METODO

 

METODO

1.​​ Nella​​ pedagogia​​ in generale​​ e anche nell’ambito della pedagogia religiosa si chiama M. un procedimento con il quale si intende influenzare in un determinato senso situazioni e processi di apprendimento. In senso ampio, sul​​ macro​​ livello, il M. comprende anche misure che scaturiscono dalle istituzioni, per es. la composizione di gruppi di apprendimento secondo l’età o secondo gli interessi, la determinazione dell’età della prima comunione o della confermazione, gli orientamenti contenuti in programmi, ecc. In senso stretto, sul​​ micro​​ livello, e nel linguaggio pedagogico corrente, si chiamano M. soltanto i procedimenti che servono per la strutturazione dell’insegnamento e dell’educazione. I M. vanno sempre considerati in riferimento ai mezzi corrispondenti, poiché ambedue si trovano in un rapporto di interdipendenza tra loro: i mezzi hanno l’influsso sulla strutturazione della situazione di apprendimento, e la strutturazione della situazione di apprendimento influisce sull’intervento dei mezzi.

2.​​ Sorge spesso il sospetto che l’interesse per​​ i​​ M. della pedagogia religiosa sia un tentativo di manipolare le persone e imbrigliare tecnicamente il libero dono di Dio all’uomo. Si perde però di vista che, nell’insegnamento e nell’educazione, diversamente da ciò che si verifica nella tecnica,​​ i​​ M. non producono mai meccanicamente e necessariamente un risultato. Essi non fanno altro che​​ facilitare​​ o favorire​​ un processo di apprendimento.​​ I M. vengono incontro a persone umane che in libertà e a seconda dello sviluppo e della disposizione hanno bisogno di determinati stimoli e percorsi, aiutandole a comprendere e a strutturare la loro vita alla luce della fede. In ultima analisi​​ i​​ M. invitano a un incontro, di cui il maestro Eckart in una predica su​​ Lc​​ 21,31 disse: “Dio è disponibile in ogni momento, noi invece siamo poco disponibili. Dio ci è “vicino”, noi invece gli siamo lontani; Dio è dentro di noi, noi invece siamo fuori”.

3.​​ I M. non sono mai fine a se stessi. Essi devono corrispondere ai temi o contenuti che vengono trattati e agli obiettivi che si vogliono raggiungere. Questo “primato della didattica (= determinazione di contenuti e fini) sui M.”, formulato negli anni ’50 e ’60 da E. Weniger e W. Klafki, è universalmente riconosciuto. I M. appropriati non si possono però dedurre semplicemente dalla determinazione degli obiettivi e dei contenuti. Piuttosto ambedue si trovano in un rapporto di interdipendenza e di reciproca implicazione tra loro (P. Heimann et al. 1966; H.​​ Blankertz​​ 1975). La scelta dei M. determina anche in che modo un contenuto e un obiettivo vengono elaborati e quindi concretamente determinati. In altre parole: un contenuto che si vuole trattare in vista di un determinato obiettivo, tradotto in un processo di apprendimento con l’aiuto di M., deve essere​​ trasformato​​ (H. Moser 1977; T. Schulze 1978).

È soprattutto importante domandarsi a quale punto gli allievi o partecipanti devono essere agganciati; da quali presupposti (conoscenze già presenti, esperienze, capacità e difficoltà di comprensione, interessi, mancanze) si può e si deve partire per raggiungere il risultato che si ha di mira. Tale trasformazione implica sempre anche una nuova determinazione del contenuto e dell’obiettivo. Con una specie di arte accompagnata da fantasia e da intuizione essa deve cercare possibili forme di strutturazione, che corrispondono non solo all’obiettivo ma anche al gruppo di apprendimento. Occorre ogni volta verificare se questo è il caso. Infatti non è possibile saperlo in anticipo con sicurezza partendo dalla determinazione dei contenuti e dei fini, né da ricerche empiriche sull’insegnamento. I condizionamenti di un processo di apprendimento sono infatti estremamente complessi e variabili. (Già la sola mancanza di un allievo interessato o benvoluto dagli altri, oppure la stanchezza dovuta a un lavoro di classe precedente possono cambiare fortemente la situazione). Perciò è straordinariamente importante che il singolo insegnante o animatore impari l’uso flessibile dei M. e sia in grado di​​ controllare sulla base di osservazioni personali prescientifiche la loro corrispondenza ed efficacia.

