anche quando celebra il rito, è la riattualizzazione di un evento storico — il sacrificio di Gesù — che deve fornire al credente la grazia necessaria al suo cammino di redenzione e di amore nella storia quotidiana che abita. Il rito cristiano non porta l’uomo fuori dal tempo ma gli fa vivere più autenticamente il suo essere nel tempo. Il cristiano ama, nonostante la finitudine del peccato, i cieli e la terra che abita. Il cristiano ama, nonostante la finitudine della morte, il tempo che tesse la sua storia. Il cristiano chiede a Dio non di essere separato dalla comunità degli altri uomini ma il dono di amarli autenticamente. Il cristiano, infine, chiede a Dio non di essere potente ma di trasformare la sua debolezza in santità.

Questo significa che per il cristiano ogni tempo della sua vita è sacro e che ogni luogo è santo se i tempi ed i luoghi sono illuminati dallo sguardo d’amore della Fede.

Questa concezione esprime la consapevolezza profonda che ciò che rende sacro un tempo ed uno spazio non sono delle qualità astratte ma la manifestazione, attraverso l’amore, della Fede. Allo stesso modo, ciò che rende profano il tempo e lo spazio non è il suo essere soggetto alla caducità della storia, ma la presenza in esso del peccato e del rifiuto da parte dell’uomo di riconoscere la propria finitudine e la propria figliolanza divina.

Il mondo del cristiano non è perciò né un luogo sacro né un luogo profano, almeno secondo le definizioni che gli storici delle religioni attribuiscono a questi due termini, ma il luogo dell’espressione delle possibilità di realizzazione umana offerte dall’amore, concretamente manifestato.

 

4.1. La cultura, il linguaggio e la comunicazione come espressione del mondo come possibilità

Se per il cristiano ogni tempo è sacro ed ogni luogo è santificabile, questo significa che ogni cultura umana può ospitare la salvezza resa disponibile dalla buona notizia dell’incarnazione, del sacrificio e della risurrezione di nostro Signore Gesù il Cristo. Allo stesso modo occorre essere consapevoli che ogni cultura umana può ospitare l’abisso della distruttività. Chiarezza vuole anche che si dica che in alcune culture umane è più facile che in altre percorrere il cammino della salvezza o, più semplicemente, cercare di seguire un percorso di realizzazione umana più maturo ed evoluto. Nessuna cultura umana può però impedire l’aprirsi dell’individuo alla salvezza. Non è necessario infatti cambiare prima la cultura sociale per poter proporre la «buona notizia». Saranno gli stessi uomini che hanno accolto la buona notizia che con la loro vita contribuiranno a cambiare la cultura sociale rendendola un luogo più ospitale per il progetto di redenzione della condizione umana.

Ogni cultura umana, infatti, è un organismo vivente che evolve o regredisce nel tempo secondo una sua particolare storia. Ogni cultura è modificata, in senso positivo o negativo, dalla vita delle persone che la abitano. Ogni cultura umana risponde, in modo più o meno adeguato, ai bisogni di sopravvivenza materiale e spirituale dei suoi membri. La diversità delle culture non significa che qualcuna sia inferiore e che qualcun’altra sia superiore, ma solo che ognuna di esse propone percorsi diversi di realizzazione umana e modi differenti di concepire la vita e le relazioni tra le persone che formano la società.

La cultura sociale e, quindi, gli atti comunicativi che la esprimono concretamente nello spazio e nel tempo è di fatto la grammatica attraverso cui ogni persona e ogni società costruisce il proprio mondo. Infatti è la cultura attraverso i processi comunicativi che privilegia, tra l’insieme totale delle relazioni che le persone di un dato gruppo sociale potrebbero stabilire con sé stesse, con gli altri e con la realtà naturale e spirituale, un insieme coerente e particolare di relazioni che produrranno il mondo tipico di quella società.

Se si accetta questo modo di concepire il rapporto tra cultura e mondo si deve necessariamente accettare l’affermazione che le possibilità che costruiscono il mondo dell’uomo sono generate dalla cultura sociale e dai linguaggi che questa possiede. Forzando un po’ questo concetto si può dire che il mondo dell’uomo è il suo linguaggio, dove il termine linguaggio sta ad indicare la facoltà umana, e cioè la capacità umana di produrre linguaggi, e non un linguaggio particolare. È il linguaggio che fornisce all’uomo la disponibilità delle potenzialità positive e negative del mondo. Lo stesso mondo materiale è indisponibile senza la mediazione del linguaggio organizzata dalla cultura sociale. La natura non dà all’uomo nessuna possibilità se essa non è Ietta ed organizzata culturalmente da uno o più linguaggi. D’altronde lo stesso antico testamento narra che Dio dona all’uomo la signoria sul creato facendogli dare un nome agli animali della campagna ed agli uccelli del cielo che Egli aveva creato. L’azione di dare forma linguistica alle realtà della creazione è quella che consente all’uomo di utilizzare i doni, aut potenzialità, di cui la stessa creazione è portatrice.

La cultura ed il linguaggio che la esprime attraverso la comunicazione sono la possibilità che il mondo offre, in modo ancora ambiguo, alla realizzazione della persona umana. Questo significa, tra le innumerevoli altri cose, che il mondo è educabile.

4.2. L’educabilità del mondo

Il mondo non è una realtà in cui deterministicamente l’uomo viene immerso, senza alcuna possibilità di esercitare la libera scelta del proprio destino. Il mondo è una realtà costringente che può però essere significativamente modificata dall’educazione. Infatti quando l’educazione inserisce valori e modelli di libertà nella cultura e nel linguaggio del giovane, offre a questi un mondo abitato dalla libertà. In altre parole dà al giovane la possibilità di scegliere il suo farsi uomo, magari secondo un progetto che può anche essere difforme da quelli dominanti in quella realtà sociale. L’educazione può aiutare le giovani generazioni a costruirsi un mondo più ricco di possibilità di quelle offerte dalla cultura della società. La pastorale giovanile gioca sé stessa all’interno di questa educabilità del mondo, di questa possibilità di aprire ogni cultura umana al disegno della salvezza donato dall’incarnazione. Tuttavia aprire la cultura così come l’educarla, non significa negare quella particolare cultura ma, semplicemente, il valorizzare in quella cultura i segni della speranza mentre si neutralizzano quelli della disperazione.

L’evento dell’incarnazione indica l’educabilità di ogni cultura, la possibilità, cioè, di far balenare da ogni cultura umana i segni della speranza e della redenzione. Non significa affatto l’abolizione delle differenze culturali o la loro omologazione.

Di fatto significa accettare la realtà del mondo sapendo che dalla sua ambiguità può fiorire la redenzione della condizione umana. Il mondo, come prodotto della grammatica cultura-comunicazione, è aperto alla speranza solo se in esso viene giocata la scommessa dell’educazione e solo se la comunità ecclesiale sa offrire alle nuove generazioni una vita, nel mondo, segnata da una cultura già in cammino verso la redenzione anche se non ancora salvata. Questo vissuto ecclesiale, arricchito dall’educazione nello stile dell’animazione, è il mondo ovvero la possibilità del giovane di progettare e di fare concretamente sé stesso nel segno dell’amore. È in altre parole pastorale giovanile.

Si può cambiare il mondo attraverso la combinazione dell’amore della comunità ecclesiale manifestato nella storia, e perciò nel quotidiano, con l’impegno dell’educazione. L’uomo deve fuggire il mondo della cultura in cui l’ambiguità non viene risolta e, quindi, la distruttività del peccato mantiene inalterato il suo potere, ma non deve fuggire la lotta per portare i segni della redenzione sin nelle più intime strutture del mondo. L’animazione e la pastorale giovanile hanno accettato questa scommessa perché la povertà del sapere umano che queste discipline esprimono è salvata dalla Fede nell’evento dell’Incarnazione.

Questo significa che anche il mondo contemporaneo dell’occidente industrializzato, che sembra negare radicalmente ai giovani la possibilità di realizzare un progetto d’uomo che esprima in sé il segno dell’umanità nuova generata dalla croce di Gesù, può essere il luogo dove le nuove generazioni si aprono al disegno della salvezza, a condizione però che la comunità ecclesiale sappia capire questo mondo ed offrire ad esso la propria vita rinnovata ed il proprio lavoro educativo. Nessun mondo, salvo quello pagano-panteista, è un assoluto e quindi ogni mondo ha, solitamente, in equa misura sia le possibilità della realizzazione cristiana sia quelle della distruttività del peccato.