4.​​ Nel passato — almeno per ciò che riguarda la strutturazione dell’insegnamento — si tendeva occasionalmente verso un​​ monismo metodico-,​​ si credeva che tutti i contenuti (tematiche) dovessero essere insegnati e imparati secondo il medesimo “metodo universale”. In questo senso, nei primi tre decenni di questo secolo, il cosiddetto M. di → Monaco e di Vienna, rifacendosi alla teoria dei gradi formali di J. F. Herbart, T. Ziller, e W. Rein, richiedeva che tutti i temi cat. fossero trattati secondo tre momenti: 1) presentazione, 2) spiegazione, 3) applicazione. Si voleva in questo modo che una sola osservazione ed esperienza per volta venissero portate alla comprensione concettuale e approfondite in vista dell’agire. Analoghe pretese universali e monopolistiche venivano ricollegate con la “didattica dei progetti” e con 1’”insegnamento programmato”.

Non vi è dubbio che deve esserci un pluralismo di M. Infatti, le modalità dell’apprendimento nell’uomo sono molteplici. Del resto, i contenuti e gli obiettivi dell’educ. o dell’insegnamento religioso, e così pure i pre-

supposti didattici che i giovani delle diverse età e ambienti culturali portano con sé, sono talmente diversi che è indispensabile che i processi didattici siano diversificati su misura del destinatario. Di conseguenza l’operatore pratico, soprattutto colui che è alle prime armi, deve essere incoraggiato e aiutato ad ampliare il suo repertorio di M., a differenziarlo e ad applicarlo correttamente.

5.​​ Occorre pure distinguere e ordinare i M. secondo le possibilità di apprendimento che sono loro propri. È praticamente impossibile che un solo sistema possa comprendere tutti i punti di vista e ordinare tutto senza sovrapposizioni. Forse è ragionevole e pratica la seguente divisione (cf Grom 1982):

a)​​ Strutture fondamentali​​ dei processi didattici. Sono fondamentali nel senso che sono appropriate per temi e obiettivi molto diversi tra loro, e possono essere applicate sia nella fase iniziale che in quella centrale e in quella conclusiva. Fra queste figurano per es.: la spiegazione dell’insegnante, la narrazione, discorso articolato con domande-stimoli, lavoro su testi (foglio di lavoro con compiti), lavoro personale, lavoro a due, lavoro in piccoli gruppi.

b)​​ Strutture particolari.​​ Sono appropriate per determinati gruppi di temi e di obiettivi:​​ — Per fomentare la interazione​​ (→ metodi di gruppo).

— Per motivare​​ (soprattutto nella fase iniziale): l’interesse può essere stimolato​​ dall’esterno​​ (motivazione estrinseca, esteriore al problema in discussione) con un mezzo attraente (film, caricatura, song, diapositive) o una forma di lavoro molto gradita (gioco, quiz); oppure​​ dall’interno​​ (motivazione intrinseca) attraverso l’esempio di un caso, opinioni contrapposte, domande provocatrici ecc., capaci di far nascere la curiosità nei confronti del tema.

— Per rendere gli allievi consapevoli​​ delle esperienze e rappresentazioni che hanno già fatte circa un determinato tema, e così stimolarli verso una nuova riflessione. Questi procedimenti servono anche per la motivazione intrinseca, però conducono immediatamente dalla fase iniziale verso la fase centrale. Essi intendono preparare un chiarimento e una nuova comprensione, prendendo lo spunto dalle rappresentazioni e domande latenti, talvolta molto inadeguate e piene di vuoti, degli allievi.

A questo gruppo appartengono M. quali il raccogliere intuizioni (brainstorming), scelta di una fotografia (fotolinguaggio), formulazione di una metafora, completare una frase già iniziata, valutazione di un cortometraggio, o composizione di un collage su un tema o un testo biblico. Partendo dai contributi degli allievi occorre elaborare ogni volta le​​ domande​​ che si pongono in riferimento al tema. Particolarmente in riferimento ai vecchi temi quali “Dio”, “Gesù Cristo”, “preghiera”, o in riferimento a passi biblici, questo procedimento permette di esprimere preconcetti positivi o negativi e di sbloccare ostacoli all’apprendimento.

— Per chiarire certe domande e costruire nuove comprensioni, esperienze e modalità di comportamento​​ (nella fase centrale). In questa fase può trattarsi di discussione su affermazioni bibliche, argomenti teologici o esempi di fede, ma anche di esplorazione delle condizioni e motivazioni sociali in sé e negli altri. Per raggiungere questi obiettivi si può ricorrere ai più svariati metodi: esposizione dell’insegnante, colloquio guidato, gioco dei ruoli, intervista, documentazione, discussione, azione. Può anche trattarsi (e costituire già la fase conclusiva) di un atto meditativo in cui la nuova conoscenza influisce su di noi, o di una espressione creativa. Si può ricorrere alla meditazione di immagini o di testi, oppure a pittura, collages, meditazione scritta su una foto liberamente scelta, pantomima, piccole scene di recita, improvvisazioni musicali, ecc.