 

4.3. Il mondo come progetto politico

L’educabilità del mondo non si esaurisce tuttavia all’interno di progetti educativi e-o pastorali. Infatti la cultura, i linguaggi e di conseguenza il mondo sono realtà eminentemente sociali. Lo strumento principe che l’uomo possiede per prendersi cura della casa comune è la politica. Il mondo come insieme di relazioni è tessuto perciò anche dall’azione politica che, nonostante le sue degenerazioni, è un fatto etico, essendo l’esercizio di una responsabilità che trascende l’utilità individuale per porsi a servizio dei bisogni degli altri che ricomprendono ad un livello più alto anche i propri.

Il mondo tessuto dalla politica, anche quando questa è il frutto di un machiavellico calcolo del potere, è un mondo la cui filigrana è fatta di valori, o magari dal loro doppio ambiguo: i disvalori. È la trama di questi valori cementati in un reticolo di potere che fissa la distribuzione delle possibilità di realizzazione umana tra gli abitanti della società, oltre che la gerarchia di prestigio e di valore delle stesse possibilità. La politica tesse la trama di ciò che ha valore all’interno dei rapporti tra le persone. Tesse ad esempio i rapporti tra le persone e la realtà attraverso l’economia ed i rapporti delle persone con sé stesse attraverso i modelli educativi.

La politica assieme alla cultura ed alla comunicazione è uno dei nomi parziali del mondo, uno dei nomi della possibilità di governo che l’uomo ha di sé stesso e della realtà che ha avuto in consegna da Dio. Come il mondo anche la politica è ambigua. Infatti anche essa è aperta alla distruttività quando manifesta solo la volontà, o il delirio, di potenza umana. Così come è aperta alla costruttività quando è esercizio di responsabilità verso gli altri attraverso la sua sottomissione ad un progetto etico.

La politica è mondo di possibilità positive per l’uomo quando mette al centro del proprio sistema di valori l’amore per l’altro.

Il mondo, come possibilità di realizzazione umana autentica, è perciò necessariamente un insieme di relazioni disegnate da un potere sottomesso all’amore (per l’altro). Il potere che ha al centro la solitudine dell’egoismo è negazione della possibilità di realizzazione umana autentica.

La politica, anche nelle situazioni migliori non è però mai uno di questi modi allo stato puro. Essa è sempre il frutto di una contaminazione tra questi due modi ed è perciò ancora radicalmente ambigua. Ma ambiguità non significa assenza di possibilità positive. La politica, come il mondo, è educabile.

 

5. Conclusione

Il concetto di mondo che la cultura odierna propone pur risentendo delle sue radici antiche si è aperto al relativo, costitutivo della sua ambiguità, della pluralità delle possibilità che esso offre alla condizione umana. Questa pluralità di possibilità, che è anche pluralità di mondi, non va però intesa come assenza di possibilità di verità, ma solo come assenza di una unica via culturale alla formazione di un uomo aperto alla speranza della salvezza. In questo mondo la verità deve essere ricercata più che come conoscenza come fedeltà al progetto d’amore che Dio ha manifestato nel mondo attraverso il suo Unigenito. In ogni mondo può esserci verità se c’è fedeltà e questo al di là di tutte le differenze culturali. E forse il mondo moderno ha qualche possibilità in più di molti mondi del passato di vivere la fedeltà a Dio attraverso l’amore per l’uomo e la sua vita.

 

Bibliografia

Cassirer E.,​​ Filosofia delle forme simboliche,​​ La Nuova Italia, Firenze 1961; Eraclito,​​ I​​ frammenti e le testimonianze,​​ Valla-Mondadori, Milano 1980; Heidegger M.,​​ Vom Wesen des Grundes,​​ Niemeyer, Halle 1929. Trad. It., Bocca, Milano 1952; Pollo M.,​​ Uomo, cultura e comunicazione,​​ Piemme, Casale Monferrato 1986.

image_pdfimage_print

Related Voci

image_pdfimage_print