— Per fissare quanto è stato appreso e per controllare il risultato dell’apprendimento.​​ Questo è indispensabile quando si tratta di conoscere una determinata materia, e forma generalmente la fase finale dell’unità didattica. M. che servono a questo fine sono: fare la sintesi e scriverla sulla lavagna o sul quaderno, la ripetizione, compiti a casa, domande orali e scritte (test) che devono mostrare il livello conoscitivo raggiunto, e alle quali eventualmente viene assegnato un voto.

c)​​ Per poter valutare il procedimento operativo in riferimento a una singola unità didattica e anche lo stile di lavoro nella sua globalità, è possibile orientarsi sui seguenti​​ punti di vista globali:

— Gli allievi sono stati interpellati nella loro​​ globalità,​​ cioè nelle componenti affettiva, cognitiva e comportamentale della loro personalità, oppure è stata richiesta soltanto una esperienza emotiva senza riflessione e senza prassi, o un sapere intellettualistico senza esperienza e attività, o ancora soltanto una esercitazione attivistica senza esperienza (meditazione) e senza riflessione?

— Le​​ forme sociali​​ si trovano in un rapporto equilibrato tra loro? Accanto allo scambio tra l’insegnante e gli allievi (insegnamento frontale) vi è anche il discorso circolare, il lavoro dei singoli, il lavoro in due, il lavoro in piccoli gruppi? Il rapporto dell’insegnante o dell’animatore è nell’insieme prevalentemente autocratico, oppure sociale integrativo, oppure passivo (laissez faire)?

— La tradizione biblico-ecclesiale della fede è trasmessa soltanto attraverso formule, oppure è anche interpretata in riferimento a domande orientative, alla possibilità di comprensione e al linguaggio degli allievi di oggi? — L’insegnamento e l’apprendimento sono esclusivamente di natura informativa, deduttiva e recettiva, oppure, quando si tratta di temi appropriati, anche elaborativa, induttiva, di scoperta e creativa?

— Il procedimento stimola sufficientemente 1’ →​​ attivismo​​ (per es. lettura ad alta voce, domande stimolanti, compiti, giochi, disegno, diversi mezzi), e accanto a tutto ciò vi è anche occasione di​​ riflessione,​​ meditazione, silenzio?

— Si lavora soltanto con testi o anche con immagini e musica?

— I processi di apprendimento sono troppo o troppo poco articolati in singoli passi? Sono guidati in modo troppo rigido o troppo aperto?

Bibliografia

P. Babin,​​ Metodologia per una catechesi dei giovani,​​ Leumann-Torino, LDC, 1967; H.​​ Blankertz,​​ Theorien und​​ Modelle​​ der Didaktik,​​ München, 1975; W. Erl – F. Gaiser,​​ Neue Methoden der Bibelarbeit,​​ Tübingen, 1981; G. Geissler (ed.),​​ Das Problem der Unterrichtsmethode in der pädagogischen Bewegung,​​ Weinheim, 1970; B. Grom,​​ Metodi​​ per​​ l’insegnamento​​ della​​ religione,​​ la pastorale​​ giovanile e la formazione degli adulti,​​ Leumann-Torino, LDC, 1982; P. Heimann – G. Otto – W. Schulz,​​ Unterricht – Analyse und Planung,​​ Hannover, 1966; K. Ingenkamp (ed.),​​ Handbuch der Unterrichtsforschung,​​ 3​​ vol.,​​ Weinheim, 1970-1971; B. Jendorff,​​ Leistungsmessung im Religionsunterricht,​​ München, 1979; Id.,​​ Hausaufgaben im Religionsunterricht,​​ München, 1983; W. Klafki,​​ Zum Verhältnis von Didaktik und Methodik,​​ in “Zeitschrift für Pädagogik” 22 (1976) 77-94; P. Menck – G. Thoma (ed.),​​ Unterrichtsmethode,​​ München, 1972; H. Moser (ed.),​​ Probleme der Unterrichtsmethodik,​​ Kronberg, 1977; E. Paul,​​ Methoden,​​ in​​ E.​​ Feifel et al. (ed.),​​ Handbuch der Religionspädagogik,​​ vol.​​ 2, Köln, 1974, 145-171; T. Schulze,​​ Methoden und Medien der Erziehung,​​ München, 1978.

Bernhard Grom

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METODO

Percorso o itinerario da seguire per ottenere risultati validi e affidabili in un qualsiasi settore dello studio o dell’azione. Deriva etimologicamente dalle parole gr.​​ odòs​​ (strada) e​​ metà​​ (oltre) e significa «la strada che si percorre». Quando è riferita all’attività di indagine indica «la strada che si percorre nell’indagare» o «la via della ragione seguita».

1.​​ L’uso in ambito educativo.​​ La parola m. è stata usata fin dall’antichità in campo educativo in quanto accostabile a quella di «pedagogo», colui che conduce un fanciullo. La pedagogia diveniva così in senso metaforico «la strada che si percorre nel condurre un fanciullo». Di qui l’uso diffuso delle espressioni​​ ​​ m. educativi,​​ ​​ m. didattici, m. di insegnamento. Per analogia è stato poi utilizzato lo stesso termine anche nel caso di un soggetto che conduce se stesso: m. di apprendimento, m. di​​ ​​ studio, ecc.

2.​​ M. e metodologia.​​ L’espressione metodologia associa all’idea di percorso quella di discorso, dal gr.​​ logos​​ e​​ logìa.​​ La metodologia può quindi essere definita, come giustamente è stato fatto da R. Descartes,​​ Discorso sul m.​​ In quest’ultimo caso l’espressione però era direttamente riferita al m. razionale da seguire nell’indagine filosofica. In generale il termine m. nella sua accezione di​​ via della ragione​​ può essere definito​​ forma di razionalità umana.​​ L’attuale discussione o discorso sul m. verte proprio sulle varie​​ vie della ragione​​ o forme di razionalità che sono disponibili all’uomo nel pensare, nel comunicare, nell’agire; anche perché dal XVII sec. fino alla metà del XX sempre più è stata assolutizzata una sola via della ragione, quella analitico-scientifica. Ma oggi si riconosce che la ricerca può seguire una molteplicità di m. di indagine, che la qualità delle sue conclusioni non può essere solo riferita al rigore seguito nel rispetto di una sola maniera di procedere. Così a m. di indagine analitico-scientifici si accostano m. dialettici e interpretativisti, m. quantitativi e m. qualitativi, giungendo spesso a vere e proprie forme di triangolazione tra m. di natura differente.

3.​​ M.,​​ metodologia e scienze dell’educazione.​​ In questo ambito si nota una certa dissonanza tra chi accetta il termine metodologia nel senso di discorso sui m. educativi (metodologia educativa) oppure didattici (metodologia didattica) e chi vuole riservare l’espressione «metodologia» al solo discorso relativo ai m. di indagine in ambito educativo o sui m. di riflessione critica sull’educazione (​​ metodologia pedagogica). Di qui l’espressione spesso usata di «didattica e metodologia», in cui si accosta il discorso sul m. di insegnamento a quello sul m. di ricerca in questo settore. Si può aggiungere che in ambito tedesco e italiano è stata utilizzata nel passato prevalentemente la parola «metodica» per l’esame dei m. dal punto di vista pratico e il termine «metodologia» per la discussione dei m. dal punto di vista teorico. Anche nelle​​ ​​ scienze dell’educazione ci si avvia a un più marcato pluralismo di m. di indagine, accostando ai tradizionali m. teorici e storici, m. empirici di tipo quantitativo e qualitativo e m. cosiddetti interpretativisti.

Bibliografia

Antiseri D. - B. M. Bellerate - F. Selvaggi,​​ Epistemologia e ricerca pedagogica,​​ Roma, LAS, 1976; Morin E.,​​ Il​​ m. Ordine,​​ disordine organizzazione,​​ Milano, Feltrinelli, 1977; Pellerey M.,​​ Grida di guerra e ipotesi di conciliazione in pedagogia,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 37 (1990) 217-227;​​ Coulon A.,​​ Ethnométhodologie et éducation,​​ Paris, PUF,​​ 1993;​​ Desantes-Guanter J. M. - J. López Yepes,​​ Teoría y técnica de la investigación científica,​​ Madrid, Síntesis,​​ 1996;​​ Jaeger R. M. - T. Barone (Edd.),​​ Complementary methods for research in education,​​ Washington, American Educational Research Association,​​ 21997; Antiseri D.,​​ Teoria unificata del m., Torino, UTET, 2001;​​ Green J. I. - G. Camilli - P. B. Elmore,​​ Handbook of complementary methods in education research, Mahwah, LEA,​​ 32006; Morin E.,​​ Il m., vol. 3.,​​ La conoscenza della conoscenza, Milano, Cortina, 2007.​​ 

M. Pellerey

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